Più tirato e veloce squadre nel primo tempo che nella ripresa, un Clásico comunque di notevole intensità, diremmo che ha giustificato l’attesa.
Il gol di Eto’o che ha sbloccato il match, nella sua modalità un po’così, rappresenta al meglio la partita del Barça: il risultato migliore stavolta non è diretta conseguenza di un’esibizione plastica, ma dei nervi e della volontà di arrivare comunque ai tre punti. Se c’è stata superiorità di gioco sull’avversario, c’è stata solo in quantità, non certo in qualità. È parso quasi un Barça esageratamente condizionato dalla retorica del “mangiamoceli vivi” spesa in settimana: esaurita la spinta dell’entusiasmo dei primi 20 minuti, son venute fuori le magagne di una squadra nell’occasione eccessivamente emotiva (come simboleggia anche il rigore calciato male e fallito da Eto’o nel secondo tempo) e poco razionale nella sua proposta; dall’altra parte invece, venuta meno la pesante soggezione di inizio partita, il Real Madrid ha progressivamente preso le misure alla partita, arrivando a tenere il campo alla pari, seppure in una prospettiva chiaramente e comprensibilmente di contenimento difensivo.
Per quanto riguarda il verdetto del risultato nudo e crudo, inutile raccontarsi storie: 12 punti sotto, il Real Madrid deve cominciare a mettere una pietra sopra il titolo, ma ciò non vuol dire che non si possano segnalare alcuni indizi incoraggianti per il futuro a lungo termine.
Naturalmente questa è una partita che per l’atteggiamento e il contesto imposti dall’avversario fa storia a sé, ma sono comunque emerse le priorità della gestione-Ramos: recuperare l’ordine, le distanze fra i reparti, una copertura più razionale del campo, come presupposti per riacquisire la competitività necessaria, a questo punto più in vista dell’Europa di Champions che del palcoscenico nazionale. Se l’ambiente e la società sapranno assorbire (cosa purtroppo sempre difficile alla Casa Blanca) alcuni rovesci preventivabili in queste prime settimane, la strada da seguire è solo e soltanto questa.
Le curiosità della vigilia erano ovviamente tutte rivolte a scoprire cosa bollisse in pentola lo stregone Juande, considerando sia le novità che di per sé il suo arrivo avrebbe potuto portare, sia i contorsionismi cui la situazione drammatica dell’infermeria (e le squalifiche di Marcelo e Robben) costringevano il nuovo tecnico madridista.
Ecco quindi le novità, soprattutto in difesa: dopo le voci in settimana su Metzelder terzino destro e Salgado a sinistra, la soluzione più logica alla fine vede Metzelder accanto a Cannavaro e Sergio Ramos a sinistra in funzione anti-Messi (sicuramente il più adatto a contrastare dal punto di vista individuale l’argentino). In mediana, Sneijder viene buttato nella mischia tutto incerottato, e defilato nella posizione per lui piuttosto scomoda di esterno destro, mentre tocca a Guti l’”onore” di sacrificarsi nel mezzo con Gago. Il resto è scontato: Drenthe, Raúl, Higuaín. Scontato, o quasi, è anche l’undici di Guardiola che, fatta eccezione per il recupero di Eto’o, conferma la squadra che ha ballato sul Valencia.
L’avvio di partita è di un’intensità davvero travolgente, da una parte il pressing forsennato dei padroni di casa, dall’altra le entrate al limite (e spesso oltre) di un Madrid che non intende cedere un metro.Non intende cederli, ma il Barça comunque se li prende tutti, quasi per causa di forza maggiore: visto come arrivavano le due squadre alla partita, e considerati i discorsi della vigilia, non poteva che essere un avvio tutto blaugrana, nell’intento di soffocare ogni possibile germoglio di autostima merengue.
I primi 20 minuti il Real Madrid li gioca in apnea, nella sua metacampo. Tutto parte dal pressing ultra-ultra-ultraoffensivo del Barça, un pressing che non solo ha la sua consueta funzione tattica (Gago e Guti ricevono spalle alla porta, costretti al retropassaggio verso i difensori che spazzano: il Barça recupera subito palla e il Madrid non esce dalla metacampo), ma anche una evidente funzione psicologica, di vera e propria intimidazione nei confronti dell’avversario. Col Madrid che fatica inizialmente a regolarsi, il Barça trova le sue accelerazioni sulla trequarti, inquietando Casillas con un incursione di Messi e un tiro da fuori di Henry. In questa fase i padroni di casa dominano la metacampo avversaria e impongono i loro ritmi, sfruttando il campo in ampiezza, cambiando lato con precisione e rapidità. Tengono gli uomini larghi, Henry a sinistra e Messi o Alves a destra, distraggono Gago e Guti con Xavi e Gudjohnsen, e allargando le maglie merengue creano i varchi centrali per pericolose incursioni dalle retrovie. Infatti, in assenza di marcatura sia Puyol che Touré si spingono palla al piede senza opposizioni, creando un certo imbarazzo nel sistema difensivo madridista. Soluzione certo non ortodossa (i difensori e i centrocampisti difensivi non dovrebbero mai portare palla fino alle zone avanzate), ma che funziona finchè con movimenti senza palla appropriati il Barça allarga il campo e apre gli spazi centralmente, come succede quando Abidal al 18’ si avventura fin dentro l’area di rigore, trovando solo l’opposizione di Metzelder fra il suo destro e la porta.
Passati i primi 20 minuti però al Barça rimangono solo le buone intenzioni: cioè un’aggressività e una volontà di dominio che, non più accompagnata da una razionale occupazione degli spazi, si traducono in mera precipitazione. Gli uomini di Guardiola non aprono più il campo, non offrono appoggi e non creano spazi, rimangono statici dalla trequarti in su, prendono decisioni discutibili col pallone fra i piedi: le incursioni dei Puyol e Touré in questo contesto denotano soltanto caos e improvvisazione di fronte allo scarseggiare delle opzioni di passaggio, e rappresentano anche un discreto pericolo, rischiando di scoprire pesantemente la propria squadra a palla persa.
Il Madrid ringrazia e chiude a tenaglia il proprio sistema difensivo, stringendo le maglie centralmente e prendendo in generale le misure giuste: Raúl e Higuaín si alternano su Touré e Márquez, ma soprattutto il trio Sergio Ramos-Drenthe-Gago funge da antidoto all’ormai celebre triangolo Messi-Alves-Xavi che rappresenta la fonte di gioco primaria del Barça. Drenthe ripiega su Alves mentre Gago si divide fra la vigilanza su Xavi e i raddoppi in aiuto a Ramos su Messi. Il Barça non riesce più a trovare combinazioni costanti fra i tre, Xavi non riceve palla fronte alla porta, non può orientare una manovra che in generale perde continuità e frutta una serie di palle perse, perché il Madrid spudoratamente lascia che a fare gioco siano i piedi meno sapienti di Puyol e Gudjohnsen.
E va anche detto che a metà primo tempo il Real Madrid mette il naso, nient’affatto timidamente, nella metacampo avversaria. In tre minuti, dal 23’ al 26’, prima un sinistro di controbalzo di Sneijder deviato in angolo da Valdés, poi soprattutto la fuga di Drenthe che, scappato ad Alves, viene smarcato a tu per tu con Valdés da un gran passaggio di Raúl ma, al momento del dunque, si scioglie come un ghiacciolo (poteva tentare il colpo sotto o il dribbling al portiere, tutto tranne che tirargli addosso). Infine, sul calcio d’angolo seguente, Higuaín che sparacchia sopra la traversa da posizione un po’ defilata.
Il resto del primo tempo si trascina così, col Barça che corre senza ragionare infrangendosi puntualmente al centro (al 31’ Touré improvvisa un’altra incursione palla al piede da mettersi le mani nei capelli) e che, guarda caso, torna ad impensierire Casillas soltanto nell’unica azione organizzata con costrutto dell’ultima parte del primo tempo, palla che scivola da destra verso sinistra, Xavi che libera Henry, il francese che va via a Salgado e dal fondo prova a sorprendere sul suo palo Casillas con un collo sinistro, senza successo. Intanto Sneijder alza bandiera bianca, e Juande Ramos si gioca così il 19enne canterano Palanca (lo ricorderete al Catanzaro).
La ripresa inizia col Barça che cerca di muovere palla con più pazienza, ma il Madrid mantiene l’ordine, alzando anzi di qualche metro (non troppi, eh…) il suo pressing e forzando pure qualche rinvio lungo della difesa blaugrana. Equilibrio quindi, che si riflette anche nelle occasioni: il Barça ci prova con due notevoli conclusioni di prima intenzione di Eto’o, al 2’ e al 10’, mentre il Real Madrid può mordersi le mani quando al 4’ non approfitta di un regalone di Rafa Márquez, che sbaglia un disimpegno sulla sua trequarti e fornisce la palla a Gago, il quale imbuca verso Higuaín; il Pipita non tira subito, lascia sfilare per portarsela sul destro, ma così dà il tempo necessario a Puyol per salvare tutto con una spericolata chiusura. Il Madrid poi all’11’ borbotta per un contatto al limite dell’area fra Higuaín e Márquez, sul quale pende il rischio dell’ammonizione: avendo visto solo un replay, e di pessima qualità, la dinamica dell’azione non è chiara.
Guardiola, consapevole che la partita si sta cristalizzando in una situazione di eccessivo equilibrio, col Barça che ha sempre il pallone ma non riesce a crearsi i varchi, prova a muovere le sue carte: intanto cerca di riattivare Messi, spostandolo al centro (con Eto’o a destra) per riportarlo nel vivo del gioco, poi al 18’, col cambio più prevedibile del mondo, leva il corpo estraneo Gudjohnsen inserendo Busquets.
Qui si apre una fase nuovamente favorevole al Barça, che nella parte centrale della ripresa preme con decisione: Busquets riporta movimenti coordinati, appoggi e geometrie semplici ma funzionali, senso compiuto all’azione del centrocampo: i blaugrana trovano più continuità nel fraseggio, e una rampa di lancio sulla trequarti con Messi. Lo spostamento dell’argentino ha effetti benefici: nel primo tempo, negli stenti della manovra, era Eto’o a dover arretrare sulla trequarti per prendere palla, missione che sicuramente si confà di più a Messi. Non decide individualmente l’argentino, ma almeno offre uno sfogo: senza sbocchi sulla destra per la gabbia Ramos-Gago-Drenthe, accentrato trova qualche spazio in più quando i movimenti di Henry ed Eto’o a stringere verso i due centrali madridisti, quasi a disegnare un 4-3-1-2 in certi frangenti, gli aprono qualche piccola possibilità di manovra fra le linee (Guardiola nasconde a malapena l’attrazione per la figura del falso centravanti).
Un Messi non trascendentale ma più presente nelle transizioni offensive di un Barça sempre più insistente nella sua offensiva, sfruttando il fatto che il tipo di partita impostato dal Real Madrid (correre sempre dietro l’avversario) è il più dispendioso possibile, e inevitabilmente col passare dei minuti qualche cosa la concede. Al 23’ la possibile svolta, quando in uscita da un calcio d’angolo Alves mette dentro un pallonetto a scavalcare la difesa madridista, pescando Busquets in posizione regolare, fermato da Salgado con un intervento non duro ma comunque solare: del rigore si incarica a sorpresa Eto’o. Chissà cosa avrà nella testa il camerunese in questo momento, quello che forse sente più di tutti il Clásico fra i giocatori blaugrana: tante cose sicuramente, che gli tolgono la necessaria freddezza, come dimostra l’esecuzione, da manuale del rigore battuto male: né troppo potente né troppo angolato, e giusto a mezza altezza perché il portiere possa distendersi nella maniera a lui più familiare. Il guizzo di Iker è comunque degno di nota, e riporta sugli altari che merita questo fenomeno.
Il Barça ha il merito di superare prontamente la delusione, e di continuare a crederci e a spingere: anche Iker però continua a crederci, e solo 3 minuti dopo il rigore sciocca ancora la platea del Camp Nou con un doppio intervento da alieno, il primo su destro da fuori di Eto’o (liberatosi al tiro dopo una percussione centrale di Messi), il secondo sulla successiva ribattuta di Messi, anche se su questa già era stato segnalato il fuorigioco.
Juande Ramos evidentemente fiuta la situazione favorevole ai movimenti fra le linee di Messi creatasi negli ultimi minuti, e cerca perciò di blindare questa zona con l’ingresso di Javi García al posto di Guti. Il Madrid così abbassa ulteriormente il baricentro, votandosi, questo è chiaro, a un quarto d’ora finale di puro ostruzionismo. Ostruzionismo che non impedisce tuttavia di far correre un bello spavento al Camp Nou quando al 32’ Palanca si insinua nella trequarti blaugrana, triangola con Raúl e, smarcato davanti a Valdés, opta per la conclusione a rete, senza successo a causa sia della prontezza del portiere catalano che del poco angolo a disposizione. Due minuti dopo il Barça reclama il rigore per un intervento più che dubbio di Ramos su cross di Alves, ma Medina Cantalejo il rubinetto l’ha già chiuso.
È nel finale che tutto si decide: al 37’ Xavi batte un calcio d’angolo dalla destra, a spiovere lungo verso il secondo palo, Puyol sovrasta Ramos e coglie in fallo la difesa madridista, che sul calcio d’angolo marcherebbe a uomo se non fosse che Eto’o nell’area piccola non se lo piglia proprio nessuno: in uno scenario tanto favorevole, al camerunese basta un tocco di coscia sporchissimo per beffare Casillas e il successivo inutile tentativo di salvataggio di Palanca. Al Barça ora si spalancano pure le porte per arrotondare il vantaggio: già al 90’, col Madrid ovviamente sbilanciato, il neo-entrato Hleb lancia Henry nell’autostrada, lui e Messi contro un solo difensore merengue, gran tocco sotto dell’argentino sull’uscita di Casillas e Camp Nou in tripudio.
PAGELLEBarcelona (4-3-3)
Valdés: Prestazione di grande spessore, non ne offrriva così da tempo. Nelle occasioni-chiave (Drenthe nel primo tempo, Palanca nella ripresa) ribadisce di essere un drago nelle uscite basse e nel chiudere lo specchio nell’uno contro uno, indubbiamente il maggior punto di forza del suo repertorio. Puntualissimo poi come “libero di emergenza” pronto a uscire alle spalle della difesa alta. Caratteristiche che ne fanno un portiere molto “da Barça”.
Voto: 7,5.Daniel Alves: C’è sempre tantissimo nelle sue partite, una mole di lavoro immancabilmente enorme anche quando non è l’hombre del partido. Soffre un po’ quando Drenthe attacca la zona alle sue spalle (in particolare nell’ occasione del gol mangiato dall’olandese), però è reattivissimo nello spezzare e rilanciare il gioco in pressing e percussione per poi proporsi sulla trequarti coi dialoghi nello stretto, in alcuni casi anche quando il Real Madrid affolla di uomini la zona sua, di Messi e Xavi. Indispensabile carica d’energia.
Voto: 6,5.Márquez: Molto autorevole e deciso nel guidare il reparto tenendo alta la linea difensiva e dimostrandosi aggressivo nell’anticipare e accorciare (pure troppo quando azzoppa Higuaín e si becca il giallo). Nella ripresa però rischia in due occasioni di combinare la frittata: prima regala un pallone sulla sua trequarti al Madrid sbagliando un passaggio, ma per sua fortuna Puyol salva su Higuaín; poi è al centro di un dubbio e polemico contatto al limite dell’area, sempre con Higuaín, che potrebbe costargli il secondo giallo. In fase di costruzione non ha troppo spazio, Raúl è bravo a ostruirgli le linee di passaggio.
Voto: 6,5.Puyol: Difensivamente splendido, esaltante il confronto a distanza con Cannavaro. Una molla che arriva dappertutto, nei recuperi in seconda battuta (provvidenziale quello su Higuaín nella ripresa), nelle chiusure in aiuto ad Abidal e negli anticipi. Irreprensibile sul piano puramente difensivo, nel primo tempo ha suo malgrado un ruolo eccessivo nell’impostazione del gioco: improvvisa contorte zingarate palla al piede che rischiano di creare problemi seri alla sua squadra in caso di palla persa, ragiona poco, anche se contribuisce pure la cattiva occupazione degli spazi da parte di tutto il Barça nel togliergli riferimenti e opzioni di passaggio più accessibili.
Voto: 7.Abidal: Corretto, senza sbavature. Puntuale nell’accorciare nella metacampo avversaria, molto attento e affidabile nelle diagonali, una sicurezza nei recuperi in velocità, roccioso e difficilmente superabile negli uno contro uno (solo Palanca gli va via una volta nella ripresa). Tranquillo nei disimpegni, il neo è sempre il solito, la scarsa qualità quando affonda nella metacampo avversaria e si libera per il cross. Ma il suo, quello che rientra nelle sue caratteristiche di mortale, lo fa.
Voto: 6,5.Xavi: Sottotono, non riesce mai a emergere. Solito discorso: il Madrid gli limita i riferimenti preferiti, cioè il duo Alves-Messi e lui, giocatore che in tutto e per tutto dipende dai movimenti del collettivo, non può combinare con la continuità che desidera. Non può entrare spesso in azione fronte alla porta nella metacampo avversaria, ha Gago addosso che spesso gli impedisce di girarsi, e non possiede, non ha mai posseduto, le qualità per liberarsi dell’uomo con lo spunto nell’uno contro uno. Addirittura lo si vede stranamente impreciso in più di un passaggio.
Voto: 5,5. (
dal 45’ s.t. Keita: s.v.)
Touré: Questo giocatore mi trasmette sensazioni ambigue. È indubbia l’importanza della sua fisicità, la presenza nel chiudere gli spazi, nell’accorciare e nel conquistare palloni (anche se qualche volta perde la posizione). Dove non convince piuttosto è in fase di possesso. Questo non perché i suoi piedi siano cattivi, tutt’altro, ma perché non convincono i tempi di gioco e i movimenti. Poca mobilità, troppi tocchi per liberarsi del pallone, e a tratti si ha quasi la sensazione che la percussione palla al piede sia per lui una soluzione più naturale rispetto al semplice passaggio, cosa ben strana per uno che si trova a giocare davanti alla difesa.
Voto: 6.Gudjohnsen: Fuori partita. Guardiola lo aveva messo per sfruttare gli inserimenti negli spazi alle spalle di Guti, ma col Madrid che costringe a far passare molto gioco da lui e Puyol, e col Barça che avrebbe bisogno di elaborare con calma, lui diventa quasi un uomo in meno. Nel fraseggio, l’islandese parla un’altra lingua rispetto ai compagni, non ha né i tempi né le misure giuste nelle giocate. Il problema è che sia Touré che lui, giocatori indubbiamente validi per altri aspetti, frenano in un certo senso la circolazione di palla: più l’azione passa dai loro piedi, meno la manovra procede spedita, ed è questa una situazione che gli avversari del Barça, come il Madrid stasera, cercano consapevolmente, sapendo che le fonti del gioco blaugrana sono altre (il triangolo Alves-Xavi-Messi più Márquez). In questo senso l’islandese e l’ivoriano possono diventare “anelli deboli” nell’undici di Guardiola. In fase di non possesso invece, l’islandese accenna il pressing ma è disordinato sia in questo che nei ripiegamenti.
Voto: 5. (
dal 18’ s.t., Busquets: Ingresso salutare, dà più ordine rispetto a Gudjohnsen, ne guadagnano gli equilibri generali. Non è nessun fenomeno, ma sa stare in campo: mi libero del pallone in pochi tocchi e mi cerco lo spazio, molto razionale. Ordinato pure nei ripiegamenti, contribuisce in interdizione.
Voto: 6,5.)
Messi: Non è stato la star della serata, anche se ha lasciato comunque la firma alla fine. Juande sceglie Sergio Ramos come sua ombra: nei primi 20 minuti l’andaluso gli lascia pure qualche spazio per verticalizzare e andare in uno contro uno, poi tutto il Madrid stringe sul triangolo Messi-Alves-Xavi, e per Leo le occasioni di uno contro uno praticamente svaniscono. Così a risaltare nel primo tempo dell’argentino è il trattamento durissimo, quasi persecutorio, da parte degli avversari, dediti sfacciatamente alla randellata e non sempre adeguatamente sanzionati da Medina Cantalejo (6 degli 11 falli madridisti del primo tempo sono sulla Pulga, ma si prendono il giallo solo Guti e Drenthe). Forse un po’intimorito, Messi si defila dal match per qualche minuto, per ritrovare maggiore protagonismo nel secondo tempo, quando si trova più spesso a partire centralmente, senza creare particolari sconquassi dal punto di vista individuale ma agevolando comunque le transizioni offensive della propria squadra. Sigilla la partita con un gol di classe, molto meno facile di quanto possa sembrare, dovendo stoppare e alzare un pallonetto sopra l’incombente Casillas in brevissimo tempo e da posizione leggermente defilata.
Voto: 6,5.
Eto’o: Grande impegno nel pressing e molto movimento, ça va sans dire, però poche possibilità di affondare, primo perché Metzelder lo marca bene senza farlo girare (e le uniche volte in cui Samu riesce a voltarsi è soltanto perché ha un’agilità da coguaro, non da umano), secondo perché le poche volte in cui annusa la profondità, le maglie strette della difesa madridista garantiscono coperture puntuali. Può graffiare soltanto inventandosi quelle conclusioni istintive tipiche del suo repertorio, in particolare due ad inizio ripresa. Poi gli capita l’occasionissima, il calcio di rigore: conoscendo il suo particolare rapporto col Madrid, aggiunto alla naturale emotività e a un non eccezionale ruolino da rigorista, non lo avrebbe forse dovuto tirare. Fortuna vuole che la serata gli offra anche l’occasione per rifarsi, e mettere un gol tanto brutto quanto pesante. Voto: 6. (
dal 42’ s.t, Hleb.:
s.v.)
Henry: Ormai è chiaro: le partite dell’Henry blaugrana non vanno più valutate sul piano della qualità, dove non riesce più a incidere come ai bei tempi, ma su quello della quantità, dove il contributo rimane considerevole. Resta largo, apre il campo, partecipa, aiuta nel pressing e nei ripiegamenti, qualche volta va via in velocità a Salgado ma non riesce ad andare fino in fondo perché Cannavaro ha la copertura sempre pronta. Più vivo nel primo tempo che nella ripresa.
Voto: 6.In panchina: Pinto, Cáceres, Piqué, Bojan.
Real Madrid (4-4-1-1):
Casillas: Nell’occasione più prestigiosa, torna santo, anche se non serve a produrre il miracolo. Eto’o lo batte male il rigore, ma il colpo di reni è comunque notevole. Eccezionale poi, solo un paio di minuti dopo, la doppia parata su Eto’o da fuori e sulla successiva respinta di Messi (che è in fuorigioco, ma vedere come Iker si avventa sulla ribattuta fa credere all’esistenza dei fenomeni paranormali).
Voto: 7,5.
Salgado: Stringe i denti su Henry, in qualche occasione ne soffre l’allungo, ma Cannavaro gli fa da balia e lui soffre relativamente. Compitino, con la macchia del fallo del rigore.
Voto: 5,5.
Cannavaro: Strepitoso, non vacilla un istante (oddio, un po’ vacilla quando si schianta sul palo per tentare invano il salvataggio sul pallonetto di Messi), dove serve c’è sempre e sempre emerge vittorioso. Se Sergio Ramos segue Messi, Metzelder Eto’o, e Salgado Henry, lui gioca praticamente da libero nella zona imbastardita di Juande Ramos. Partendo dal centro-destra, copre in seconda battuta ora Salgado quando Henry va via ora Metzelder quando Eto’o si libera. Nel suo partitone c’è tutta la personalità, l’esperienza e la capacità di lettura delle situazioni acquisita negli anni, evidenziata in interventi esemplari per autorevolezza e pulizia (sensazionale la scivolata con cui a inizio partita interrompe dentro l’area la triangolazione Messi-Eto’o: capisce un secondo prima lo sviluppo dell’azione).
Voto: 8.Metzelder: Elemento di sicura affidabilità, buon gregario del leader difensivo Cannavaro, ha il compito di prendere Eto’o in prima battuta, gli si attacca ai calzettoni e si fa sentire anche nelle chiusure in aiuto ai compagni.
Voto: 6,5.Sergio Ramos: Gli tocca un ruolo-chiave della vigilia, quello di avversario di Messi, se la cava con la sufficienza. Nella fase iniziale di dominio blaugrana, non prende da subito le misure all’argentino, che in alcune occasioni ha spazio per andare in verticale o all’uno contro uno, vuoi perché Ramos abbandona la propria zona per supportare azioni offensive presto abortite, vuoi perché calcola male le distanze per difetto di senso della posizione. Poi non soffre più, non tanto perché si imponga individualmente su Messi, ma perché è tutto il sistema difensivo madridista a funzionare e a facilitare perciò il compito dei singoli.
Voto: 6.Sneijder: Juande si fida più dell’orgoglio che della realtà delle condizioni fisiche del giocatore, che se fosse stata un’altra partita non avrebbe mai forzato. Costringe Valdés a rifugiarsi in angolo, ma nel breve lasso disputato non entra mai in partita, non solo per le condizioni fisiche precarie ma anche per una posizione di esterno destro di preponderante sacrificio per quelle che sono le sue caratteristiche.
Voto: s.v. (
dal 35’ p.t., Palanca: Juande portandoselo in panchina segnala con chiarezza la maggior carenza della rosa madridista, che per trovare un esterno destro di ruolo deve pescare dal Castilla. E finisce che il ragazzo gioca pure, e non sfigura affatto. Inizialmente lo guardano con diffidenza sia i compagni che gli avversari, in una zona poco battuta da entrambe le squadre, poi nella ripresa mostra un’incoraggiante intraprendenza, tenendo palla sulla trequarti, cercando il dialogo coi compagni e l’uno contro uno senza paura. Avrebbe perfino l’occasione del gol storico, ma un misto di scarsa freddezza sua e di bravura di Valdés glielo negano. Chissà che non possa davvero rivelarsi un’opzione valida per il futuro.
Voto: 6,5)
Guti: Un uomo in meno, perso nel contesto della partita, non mi ha convinto francamente la posizione ritagliatagli nell’occasione, ancorato al doble pivote. In interdizione, lo sappiamo, è uno zero spaccato, quindi aveva poche possibilità di incidere nel lavoro di ostruzione della manovra blaugrana. Accanto a un Gago che si moltiplica, più funzionale e solido sarebbe stato piuttosto un Javi García dall’inizio.
E anche in fase di rilancio dell’azione erano poche per Guti le possibilità di incidere: mai stato un giocatore adatto a gestire i tempi della manovra, bensì un uomo da ultimo passaggio sulla trequarti. Quindi, a posteriori, la scelta migliore sarebbe stata piazzarlo a ridosso dell’attacco o comunque farlo partire da esterno destro al posto del malandato Sneijder, con ampia possibilità di accentrarsi fra le linee quando al Barça capitava di lasciare spazi fra centrocampo e difesa in certi suoi ripiegamenti disordinati. Il Madrid avrebbe guadagnato una carta in più nel contropiede, senza pagare più di tanto in fase difensiva, visto che il Barça sfrutta poco la fascia sinistra nei propri attacchi (qui l’assimetria classica di Schuster poteva funzionare).
Voto: 5,5. (
dal 27’ Javi García: s.v.)
Gago: Una delle chiavi del sistema difensivo madridista, si sdoppia coprendo ora lo spazio fra le linee in raddoppio su Messi ora togliendo lo spazio vitale a Xavi. Dinamico e reattivo come suo solito, molto attivo nel rubare palloni e rilanciare il gioco, migliora anche il piazzamento rispetto ai vecchi tempi. Ottimo davvero.
Voto: 7.Drenthe: La sua è una prestazione che non va in nessun modo disprezzata. Rispetta tutte le consegne: segue puntigliosamente Alves andando a fare il terzino aggiunto, in attacco invece cerca con convinzione gli spazi alle spalle di Alves e anche l’uno contro uno, sebbene non incida molto in quest’ultimo aspetto. Quello che manca però è la personalità e la qualità per fare la differenza: confrontate l’occasione che divora nel primo tempo con il gol di Messi, e capirete di cosa parlo.
Voto: 6.Raúl: Interessantissima la partita del capitano, presenza sempre intelligente e funzionale. In fase di non possesso si alterna con Higuaín su Touré e Márquez, con netta preferenza per il messicano, sul quale svolge una efficace opera di contenimento. In fase di possesso è invece preziosissimo come primo appoggio per il centrocampo: viene incontro fra le linee, tiene palla, fa sponda, permette l’uscita della squadra e spesso cambia fronte verso la sinistra con successo, aprendo il campo o invitando Drenthe allo scatto in profondità, come quando mette l’olandese davanti a Valdés nell’occasione più ghiotta della partita madridista. C’è Raúl anche nell’altra grande occasione merengue, quella di Palanca nel secondo tempo, smarcato proprio da un ottimo triangolo col capitano. Non un tiro in porta, ma un contributo di spessore.
Voto: 6,5.Higuaín: Delude, come a Torino in Champions, lui che doveva essere l’uomo-chiave della fase offensiva, quello capace di attaccare gli spazi nella metacampo del Barça. Gioca come riferimento più avanzato rispetto a Raúl, aiuta il suo in fase di non possesso, poi dovrebbe staccarsi per cercare la profondità, ma in realtà non allunga mai la difesa blaugrana, e così il Barça, scomodo in fase di possesso, almeno continua a preoccuparsi poco dei ribaltamenti avversari e non si vede mai sfuggire completamente di mano la partita. Si vede solo su uno spunto individuale al limite dell’area che quasi costa il secondo giallo a Márquez e, sempre nella ripresa, quando perde l’attimo davanti a Valdés, venendo raggiunto dal recupero di Puyol.
Voto: 5,5. (
dal 31’ s.t. Van der Vaart: s.v.).
In panchina: Dudek, Chema Antón, Bueno, Saviola.
Goles: 1-0, min. 82: Córner botado por Xavi, toca de cabeza Puyol y remata de cerca Etoo. 2-0, min. 91: Messi supera a Casillas.
Árbitro: Medina Cantalejo. Amonestó a Márquez, Etoo, Metzelder, Ramos, Drenthe y Salgado.
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