martedì, novembre 30, 2010

Un Clásico preso a ceffoni.


Il Barça ne fa cinque, supera il Real Madrid in testa alla classifica, dà una mazzata all’autostima del proprio rivale ed evidenzia in modo brutale l’attuale immaturità della pur promettente creatura di Mourinho (la goleada, lo scandalo, i pernacchi, che ci stanno e fanno parte del gioco, non devono comunque far dimenticare che questi con molta probabilità saranno ancora lì a giocarsi tutto a fine stagione).
Stravolto il senso di un Clásico che nei programmi doveva essere il più equilibrato degli ultimi anni. È la prima umiliazione nella carriera di Mourinho. Il discorso fatto dal tecnico portoghese a fine partita (“il Barça è un prodotto finito, noi no”) ha le sue basi, e psicologicamente è l’unico che si può fare per raddrizzare la rotta, però non può nascondere lo smarrimento e l’inadeguatezza di ieri. Non fraintendiamo: questo Madrid non sarà un prodotto finito, ma ha già un’idea di gioco forte, anzi fortissima. È comprensibile che contro il Barça nessuno possa giocare stabilmente d’iniziativa nella metacampo avversaria e rimanere lì a recuperare il pallone e inanellare attacchi, ma non è giustificabile in alcun modo lasciare l’inizio dell’azione al Barça e regalargli il centrocampo. È comprensibile giocare d’attesa contro il Barça, non è giustificabile farlo in maniera passiva. Barça che invece poteva giocare in una sola maniera, come sempre, e ha trovato da subito il ritmo e le geometrie desiderate. Niente episodi, nessuna svolta improvvisa, la grandinata è stata una logica conseguenza di una supremazia impressionante.

Nel Real Madrid c’era questo problema della fascia sinistra difensiva, notato già nelle scorse partite: l’esenzione di Ronaldo dai ripiegamenti costringe Xabi Alonso a slittare verso la fascia quando l’avversario attacca nella metacampo madridista. Questo per non lasciare in inferiorità Marcelo di fronte alle sovrapposizioni dei terzini. Posto che nessuno ha il dono dell’ubiquità, ciò significa che Xabi non può coprire il delicatissimo spazio davanti alla difesa (e inoltre il fatto di trovarsi defilato non lo aiuta quando la sua squadra recupera palla e deve rilanciare l'’azione). Se Iraola+Susaeta creavano questo problema, liberando Muniain tra le linee, il danno potenziale si moltiplica se a “BartSimpson” sostituisci Messi. Quindi cosa fa Mourinho per ovviare? Non cambia il modulo 4-2-3-1, ma scambia gli esterni: Ronaldo a destra, Di María a sinistra. L’argentino, molto più tornante rispetto a Cristiano, può così “doppiare” Marcelo, lasciando a Xabi Alonso una posizione più accentrata. Almeno in teoria: nella pratica le cose saranno ben diverse, e le conseguenze catastrofiche.
L’assenza di Higuaín cambia poi completamente il profilo dell’attacco: Benzema ha caratteristiche radicalmente diverse rispetto all’argentino: “Pipita” cerca la profondità, Benzema viene incontro, e ha come marcata zona di influenza la fascia sinistra. Fino a ieri il meccanismo tipico adottato dal Madrid per uscire dalla propria metacampo era la connessione Marcelo-Cristiano Ronaldo. In maniera speculare, quello è anche il lato più manovriero del Barça, con Alves+Xavi e la presenza frequente di Messi. Una zona fondamentale quindi per il controllo del gioco e delle transizioni. Le caratteristiche di Benzema possono permettere di spostare Ronaldo sull’altra fascia senza perdere però le capacità di palleggio necessarie per uscire dalla metacampo e fare male al Barça. Anche questo, soltanto in teoria.

Pure il Barça mantiene la formazione-tipo, ma con una correzione: il ritorno al 4-3-3 ortodosso, visto nelle ultime partite, viene sconfessato con una difesa a tre che ad inizio azione riporta Piqué abbastanza largo a destra (come ad inizio stagione), accentra Puyol e tiene bloccato Abidal, praticamente terzo centrale a sinistra. Alves invece torna in una posizione di partenza più avanzata. Il Real Madrid risponde ripiegando con gli attaccanti all’altezza del cerchio del centrocampo quando il Barça inizia l’azione dalle retrovie. Capita così di vedere una linea di tre (Benzema-Özil-CRonaldo) come prima opposizione. Ma quello che conta non è l’altezza della linea d’attacco o di quella difensiva, conta il concetto e l’atteggiamento. Se concedi al Barça i primi passaggi sei morto.
I blaugrana palleggiano per costruire superiorità sin dai difensori, e una volta che gli concedi una superiorità iniziale tutte le altre vengono di conseguenza. Una volta che ti superano una linea e si installano nella tua metacampo, creano i presupposti anche per perdere palla senza rischiare, pressandoti alto per non farti uscire più. Se invece cerchi di sporcargli i primi passaggi, allora gli rendi difficile distendersi, e può essere che quando recuperi palla li trovi scoperti in transizione difensiva. Il Madrid non ci ha nemmeno provato: inesistente il pressing degli attaccanti, uscita facile per i difensori culè, con i tre più Busquets in appoggio (e anche Xavi che viene a ricevere).

Non esistendo una prima barriera, i merengues collassano su loro stessi. Dannosissima la posizione di Di María, che segue Alves fino a diventare quasi un quinto difensore in pianta stabile. Centrocampo sguarnito, e Xabi Alonso che torna di nuovo a defilarsi un po’, ma viene preso in mezzo. Da quel lato il Barça consolida il proprio dominio: con Piqué che avanza, Xavi, Messi in costante appoggio e pure Pedro che con puntualità alterna movimenti incontro al portatore, tagli verso il centro e attacchi alle spalle di Marcelo. Superiorità totale in mezzo al campo, possibilità di decidere tempo e direzione del gioco in maniera tirannica.
Il Barça prepara la sua vittoria a destra, ma pugnala a sinistra: attira il Madrid verso un lato, poi cambia e trova gli uomini liberi di verticalizzare nell’altro. I boia sono Iniesta e Villa. Khedira è trascinato verso l’altro lato, Ronaldo in ripiegamento non stringe mai, lascia sempre scoperta una linea di passaggio letale perché Iniesta possa ricevere fronte alla porta e rifinire. La colpa non è di Ronaldo, che ha quelle caratteristiche, ma se giochi col portoghese esterno lo fai perché sai di poter “vivere” nella metacampo avversaria; se però scegli una partita così di attesa, allora forse è meglio mettere Cristiano unica punta al posto del disarmante Benzema e coprirsi.
Iniesta fa quello che vuole e coordina al meglio i propri movimenti con quelli di Villa: al 10’, nell’azione del primo gol (in precedenza, al 5’, meraviglioso pallonetto di Messi da posizione defilata, fermato solo dal palo), è il Guaje che taglia dentro, si porta via Ramos e permette a Iniesta di verticalizzare per l’incursione di Xavi (la difesa a 5 con cui si trova a giocare il Madrid non è immune a questo tipo di attacchi: anzi, regalando il centrocampo rimane più esposta anche agli inserimenti a sorpresa dei centrocampisti); al 17’ invece, le parti sono invertite ma il principio è lo stesso: sul cambio di gioco di Xavi, è Iniesta a portare via i difensori con il “Movimento Keita”©, e Villa largo ha l’uno contro uno facile con Ramos (ancora più facile con questo Ramos), per poi servire a Pedro il gol del raddoppio. Il Real Madrid ha solo un paio di mezzi contropiedi, originati più dall’abilità individuale di Ronaldo che riesce a saltare il pressing blaugrana che da un dominio territoriale che invece è tutto del Barça (all’11’ va comunque annotato un tiro di Di María deviato in angolo da Valdés).
I due gol inducono Mourinho a cambiare la posizione degli esterni, riportando Ronaldo a sinistra. Guardiola risponde invertendo Puyol e Piqué e tornando a una più chiara difesa a 4. Forse lo spostamento di Puyol sul centro-destra si spiega con l’esigenza di tenere il capitano sempre pronto alla copertura in seconda battuta sulle possibili percussioni di Ronaldo. Messi continua a garantire il necessario respiro ai centrocampisti, nel mentre che Pedro e Villa continuano a occuparsi di tenere occupata la difesa madridista dettando la profondità e negando i raddoppi su Leo. Sulla fascia invece Alves si abbassa, Di María si alza.
La partita si fa meno squilibrata dopo il secondo gol, col Barça che cerca movimenti più incontro al portatore per conservare la palla piuttosto che attaccare lo spazio alla ricerca di nuove occasioni. Perdono però un po’ di continuità nel gioco i padroni di casa, cedendo qualche punto di possesso-palla a un Madrid che in ogni caso produce solo una punizione dalla lunga distanza di Ronaldo finita a lato (34’), mentre al 26’ Xavi aveva smarcato Pedro davanti a Casillas, salvato solo dall’indecisione del canario.

Nell’intervallo Mourinho trae le conseguenze: il centrocampo che fa acqua fa sprofondare anche la difesa, allora meglio rinforzare la mediana per cercare di arginare la valanga prima. Lass sostituisce Özil, trivote con il francese sul centro-sinistra, Khedira centro-destra e Xabi Alonso davanti alla difesa. Ma è il quartetto Busquets-Xavi-Iniesta-Messi, in un flusso inarrestabile di passaggi e movimenti armoniosi, a continuare a dettare le condizioni. Senza contare che Ronaldo continua a non coprire, Lass slitta verso sinistra e nella girandola Alves-Xavi-Pedro-Messi-Iniesta qualcuno libero, tra le linee o sulla fascia, sbuca sempre. Il Madrid cerca pure di alzare la linea difensiva, ma sempre a palla scoperta: il rifinitore di turno del Barça si trova sempre fronte alla porta, e con tutto il tempo per scegliere l’opzione migliore. Magari Pedro finisce in fuorigioco, ma Villa attacca lo spazio in seconda battuta, o magari Xavi si inserisce dal centrocampo. Insomma, un massacro.
Al 47’ Marcelo perde palla sulla sua trequarti, Messi parte e attira tutti su di sé ma Villa spara su Casillas; al 51’ Xavi, smarcato ancora da Messi, fallisce la doppietta di un soffio, ma al 54’ Villa mette la pietra tombale sulla partita, sempre la stessa situazione, sempre palla scoperta e passaggio filtrante di Messi, combinazione ripetuta tre minuti dopo per il 4-0.
Da lì in poi è un torello imbarazzante, e persino Jeffren (subentrato a Pedro) trova la gloria nei minuti di recupero concludendo con un tocco sotto un cross dell’altro neo-entrato Bojan. Mano aperta dei giocatori blaugrana, per sottolineare il risultato, e frustrazione di Ramos, che si fa espellere per una manata a Puyol.



BARCELONA (4-3-3)

Valdés: Praticamente mai impegnato fra i pali, interpreta invece bene come sempre le uscite da libero aggiunto e i rilanci, nei quale non è semplicemente un portiere chiamato a usare i piedi, ma un elemento strutturale della manovra. Voto: 6.
Alves: Più che brillare individualmente, ha una funzione tattica, per come trascina via Di María e “pulisce” lo spazio che permette a centrocampisti e trequartisti di dominare la partita. Quando torna più basso è puntuale nelle sovrapposizioni e preciso nelle uscite palla a terra. Voto: 6,5.
Piqué: Inizia defilato a destra, e senza opposizioni si aggiunge al centrocampo aiutando a creare superiorità. Siccome il Barça innesca il circolo virtuoso che lo porta a occupare la metacampo avversaria e recuperare palla subito lì, non si deve preoccupare più di tanto dei ripiegamenti, come invece nelle due sfide dell’anno scorso (epico confronto con Cristiano Ronaldo). Stavolta non si incrocia molto con Cristiano: inizialmente copre le spalle ad Alves, poi inverte la sua posizione con quella di Puyol. Voto: 6,5.
Puyol: Anche lui non ha tantissimo lavoro, comunque attento nelle coperture, in seconda battuta nella zona dove opera Ronaldo, a seconda degli spostamenti del portoghese, prima al centro della pseudo-difesa a tre e poi sul centro-destra della linea a 4. Voto: 6,5.
Abidal: Inizia rigido come terzo di difesa, deve tappare le possibili vie di fuga di Cristiano Ronaldo in contropiede, che una volta ad inizio partita gli ruba il tempo e scappa. Quando Guardiola torna alla difesa a 4 classica, pure lui ha più libertà di sovrapporsi, anche se con parsimonia. Voto: 6.
Xavi: Nelle partite in cui il Barça rivendica e impone il suo stile, lui c’entra sempre qualcosa. Dici possesso-palla, dici Xavi. Dici controllo, dici Xavi. Dici passaggi sicuri fino alla trequarti e squadra compatta di fronte alla possibile perdita, dici Xavi. Rallenta, smista, verticalizza, cambia gioco, si inserisce pure e segna quasi una doppietta che per lui sarebbe stata cosa rara. Voto: 8. (dall’86’ Keita: s.v.).
Busquets: Se Xavi-Iniesta-Messi è il triangolo attorno al quale il Barça costruisce la propria superiorità, lui è il complemento discreto ma sempre funzionale. Per caratteristiche non può essere lui a dettare i tempi, ma una volta decisi questi Busquets è impeccabile nel dare continuità all’azione, cercandosi sempre lo spazio libero (quelle rotazioni senza palla che rendono più agile la manovra, che non ha Mascherano e non aveva nemmeno Touré), usando uno-due tocchi, ma anche districandosi nello stretto con eleganza e qualità tecnica. Il contesto della gara era quello ideale per le sue caratteristiche, che lo portano a prediligere l’anticipo nella metacampo avversaria più che il ripiegamento nella propria. Addirittura tenta un gol da metacampo nella ripresa, lui che non fa più di due metri di passaggio. Voto: 7.
Iniesta: Massacra il centro-destra del sistema difensivo madridista, smarcandosi dove fa più male. Ribadisce un’intelligenza superiore nell’interpretare il gioco, non solo qualità sopraffina nel controllo e nell’ultimo passaggio. C’è tanto merito nel movimento senza palla del secondo gol quanto nell’assist del primo. Voto: 8.
Pedro: La storiella del campione per caso è finita da tempo. Questo è un grande giocatore. Non è un solista su cui costruire una squadra, ma in questo momento è più utile al Barça di quanto lo sarebbero molti solisti. Esistono tanti Pedrito: quello che allarga il campo e dà profondità, quello che minaccia i centrali avversari tagliando per concludere a rete, quello che viene sulla trequarti per aiutare la squadra a riposare col pallone. Se l’idea di Guardiola per il Barça 2010-2011 è quella di un attacco senza punti di riferimento, Pedro ne è il simbolo. Voto: 7,5. (dall’86’ Jeffren: 6,5)
Messi: Son partite come questa che spiegano quanto questo giocatore sia grande, molto al di là delle azioni da highlights. Messi non ha fatto nemmeno un gol (ha solo sfiorato il capolavoro), ha fatto due assist, ma quello che conta di più è che è stato un costante fattore di dominio per il Barça, più di tutti. Una relazione strettissima con i centrocampisti, ma senza mai smettere di essere l’attaccante più pericoloso. Guardiola parla di giocatore totale, e non a torto. In ogni zona, crea la superiorità e lo può fare con un semplice movimento, senza bisogno di dribblare nessuno. Si trova lo spazio, viene in appoggio, attira su di sé qualche avversario, si libera del pallone e i compagni vedono l’orizzonte spalancato. Altro che solista, pochi giocatori sono così presenti nella manovra, e con questo peso poi. Voto: 8,5.
Villa: Bomber come sempre, ma ora rispetto a inizio stagione è pienamente integrato nel gioco di squadra. La sua profondità era un dato positivo già garantito in estate, bastava coordinare meglio i movimenti coi compagni Non stringere al centro ossessivamente, ma solo nei momenti giusti, sapendo che Guardiola non vuole farne un’ala ma dargli soltanto un riferimento di partenza. A lui comunque è sempre piaciuto defilarsi e puntare il terzino, come ribadisce ai danni di Ramos nel 2-0. Poi quando attacco lo spazio è il solito demonio, vedi 3-0 e 4-0. Voto: 7,5. (dal 76’ Bojan s.v.)


REAL MADRID (4-2-3-1)

Casillas: Ha passato serate più divertenti. Sui gol colpe più o meno inesistenti, forse una sbavatura sul cross di Villa per il 2-0 di Pedro. Molto approssimativo nei rinvii. Voto: 6.
Sergio Ramos: Pessimo. Vero che nella sua zona spesso si creava un due contro uno, ma è altrettanto vero che lui non ci ha messo nulla. Molle, non un anticipo, non un duello vinto, non una ripartenza, totalmente inutile in fase offensiva. Sta lì e guarda gli avversari che arrivano. Dorme anche sul gol di Jeffren, per quello che conta. Voto: 4.
Pepe: Un po’ a sorpresa, il meno peggio della difesa. A sorpresa perché era parso disorientato nelle uscite precedenti. Individualmente offre quello che può, ma alla lunga viene travolto anche lui, inevitabilmente. Voto: 5,5.
Carvalho: Superato in ogni momento della partita. Si è sempre fatto forte del senso della posizione, e dell’anticipo, ma in questa occasione non ha mai i riferimenti, e così deve cedere il passo ad avversari che arrivano in velocità o lo puntano nell’uno contro uno. Voto: 5.
Marcelo: Solitamente uno dei tre giocatori chiave della fase offensiva (con Ronaldo e Xabi Alonso), non ha alcuna possibilità di proporre il suo calcio. Non esce palla al piede e non ha l’appoggio solito di Cristiano Ronaldo (che parte sull’altra fascia) per rilanciare l’azione. Senza opzioni buone, schiacciato e intimidito dal pressing blaugrana, sparacchia anche lui. Per una partita di tale esigenza, difensivamente non è neanche così disastroso, ma non chiude su Xavi nell’1-0, e ritarda la diagonale su Pedrito nel 2-0. Mourinho comunque sembra additarlo come colpevole sostituendolo con Arbeloa già sul 4-0, un cambio che più che avere un significato tecnico particolare sembra un messaggio lanciato al giocatore. Ma non è andato peggio di tanti altri, semplicemente pure lui non ci ha capito nulla. Voto: 5.
Khedira: Impalpabile. Privo di qualsivoglia aggressività, scherzato dai palleggiatori blaugrana, non propone alcunchè. Segue a ruota il disastro dei compagni. Voto: 4,5.
Xabi Alonso: L’anno scorso al Camp Nou il suo Clásico fu una lezione di posizionamento difensivo, ma stavolta è uno dei grandi sconfitti. Preso in mezzo dal trio Iniesta-Xavi-Messi, non vede palla e non riesce mai a mettere ordine nel pandemonio che gli succede attorno. Voto: 4,5.
Cristiano Ronaldo: Davvero ce la mette tutta, ma per come il Real Madrid affronta la partita le uniche situazioni praticabili per lui sono quelle “solo contro il mondo”. In un paio di occasioni nel primo tempo riesce pure a scappare al pressing e a lanciare il contropiede, poi su punizione va un paio di volte a lato di poco. Ma non ha mai la possibilità di incidere all’interno di un contesto collettivo credibile. Difensivamente se ne frega, il buco fra lui e Khedira è ghiottissimo per Iniesta. Ma gliene si può fare una colpa solo fino a un certo punto, la colpa è del Real Madrid che non è riuscito a impostare la partita ideale per valorizzarne le caratteristiche. Voto: 6.
Özil: Le fonti ufficiali confermano che effettivamente in data 29-11-2010 si trovava sul rettangolo verde del Camp Nou. Pare ancora troppo acerbo per certe sfide. Voto: 4. (dal 45’ Lass: Non dà quello che chiede Mourinho. Molta voglia ma poca lucidità. Corre, corre e corre ma non la prende mai. Voto: 5.).
Di María: Anche per lui può valere il discorso fatto per Özil sulla maturità a certi livelli, ma meno, perché l’argentino è sempre generosissimo, e osa appena può. Il problema è che può pochissimo. La sua posizione da secondo terzino nel primo tempo è l’emblema della condotta passiva di un Madrid che perde tutti i riferimenti del proprio gioco. Voto: 5,5.
Benzema: Non si può andare avanti così. Uno dei 5-6 giocatori più talentuosi della rosa continua ad avere l’aria di uno che passa lì per caso. Non capisce cosa gli succede attorno, forse non si sforza nemmeno di farlo, non si propone, non incide, non ha uno slancio che sia uno, per quanto le condizioni tattiche in cui si muove siano proibitive. Cerca qualcuno dei suoi movimenti verso la sinistra, ma non è mai un appoggio credibile per rilanciare il gioco… non parliamo poi di dare profondità, contendere palloni ai difensori, farsi sentire in area avversaria o pressare (parola che nel suo vocabolario non esiste)… Voto: 4.


Gol: 1-0, m. 10: Xavi. 2-0, m.18: Pedro. 3-0, m.55: Villa, 4-0, m.57: Villa. 5-0, m. 90+1: Jeffren.

Árbitro: Iturralde González (col. vasco). Mostró cartulina amarilla a Víctor Valdés (m.32), Cristiano Ronaldo (m.32), Villa (m.34), Pepe (m.36), Messi (m.45), Xabi Alonso (m.51), Marcelo (m.56), Casillas (m.56), Carvalho (m.71), Sergio Ramos (m.73), Khedira (m.75) y a Puyol (m.80). Expulsó a Sergio Ramos (m.92) por agredir a Puyol

Incidencias: 98.255 espectadores asistieron al encuentro correspondiente a la decimotercera jornada de Primera División, disputado en el Camp Nou. En el palco se encontraban, entre otras autoridades, el presidente en funciones de la Generalitat, José Montilla; el vicepresidente en funciones de la Generalitat, Josep Lluís Carod Rovira; y el presidente del Parlament, Ernest Benach.

FOTO: marca.com

Etichette: , ,

lunedì, novembre 22, 2010

Poteva venire un funerale migliore, Juanma.


Non analizzeremo l’Almería-Barça di avantieri. Questo blog solitamente non pubblica articoli sugli allenamenti infrasettimanali, e non vedo perché dovrebbe farlo quando vengono invece spostati al sabato. Parleremo del disastro dell’Almería, e dell’ esonero di Juanma Lillo, ormai annunciato da settimane.
Un altro fallimento nella carriera di un allenatore discusso, che dopo il “miracolo” del Salamanca di inizio carriera, quando arrivò ad allenare in Primera a soli 29 anni (record assoluto), dopo due promozioni consecutive ottenute partendo dalla Segunda B, non è più riuscito ad accompagnare alle belle parole i risultati, nonostante la stima di colleghi di prestigio come lo stesso Guardiola (che nelle elezioni del Barça 2003, da direttore sportivo designato del candidato Bassat, avrebbe voluto proprio Lillo sulla panchina blaugrana).
Dopo 28 giornate della Liga ‘95-’96 il Salamanca lo esonera, e da lì una sfilza di licenziamenti con Oviedo, Tenerife, Zaragoza, Ciudad de Murcia e Terrassa, condita dalla fama di parolaio (un blog raccoglie le sue perle) e dalla beffarda storpiatura in “Juan Malillo”, dall’aggettivo “malo”, cattivo.

Nel dicembre dello scorso anno prende in corsa l’Almería, dopo quasi dieci anni di assenza dalla Primera (esonero dal Zaragoza 2000-2001 dopo solo quattro giornate), e la cosa sembra anche funzionare. Solo pallone negli allenamenti, un’idea di gioco più attraente di quella di Hugo Sánchez, risultati e prestazioni più che interessanti, e un rispettabile tredicesimo posto finale.
Questa stagione però, con la possibilità di modellare sin dall’estate una squadra tutta sua, il tracollo. Tentativo dopo tentativo, è sembrato non capirci molto, fino al ridicolo col Barça. Era partito con l’ambiziosissimo intento di alternare al 4-3-3 un 3-3-1-3 alla Cruijff. Elaborare sin dalla difesa, possesso-palla come principio ordinatore anche della fase difensiva, addirittura difesa a tre con due terzini d’attacco nella seconda giornata, in casa con la Real Sociedad. Qui il primo campanello d’allarme: Juanma Ortiz come terzo a sinistra non è proponibile, voragini dietro ogni volta che l’Almería perde palla, partita riacciuffata con il carattere più che con il gioco, e difesa a tre definitivamente abbandonata.
Dopo la sconfitta casalinga col modestissimo Levante della quarta giornata poi cominciano a moltiplicarsi le voci di un esonero, allontanate solo momentaneamente dalla vittoria in casa del Deportivo (Kalu Uche segna e va ad abbracciare proprio l’allenatore), dal passaggio del turno in Copa del Rey (contro la Real Sociedad) e dal prezioso pareggio al Vicente Calderón contro l’Atlético Madrid. Ma che al presidente Alfonso García Lillo non piaccia, risulta esplicitamente dalle interviste in cui parla di gioco che non c’è e mette naso persino nei metodi di allenamento. Possiamo dire tranquillamente che non aspettava altro che uno 0-8 casalingo, e che Lillo si sia seduto sulla panchina almeriense quest’ultima giornata solo per evitare che il nuovo allenatore si bruciasse nel proibitivo scontro col Barça.

Ma è innegabile che Lillo non sia riuscito a costruire un’identità credibile per questa squadra, arrivando a sconfessare apertamente anche i suoi propositi iniziali. Sconcertante l’ultima trasferta, a Bilbao, dove il tecnico ha completamente snaturato la formazione-tipo, passando alla difesa a 5, lasciando in panchina le ali Piatti e Crusat, il creativo Corona e puntando su due punte pesanti come Goitom e Ulloa, in cerca del lancio verso le torri e del conseguente sfruttamento delle seconde palle. Però col resto della squadra che non sapeva come uscire dalla propria metacampo e avvicinarsi ai due attaccanti, questo restava un pio proposito. “Ragazzi, quello che abbiamo provato fino ad oggi era tutto sbagliato, tentiamo un’altra cosa completamente diversa che non sapete giocare”. Una dichiarazione di resa. In tutto questo, l’acquisto-clou dell’estate, la mezzapunta argentina Diego Valeri, che doveva rappresentare l’elemento decisivo per rafforzare l’idea di gioco, è scomparso, “vaporizzato” come un personaggio di 1984.

Etichette:

domenica, novembre 21, 2010

Goleada sottotono.

Real Madrid-Athletic Bilbao 5-1 ha due letture: la prima è che si tratta di un risultato decisamente esagerato per una partita per un’ora combattuta e di ottimo spessore, con l’Athletic nei panni della miglior avversaria vista finora al Bernabeu. La seconda lettura, quella più negativa, è che se un Real Madrid senza il dominio del gioco alla fine riesce comunque a goleare una buona squadra come l’Athletic, il divario interno alla Liga rimane più che mai allarmante.

Va detto che il Madrid delle ultimissime partite non è quello che ha devastato Deportivo, Málaga, Milan e Racing: più discontinuo e con un controllo minore del gioco. La forza di questa squadra è la verticalità che gli permette di spingere dietro la difesa avversaria, disordinarla (grazie ai costanti incroci fra Cristiano Ronaldo, Özil, Di María e Higuaín) e guadagnare posizioni di vantaggio per riconquistare subito palla nella metacampo offensiva, accorciando con Khedira e Xabi Alonso o alzando la linea difensiva. Quando il Real Madrid riesce a incatenare più azioni consecutive di questo genere, imprime un’intensità che rende impossibile ogni resistenza. Quando però non si innesca questo circolo virtuoso, il Real Madrid non si dimostra una squadra perfetta. Se l’avversario spezzetta la manovra merengue e al tempo stesso riesce a ripartire in palleggio, il Real Madrid soffre una volta costretto a ripiegare nella propria metacampo. È una squadra molto diversa nello stile dal Barça, ma anch’essa dall’anima profondamente offensiva, che pur non puntando a percentuali abnormi di possesso-palla deve vivere costantemente nella metacampo avversaria, attaccare e difendersi lì.

L’Athletic per un’ora è riuscito ad evitare che si sentisse comodo. Caparrós ha proposto alcuni correttivi alla formazione consueta (Orbaiz al posto dello squalificato Gurpegi, Amorebieta terzino sinistro e Muniain trequartista, per conservarne la lucidità risparmiandogli i ripiegamenti su Sergio Ramos, affidati a un tornante classico come Gabilondo), ma la sostanza non è cambiata: nonostante il risultato finale, personalità in crescita e un gioco più ricco di soluzioni.
L’Athletic colpisce in particolare il punto più scoperto del Madrid, già notato nelle partite precedenti: la fascia sinistra. Quando non riesce a recuperare palla subito nella metacampo avversaria, Mourinho esenta Cristiano Ronaldo dai ripiegamenti in aiuto a Marcelo. In quella zona perciò scala Xabi Alonso. Aggiungendo che nemmeno Özil fornisce un grande aiuto in copertura, il Real Madrid si trova un po’ preso in mezzo. Il triangolo Iraola-Susaeta-Muniain (Guardiola avrà preso appunti in vista del Clásico, pensando a una funzione analoga per Alves-Xavi-Pedro) cerca costantemente la superiorità numerica, alternando appoggi corti a tagli alle spalle di Marcelo: col sistema difensivo madridista così squilibrato verso quel lato, si aprono anche degli spazi interessanti per gli inserimenti in seconda battuta, centralmente o cambiando lato all’azione. Così nascerà il gol di Llorente dell’1-2 (peraltro in fuorigioco).
Llorente quasi allarmante per come dispone a piacere di due difensori del calibro di Carvalho e Pepe (oddio, se Carvalho finora è stato perfetto, Pepe in realtà ha lasciato dubbi già prima di ieri): in apertura il suo classico giochino destro-sinistro (immaginate Iniesta, ma di un metro e ottantanove…) per passare in mezzo a due difensori e vedere poi la sua conclusione salvata sulla linea da Pepe, poi uno sbalorditivo movimento spalle alla porta e tiro a botta sicura salvato dal solito Casillas.

Ma in mezzo a questo buon Athletic il Real Madrid fa due gol, praticamente alle prime due azioni pericolose. Perché se perdi palla quando ti stai distendendo, o se non vigili la possibile ripartenza, sei fritto. Questo Madrid è forse la squadra più veloce al mondo nel ribaltare l’azione, ed è uno spettacolo vedere come passi dal brivido del citato movimento spalle alla porta di Llorente al vertiginoso contropiede che scaturisce dal calcio d’angolo e lancia Ronaldo per il 2-0. Cristiano Ronaldo che nonostante la tripletta non è stato l’uomo-partita del Madrid, riconoscimento che spetta invece al magnifico Di María, che in più di un’occasione offre uno sbocco con le sue percussioni che sottolineano l’inadeguatezza di Amorebieta sulla fascia sinistra (Caparrós rimedia a fine primo tempo inserendo il terzino sinistro di ruolo Aurtenetxe al posto di Ustaritz). L’argentino nella ripresa procura anche (con una simulazione) il rigore che di fatto chiude la partita. A seppellirla ci pensa poi Caparrós togliendo Muniain (senza particolari spunti individuali, ma intelligente nel giocare tra le linee) per inserire Iñigo Pérez. Sarò sempliciotto, ma continuo a pensare che in linea di massima i giocatori migliori debbano restare in campo.

Etichette: , ,

sabato, novembre 20, 2010

Rinascimento Athletic?

Una partita dell’Athletic Bilbao è una visione consigliata, sempre. Perché anche su un teleschermo cogli un’atmosfera e una tensione diversa, e se non c’è la qualità ti puoi comunque accontentare del ritmo e dell’agonismo. Il fatto nuovo di questa prima parte di stagione però è che l’Athletic gioca bene. Proprio quello che avete letto. Ancora ci si sta attrezzando per Toquero che palleggia con un limone, però succede che ora come ora guardi una partita dell’Athletic e ne vorresti vedere altre ancora, e non perché ne sei tifoso, o per l’aspetto romantico della cosa, no: proprio perché quello che vedi in campo ti stimola.

Quell’Athletic di Caparrós che simboleggiava il calcio approssimativo sta evolvendo. Prima la tendenza era questa: partite in casa, partenza a mille, pressando a tutto campo con la bava alla bocca e il massimo disordine pensabile, molti duelli individuali, Javi Martínez che “faceva centrocampo” da solo, cross continui verso Llorente, seconde palle etcetera… Questo finchè il correre troppo e il correre male non esauriva prematuramente la benzina, portando a ricorrenti cali nei secondi tempi. Tutto ciò in casa, perché fuori l’Athletic si limitava a accumulare uomini nella metacampo difensiva rivolgendo qualche preghiera a Llorente sottoforma di improbabili lanci lunghi.
Ora però sembra diverso: l’Athletic sta acquisendo una sua fisionomia, e non la cambia fra casa e trasferta: anche le sconfitte sul campo del Sevilla e del Villarreal sono arrivate dopo prestazioni assolutamente alla pari, nonostante il passivo ingeneroso. Certo, il Bernabeu questo fine-settimana sarà un’altra cosa ancora.

È un Athletic più ordinato e con più soluzioni. Il pelotazo verso Llorente sta retrocedendo ad alternativa estrema invece che unica risorsa. Attorno al centravanti, sempre il giocatore determinante, aumentano le alternative. L’equilibrio nasce da una gestione più razionale del possesso-palla. Ad inizio azione, ben aperti i due centrali San José ed Amorebieta (a loro agio in impostazione), più alti i terzini Iraola e Aurtenetxe, più vicini a Llorente e con maggiori possibilità di accentrarsi gli esterni Susaeta e Muniain; in mediana poi Javi Martínez si stacca da Gurpegi, con la possibilità di inserirsi al limite dell’area per il tiro da fuori. Più che mai consacrato “Javitxu”, eccellente nel creare linee di passaggio coi suoi movimenti e sempre più efficace nel giocare con pochi tocchi, tenendo sempre pronta comunque l’arma delle progressioni palla al piede consentite dalla sua grande fisicità.
L’Athletic guadagna gioco per linee interne, Llorente non deve sempre mettere giù palla, aspettare che salgano i compagni, può giocare più spesso di prima (ed è più assistito: gli 8 gol in 11 partite, record personale a questo punto della stagione, non sono mica piovuti dal cielo), e ne guadagna anche il gioco sulle fasce, che resta pur sempre la prerogativa migliore. Con più movimenti coordinati centralmente e fra le linee cresce infatti la possibilità di attrarre la difesa avversaria facendole scoprire lo spazio per le sovrapposizioni a sorpresa. Un circolo virtuoso. La più battuta è sicuramente la fascia destra, con Susaeta e Iraola: la propensione di Susaeta ad allargarsi per cercare il fondo lascia spazio anche centralmente a Iraola (al solito imprescindibile), che quando ne ha l’occasione ama portare palla e sorprendere col suo tiro dalla distanza (già 2 gol).

Molto diversa la composizione della fascia sinistra: Iker Muniain è per forza un discorso a sé. Le recenti prestazioni di “BartSimpson” hanno sbalordito, spazzando via i dubbi e le esitazioni residue di Caparrós. Chissenefrega se ha solo 17 anni, se poi domina la scena così. Si fanno sempre delle astrazioni… più gioco per linee interne, dicevo sopra, ma ad attribuire concretezza a certi propositi sono le caratteristiche dei giocatori. Muniain è strepitoso nello smarcarsi fra le linee, e in generale nel leggere le situazioni: lo abbiamo più volte definito seconda punta più che trequartista, però la capacità di tenere palla, liberarsene sempre coi tempi giusti, far girare la squadra attorno a sé, lo rendono già un fulcro importante della manovra, ben oltre spunti e accelerazioni isolate. Dà un altro volto a tutta la squadra. E poi diverte: pianta le gambe, si ancora al terreno, piazza il sedere fra pallone e avversario e non lo schiodi più. Quanti più avversari gli vanno addosso, tanto più diventa difficile togliergli palla. Il baricentro basso, la facilità nel coordinarsi e controllare palla e l’esplosività muscolare gli consentono poi di saltare l’uomo in scioltezza, anche se cerca poco la linea di fondo.
Le possibilità di rinascita dell’Athletic sono come ovvio legate alla salute della cantera, più che mai promettente dopo qualche anno un po’ sottotono: oltre a Muniain, da registrare l’affermazione di Mikel San José, nazionale Under 21, uno dei migliori centrali della Liga in prospettiva, sempre più autorevole.

Non viene da Lezama ma dalla cantera dell’Alavés il 21enne Igor Martínez, che si contende con Toquero il posto di seconda punta. Movimenti simili, ricerca costante del taglio dal centro verso l’esterno, ancora più pronunciata in Igor Martínez. Un movimento utile ad allargare la linea difensiva e dare più respiro a Muniain per i suoi tagli esattamente inversi, dall’esterno verso il centro. Una soluzione che l’Athletic cerca frequentemente: quando i baschi iniziano l’azione coi difensori, la prima idea è cercare i due centrocampisti centrali, o uno dei due esterni che si accentrano e vengono incontro; quando questi sono pressati l’alternativa invece è proprio la ricerca di questo taglio verso la fascia di Igor Martínez/Toquero, con un passaggio effettuato lungo la linea del fallo laterale; ultima opzione, il lancio lungo subito alla ricerca di Llorente. Igor Martínez rispetto a Toquero ha qualcosa in più nel controllo di palla e nell’uno contro uno: veloce, ma anche un po’ acerbo, troppo frenetico e poco lucido nel rifinire o concludere l’azione. Forse è ancora preferibile, pur nei suoi imbarazzanti limiti tecnici, il lavoro sporco di Toquero.

LAthletic più a suo agio in fase di possesso ha ricadute positive anche difensivamente. Un “gioco di posizione” ordinato prepara una transizione difensiva ordinata. La squadra avanza più compatta, con distanze più ravvicinate che le consentono di accorciare o pressare più facilmente non appena perde palla. Primo pressing che avviene coi due attaccanti, Javi Martínez come seconda barriera (utilissima anche per spezzare eventuali contropiedi coi falli tattici); fallito questo primo pressing, Javi si riallinea con Gurpegi (più bloccato davanti alla difesa) quando all’Athletic tocca ripiegare nella propria metacampo. Tutto quest’insieme fa sì che l’Athletic risparmi metri ed energie preziose fra una fase e l’altra.

Etichette:

lunedì, novembre 08, 2010

AVVISO.

Purtroppo nemmeno questa settimana potrò aggiornare il blog: non posso dedicare sufficiente tempo e concentrazione a scrivere qualcosa di decente su partite come il derby di Madrid di ieri o il magnifico Barça-Villarreal che ci attende nella prossima giornata, e tantomeno ad ulteriori approfondimenti.
Spero di tornare "in forma" per il Clásico, nel mentre rimango a disposizione per i vostri commenti e per il pezzo di questa settimana sul sito del Guerin Sportivo.