lunedì, dicembre 22, 2008

SEDICESIMA GIORNATA: ALTRE PARTITE.

Osasuna-Getafe 5-2: Plasil 6’(O); Juanfran 34’(O); Pandiani 42’(O); Nekounam 45’(O); Soldado 65’(G); Héctor Font 80’(O); Soldado 91’(O).

Racing-Málaga 1-1: Baha 38’(M); Valera 67’(R);

Deportivo-Recreativo 4-1: Lopo 9’(D); Sergio, rig. 20’(D); Adrián Colunga, rig. 24’(R); Bodipo 43’(D); Filipe 90’(D).

Mallorca-Sevilla 0-0

Numancia-Valladolid 4-3: Barkero 12’(N); Goitom 34’(V); Vivar Dorado 53’(V); Goitom 76’(V); Del Pino 85’(N); Aranda 87’(N); Gorka Brit 90’(N).

Sporting-Almería 1-0: Maldonado 28’.

Betis-Athletic Bilbao 0-1: Javi Martínez 43’.

Espanyol-Atlético Madrid 2-3 (giocata sabato): Maxi Rodríguez 7’(A); Sergio Sánchez 58’(E); Agüero 81’(A); Maxi Rodríguez 91’(A); Valdo 94’(E).

Con il Barça che scappa, ciò che si fa veramente interessante è la lotta per i posti che vanno dal secondo al sesto. Secondo si situa un Sevilla che tuttavia continua a non convincere, a maggior ragione dopo lo scialbo 0-0 di Maiorca (per i padroni di casa invece è un brodino che serve a mantenere il quartultimo posto, mentre si lavora ancora sul cambio di proprietà e il presidente Vicente Grande si dimette per lasciare provvisoriamente l'incarico a Joaquín García); chi invece continua a sorpresa a consolidare una tendenza di netta ascesa che dura dalla ormai lontana sconfitta casalinga nel derby (ultima sconfitta in assoluto) è l'Atlético Madrid, il quale sembra aver trovato la serenità giusta per valorizzare le proprie migliori prerogative: ripiegamenti nella metacampo (nell'occasione con qualche incertezza nella coppia centrale Pablo-Heitinga) e contropiedi affidati ai formidabili solisti offensivi. Una formula che potrebbe rivelarsi particolarmente proficua negli scontri ad eliminazione della Champions, attenzione.

Si affaccia in questo gruppetto anche il Deportivo, prodigo di spettacolo contro il debole Recreativo, mentre si stacca il Valladolid, la squadra finora rivelazione nella Liga. Incredibile ciò che succede a Los Pajaritos di Soria: per 85 minuti gli ospiti stradominano, sommano altri tre gol e sembrano in piena linea col loro periodo d'oro, ma il Numancia nel finale inventa il miracolo.
Kresic imbottisce la squadra di punte cercando la mischia (a Goiria si aggiungono Brit e Aranda), il Valladolid fin lì perfetto non ci capisce più nulla e così proprio Aranda (acquisto di Novembre, era senza squadra, si allenava col Gavá di Segunda B) e Brit completano l'impresa. Merita una sottolineatura ciò che sta facendo il Numancia, la squadra di gran lunga meno dotata della Liga, eppure aggrappata con unghie e denti ad ogni partita, dal primo all'ultimo minuto: questa rimonta in Zona Cesarini per quanto incredibile non è casuale, visto che gli uomini di Kresic avevano già risolto negli ultimi minuti contro Racing, Atlético Madrid ed Espanyol.

In generale è il momento degli "Atletici", visto anche l'Athletic Bilbao che si prende tre punti pesantissimi al De Lopera e si stacca a+6 sul terzultimo posto. I baschi sembrano aver trovato una certa stabilità nelle ultime settimane, stabilità che nasce dall'aver recuperato equilibri accettabili in fase difensiva. La manovra resterà sempre l'obbrobrio che è, ma essere sicuro nella tua metacampo ti permette di partire da una buona base per poi sfruttare quegli episodi nell'area avversaria che in una partita capitano sempre, come il gol di testa di Javi Martínez (primo nella Liga per il 20enne cursore bilbaino).
Un Athletic disciplinato e dal buon spirito di sacrificio contro il quale il Betis non ha mai dato l'impressione di trovarsi comodo durante i 90 minuti: la dimensione della squadra di Chaparro rischia di trasformarsi da incerta in critica con quest'altra sconfitta, sulla quale certo hanno pesato tanto le illustrissime assenze di Mehmet Aurelio e Emana (e anche Capi): con la difesa schierata dell'Athletic da aprire, il terzetto Juande-Arzu-Rivera ha fatto rimpiangere i titolari (molto male soprattutto il canterano Juande, sostituito a fine primo tempo), e al Betis sono mancate le possibilità di sfondamento, anche per l'assenza di un ariete sul quale giocare diretto saltando il centrocampo. Chaparro cerca quest'opzione nel secondo tempo mettendo Pavone al posto proprio di Juande, provando ad aumentare la pressione sui centrali dell'Athletic e a regalare maggior libertà a Sergio García, ma non si va al di là di qualche mischia in più che non toglie mai realmente di mano la partita all'Athletic.

Lotta-salvezza nella quale è sempre più coinvolto l'Almería, che dopo la sconfitta di Gijón opta per il cambio drastico: esonerato Arconada, arriva Hugo Sánchez, una leggenda ma una totale incognita come tecnico (posso dire solo che il suo Messico non mi esaltava). Certo è che è difficile da comprendere un crollo simile da parte della squadra andalusa, che aveva tutte le carte, e sembrava averlo ribadito ad inizio Liga, per essere la mina vagante di metà classifica: alternative e buon spessore tecnico in tutti i reparti (unica pecca la Negredo-dipendenza in attacco), oltre alla base lasciata in due anni eccezionali da Emery.
Racing e Málaga non si fanno male, mentre l'Osasuna finalmente trova un po' di gloria, e si riporta in pieno in corsa, maramaldeggiando su un Getafe assente, in netta-controtendenza con gli ultimi turni che l'avevano proposto come una delle squadre più in forma.


CLASSIFICA
1 Barcelona 41
2 Sevilla 31
3 Atlético 30
4 Valencia 30
5 R. Madrid 29
6 Villarreal 29
7 Deportivo 27
8 Valladolid 23
9 Málaga 22
10 Getafe 21
11 Sporting 21
12 Athletic 19
13 Betis 18
14 Racing 18
15 Numancia 17
16 Almería 16
17 Mallorca 14
18 Espanyol 13
19 Recreativo 13
20 Osasuna 12

CLASSIFICA CANNONIERI
Eto’o 15 (Barcelona, 1 rig.)
Villa 12 (Valencia, 2 rig.)
Higuaín 10 (Real Madrid, 2 rig.)
Messi 10 (Barcelona, 2 rig.)
Forlán 10 (Atlético Madrid, 1rig.)

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SEDICESIMA GIORNATA: Villarreal-Barcelona 1-2: Cani (V); Keita (B); Henry (B).

Se il Barça vince anche questa allora vuol dire che la Liga è pronta a cadere come un frutto maturo dall’albero. Era infatti questa e soltanto questa la partita che il Barça poteva perdere, contro un signor avversario che non solo ne ha limitato le fonti creative ma che, a differenza del Madrid del Clásico, ha pure giocato a calcio da pari a pari. Anche stavolta il Barça non ha potuto brillare, anche stavolta ha vinto di orgoglio e personalità, aggiungendoci pure un bel po’ di sofferenza e buona sorte nel quarto finale di partita, disputato in dieci per l’ingiusta espulsione di Piqué.

Pellegrini, seguendo una tradizione consolidata delle sfide col Barça, propone una sola punta di ruolo e a sorpresa getta nella mischia Cani, teorica ultima scelta del parco mezzepunte. Guardiola invece deve fare i conti con la pesante assenza di Márquez.
Il primo tempo non è divertente come il big-match di ieri del Bernabeu, ma in cambio ha ben altro spessore. Il Barça sciupa una grossa occasione giusto in apertura con Henry, poi non ha più modo di imporsi. Squadre cortissime e Villarreal che copre bene il campo. All’inizio dell’azione blaugrana, Rossi e Pires si muovono sulla stessa linea, tengono bassi Piqué e Puyol, tutto il Villarreal accorcia e impedisce al Barça di prendere campo, costringendo Xavi a prendersi palla molto basso o defilato. Barça che può arrivare alla situazione di pericolo soltanto sulle palle rubate nella trequarti avversaria con il suo pressing (tipo quella da cui nasce il contropiede concluso a lato da Henry), ma non su azione manovrata sin dalle retrovie: non c’è nemmeno Márquez per cambiare gioco e allargare il campo, campo già poco allargabile di suo, e quindi meglio difendibile dal Villarreal, per le sue dimensioni notoriamente più ridotte rispetto a quelle del Camp Nou.
Villarreal che prende le misure non solo in fase difensiva, ma anche in quella di rilancio dell’azione, trovando col passare dei minuti tempi sempre più azzeccati per imbucare la palla negli spazi, cercando di prendere in controtempo con inserimenti dalla seconda linea la difesa blaugrana che sale molto ad accorciare e cercare il fuorigioco. Il Submarino è una delle poche squadre che ha le doti per uscire in palleggio dal pressing blaugrana (non sempre perfettamente coordinato, ma comunque di grande impatto), e libera Rossi davanti a Valdés per l’occasionissima del suo primo tempo, sciupata dall’italiano abbastanza malamente.
Va meglio a Rossi e a tutto il Villarreal nella ripresa: stavolta Giuseppe funge da rifinitore, liberandosi nello stretto con un magnifico doppio numero (dimostrazione al tempo stesso della qualità del giocatore e di come, ribadendo quanto detto sopra, superare la pressione del Barça sul portatore richieda proprio questa grande qualità) e accarezzando un pallone millimetrico alle spalle della difesa per il taglio di Cani (Puyol sorpreso lo tiene in gioco), il quale mantiene altissimo il tasso tecnico dell’azione con la propria elegante finalizzazione.
Ma il Barça dimostra ancora una volta di non arrendersi e di poter trovare risorse che vanno anche oltre un gioco nell’occasione non brillante: esattamente come contro il Getafe, Alves viene lanciato sulla destra da Xavi e disegna un cross che trova la deviazione aerea di Keita, libero di colpire nell’incertezza della difesa di casa (Gonzalo lascia stare il maliano vedendo che il cross va dalle parti di Diego López, ma il portiere esce a vuoto).
È una svolta psicologica per il Barça, che fa girare palla coi nervi distesi e il vento in poppa (Xavi sale visibilmente di tono) e approda presto al vantaggio: Xavi si defila palla al piede verso la destra (inutile, solo questa fascia pensa calcio, un limite chiaro) e, giunto al vertice dell’area, taglia una traiettoria tesa per Henry che insinuatosi fra i centrali avversari insacca con un elegante piatto volante.
Non può però addormentarla questa partita il Barça, non può dormire sonni tranquilli, perché nel giro di pochi minuti Clos Gómez inventa un secondo giallo per un intervento di Piqué che, visto al replay, fatica persino ad essere fallo. Tant’è, Guardiola mette Cáceres al posto di Henry e i culé stringono i denti. Pellegrini intanto è passato alle due punte (Nihat e Guille Franco per Rossi e Cani), e poi aggiungerà anche Ibagaza in cabina di regia al posto di Senna. Il Barça reclama anche per un intervento molto sospetto di Gonzalo su Eto’o in area di rigore (i pochi replay però non chiariscono del tutto), ma ringrazia anche la sorte per le due occasioni divorate dal Villarreal: in una fase finale di partita nella quale le squadre si allungano e il Barça fatica a riprendere posizione dopo i contropiedi (ai quali partecipano sin troppi giocatori, con la loro squadra già in vantaggio e pure in dieci...), a Guille Franco e Nihat capitano due ghiottissime chances davanti a Víctor Valdes, entrambe buttate via in maniera abbastanza riprovevole (specie quella del turco, una ciabattata non all’altezza dell’evento).

I MIGLIORI: La qualità di Rossi, il giocatore più fastidioso per la difesa blaugrana e il più abile ad interpretare la tipologia di attacchi del Villarreal, perché bravo sia ad attaccare la profondità sul filo del fuorigioco (anche se poi il gol se lo mangia) sia a tenerla sulla trequarti, difendendola nello stretto e aspettando il momento per aggirare il fuorigioco avversario servendo gli inserimenti dei compagni (magistrale l’assist per Cani). La quantità di Henry, giocatore che non potremo più definire “decisivo” o “devastante”, ma che può ben essere definito “prezioso”, che non è cosa da poco: il più partecipe dei tre attaccanti, si sacrifica nei continui cambi di posizione e ormai si è adattato di buon grado alla realtà che dei tre attaccanti è lui quello che serve più tempo lontano dalla porta avversaria. In chiusura Alves, per il quale dovrei ripetere concetti espressi già migliaia di volte che vi risparmio volentieri.
I PEGGIORI: Puyol mostra qualche insicurezza negli interventi e più di una sbavatura nei movimenti difensivi, non sale coi tempi giusti ed ha le sue responsabilità sul gol del Villarreal; anche Gonzalo dall’altra parte lascia a desiderare sul gol di Henry. Serata un po’così anche per Messi: con Alves che parte molto alto ad inizio azione lui va quasi sempre al centro (senza contare i costanti scambi di posizione coi compagni d’attacco), ma un po’ il Villarreal che accorcia bene un po’ la serata di scarsa ispirazione, non riesce mai a procurarsi lo spazio per l’iniziativa giusta. Molti interventi, ma poco significativi.

Villarreal (4-4-1-1): Diego López 5,5; Ángel 6, Gonzalo 5,5, Godín 6, Capdevila 6; Cazorla 6, Senna 6(Ibagaza 6, m.80), Eguren 6, Cani 6,5(Guille Franco s.v., m.71); Pires 6; Rossi 7(Nihat 5,5, m.71).
In panchina: Viera, Fuentes, Bruno, Matias Fernández.
Barcelona (4-3-3): Valdés 6; Alves 7, Piqué 6, Puyol 5,5, Abidal 6; Xavi 6,5, Busquets 6(Touré Yaya s.v., m.67), Keita 6; Messi 5,5, Eto'o 6(Hleb s.v., m.84), Henry 7(Cáceres s.v., m.80).
In panchina: Pinto, Sylvinho, Víctor Sánchez, Gudjohnsen.

Goles: 1-0, m.48: Cani. 1-1, m.55: Keita. 1-2, m.66: Henry.
Árbitro: Clos Gómez, del comité aragonés. Amonestó al jugador local Guille Franco y al visitante Henry. Expulsó a Piqué en el 74 por doble amarilla.
Incidencias: Partido correspondiente a la decimosexta jornada del campeonato nacional de Liga disputado en el estadio El Madrigal ante unos 25.000 espectadores. Terreno de juego en buenas condiciones. Emilio Sánchez Vicario, capitán del equipo campeón de Copa Davis, realizó el saque de honor.

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domenica, dicembre 21, 2008

SEDICESIMA GIORNATA: Real Madrid-Valencia 1-0: Higuaín.

Le forme sono alquanto migliorabili, di lavoro da fare ce n’è ancora tanto, ma di questi tempi alla Casa Blanca sottilizzare non è proprio l’occupazione primaria. Partita divertente, tatticamente piuttosto allegra, tante occasioni dalle due parti, Madrid che si prende le fasi iniziali e finali e Valencia che domina la parte centrale del match.

Juande Ramos conferma il 4-4-1-1 del Camp Nou, anche se stavolta Raúl, non in perfette condizioni, lascia il posto a Van der Vaart e, soprattutto, fa il suo ritorno Arjen Robben, largo a destra al posto dell’infortunato Sneijder. Emery invece deve fare a meno dello squalificato Moretti, rimpiazzato da Del Horno.
I primi 20 minuti del Madrid sono buonissimi, per spirito ed interpretazione tattica. Tanto per cominciare i merengues vanno subito in gol, che non guasta mai, sfruttando la prima delle cinquecento discese della serata di Robben, dal quale riceve Higuaín per insaccare con un collo/esterno sinistro stilisticamente non esaltante ma molto efficace nel disegnare una traiettoria ad uscire al di fuori della portata di Renan. Oltre a questo il Madrid ci mette la voglia di fare la partita nella metacampo avversaria, col pressing e una buona circolazione di palla, sfruttando finalmente, sia ringraziato Iddio, entrambe le fasce (anche se Robben rimane logicamente l’opzione primaria).
Dall’altra parte invece il Valencia conferma in queste prime fasi la stessa impressione del Camp Nou, quella cioè di una squadra timorosa di rivendicare una propria identità, quasi non fossero queste le sue partite, quasi non si ritenesse, o meglio quasi non provasse nemmeno a illudersi di essere una grande squadra. Privo di intensità, coi reparti distanti, indefinito nella sua condotta tattica in fase di non possesso (pressare o ripiegare in massa? Nessuna delle due), balbettante e spesso esposto alla palla persa nei primi passaggi, friabilissimo sulle verticalizzazioni avversarie, come dimostra fra le tante l’azione in cui Del Horno viene graziato (solo giallo) per il fallaccio con cui ferma l’indemoniato Robben lanciato a rete.
Gli ospiti ringraziano per la sola rete di passivo (c’è anche un palo interno di Van der Vaart, splendida conclusione a giro dal limite), ma poi entrano in gara, e lo fanno in maniera molto decisa. Il Madrid forse decide volutamente di abbassare il baricentro e gestire la partita in contropiede una volta in vantaggio, ma lo fa male: certo, Robben spreca un gol dopo esserseli dribblati tutti, ma è l’unico lampo in una fase in cui il Valencia si prende tutto il campo.
Quello che non funziona è che il Madrid regala due-tre giocatori in fase di non possesso: Drenthe è il più diligente nel ripiegare in aiuto a Marcelo, ma Robben, Van der Vaart e Higuaín non disturbano minimamente l’inizio dell’azione valenciana, è una prima linea che viene saltata facilmente e progressivamente si distanzia sempre più da un centrocampo nel quale Guti e Gago vengono un po’abbandonati e messi in minoranza rispetto al terzetto della mediana valenciana, che ha libertà di manovra e cerca preferibilmente la fascia destra di uno scatenato Joaquín, il quale riceve fronte alla porta e vince una volta sì e l’altra pure l’uno contro uno. Da qui vengono i maggiori pericoli, due palle gol per Villa, una clamorosa sottoporta su pase de la muerte di Joaquín, oltre ad una su lancio della sinistra, scatto sul filo del fuorigioco e sinistro finale neutralizzato da Casillas. Un Guaje più spietato sarebbe valso certamente il pareggio.
Juande Ramos prova a correre ai ripari nel secondo tempo, togliendo Drenthe per inserire Raúl e spostare Van der Vaart a mezzala sinistra, praticamente ripristinando il 4-3-3 in cerca della parità numerica nel cuore del centrocampo, anche se Rafa al tempo stesso deve dare un occhiata alle avanzate di Miguel (entro breve comunque farà il suo ingresso Palanca, il quale ridisegnerà un centrocampo a 4).
Non cambia però la sostanza, Madrid scollato fra centrocampo e attacco e Valencia che continua a fare la partita e ad accumulare meriti per il pareggio, vedi il destro di Villa deviato in angolo da Casillas e il palo che salva la magnifica deviazione di istinto di Casillas su colpo di testa sottomisura di Baraja (ancora su azione dalla destra, cross di Miguel dalla trequarti), anche se va aggiunta dall’altra parte una traversa di Higuaín lasciato inspiegabilmente solo su un calcio d’angolo.
Emery si gioca Silva, propone anche uno strano cambio Maduro-Del Horno, ma paga subito, senza poter nemmeno assaggiare i frutti di questi cambi, un grave errore che si è portato dietro dal primo tempo, quello cioè di non aver cambiato Marchena, visibilmente a rischio cartellino rosso per tutta la serata (già ammonito, poteva tranquillamente essere espulso nel primo tempo per un’azione violenta su un calcio d’angolo nell’area avversaria). Il difensore andaluso ferma Robben lanciato e si prende il secondo giallo.
L’ingresso di Vicente ha così effetti insignificanti in un finale in cui il Real Madrid rischia più volte di arrotondare in contropiede, se non fosse che tutto quello che Robben crea viene puntualmente distrutto da Higuaín con una goffaggine sottoporta che ha ricordato quella tipica dei suoi inizi madridisti (anche Guti mette a segno un bel fuoricampo in pieno recupero).

I MIGLIORI: Robben e Joaquín ci restituiscono il fascino primordiale dell’ala vera. L’andaluso purtroppo evapora nella ripresa dopo un primo tempo devastante, mentre quello dell’olandese è uno show che sconvolge tutti i 90 minuti. Datemi palla che ci penso io, imprendibile lanciato negli spazi, immarcabile ogni volta che può ricevere e puntare. Raggiunge il fondo un’infinità di volte, peccato solo che manchi un po’di concretezza nel finalizzare alcune giocate. Il partitone di Arjen è motivo di orgoglio ma al tempo stesso il più grave atto di accusa nei confronti della dirigenza madridista, che in estate ha reso tutta la squadra dipendente (andato via Robinho, solo Robben è in grado di creare la superiorità numerica) da un giocatore del quale è da sempre nota la predisposizione all’infortunio.
I PEGGIORI: Due sciagure Del Horno e Marchena. Vedere come il basco, qualche anno fa una delle promesse più luminose nel panorama europeo dei terzini, si trascina ora per il campo suscita rabbia e sconforto indicibili: uno zombi privo di ritmo e cattiveria agonistica, senza nessuna incidenza sulla fase offensiva e con più buchi di una groviera in quella difensiva. Tira indietro la gamba, sempre anticipato dall’avversario, stende tappeti rossi nell’uno contro uno ed è vittima di pesanti colpi di sonno ad ogni verticalizzazione che l’avversario tenta nello spazio alle sue spalle. In una di queste viene ridicolizzato da Robben, al quale offre un trattamento uguale a quello riservato a Messi col Chelsea due anni fa, solo che stavolta ringrazia per non aver preso un rosso sacrosanto.
Marchena invece è sempre in ritardo e scomposto, tornato sugli standard dell’era-Koeman, lontanissimo parente di quello dell’Europeo, l’espulsione era un destino scritto del quale Emery avrebbe dovuto accorgersi prontamente.

Real Madrid (4-4-1-1): Casillas 7; Michel Salgado 6, Cannavaro 6,5, Metzelder 6, Marcelo 6(Torres s.v., m.72); Robben 7,5, Guti 6, Gago 6, Drenthe 6(Raúl 5,5, m.46); Van der Vaart 6(Palanca 5,5, m.55); Higuaín 6.
In panchina: Dudek, Javi García, Bueno, Saviola.
Valencia (4-1-4-1): Renan 6; Miguel 6,5, Albiol 6, Marchena 4, Del Horno 4(Maduro s.v., m.63); Albelda 6; Joaquín 7, Fernandes 6,5, Baraja 6(Silva s.v., m.63), Mata 5,5(Vicente s.v., m.75); Villa 6.
In panchina: Guaita, Míchel, Zigic, Morientes.

Gol: 1-0,m.3: Higuaín.
Árbitro: Ramírez Domínguez, del Comité Andaluz. Expulsó a Marchena por doble amonestación (m.67) y mostró tarjeta amarilla a Del Horno (m.21). Michel Salgado (m.28); Marcelo (m.31); Albiol (m.69), Robben (m.83) y Palanca (m.88)
Incidencias: Encuentro correspondiente a la decimosexta jornada de Liga disputado en el estadio Santiago Bernabéu ante 70.000 espectadores.

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sabato, dicembre 20, 2008

Uefa amara, Champions chissà.

Due delusioni, assai distinte qualitativamente ma ugualmente enormi, estromettono Sevilla e Racing dalla Uefa già prima dei sedicesimi, ai quali la Spagna verrà rappresentata dalle sole Valencia (troverà la Dinamo Kiyv, dopodichè eventualmente la vincitrice di Sampdoria-Metalist Kharkiv) e Deportivo (attesa dall’Aalborg, e in caso di qualificazione dalla vincitrice di Copenhaghen-Manchester City). Serataccia.

Per il Racing Santander una beffa che ha ricordato quella del Getafe col Bayern nella scorsa stagione: pochi istanti che come nulla fosse spazzano via tutto il coraggio, l’applicazione, lo sforzo, la generosità e pure il buon calcio spesi in 90 minuti eccellenti (contro un avversario senza identità, questo sì). Tutto quello che era in loro potere gli uomini di Muñiz lo hanno fatto, e allora non sai proprio a chi appellarti se il PSG i suoi due gol decisivi li fa proprio intorno al 90’, scientificamente, quando il Racing non ha più margini per reagire e rincorrere come tanto brillantemente aveva fatto nel primo tempo e all’inizio della ripresa, quando il Sardinero aveva risposto con uno squillante 3-0 ai gol prematuri arrivati dal Parco dei Principi, un 2-0 immediato per i parigini che pareva aver reso la montagna quasi impossibile da scalare, in termini di differenza reti e di gol all’attivo.
Assorbita la mazzata, a Muñiz rimarrà comunque la certezza di aver trovato una squadra, certezza da tempo sempre più chiara e ieri ribadita con una prova maiuscola. Ciò che è degno di ammirazione nel Racing è che pur essendo una compagine dalla base tecnica trascurabile, cerca comunque di imporsi, di tenere l’avversario lì nella sua metacampo sfruttando a fondo le proprie armi: già avevamo apprezzato il pressing che, a partire dalle due punte, aveva consentito una gara equilibrata al Mestalla ed una addirittura dominata (nonostante la paradossale sconfitta finale per 4-1) al Vicente Calderón, e anche contro il City il Racing nel primo tempo ha portato la contesa sui ritmi e nelle zone di campo che preferiva, con grande convinzione ed efficacia.
Intensità e pressing alto, pur con qualche sbavatura (nei primi 20 minuti Luccin e Colsa commettono un paio di errori di posizione piuttosto gravi: escono precipitosamente ad accompagnare il pressing, oltrettutto muovendosi sulla stessa linea, e ciò permette al City di saltare un’intero reparto con un solo passaggio pescando Elano libero in uno spazio considerevole fra le linee, fortunatamente per il Racing con conseguenze nulle), mettono le cose in chiaro da subito; il resto lo fa una manovra semplice ma veloce e ricca di mobilità, con Munitis e Pereira come elementi-chiave.
Lo spostamento di Munitis nel ruolo di esterno destro ha probabilmente segnato la vera svolta rispetto al Racing brutto e inefficace di inizio stagione. Esterno destro più falso di Giuda Munitis, che costantemente si accentra e fra le linee offre la soluzione senza dubbio più interessante per avviare e rendere imprevedibile il gioco offensivo. Con Munitis in questa posizione il Racing ha in un certo senso surrogato la figura di Jorge López, del quale si era sentita la mancanza in avvio di stagione quando, partito questi verso Zaragoza, esterno destro aveva giocato Valera, cioè un terzino o tutt’al più un esterno da 3-5-2/3-4-3. Risultato: un 4-4-2 tremendamente scolastico e dalle miserrime risorse offensive.
Con Valera terzino destro (ieri in gol per il 3-0) in concorrenza col solito Pinillos, e Munitis reinventato sulla trequarti, il Racing ha ritrovato il triangolo offensivo alla Marcelino (quello che l’attuale tecnico del Zaragoza proponeva anche a Huelva coi vari Cazorla, Uche e Sinama-Pongolle): esterno destro che si accentra, punte che si muovono l’una in profondità e l’altra verso la fascia per allargare la difesa avversaria in coordinazione col movimento dell’esterno destro.
Persa la velocità degli anni migliori, a Munitis sono rimasti piede e carisma per esercitare la leadership sulla trequarti, mentre a fare “il Munitis”, a interpretare cioè quei movimenti di seconda punta ad allargare e aprire le difese, è passato Jonathan Pereira. Più di mille parole vale la magistrale fattura del secondo gol, che parte proprio da Munitis sulla trequarti, passa per l’intelligentissimo movimento da Pereira dal centro verso la fascia e termina con il perfetto taglio di Serrano nello spazio creato proprio da Pereira al centro.
Giocatore che può incidere ancora di più sul piano individuale il gallego, ma che esibisce sempre una eccezionale voglia e funzionalità alle richieste del collettivo: instancabile nel pressing sui difensori avversari, sporca e affretta tantissimi dei loro rinvii, si cerca gli spazi per ripartire in contropiede, va in appoggio agli esterni per il due contro uno col terzino avversario, e poi è rapidissimo, forza cartellini e impone sempre la massima attenzione alle difese.
Chi purtroppo stona in questo quadro è la prima punta: impossibile, nonostante i buoni movimenti anche da lui proposti, non biasimare Mohamed Tchité per l’incredibile gol divorato sul 3-0 (portiere scartato, azione di temporeggiamento per prendere la mira ed eludere il ritorno dei difensori… palla fuori!!!), gol che a posteriori, discorso crudelissimo, avrebbe probabilmente fruttato la qualificazione.

Chi non merita nessuna comprensione o pietà è invece il Sevilla: senza temere alcuna esagerazione, per gli andalusi si può parlare di fallimento bello e buono. Non è francamente ammissibile non arrivare fra le prime tre ed uscire con due risultati su tre a disposizione contro la Sampdoria decisamente resistibile di ieri sera.
Gli uomini di Jiménez possono rimproverare solo loro stessi: hanno avuto il controllo della gara per un’ora, non ne hanno saputo approfittare, hanno scherzato con il fuoco, e infine si sono bruciati. Come detto per un’ora il Sevilla era riuscito a tenere sotto controllo la situazione, tessendo una buona ragnatela di passaggi, accorciando nella metacampo avversaria e ripiegando ordinatamente nella propria quando richiesto. La Samp aveva enormi difficoltà ad uscire in palleggio dalla propria metacampo se non battendo la via di Cassano, unico giocatore capace di condurla fino alla trequarti avversaria, peraltro spesso raddoppiato.
L’assenza di Kanouté e la riconferma del modulo 4-4-1-1 con Renato in appoggio alla punta (stavolta Luis Fabiano; a centrocampo invece è da notare come sia Maresca a restare basso per iniziare l’azione mentre Fazio va in percussione negli spazi, volto tattico inedito per l’argentino, autore di una discreta prestazione) hanno permesso un centrocampo folto, distanze ravvicinate e palleggio facile di fronte al quale la pur nutrita batteria di centrocampisti del 3-5-2 di Mazzarri ha avuto grosse difficoltà.
Arrivati però alla trequarti, di carne al fuoco se ne è vista poca: spesso solo Luis Fabiano come soluzione nell’area avversaria sui tanti cross e mezzi-cross piovuti dalle fasce, soprattutto da quella del solito Navas (al quale però fa danno l’uscita per infortunio di Konko nella ripresa: Mosquera, centrale di ruolo e piedi orrendi, non gli garantisce più l’appoggio che forniva il francese). Si ricordano perciò soltanto una gran prodezza di Castellazzi su un’incornata del Fabuloso, e un tiro da fuori di Navas nella ripresa.
Passata l’ora di gioco, la Sampdoria dice “perché no?”, e in cinque minuti di fuoco mette sottosopra la partita, mettendo in moto Cassano e costruendo due grosse palle-gol con Sammarco e Bellucci. Rilevante l’effetto psicologico di questi episodi, perché la partita sfugge di mano al Sevilla che non riesce più a ritrovare le distanze da qui alla fine. In più ci si mette il gol di Bottinelli… su palla inattiva! Problema che sembrava risolto nel primo scorcio di stagione, riemerso però pesantemente fra ieri e la trasferta del Bernabeu: un altro grosso errore che costa un’altra amarezza europea, dopo quella col Fenerbahçe l’anno scorso.
Preso il gol, l’ultimo quarto d’ora diventa un ostacolo insormontabile per una squadra che, lo abbiamo visto, difetta di peso nell’area avversaria e che non dispone nemmeno dei cambi giusti dalla panchina (ovvero un altro attaccante invece che il Romaric messo lì a biascicare due tiri della disperazione).

La Champions forse potrebbe offrire qualche chances in più al calcio spagnolo, anche se le spacconate post-sorteggio son fra le cose peggiori del calcio attuale. È comunque ghiotta l’opportunità di almeno un terzetto ai quarti di finale: il Villarreal è stato giustamente premiato per essere arrivato secondo nel suo girone (ma in Champions squadre scarse NON NE ESISTONO e se non giochi concentrato ti sbattono fuori subito; in ogni caso il Submarino attuale avrebbe problemi anche col Roccacannuccia), mentre l’arroganza del Manchester United è stata punita con l’Inter (o è l’Inter ad essere stata punita?); l’Atlético Madrid avrà la classica gara equilibrata col Porto, nella quale però i colchoneros potrebbero tradurre in moneta sonante la superiorità delle proprie individualità offensive (“esos bestias de delante”, come ha definito Pernía i vari Forlán, Agüero, Simão, Maxi Rodríguez); il Barcelona avrà una sfida di prestigio ma nella quale ad oggi è piuttosto favorito, con il Lione.
Poi… poi c’è il Real Madrid: l’accoppiamento più affascinante quella col Liverpool, affascinante per il nome ma anche per la sua assoluta imprevedibilità: a Febbraio potrebbe vedersi un Real Madrid completamente diverso (negli uomini, nello spirito, nell’impostazione tattico) o uno persino peggiore di quello attuale. Non possiedo la sfera di cristallo, francamente.

Chelsea - Juventus
Villarreal - Panathinaikos
Sporting Portugal - Bayern Munich
Atlético de Madrid - Oporto
Olympique Lyon - Barcelona
Real Madrid - Liverpool
Arsenal - Roma
Inter de Milán - Manchester United

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lunedì, dicembre 15, 2008

QUINDICESIMA GIORNATA: ALTRE PARTITE.

Almería-Racing 1-1: Garay 32'(R); Acasiete 60'(A).

Atlético Madrid-Betis 2-0: Maxi Rodríguez 20'; Agüero 81'.

Recreativo-Osasuna 1-0: Adrián Colunga 86'.

Málaga-Numancia 2-0: Apoño, rig. 85'; Baha 89'.

Valladolid-Deportivo 3-0: Sesma 14'; Pedro López 25'; Pedro León 56'.

Getafe-Mallorca 4-1: Contra, rig. 14'(G); Uche 31'(G); Aduriz 33'(M); Manu 71'(G); Gavilán 85'(G).

Athletic Bilbao-Sporting Gijón 3-0: Llorente, rig. 5'; Iraola 23'; David López 31'.

Sevilla-Villarreal 1-0: Renato 44'.

Valencia-Espanyol 2-1 (giocata sabato): Román Martínez 29'(E); Albiol 58'(V); Vicente 82'(V).

Estromesso il Real Madrid, non sembrano esserci altri possibili concorrenti per il Barça, almeno al momento: il Villarreal attuale è piuttosto malmesso (ma almeno avrà la chance dello scontro diretto coi blaugrana la prossima settimana), una delle squadre che ha più bisogno della pausa natalizia. Gli uomini di Pellegrini hanno mostrato il loro volto più dimesso al Sánchez Pizjuán: mai in discussione la partita, nemmeno un tiro verso la porta di Palop, contro un Sevilla che personalmente continua a non incantare, sebbene ieri meritasse un vantaggio pure più corposo e fosse l'unica squadra in campo.
Renato (confermato in appoggio a Kanouté in un 4-4-1-1; Luis Fabiano parte dalla panchina) segna in chiusura di primo tempo, e la ripresa, complice anche l'espulsione di Joseba Llorente, è di comodissima gestione del vantaggio, con un Romaric in crescita e un devastante Adriano in particolare evidenza.

Sevilla che si piazza come inseguitore più immediato (qualcuno bisogna pur trovarlo) del Barça assieme al Valencia. Dopo il 3-2 al Betis, un'altra vittoria casalinga sofferta, anche se pienamente meritata: sofferenze non casuali per una squadra che difetta ancora di continuità, non solo di partita in partita ma all'interno degli stessi 90 minuti.
Era partito bene il Valencia, autoritario, accorciando nella metacampo avversaria e proponendo una buona fluidità di manovra. Nel cuore del primo tempo però, tutto ciò si raffredda e l'Espanyol, che non aveva nemmeno troppa intenzione di provarci, si trova persino in vantaggio. Il secondo giallo a Rufete disegna un secondo tempo d'assalto dei padroni di casa: Emery passa alle due punte, inserendo Morientes, e poi fa il suo ritorno anche Silva, gran bella notizia. A decidere però il match è Vicente, che gioca uno spezzone tanto breve quanto intenso e incisivo. Sarà curioso ora vedere come Emery definirà il suo undici col ritorno di Silva: c'è da dire infatti che il Valencia visto finora ha offerto un'impressione di maggior equilibrio (in entrambe le fasi) schierandosi col trivote, cioè i tre centrali a centrocampo, piuttosto che col 4-4-2. L'idea è che Emery lo abbia capito e voglia per quanto possibile continuare su questa strada: scartata l'ipotesi di un Silva mezzala già provato con insuccesso da Koeman, si potrebbe pensare a Silva falso esterno destro al posto di Joaquín, sicuramente il più prescindibile degli attuali titolari del settore offensivo. Posizione già ricoperta da Silva in questo spezzone, peraltro con risultati decisamente migliorabili, visto che in più di un momento si è pestato i piedi al centro con Mata e Villa (il segreto è partire dalla fascia per poi smarcarsi tra le linee invece che aspettare palla centralmente).

La sconfitta nel Clásico non è l'unica mazzata per il Real Madrid, vistosi sorpassato in classifica pure dai cugini colchoneros. Tre punti per un Atlético convincente nel primo tempo e molto meno nella ripresa. Gli uomini di Aguirre partono con un'occupazione degli spazi molto efficace: alzano la linea del pressing sulla trequarti avversaria e per una volta organizzano bene la fase di possesso anche dalle retrovie: corretta la posizione di Ujfalusi e Heitinga che si aprono larghi ad inizio azione, fondamentale quella di Pernía e Perea che partono alti tenendo basse le ali del Betis (Damiá e Juanma) e permettono di guadagnare Simão e Maxi nelle zone interne e costruire così la superiorità a centrocampo. L'Atlético guadagna metri nella metacampo avversaria e mette sotto pressione Casto, fino al meritato vantaggio di Maxi Rodríguez (tutt'altro che irreprensibile Casto).
Dopo essere passato in vantaggio, l'Atlético come suo costume ripiega e cerca il contropiede, cedendo il possesso-palla al Betis: strategia applicata maluccio nel secondo tempo, con la squadra lunga e spaccata fra il quintetto Maxi-Maniche-Simão-Agüero-Forlán e i quattro difensori più Paulo Assunção, e molto spazio per il Betis. Sergio García ha una palla d'oro scucchiaiata da Emana, ma davanti a Leo Franco conferma che se avesse pure il killer instinct sarebbe un magnifico attaccante... diciamo così...
Così l'Atlético, pur disordinato, risolve come spesso gli capita con la qualità dei suoi attaccanti: assist di Forlán, fredda esecuzione del Kun, e la zona-Champions a soli due punti di distanza. Dall'altra parte il Betis conferma una certa sensazione di fragilità e scarsa consistenza: crea palle gol, giochicchia, ma finchè le transizioni difensive rimarranno così precarie e il pacchetto arretrato continuerà a regalare incertezze, la squadra di Chaparro resterà un'incompiuta da medio-bassa classifica.

Nell'altro campionato, quello dietro le sei big, la sfida di vertice era Valladolid-Deportivo: frenata netta per i galiziani, conferma di un momento di forma eccezionale per gli uomini di Mendillibar, usciti rafforzatissimi dal "Tourmalet" contro Sevilla, Barça, Real Madrid e Villarreal di seguito, che ha fruttato 9 punti e ha dato la spinta per quest'eccellente striscia. Deportivo spazzato via, e pure un gol incredibile di Pedro López da metacampo!
Rafforzato dal Tourmalet anche il Getafe, altra squadra fra le più in forma: Uche comincia a pagare i dividendi (procura il rigore del vantaggio, in realtà una simulazione, e segna un bel gol in pallonetto smarcato dal buonissimo Polanski), mentre Manzano comincia a non saper più dove sbattere la testa con questo irrisolto Mallorca.
Passivo ingeneroso per il Numancia, che alla Rosaleda tiene il campo alla pari quasi fino alla fine, secondo successo consecutivo per il Recreativo (sempre nel segno di Colunga), ancora più pesante di quello in casa del Mallorca, perchè isola in fondo alla classifica l'Osasuna, sempre più gravemente inguaiato.
Passo avanti importante per l'Athletic, ma spavento enorme per Gurpegi che nel finale perde i sensi per uno scontro col portiere sportinguista Cuéllar, il quale passato lo spavento per il bilbaino (che si è rotto il setto nasale e rientrerà col nuovo anno) ha nettamente la peggio, riportando un infortunio che lo terrà fuori per i prossimi quattro mesi. Non esce dalla propria crisi l'Almería.

CLASSIFICA
1 Barcelona 38
2 Valencia 30
3 Sevilla 30
4 Villarreal 29
5 Atlético 27
6 R. Madrid 26
7 Deportivo 24
8 Valladolid 23
9 Getafe 21
10 Málaga 21
11 Betis 18
12 Sporting 18
13 Racing 17
14 Athletic 16
15 Almería 16
16 Numancia 14
17 Espanyol 13
18 Mallorca 13
19 Recreativo 13
20 Osasuna 9

CLASSIFICA MARCATORI
Eto'o 15 (Barcelona, 1 rig.)
Villa 12 (Valencia, 2 rig.)
Higuaín 10 (Real Madrid, 2 rig.)
Messi 10 (Barcelona, 2 rig.)
Forlán 10 (Atlético Madrid, 1 rig.)

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QUINDICESIMA GIORNATA: Barcelona-Real Madrid 2-0: Eto'o; Messi.

Più tirato e veloce squadre nel primo tempo che nella ripresa, un Clásico comunque di notevole intensità, diremmo che ha giustificato l’attesa.
Il gol di Eto’o che ha sbloccato il match, nella sua modalità un po’così, rappresenta al meglio la partita del Barça: il risultato migliore stavolta non è diretta conseguenza di un’esibizione plastica, ma dei nervi e della volontà di arrivare comunque ai tre punti. Se c’è stata superiorità di gioco sull’avversario, c’è stata solo in quantità, non certo in qualità. È parso quasi un Barça esageratamente condizionato dalla retorica del “mangiamoceli vivi” spesa in settimana: esaurita la spinta dell’entusiasmo dei primi 20 minuti, son venute fuori le magagne di una squadra nell’occasione eccessivamente emotiva (come simboleggia anche il rigore calciato male e fallito da Eto’o nel secondo tempo) e poco razionale nella sua proposta; dall’altra parte invece, venuta meno la pesante soggezione di inizio partita, il Real Madrid ha progressivamente preso le misure alla partita, arrivando a tenere il campo alla pari, seppure in una prospettiva chiaramente e comprensibilmente di contenimento difensivo.
Per quanto riguarda il verdetto del risultato nudo e crudo, inutile raccontarsi storie: 12 punti sotto, il Real Madrid deve cominciare a mettere una pietra sopra il titolo, ma ciò non vuol dire che non si possano segnalare alcuni indizi incoraggianti per il futuro a lungo termine.
Naturalmente questa è una partita che per l’atteggiamento e il contesto imposti dall’avversario fa storia a sé, ma sono comunque emerse le priorità della gestione-Ramos: recuperare l’ordine, le distanze fra i reparti, una copertura più razionale del campo, come presupposti per riacquisire la competitività necessaria, a questo punto più in vista dell’Europa di Champions che del palcoscenico nazionale. Se l’ambiente e la società sapranno assorbire (cosa purtroppo sempre difficile alla Casa Blanca) alcuni rovesci preventivabili in queste prime settimane, la strada da seguire è solo e soltanto questa.

Le curiosità della vigilia erano ovviamente tutte rivolte a scoprire cosa bollisse in pentola lo stregone Juande, considerando sia le novità che di per sé il suo arrivo avrebbe potuto portare, sia i contorsionismi cui la situazione drammatica dell’infermeria (e le squalifiche di Marcelo e Robben) costringevano il nuovo tecnico madridista.
Ecco quindi le novità, soprattutto in difesa: dopo le voci in settimana su Metzelder terzino destro e Salgado a sinistra, la soluzione più logica alla fine vede Metzelder accanto a Cannavaro e Sergio Ramos a sinistra in funzione anti-Messi (sicuramente il più adatto a contrastare dal punto di vista individuale l’argentino). In mediana, Sneijder viene buttato nella mischia tutto incerottato, e defilato nella posizione per lui piuttosto scomoda di esterno destro, mentre tocca a Guti l’”onore” di sacrificarsi nel mezzo con Gago. Il resto è scontato: Drenthe, Raúl, Higuaín. Scontato, o quasi, è anche l’undici di Guardiola che, fatta eccezione per il recupero di Eto’o, conferma la squadra che ha ballato sul Valencia.
L’avvio di partita è di un’intensità davvero travolgente, da una parte il pressing forsennato dei padroni di casa, dall’altra le entrate al limite (e spesso oltre) di un Madrid che non intende cedere un metro.Non intende cederli, ma il Barça comunque se li prende tutti, quasi per causa di forza maggiore: visto come arrivavano le due squadre alla partita, e considerati i discorsi della vigilia, non poteva che essere un avvio tutto blaugrana, nell’intento di soffocare ogni possibile germoglio di autostima merengue.
I primi 20 minuti il Real Madrid li gioca in apnea, nella sua metacampo. Tutto parte dal pressing ultra-ultra-ultraoffensivo del Barça, un pressing che non solo ha la sua consueta funzione tattica (Gago e Guti ricevono spalle alla porta, costretti al retropassaggio verso i difensori che spazzano: il Barça recupera subito palla e il Madrid non esce dalla metacampo), ma anche una evidente funzione psicologica, di vera e propria intimidazione nei confronti dell’avversario. Col Madrid che fatica inizialmente a regolarsi, il Barça trova le sue accelerazioni sulla trequarti, inquietando Casillas con un incursione di Messi e un tiro da fuori di Henry. In questa fase i padroni di casa dominano la metacampo avversaria e impongono i loro ritmi, sfruttando il campo in ampiezza, cambiando lato con precisione e rapidità. Tengono gli uomini larghi, Henry a sinistra e Messi o Alves a destra, distraggono Gago e Guti con Xavi e Gudjohnsen, e allargando le maglie merengue creano i varchi centrali per pericolose incursioni dalle retrovie. Infatti, in assenza di marcatura sia Puyol che Touré si spingono palla al piede senza opposizioni, creando un certo imbarazzo nel sistema difensivo madridista. Soluzione certo non ortodossa (i difensori e i centrocampisti difensivi non dovrebbero mai portare palla fino alle zone avanzate), ma che funziona finchè con movimenti senza palla appropriati il Barça allarga il campo e apre gli spazi centralmente, come succede quando Abidal al 18’ si avventura fin dentro l’area di rigore, trovando solo l’opposizione di Metzelder fra il suo destro e la porta.
Passati i primi 20 minuti però al Barça rimangono solo le buone intenzioni: cioè un’aggressività e una volontà di dominio che, non più accompagnata da una razionale occupazione degli spazi, si traducono in mera precipitazione. Gli uomini di Guardiola non aprono più il campo, non offrono appoggi e non creano spazi, rimangono statici dalla trequarti in su, prendono decisioni discutibili col pallone fra i piedi: le incursioni dei Puyol e Touré in questo contesto denotano soltanto caos e improvvisazione di fronte allo scarseggiare delle opzioni di passaggio, e rappresentano anche un discreto pericolo, rischiando di scoprire pesantemente la propria squadra a palla persa.
Il Madrid ringrazia e chiude a tenaglia il proprio sistema difensivo, stringendo le maglie centralmente e prendendo in generale le misure giuste: Raúl e Higuaín si alternano su Touré e Márquez, ma soprattutto il trio Sergio Ramos-Drenthe-Gago funge da antidoto all’ormai celebre triangolo Messi-Alves-Xavi che rappresenta la fonte di gioco primaria del Barça. Drenthe ripiega su Alves mentre Gago si divide fra la vigilanza su Xavi e i raddoppi in aiuto a Ramos su Messi. Il Barça non riesce più a trovare combinazioni costanti fra i tre, Xavi non riceve palla fronte alla porta, non può orientare una manovra che in generale perde continuità e frutta una serie di palle perse, perché il Madrid spudoratamente lascia che a fare gioco siano i piedi meno sapienti di Puyol e Gudjohnsen.
E va anche detto che a metà primo tempo il Real Madrid mette il naso, nient’affatto timidamente, nella metacampo avversaria. In tre minuti, dal 23’ al 26’, prima un sinistro di controbalzo di Sneijder deviato in angolo da Valdés, poi soprattutto la fuga di Drenthe che, scappato ad Alves, viene smarcato a tu per tu con Valdés da un gran passaggio di Raúl ma, al momento del dunque, si scioglie come un ghiacciolo (poteva tentare il colpo sotto o il dribbling al portiere, tutto tranne che tirargli addosso). Infine, sul calcio d’angolo seguente, Higuaín che sparacchia sopra la traversa da posizione un po’ defilata.
Il resto del primo tempo si trascina così, col Barça che corre senza ragionare infrangendosi puntualmente al centro (al 31’ Touré improvvisa un’altra incursione palla al piede da mettersi le mani nei capelli) e che, guarda caso, torna ad impensierire Casillas soltanto nell’unica azione organizzata con costrutto dell’ultima parte del primo tempo, palla che scivola da destra verso sinistra, Xavi che libera Henry, il francese che va via a Salgado e dal fondo prova a sorprendere sul suo palo Casillas con un collo sinistro, senza successo. Intanto Sneijder alza bandiera bianca, e Juande Ramos si gioca così il 19enne canterano Palanca (lo ricorderete al Catanzaro).

La ripresa inizia col Barça che cerca di muovere palla con più pazienza, ma il Madrid mantiene l’ordine, alzando anzi di qualche metro (non troppi, eh…) il suo pressing e forzando pure qualche rinvio lungo della difesa blaugrana. Equilibrio quindi, che si riflette anche nelle occasioni: il Barça ci prova con due notevoli conclusioni di prima intenzione di Eto’o, al 2’ e al 10’, mentre il Real Madrid può mordersi le mani quando al 4’ non approfitta di un regalone di Rafa Márquez, che sbaglia un disimpegno sulla sua trequarti e fornisce la palla a Gago, il quale imbuca verso Higuaín; il Pipita non tira subito, lascia sfilare per portarsela sul destro, ma così dà il tempo necessario a Puyol per salvare tutto con una spericolata chiusura. Il Madrid poi all’11’ borbotta per un contatto al limite dell’area fra Higuaín e Márquez, sul quale pende il rischio dell’ammonizione: avendo visto solo un replay, e di pessima qualità, la dinamica dell’azione non è chiara.
Guardiola, consapevole che la partita si sta cristalizzando in una situazione di eccessivo equilibrio, col Barça che ha sempre il pallone ma non riesce a crearsi i varchi, prova a muovere le sue carte: intanto cerca di riattivare Messi, spostandolo al centro (con Eto’o a destra) per riportarlo nel vivo del gioco, poi al 18’, col cambio più prevedibile del mondo, leva il corpo estraneo Gudjohnsen inserendo Busquets.
Qui si apre una fase nuovamente favorevole al Barça, che nella parte centrale della ripresa preme con decisione: Busquets riporta movimenti coordinati, appoggi e geometrie semplici ma funzionali, senso compiuto all’azione del centrocampo: i blaugrana trovano più continuità nel fraseggio, e una rampa di lancio sulla trequarti con Messi. Lo spostamento dell’argentino ha effetti benefici: nel primo tempo, negli stenti della manovra, era Eto’o a dover arretrare sulla trequarti per prendere palla, missione che sicuramente si confà di più a Messi. Non decide individualmente l’argentino, ma almeno offre uno sfogo: senza sbocchi sulla destra per la gabbia Ramos-Gago-Drenthe, accentrato trova qualche spazio in più quando i movimenti di Henry ed Eto’o a stringere verso i due centrali madridisti, quasi a disegnare un 4-3-1-2 in certi frangenti, gli aprono qualche piccola possibilità di manovra fra le linee (Guardiola nasconde a malapena l’attrazione per la figura del falso centravanti).
Un Messi non trascendentale ma più presente nelle transizioni offensive di un Barça sempre più insistente nella sua offensiva, sfruttando il fatto che il tipo di partita impostato dal Real Madrid (correre sempre dietro l’avversario) è il più dispendioso possibile, e inevitabilmente col passare dei minuti qualche cosa la concede. Al 23’ la possibile svolta, quando in uscita da un calcio d’angolo Alves mette dentro un pallonetto a scavalcare la difesa madridista, pescando Busquets in posizione regolare, fermato da Salgado con un intervento non duro ma comunque solare: del rigore si incarica a sorpresa Eto’o. Chissà cosa avrà nella testa il camerunese in questo momento, quello che forse sente più di tutti il Clásico fra i giocatori blaugrana: tante cose sicuramente, che gli tolgono la necessaria freddezza, come dimostra l’esecuzione, da manuale del rigore battuto male: né troppo potente né troppo angolato, e giusto a mezza altezza perché il portiere possa distendersi nella maniera a lui più familiare. Il guizzo di Iker è comunque degno di nota, e riporta sugli altari che merita questo fenomeno.
Il Barça ha il merito di superare prontamente la delusione, e di continuare a crederci e a spingere: anche Iker però continua a crederci, e solo 3 minuti dopo il rigore sciocca ancora la platea del Camp Nou con un doppio intervento da alieno, il primo su destro da fuori di Eto’o (liberatosi al tiro dopo una percussione centrale di Messi), il secondo sulla successiva ribattuta di Messi, anche se su questa già era stato segnalato il fuorigioco.
Juande Ramos evidentemente fiuta la situazione favorevole ai movimenti fra le linee di Messi creatasi negli ultimi minuti, e cerca perciò di blindare questa zona con l’ingresso di Javi García al posto di Guti. Il Madrid così abbassa ulteriormente il baricentro, votandosi, questo è chiaro, a un quarto d’ora finale di puro ostruzionismo. Ostruzionismo che non impedisce tuttavia di far correre un bello spavento al Camp Nou quando al 32’ Palanca si insinua nella trequarti blaugrana, triangola con Raúl e, smarcato davanti a Valdés, opta per la conclusione a rete, senza successo a causa sia della prontezza del portiere catalano che del poco angolo a disposizione. Due minuti dopo il Barça reclama il rigore per un intervento più che dubbio di Ramos su cross di Alves, ma Medina Cantalejo il rubinetto l’ha già chiuso.
È nel finale che tutto si decide: al 37’ Xavi batte un calcio d’angolo dalla destra, a spiovere lungo verso il secondo palo, Puyol sovrasta Ramos e coglie in fallo la difesa madridista, che sul calcio d’angolo marcherebbe a uomo se non fosse che Eto’o nell’area piccola non se lo piglia proprio nessuno: in uno scenario tanto favorevole, al camerunese basta un tocco di coscia sporchissimo per beffare Casillas e il successivo inutile tentativo di salvataggio di Palanca. Al Barça ora si spalancano pure le porte per arrotondare il vantaggio: già al 90’, col Madrid ovviamente sbilanciato, il neo-entrato Hleb lancia Henry nell’autostrada, lui e Messi contro un solo difensore merengue, gran tocco sotto dell’argentino sull’uscita di Casillas e Camp Nou in tripudio.


PAGELLE


Barcelona (4-3-3)

Valdés: Prestazione di grande spessore, non ne offrriva così da tempo. Nelle occasioni-chiave (Drenthe nel primo tempo, Palanca nella ripresa) ribadisce di essere un drago nelle uscite basse e nel chiudere lo specchio nell’uno contro uno, indubbiamente il maggior punto di forza del suo repertorio. Puntualissimo poi come “libero di emergenza” pronto a uscire alle spalle della difesa alta. Caratteristiche che ne fanno un portiere molto “da Barça”. Voto: 7,5.
Daniel Alves: C’è sempre tantissimo nelle sue partite, una mole di lavoro immancabilmente enorme anche quando non è l’hombre del partido. Soffre un po’ quando Drenthe attacca la zona alle sue spalle (in particolare nell’ occasione del gol mangiato dall’olandese), però è reattivissimo nello spezzare e rilanciare il gioco in pressing e percussione per poi proporsi sulla trequarti coi dialoghi nello stretto, in alcuni casi anche quando il Real Madrid affolla di uomini la zona sua, di Messi e Xavi. Indispensabile carica d’energia. Voto: 6,5.
Márquez: Molto autorevole e deciso nel guidare il reparto tenendo alta la linea difensiva e dimostrandosi aggressivo nell’anticipare e accorciare (pure troppo quando azzoppa Higuaín e si becca il giallo). Nella ripresa però rischia in due occasioni di combinare la frittata: prima regala un pallone sulla sua trequarti al Madrid sbagliando un passaggio, ma per sua fortuna Puyol salva su Higuaín; poi è al centro di un dubbio e polemico contatto al limite dell’area, sempre con Higuaín, che potrebbe costargli il secondo giallo. In fase di costruzione non ha troppo spazio, Raúl è bravo a ostruirgli le linee di passaggio. Voto: 6,5.
Puyol: Difensivamente splendido, esaltante il confronto a distanza con Cannavaro. Una molla che arriva dappertutto, nei recuperi in seconda battuta (provvidenziale quello su Higuaín nella ripresa), nelle chiusure in aiuto ad Abidal e negli anticipi. Irreprensibile sul piano puramente difensivo, nel primo tempo ha suo malgrado un ruolo eccessivo nell’impostazione del gioco: improvvisa contorte zingarate palla al piede che rischiano di creare problemi seri alla sua squadra in caso di palla persa, ragiona poco, anche se contribuisce pure la cattiva occupazione degli spazi da parte di tutto il Barça nel togliergli riferimenti e opzioni di passaggio più accessibili. Voto: 7.
Abidal: Corretto, senza sbavature. Puntuale nell’accorciare nella metacampo avversaria, molto attento e affidabile nelle diagonali, una sicurezza nei recuperi in velocità, roccioso e difficilmente superabile negli uno contro uno (solo Palanca gli va via una volta nella ripresa). Tranquillo nei disimpegni, il neo è sempre il solito, la scarsa qualità quando affonda nella metacampo avversaria e si libera per il cross. Ma il suo, quello che rientra nelle sue caratteristiche di mortale, lo fa. Voto: 6,5.
Xavi: Sottotono, non riesce mai a emergere. Solito discorso: il Madrid gli limita i riferimenti preferiti, cioè il duo Alves-Messi e lui, giocatore che in tutto e per tutto dipende dai movimenti del collettivo, non può combinare con la continuità che desidera. Non può entrare spesso in azione fronte alla porta nella metacampo avversaria, ha Gago addosso che spesso gli impedisce di girarsi, e non possiede, non ha mai posseduto, le qualità per liberarsi dell’uomo con lo spunto nell’uno contro uno. Addirittura lo si vede stranamente impreciso in più di un passaggio. Voto: 5,5. (dal 45’ s.t. Keita: s.v.)
Touré: Questo giocatore mi trasmette sensazioni ambigue. È indubbia l’importanza della sua fisicità, la presenza nel chiudere gli spazi, nell’accorciare e nel conquistare palloni (anche se qualche volta perde la posizione). Dove non convince piuttosto è in fase di possesso. Questo non perché i suoi piedi siano cattivi, tutt’altro, ma perché non convincono i tempi di gioco e i movimenti. Poca mobilità, troppi tocchi per liberarsi del pallone, e a tratti si ha quasi la sensazione che la percussione palla al piede sia per lui una soluzione più naturale rispetto al semplice passaggio, cosa ben strana per uno che si trova a giocare davanti alla difesa. Voto: 6.
Gudjohnsen: Fuori partita. Guardiola lo aveva messo per sfruttare gli inserimenti negli spazi alle spalle di Guti, ma col Madrid che costringe a far passare molto gioco da lui e Puyol, e col Barça che avrebbe bisogno di elaborare con calma, lui diventa quasi un uomo in meno. Nel fraseggio, l’islandese parla un’altra lingua rispetto ai compagni, non ha né i tempi né le misure giuste nelle giocate. Il problema è che sia Touré che lui, giocatori indubbiamente validi per altri aspetti, frenano in un certo senso la circolazione di palla: più l’azione passa dai loro piedi, meno la manovra procede spedita, ed è questa una situazione che gli avversari del Barça, come il Madrid stasera, cercano consapevolmente, sapendo che le fonti del gioco blaugrana sono altre (il triangolo Alves-Xavi-Messi più Márquez). In questo senso l’islandese e l’ivoriano possono diventare “anelli deboli” nell’undici di Guardiola. In fase di non possesso invece, l’islandese accenna il pressing ma è disordinato sia in questo che nei ripiegamenti. Voto: 5. (dal 18’ s.t., Busquets: Ingresso salutare, dà più ordine rispetto a Gudjohnsen, ne guadagnano gli equilibri generali. Non è nessun fenomeno, ma sa stare in campo: mi libero del pallone in pochi tocchi e mi cerco lo spazio, molto razionale. Ordinato pure nei ripiegamenti, contribuisce in interdizione. Voto: 6,5.)
Messi: Non è stato la star della serata, anche se ha lasciato comunque la firma alla fine. Juande sceglie Sergio Ramos come sua ombra: nei primi 20 minuti l’andaluso gli lascia pure qualche spazio per verticalizzare e andare in uno contro uno, poi tutto il Madrid stringe sul triangolo Messi-Alves-Xavi, e per Leo le occasioni di uno contro uno praticamente svaniscono. Così a risaltare nel primo tempo dell’argentino è il trattamento durissimo, quasi persecutorio, da parte degli avversari, dediti sfacciatamente alla randellata e non sempre adeguatamente sanzionati da Medina Cantalejo (6 degli 11 falli madridisti del primo tempo sono sulla Pulga, ma si prendono il giallo solo Guti e Drenthe). Forse un po’intimorito, Messi si defila dal match per qualche minuto, per ritrovare maggiore protagonismo nel secondo tempo, quando si trova più spesso a partire centralmente, senza creare particolari sconquassi dal punto di vista individuale ma agevolando comunque le transizioni offensive della propria squadra. Sigilla la partita con un gol di classe, molto meno facile di quanto possa sembrare, dovendo stoppare e alzare un pallonetto sopra l’incombente Casillas in brevissimo tempo e da posizione leggermente defilata. Voto: 6,5.
Eto’o: Grande impegno nel pressing e molto movimento, ça va sans dire, però poche possibilità di affondare, primo perché Metzelder lo marca bene senza farlo girare (e le uniche volte in cui Samu riesce a voltarsi è soltanto perché ha un’agilità da coguaro, non da umano), secondo perché le poche volte in cui annusa la profondità, le maglie strette della difesa madridista garantiscono coperture puntuali. Può graffiare soltanto inventandosi quelle conclusioni istintive tipiche del suo repertorio, in particolare due ad inizio ripresa. Poi gli capita l’occasionissima, il calcio di rigore: conoscendo il suo particolare rapporto col Madrid, aggiunto alla naturale emotività e a un non eccezionale ruolino da rigorista, non lo avrebbe forse dovuto tirare. Fortuna vuole che la serata gli offra anche l’occasione per rifarsi, e mettere un gol tanto brutto quanto pesante. Voto: 6. (dal 42’ s.t, Hleb.: s.v.)
Henry: Ormai è chiaro: le partite dell’Henry blaugrana non vanno più valutate sul piano della qualità, dove non riesce più a incidere come ai bei tempi, ma su quello della quantità, dove il contributo rimane considerevole. Resta largo, apre il campo, partecipa, aiuta nel pressing e nei ripiegamenti, qualche volta va via in velocità a Salgado ma non riesce ad andare fino in fondo perché Cannavaro ha la copertura sempre pronta. Più vivo nel primo tempo che nella ripresa. Voto: 6.

In panchina: Pinto, Cáceres, Piqué, Bojan.


Real Madrid
(4-4-1-1):

Casillas: Nell’occasione più prestigiosa, torna santo, anche se non serve a produrre il miracolo. Eto’o lo batte male il rigore, ma il colpo di reni è comunque notevole. Eccezionale poi, solo un paio di minuti dopo, la doppia parata su Eto’o da fuori e sulla successiva respinta di Messi (che è in fuorigioco, ma vedere come Iker si avventa sulla ribattuta fa credere all’esistenza dei fenomeni paranormali). Voto: 7,5.
Salgado: Stringe i denti su Henry, in qualche occasione ne soffre l’allungo, ma Cannavaro gli fa da balia e lui soffre relativamente. Compitino, con la macchia del fallo del rigore. Voto: 5,5.
Cannavaro: Strepitoso, non vacilla un istante (oddio, un po’ vacilla quando si schianta sul palo per tentare invano il salvataggio sul pallonetto di Messi), dove serve c’è sempre e sempre emerge vittorioso. Se Sergio Ramos segue Messi, Metzelder Eto’o, e Salgado Henry, lui gioca praticamente da libero nella zona imbastardita di Juande Ramos. Partendo dal centro-destra, copre in seconda battuta ora Salgado quando Henry va via ora Metzelder quando Eto’o si libera. Nel suo partitone c’è tutta la personalità, l’esperienza e la capacità di lettura delle situazioni acquisita negli anni, evidenziata in interventi esemplari per autorevolezza e pulizia (sensazionale la scivolata con cui a inizio partita interrompe dentro l’area la triangolazione Messi-Eto’o: capisce un secondo prima lo sviluppo dell’azione). Voto: 8.
Metzelder: Elemento di sicura affidabilità, buon gregario del leader difensivo Cannavaro, ha il compito di prendere Eto’o in prima battuta, gli si attacca ai calzettoni e si fa sentire anche nelle chiusure in aiuto ai compagni. Voto: 6,5.
Sergio Ramos: Gli tocca un ruolo-chiave della vigilia, quello di avversario di Messi, se la cava con la sufficienza. Nella fase iniziale di dominio blaugrana, non prende da subito le misure all’argentino, che in alcune occasioni ha spazio per andare in verticale o all’uno contro uno, vuoi perché Ramos abbandona la propria zona per supportare azioni offensive presto abortite, vuoi perché calcola male le distanze per difetto di senso della posizione. Poi non soffre più, non tanto perché si imponga individualmente su Messi, ma perché è tutto il sistema difensivo madridista a funzionare e a facilitare perciò il compito dei singoli. Voto: 6.
Sneijder: Juande si fida più dell’orgoglio che della realtà delle condizioni fisiche del giocatore, che se fosse stata un’altra partita non avrebbe mai forzato. Costringe Valdés a rifugiarsi in angolo, ma nel breve lasso disputato non entra mai in partita, non solo per le condizioni fisiche precarie ma anche per una posizione di esterno destro di preponderante sacrificio per quelle che sono le sue caratteristiche. Voto: s.v. (dal 35’ p.t., Palanca: Juande portandoselo in panchina segnala con chiarezza la maggior carenza della rosa madridista, che per trovare un esterno destro di ruolo deve pescare dal Castilla. E finisce che il ragazzo gioca pure, e non sfigura affatto. Inizialmente lo guardano con diffidenza sia i compagni che gli avversari, in una zona poco battuta da entrambe le squadre, poi nella ripresa mostra un’incoraggiante intraprendenza, tenendo palla sulla trequarti, cercando il dialogo coi compagni e l’uno contro uno senza paura. Avrebbe perfino l’occasione del gol storico, ma un misto di scarsa freddezza sua e di bravura di Valdés glielo negano. Chissà che non possa davvero rivelarsi un’opzione valida per il futuro. Voto: 6,5)
Guti: Un uomo in meno, perso nel contesto della partita, non mi ha convinto francamente la posizione ritagliatagli nell’occasione, ancorato al doble pivote. In interdizione, lo sappiamo, è uno zero spaccato, quindi aveva poche possibilità di incidere nel lavoro di ostruzione della manovra blaugrana. Accanto a un Gago che si moltiplica, più funzionale e solido sarebbe stato piuttosto un Javi García dall’inizio.
E anche in fase di rilancio dell’azione erano poche per Guti le possibilità di incidere: mai stato un giocatore adatto a gestire i tempi della manovra, bensì un uomo da ultimo passaggio sulla trequarti. Quindi, a posteriori, la scelta migliore sarebbe stata piazzarlo a ridosso dell’attacco o comunque farlo partire da esterno destro al posto del malandato Sneijder, con ampia possibilità di accentrarsi fra le linee quando al Barça capitava di lasciare spazi fra centrocampo e difesa in certi suoi ripiegamenti disordinati. Il Madrid avrebbe guadagnato una carta in più nel contropiede, senza pagare più di tanto in fase difensiva, visto che il Barça sfrutta poco la fascia sinistra nei propri attacchi (qui l’assimetria classica di Schuster poteva funzionare). Voto: 5,5. (dal 27’ Javi García: s.v.)
Gago: Una delle chiavi del sistema difensivo madridista, si sdoppia coprendo ora lo spazio fra le linee in raddoppio su Messi ora togliendo lo spazio vitale a Xavi. Dinamico e reattivo come suo solito, molto attivo nel rubare palloni e rilanciare il gioco, migliora anche il piazzamento rispetto ai vecchi tempi. Ottimo davvero. Voto: 7.
Drenthe: La sua è una prestazione che non va in nessun modo disprezzata. Rispetta tutte le consegne: segue puntigliosamente Alves andando a fare il terzino aggiunto, in attacco invece cerca con convinzione gli spazi alle spalle di Alves e anche l’uno contro uno, sebbene non incida molto in quest’ultimo aspetto. Quello che manca però è la personalità e la qualità per fare la differenza: confrontate l’occasione che divora nel primo tempo con il gol di Messi, e capirete di cosa parlo. Voto: 6.
Raúl: Interessantissima la partita del capitano, presenza sempre intelligente e funzionale. In fase di non possesso si alterna con Higuaín su Touré e Márquez, con netta preferenza per il messicano, sul quale svolge una efficace opera di contenimento. In fase di possesso è invece preziosissimo come primo appoggio per il centrocampo: viene incontro fra le linee, tiene palla, fa sponda, permette l’uscita della squadra e spesso cambia fronte verso la sinistra con successo, aprendo il campo o invitando Drenthe allo scatto in profondità, come quando mette l’olandese davanti a Valdés nell’occasione più ghiotta della partita madridista. C’è Raúl anche nell’altra grande occasione merengue, quella di Palanca nel secondo tempo, smarcato proprio da un ottimo triangolo col capitano. Non un tiro in porta, ma un contributo di spessore. Voto: 6,5.
Higuaín: Delude, come a Torino in Champions, lui che doveva essere l’uomo-chiave della fase offensiva, quello capace di attaccare gli spazi nella metacampo del Barça. Gioca come riferimento più avanzato rispetto a Raúl, aiuta il suo in fase di non possesso, poi dovrebbe staccarsi per cercare la profondità, ma in realtà non allunga mai la difesa blaugrana, e così il Barça, scomodo in fase di possesso, almeno continua a preoccuparsi poco dei ribaltamenti avversari e non si vede mai sfuggire completamente di mano la partita. Si vede solo su uno spunto individuale al limite dell’area che quasi costa il secondo giallo a Márquez e, sempre nella ripresa, quando perde l’attimo davanti a Valdés, venendo raggiunto dal recupero di Puyol. Voto: 5,5. (dal 31’ s.t. Van der Vaart: s.v.).

In panchina: Dudek, Chema Antón, Bueno, Saviola.

Goles: 1-0, min. 82: Córner botado por Xavi, toca de cabeza Puyol y remata de cerca Etoo. 2-0, min. 91: Messi supera a Casillas.
Árbitro: Medina Cantalejo. Amonestó a Márquez, Etoo, Metzelder, Ramos, Drenthe y Salgado.

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domenica, dicembre 14, 2008

AVVISO

Il post sul Clásico, molto esteso, mi sta portando via come prevedibile molto tempo, per cui la pubblicazione di questo e degli altri pezzi su questa giornata di Liga avverrà parecchio in ritardo. Perciò portate pazienza, gente, molta pazienza...

Grazie
Valentino

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martedì, dicembre 09, 2008

Ritratto di Huntelaar.

Nel mezzo della bufera, uno dei pochi motivi di speranza alla Casa Blanca è la possibilità di intervenire sul mercato a Gennaio. Klaas Jan Huntelaar è il primo innesto (2o milioni di euro+7 variabili all'Ajax, acquisto perfezionato la settimana passata) della squadra prevedibilmente più attiva di tutto il calcio europeo nella prossima finestra di mercato. Grazie ancora una volta alla gentile disponibilità di Alec Cordolcini, possiamo di seguito leggerne un ritratto.

Il sostituto ideale di Ruud van Nistelrooy. E va sottolineata più volte la parola sostituto. Perché Klaas-Jan Huntelaar non è, né potrà mai essere, come Van Nistelrooy. Gli mancano giusto un paio di spanne di classe e di raffinatezza tecnica. Questo non significa che con il Real Madrid non può fare bene, tutt’altro, perché il giocatore non è uno sprovveduto e conosce l’area di rigore come pochi. Senso del gol innato, capacità di latitare per tutta la durata della partita salvo ricomparire al momento giusto per piazzare la zampata vincente. Qualità da bomber di razza, da non sottovalutare. L’importante è che non gli si chieda di fare il Van Nistelrooy. Può (e deve) sostituirlo in termini di reti, non nell’apporto alla manovra della squadra né nella completezza del repertorio. Con l’ultimo Schuster è capitato di vedere, anche in Champions, un Van Nilstelrooy decentrato allo scopo di aprire spazi. Huntelaar è un finalizzatore puro, non lo può fare. Il suo calcio si ciba di gol, la sua filosofia di gioco è racchiusa in una frase pronunciata più volte dal diretto interessato: “se non hai segnato significa che non hai giocato bene”. Huntelaar è anche un professionista serio, che ha saputo ingoiare il boccone amaro della mancata partenza dall’Ajax la scorsa estate senza plateali manifestazioni di insoddisfazione o capricci da starlette viziata. Ha accettato, a malincuore (nonostante la fascia di capitano assegnatali a mo di contentino da Van Basten), di restare ad Amsterdam, non è stato logicamente tra i più brillanti degli ajacidi, ma il suo rendimento non è mai sceso sotto il livello di guardia. Sei mesi dopo è arrivata la grande chance che aspettava, e che in fin dei conti aspettavamo un po’ tutti per capire fino a dove può realmente arrivare questo attaccante che ama definirsi “un giocatore che si è fatto da solo”.
E’ proprio così. Perché l’undicenne proveniente dall’H&K (Hummelo & Keppel, club amatoriale di Hummelo, il paese in cui è cresciuto) che si apprestava alla sua prima stagione nelle giovanili del De Graafschap non mostrava qualità tali da lasciar prevedere un futuro da attaccante della nazionale olandese il cui cartellino si aggira attorno ai 20 milioni di euro. Determinazione, duro lavoro e un’applicazione al limite del fanatismo hanno permesso la realizzazione del sogno, anche se una volta giunto alle soglie del professionismo questo aveva rischiato di spezzarsi. Passato nel giugno 2000 nel vivaio del Psv Eindhoven, Huntelaar aveva trovato in Willy van der Kuijlen (attuale detentore del record di gol in Eredivisie, 311) il maestro che gli mancava senza tuttavia riuscire a far breccia nel cuore dell’allora allenatore della prima squadra, Guus Hiddink, che gli concede solo 15 minuti sul campo dell’Rbc Roosendaal (è il 23 novembre 2002) prima di spedirlo in prestito al De Graafschap. I superboeren sono però alle prese con una disperata lotta per non retrocedere, giocano con una punta e necessitano un leader, non un ragazzino da svezzare. Il risultato per Huntelaar sono solo 9 presenze e tanta panchina. Difficile in queste condizioni convincere Hiddink di poter essere una valida alternativa a Mateja Kezman, Jan Vennegoor of Hesselink o Arnold Bruggink. Scontato quindi per la nuova stagione un altro prestito, questa volta però in Eerste Divisie, la seconda divisione, all’Agovv Apeldoorn. Un declassamento che coinciderà con l’inizio della riscossa.
“Non so se giocherai tutte le settimane”, lo accoglie Jurrie Koolhof, allenatore dell’Agovv. “So già che sarà così, mister” è la risposta. Poi la parola passa al campo; 35 partite, 26 gol e titolo di capocannoniere. Al momento di tornare al Psv Huntelaar però rifiuta; preferisce non rinnovare il contratto e passare all’Heerenveen, uno dei pochi club che lo hanno cercato con insistenza dopo l’exploit di Apeldoorn. 17 reti in Eredivisie il primo anno, lo stesso numero la stagione successiva, questa volta però in meno della metà delle partite disputate (15 contro 31), dal momento che a gennaio arriva l’irrinunciabile offerta dell’Ajax, disposto a sborsare 9 milioni di euro per avere subito l’attaccante. Huntelaar mantiene tutte le promesse, l’Ajax molto meno, e a dispetto della puntualità sotto rete (76 gol in 88 partite di Eredivisie) del ragazzo nato a Drempt il 12 agosto 1983 la bacheca degli ajacidi si riempie solo con due Coppe e due Supercoppe d’Olanda. Bruciano le due eliminazioni consecutive ai preliminari di Champions, bruciano i troppi alti e bassi in campionato che ormai da quattro anni impediscono al club di issarsi sul gradino più alto d'Olanda. A Huntelaar era rimasto poco da chiedere alla Eredivisie, molto invece al proprio futuro, specialmente in Europa, assaggiata con l'Ajax esordendo (con gol) in Champions contro l’Inter, gustata con l’Olanda under-21 vincendo nel 2006 il campionato europeo ma frequentata con buona continuità con la nazionale maggiore solo in tempi recenti (anche a Euro 2008 non era titolare bensì primo sostituto di un certo….Ruud Van Nistelrooy).
A Madrid sbarca un attaccante che in carriera ha già vinto sei titoli di capocannoniere: campionato Allievi 99-00 (De Graafschap, 31 gol), campionato Primavera 00-01 (Psv Eindhoven, 26), Eerste Divisie 03-04 (Agovv Apeldoorn, 26), Eredivisie 05-06 (Heerenveen/Ajax, 34), Europeo under-21 2006 (Olanda, 4), Eredivisie 07-08 (Ajax, 33). Non poteva che promettere “muchos goles”. E’ quello che sa fare. Non chiedetegli altro.

Alec Cordolcini

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Juande Ramos, il ritorno.

Era nell'aria da tempo, ma solo i più arditi pensavano potesse avvenire già in questa settimana, quella del Clásico: Schuster paga per tutti, esonerato, scossa all'ambiente che permette di guadagnare tempo e distogliere attenzioni indesiderate da Calderón e Mijatovic.
Che dire? La sensazione è la solita che circonda un po'tutte le scelte degli ultimi anni di Madrid: improvvisazione, vivere alla giornata confidando nelle sensazioni "a pelle" più che nella ragione.
Il colpo Juande Ramos può dare certo una sterzata e una carica importante nel breve periodo, ma sul lungo, quali sono le reali prospettive? Questo non si sa, non si può proprio sapere.
Il rischio è quello di bruciare un pezzo da novanta come il tecnico andaluso: tecnico che ha tantissime idee e una progettualità conclamata, ma che come ogni allenatore deve avere attorno a sè l'ambiente ideale per poter trasformare le idee in realtà.
Juande Ramos è stato contrattato soltanto per i prossimi sei mesi: in questo momento trova una situazione di classifica molto complicata e una situazione ancora più grave, nettamente più grave, per quanto riguarda l'organico. Detto in maniera molto elementare, in questo momento gli mancano materialmente i giocatori per poter cominciare a organizzare da subito un cambio (anche Diarra mancherà tutta la stagione, altra mazzata).
Certo, ci saranno altri interventi sul mercato oltre a Huntelaar (ma sarà tutto da vedere quanta voce in capitolo avrà Juande su questi acquisti, e il precedente della gestione Schuster non è certo incoraggiante), ma in questa situazione tanto precaria il Madrid potrebbe perdere altri punti preziosi in questa prima serie di partite con Juande e arrivare a Gennaio con una situazione già compromessa nella Liga, e sappiamo quanto poco ci metta l'ambiente madridista a surriscaldarsi.
Il mio timore è che Juande Ramos rischi una sorta di "deriva zaccheroniana", cioè che dopo la fallimentare esperienza inglese possa rischiare un altro colpo alla propria reputazione prendendo in corsa un'altra panchina rischiosissima.
Insomma, un tecnico non può fare nulla se non ha alle spalle una società, e la dirigenza madridista certo non persuade in tal senso. L'unica via, quella di sempre, è lasciare tempo, molto tempo a Juande Ramos, perchè nel breve periodo non potrà in nessun modo impostare una svolta, non esistono per ora le basi materiali, lo ribadisco.

Tatticamente, Juande Ramos si caratterizza per essere un tecnico con un'idea di gioco, arricchita però da flessibilità e attenzione ai dettagli. Il 4-4-2 è il modulo di base, ma mai inteso in maniera rigida, bensì con aggiustamenti e modifiche a seconda della situazione e dell'avversario.
Potrebbe essere possibile vedere due punte già da questo sabato. Due punte era l'idea che avrebbe dovuto eventualmente guidare anche Schuster secondo il sottoscritto (però Bernardo ben difficilmente avrebbe toccato il 4-3-3 asimmetrico), perchè ritengo si adatti bene a quelle che sono le caratteristiche del Barça.
A partire dalle due punte il Madrid potrebbe strutturare soluzioni credibili in entrambe le fasi: in quella di non possesso, due punte potrebbero rallentare l'inizio dell'azione blaugrana soprattutto cercando di limitare le possibilità per Márquez. Il messicano è un giocatore fondamentale nell'elaborazione blaugrana: se ha tempo e spazio, il pallone comincia a circolare ad alte velocità, il Barça guadagna metri in avanti e facendo leva sui cambi di gioco può successivamente far entrare in azione Xavi, Messi ed Alves fronte alla porta e già sulla trequarti avversaria.
In fase di possesso invece, che per il Real Madrid sarà prevedibilmente basata tutta sul contropiede, le due punte potrebbero agevolare quella che realisticamente è l'unica possibilità che il Madrid avrà per fare male al Barça: agire negli spazi alle spalle di Alves.
Le transizioni difensive blaugrana, non sempre ordinatissime (ma col Valencia son state perfette, e i miglioramenti sono in ogni caso netti rispetto ad inizio stagione), tendono ad esporre la squadra sulla fascia destra, che d'altronde è quella nettamente più coinvolta nel gioco offensivo di Guardiola. Impiegando due punte, il Real Madrid terrebbe occupati i due centrali del Barça, limitando per questi la possibilità di chiusure laterali nella zona lasciata sguarnita da Alves.
Se il Barça non attuerà il suo pressing alto nella maniera più ordinata e lascerà qualche possibilità d'uscita dalla sua metacampo al Madrid (che potrebbe anche optare per saltare direttamente il pressing col lancio lungo), allora i merengues potranno giocare una situazione di vantaggio cercando la superiorità numerica alle spalle di Alves con le due punte e l' esterno sinistro (Drenthe se recupererà), esterno sinistro che potrebbe creare spazi interessanti incrociando con un giocatore come Higuaín, estremamente funzionale in campo aperto e potenzialmente letale se lasciato muovere alle spalle di Alves.
Determinatasi questa situazione, il Barça verrebbe costretto a ripiegamenti disordinati, Touré dovrebbe abbandonare la sua zona, e potrebbero crearsi spazi preziosi per gli inserimenti dalla seconda linea di Sneijder (lui forse potrà giocare), considerati i limiti dinamici che Xavi notoriamente accusa quando è costretto a ripiegare nella propria metacampo.
Però torniamo al punto di prima: Drenthe non si sa se recupererà per sabato, Robben è squalificato, esterni destri non ce ne sono in rosa, la spina dorsale Pepe-Diarra-Van Nistelrooy è smembrata, il terzino sinistro verrà per l'occasione sorteggiato fra i soci... insomma, mancano queste benedette basi materiali...

Passo indietro e parentesi su Schuster, che va via senza mai essere stato amato. Di fronte a quest'avvenimento, bisogna capire se la squadra seguisse ancora il suo tecnico o se invece si fosse creata una frattura insanabile. Questa sarebbe la motivazione più razionale per un cambio che altrimenti, in base alle considerazioni esposte sopra, si presenta problematico. Forse la soluzione migliore era quella intermedia: se proprio si doveva mandare via Schuster, meglio un tecnico della casa in stile Del Bosque 2000 (anche se il rischio di una scelta simile è quello di sbandierare in pratica un ridimensionamento), dando nel frattempo a Juande tutta la tranquillità per pianificare il progetto per la stagione successiva, senza correre il rischio di bruciarlo.
In ogni caso, se devo definire l'esperienza di Schuster sulla panchina madridista, un sostantivo mi viene in mente per primo: indeterminatezza. Ho sempre provato un certo imbarazzo a commentare le prestazioni del suo Madrid, perchè non sono mai riuscito veramente a trovare dei punti fermi a partire dai quali orientare l'analisi. Non ho capito quale fosse lo stile di gioco, quali fossero le intenzioni: non ho capito se il Madrid di Schuster fosse una squadra offensiva o meno, non ho capito se pressasse e dove eventualmente volesse pressare, non ho capito che tipo di trame volesse proporre, a parte certi frammenti e una straordinaria capacità nel giocare diretto sulle punte e nel proporre ribaltamenti in campo aperto.
In questa stagione sono intervenuti una serie di fattori a rompere gli equilibri che precedentemente davano ragione a Schuster:
1) il miglioramento della concorrenza: nello specifico l'esplosione del Barça, a fronte della quale il Madrid, immutato rispetto alla scorsa stagione, ha inevitabilmente disposto di margini di miglioramento molto più ridotti;
2) la disastrosa politica societaria: il mercato estivo non solo ha lasciato immutato il Real Madrid, ma lo ha addirittura indebolito, considerando la partenza di un giocatore-chiave dal punto di vista offensivo come Robinho, non adeguatamente sostituito. Qui tra l'altro sono venute allo scoperto le crepe fra Schuster e la dirigenza: il tecnico tedesco in una conferenza stampa durante il precampionato fece in pratica sapere di non venire nemmeno consultato, o di venire consultato solo all'ultimo, da presidente e direttore sportivo sulle scelte di mercato. Auguri Juande...;
3) infortuni: discorso collegato col punto 2. Il mercato disastroso ha lasciato una rosa non molto nutrita, sbilanciata fra diverse zone del campo, e trovatasi così senza protezione di fronte alla pioggia di infortuni.
Infortuni che non rappresentano un alibi ma che non possono non essere menzionati vista la quantità e qualità delle assenze: Van Nistelrooy, il finalizzatore principe; Diarra, giocatore senza rimpiazzi di livello nella sua funzione; Robben, unica ala e unico giocatore in grado di creare superiorità numerica rimasto in rosa; Pepe, elemento che dà un'altra dimensione al reparto arretrato; De la Red, centrocampista con doti di regia che nè Guti nè Van der Vaart (imbarazzanti schierati in coppia come mezzeali) potranno mai avere; Sneijder, che non ha mai potuto trovare un impiego continuo e che rappresenta l'insostituibile catalizzatore della manovra.
Detto questo, va anche rilevato come in estate la società fosse già pienamente al corrente della fragilità di Pepe e Robben, e va anche sottolineato come tutti questi infortuni tutti assieme non possano integralmente addebitarsi al caso.
Ma è evidente che, non potendosi licenziare Calderón e Mijatovic, e non potendosi nemmeno cacciare in blocco i giocatori, a pagare è sempre l'omino seduto in panchina, tanto più se ha l'hobby di rispondere in maniera strafottente ai giornalisti della potente stampa madrilena...

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lunedì, dicembre 08, 2008

QUATTORDICESIMA GIORNATA: ALTRE PARTITE.

Betis-Espanyol 1-1: Emana 56’(B); Coro 71’(E).

Mallorca-Recreativo 2-3: David Navarro 14’(M); Ruben 25’(R); Jurado 35’(M); Adrián Colunga 42’(R); Javi Fuego 50’(R).

Deportivo-Málaga 2-0: Lafita 65’; Omar Bravo, rig. 69’.

Numancia-Almería 2-1: Solari, rig. 11’(A); Del Pino 19’(N); Goiria 51’(N).

Osasuna-Valladolid 3-3: Dady 18’(O); Nekounam 43’(O); Dady 57’(O); Goitom 59’(V); autorete Miguel Flaño 64’(V); Ogbeche 85’(V).

Racing-Athletic Bilbao 1-1: Yeste 49’(A); Colsa 83’®.

Sporting-Atlético Madrid 2-5(giocata sabato): Bilic 3’(S); Agüero 5’(A); Agüero 40’(A); Forlán 55’(A); Barral 61’(S); Maxi Rodríguez 72’(A); Forlán 81’(A).

Due 3-3, un 3-4, un 2-3, un 2-5, 44 gol nella giornata (non se ne segnavano di più dalla sedicesima giornata della Liga '98-'99, quando i gol furono 45 gol), 414 totali finora, la media più alta per i campionati a 20 squadre dagli anni '50 in poi.
Insomma, ci si sta divertendo, per una serie di fattori: errori e papere (in quantità decisamente sospetta in quest'ultima giornata, soprattutto nelle palle inattive è emersa una certa diffusa asineria), ma anche qualità degli attaccanti e voglia di giocarsela da parte di molte squadre, non solo nel Barça che dà l'esempio in cima alla classifica coi suoi 44 gol, ma anche lo Sporting con 23 gol fatti. Certo, ce ne sono anche 32 subiti, e Aguirre in conferenza stampa paraculeggia pesantemente dicendo che lo Sporting rappresenta "l'allegria della Liga", concetto peraltro ampiamente condiviso dal Kun e da Forlán, che di aiuti come quelli offerti dai difensori asturiani (ripropostisi sugli standard delle prime partite stagionali) non avrebbero nemmeno troppo bisogno a dire il vero.

Generosità pre-natalizia che si respira nell'aria, vedi anche il caso del Betis, un monumento all'inconcludenza. L'undici di Chaparro ruba l'occhio, dietro il Barça è una delle squadre più piacevoli: manovra armoniosa, tante soluzioni per il portatore di palla, mobilità sulla trequarti, ampiezza sugli esterni, combinazioni ad uno-due tocchi... però prima di segnare deve creare una quantita industriale d'azioni (evidente la mancanza di un killer: Sergio Garcia da centravanti si muove benissimo ma non è quel tipo di giocatore, mentre Pavone, unico ariete in rosa, non è completamente all'altezza della titolarità), e spesso capita che la partita la butti via.
Certo, anche il primo Espanyol di Mané ha avuto occasioni ghiottissime (nel primo tempo un palo di Sergio Sánchez e traversa di Callejón, interessante sostituto dell'infortunato Tamudo), sfruttando le palle inattive e il contropiede, ma dopo aver sbloccato il punteggio col solito "prezzemolino" Emana (se mi passate la definizione, "il Hleb nero", con un pochino di egoismo e di tiro in più rispetto al bielorusso), non puoi non vincerla una partita come questa.
Qui viene fuori l'altra faccia del Betis, squadra gradevole quando ha il pallone ma sin troppo vulnerabile quando sono gli altri ad averlo: si nota in maniera ricorrente come i verdiblancos a palla persa si spezzino in due, con troppi giocatori che rimangono oltre la linea della palla (ieri rimaneva praticamente il solo Capi in mediana, Mehmet Aurelio stazionava quasi permanentemente sulla trequarti avversaria, non so se in accordo con i piani di Chaparro), si fatica ad accorciare ed è eccessiva la facilità con la quale gli avversari ogni volta ripartono. A questo si aggiungono poi incertezze pesanti nella linea difensiva, in particolare la coppia di centrali Arzu-Juanito che continua a non convincere proprio, vedi anche il gol incassato ieri, francamente inaccettabile nelle sue modalità.
In questo contesto, anche una squadra ad oggi molto modesta come l'Espanyol (non ti trasmette proprio nulla, nemmeno indignazione), può approfittarne e creare occasioni facendo esclusivamente leva sul buon livello delle proprie individualità offensive.

Si ingarbuglia notevolmente la lotta per la salvezza: risucchiato l'Espanyol, riemergono Numancia e Recreativo e si inguaiano Almería e Mallorca. I soriani mantengono altissima la testa in questa loro lotta impari (il bilancio societario è da squadra di medio-bassa classifica... di Segunda) spuntandola su un Almería da ormai troppe giornate irriconoscibile, in caduta libera. Arconada compie un infelice ritorno a casa (fu lui l'anno passato a guidare il Numancia alla promozione) e comincia a mettere in discussione la propria panchina, visto sempre meno bene dalla tifoseria almeriense.
La vittoria del Recreativo è pesantissima, la prima della gestione-Alcaraz, e butta nella mischia un Mallorca in piena crisi, nel suo peggior periodo sotto la guida di Manzano, che non riesce proprio a trovare la quadratura di una rosa non priva di mezzi ma del tutto rinnovata rispetto alla passata stagione. Non tira una bella aria nelle Baleari, col pubblico da tempo pesantemente critico verso la gestione del presidente Vicente Grande, e la vicenda della cessione della proprietà del club che da mesi non trova un adeguato chiarimento.
La mischia là dietro sarebbe stata poi persino più confusa se l'Osasuna non avesse optato per il suicidio, facendosi anch'egli rimontare tre gol di vantaggio (e già è un'impresa segnarne tre in un colpo solo per la squadra navarra) dal Valladolid. Rimangono lì anche Athletic e Racing, pari in una brutta gara decisa da due gol rocamboleschi (deviazione sulla punizione di Yeste, lettura errata assai di Iraizoz sul cross di Colsa). Intanto, zitto zitto, il Deportivo prosegue la sua regolarissima marcia (anche qui decisiva una papera, Goitia regala il gol su punizione a Lafita).

CLASSIFICA
1 Barcelona 35
2 Villarreal 29
3 Valencia 27
4 Sevilla 27
5 R. Madrid 26
6 Atlético 24
7 Deportivo 24
8 Valladolid 20
9 Betis 18
10 Getafe 18
11 Málaga 18
12 Sporting 18
13 Racing 16
14 Almería 15
15 Numancia 14
16 Athletic 13
17 Mallorca 13
18 Espanyol 13
19 Recreativo 10
20 Osasuna 9

CLASSIFICA MARCATORI
Etoo 14 (Barcelona, 1 rig.)
Villa 12 (Valencia, 2 rig.)
Higuaín 10 (Real Madrid, 2 rig.)
Forlán 10 (Atlético Madrid, 1 rig.)
Messi 9 (Barcelona, 2 rig.)

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QUATTORDICESIMA GIORNATA: Real Madrid-Sevilla 3-4: Adriano (S); Raúl (R); Romaric (S); Kanouté (S); Higuaín (R); Gago (R); Renato (S).

A differenza di Getafe c’è l’onore delle armi, ma al Madrid le mani restano sempre e comunque vuote di questi tempi. Due fasi in questa divertentissima partita: quando a contare è il raziocinio, e cioè nel primo tempo, è il Sevilla ad emergere; quando invece è il furore agonistico a prendere il sopravvento, il Real Madrid arriva pure a meritare una delle sue classiche rimonte. Non succede però, e nel finale il Sevilla sfrutta appieno il contropiede gelando il Bernabeu.
E le cattive notizie non finiscono qui per la Casa Blanca: la prospettiva di dover affrontare il Clasico di sabato prossimo senza un terzino sinistro di ruolo (squalificato Marcelo, oltre ad Heinze infortunato: forse vedremo gettato nella mischia il canterano Chema Antón) e senza Robben, ennesime aggiunte alla lista sterminata di pesantissime assenze, è oggettivamente inquietante. Pure Schuster poi ci mette una parola buona per incoraggiare i suoi: “Al Camp Nou non possiamo vincere… andremo là per fare una buona figura, ma di più non è possibile”. Parole forse da interpretare in chiave di battaglia psicologica, giocando la carta del “nulla da perdere”, col gusto per l’uscita originale tipico del tecnico tedesco, ma certo non suonano benissimo.

Solita formazione con quello che passa il convento per Schuster (ma col recupero di Robben), mentre l’assenza dello squalificato Luis Fabiano induce Jiménez a proporre il modulo ad una sola punta, Kanouté con Renato in appoggio.
Parte fortissimo il Real Madrid, subito un paio di verticalizzazioni decise e un tiro da fuori di Robben parato da Palop. Un illusione però: i palloni che un tempo entravano al primo colpo nella porta avversaria ora gonfiano quella madridista. Casillas prosegue il suo momento nero uscendo a vuoto su un cross di Navas dalla destra, e permettendo così il comodo appoggio a rete di Adriano smarcato sul secondo palo.
Partita dai ritmi alti e con tentativi da entrambe le parti, tentativi spesso abortiti per una certa imprecisione che affiora con frequenza. Raúl comunque suona la carica anticipando Konko e insaccando in tuffo una punizione a rientrare di Guti dalla destra. Tutto ciò però non vale, il Madrid restituisce la dormitina su palla inattiva e così in un paio di minuti passa di nuovo sotto quando Romaric su una punizione dalla destra di Renato svetta in mezzo all’area per incornare il suo primo gol nella Liga.
Al Madrid, è palese, manca la tranquillità. C’è generosità nelle file merengue, ma poca logica. A parte due belle azioni manovrate che liberano al tiro da fuori Van der Vaart impegnando Palop, non c’è continuità nel fraseggio e sono molti gli errori di misura. Come detto più volte, questa squadra fa fatica a gestire la manovra su più ritmi (oltre ad avere una sola fascia utile, la sinistra): se ha la possibilità di andare alla massima velocità, è una delle squadre più pericolose che ci siano, ma se la partita costringe a variare registro non riesce più a proporsi con scioltezza.
Su ritmi contenuti, il Sevilla mostra di avere più senso: come al solito gli andalusi non entusiasmano affatto, irrigiditi nel contegno burocratico conferito loro dalla cura-Jiménez, però il loro ordine banale si rivela una carta più che sufficiente per infierire su un Real Madrid attualmente privo di bussola. Gli ospiti chiudono bene i reparti nella loro metacampo, il Madrid invece è decisamente disordinato in fase di non possesso, filtro nullo da attaccanti e mezzeali, Gago a correre a vuoto per quattro mentre restano sempre spazi al Sevilla per far girare comodamente palla da un lato all’altro.
Il possesso-palla andaluso è tendenzialmente speculativo, ma vedendo il tessuto madridista tanto sfilacciato, è facile trovare l’affondo giusto al primo colpo di acceleratore. Navarro sale e mette dentro un traversone, mezzo pasticcio fra Ramos e Cannavaro e palla comoda comoda sul destro di Kanouté che può piazzare a rete.
Nella ripresa il Real Madrid ripete la partenza forte del primo tempo, e qui capisce che si può fare. Schuster nell’intervallo ha tolto Van der Vaart (comunque non così male stavolta) per inserire Drenthe, passando al 4-4-2 quasi 4-2-4, con Robben spostato sulla destra. Ora ha due fasce per attaccare, anche se cede un uomo a centrocampo al Sevilla. Superiorità numerica che resta però solo teorica per gli ospiti, perché non ti vale a nulla un vantaggio tattico se smetti di usare la testa. Si rilassa la squadra di Jiménez, comincia ad allungarsi, a perdere palloni con leggerezza e a farsi trascinare sul terreno prediletto dal Real Madrid. Con l’avversario che smette di ragionare e perde ordine, i merengues puntano tutto sulla foga, imponendo un ritmo travolgente ed esaltando Robben nelle loro furibonde transizioni offensive.
Si accentua la distanza fra difesa e centrocampo sevillista, ed è uno spazio invitante per il Real Madrid, come sottolinea l’azione del 2-3, una percussione di Higuaín che parte fra le linee e incrocia a fil di palo da fuori area (gol simile al terzo contro il Málaga). Smarrito il Sevilla, esaltato il Real Madrid, due minuti ed è già 3-3: altra punizione dalla destra di Guti, altra dormita nell’area sevillista, Gago libero di segnare il suo primo gol assoluto con la maglia del Madrid.
La partita è apertissima, la logica (perché le possibilità di contropiede sono maggiori) dalla parte del Sevilla, il cuore dalla parte madridista. Da una parte il contropiede di Navas con destro finale sventato da Casillas con un intervento finalmente alla Casillas, dall’altra uno strepitoso Palop sul guizzo sottomisura di Raúl.
Jiménez opta per un cambio sensato, Fazio per Romaric (poi ci sarà anche spazio per la staffetta Adriano-Capel) nel chiaro intento di tornare a coprire quello spazio davanti alla difesa lasciato un po’incustodito in questa negligente ripresa. Ma ancora rischia il crollo il Sevilla, in uno degli episodi-chiave della serata: Palop pasticcia malamente su un cross di Drenthe, la palla gli sfugge, Higuaín incombe e in precario equilibrio calcia sulla traversa. Finita l’azione Robben furibondo si scaglia contro l’arbitro, protestando veementemente per la strattonata con cui Palop ha sbilanciato Higuaín prima del tiro e chiedendo un rigore che dai replay è parso effettivamente chiaro. Mai l’avesse fatto: al di là delle ragioni, l’olandese, già ammonito, si scava la fossa da solo.
Episodio che sbilancia definitivamente la gara dalla parte del Sevilla che, considerata la superiorità numerica e i cambi ultra-offensivi di Schuster, gli spazi in contropiede li trova anche se non li vuole: Kanouté dalla destra centra verso Renato, appostato sul secondo palo per il colpo di testa della vittoria.

I MIGLIORI: Kanouté, al solito grande punto di riferimento offensivo per il Sevilla. Anche Palop gioca una grande partita, con parate decisive e spettacolari, uscite tempestive ed autorevoli, solo in parte macchiate dalla papera che rischia di causare il quarto gol madridista.
Robben è l’unica individualità capace di creare superiorità numerica nella rosa madridista, la sua presenza si fa sentire, soprattutto nel secondo tempo quando sbugiarda in dribbling un’autorità difensiva come Fernando Navarro, conquistando il fondo con frequenza e sfiorando pure il gol in un paio di occasioni (in una cerca di prendere in controtempo Palop sul primo palo, ma il portiere sevillista devia sul palo). Devastante a tratti, anche se l’impressione che lascia è sempre quella, cioè di un giocatore che si esalta nell’azione individuale ma che per il resto rimane un po’estraneo al gioco di squadra. Peccato l’espulsione: comprensibilissimo lo sfogo, ma lo è anche, a rigore di regolamento, la seconda ammonizione.
I PEGGIORI: Preoccupante involuzione di Casillas: al pari di Sergio Ramos, non è più lui da dopo l’Eurocopa. Forse appagamento, forse chissà cos’altro, fatto sta che a partire dalla barriera non-sense contro Del Piero, gli errori e le incertezze si sono moltiplicati, in aperta contraddizione con quel portiere che all’Europeo era arrivato a trasmettere totale sicurezza persino sulle uscite nell’area piccola.

Real Madrid (4-3-3): Casillas 5; Michel Salgado 5,5, Sergio Ramos 6, Cannavaro 6, Marcelo 5,5(Bueno s.v., m.87); Guti 6, Gago 6, Van der Vaart 6(Drenthe 5,5, m.46); Raúl 6,5, Higuaín 6,5, Robben 7.
In panchina: Dudek, Metzelder, Chema Antón, Javi García, Saviola.
Sevilla (4-4-1-1): Palop 7; Konko 6, Squilaci 6,5, Escudé 6, Fernando Navarro 6(Dragutinovic s.v., m.88); Jesús Navas 6,5, Duscher 6, Romaric 6(Fazio s.v., m.76) , Adriano 6(Diego Capel s.v., m.69); Renato 6; Kanouté 7.
In panchina: Javi Varas, Mosquera, Pukki, De Mul.

Goles: 0-1, m.3: Adriano. 1-1, m.19: Raúl 1-2, m.21: Romaric. 1-3, m.38: Kanouté. 2-3, m.66: Higuaín. 3-3, m.67: Gago. 3-4, m.83: Renato.
Arbitro: Bernardino González Vázquez, del colegio gallego. Mostró tarjetas amarillas a los locales Marcelo, Robben -en dos ocasiones, por lo que fue expulsado (m.77)- y Gago; y a los sevillistas Jesús Navas, Escudé, Kanouté, Fernando Navarro, Renato
Incidencias: partido correspondiente a la decimocuarta jornada de la Primera división del fútbol español disputado en el estadio Santiago Bernabeu ante unos 68.000 espectadores.

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