giovedì, settembre 29, 2011

Diego Alves, ma non solo.

È evidente che il Valencia non è al livello di Chelsea e simili, e non lo sarà nemmeno a fine stagione. È evidente anche che per la quantità di occasioni prodotta il pareggio sta stretto ai londinesi, ed è pure chiaro che la classifica del girone non è per niente incoraggiante (soprattutto per il pareggio di Genk, risultato pessimo), però la sensazione è che questo Valencia sia molto migliore dell’anno scorso, una squadra ricchissima di alternative e con una crescente capacità di stare in partita contro chiunque e in qualunque contesto tattico gli si presenti.

La partita di ieri è stata di buon livello, non di quelle che salti sulla sedia per quanto ti diverti, ma di quelle che apprezzi per come le squadre cercano di superarsi a vicenda, misurando attentamente ogni singolo passo senza per questo rintanarsi.

Nel primo tempo in particolare si sono annullate: Emery ripropone il doppio terzino Jordi Alba-Mathieu visto col Barça, conferma i pieni poteri a Banega e dà spazio (finalmente!) a Canales sulla trequarti.

Primi 15 minuti difficili, perché il Chelsea chiude le linee di passaggio al Valencia, con Lampard e Ramires attenti e aggressivi nel pressare Banega e Albelda. Passato il quarto d’ora però il Chelsea non riesce più a ripartire, perché il Valencia guadagna metri ad inizio azione coi difensori (Victor Ruiz è un asso in questo), liberando un po’ Banega dalla pressione delle mezzeali del Chelsea. Canales invece conferma tutta la sua intelligenza nel cercarsi gli spazi intermedi (solitamente fra terzino ed esterno avversari, impegnati però già da Miguel/Pablo Hernández da un lato e soprattutto Jordi Alba/Mathieu dall’altra), e da lì tenere palla e dare continuità alla manovra valenciana. Proprio questa maggior continuità nel possesso-palla, che nasce già bene dalla difesa e poi acquista spessore con Banega e Canales, è la chiave del maggior equilibrio del Valencia di quest’anno, che perde palla già più raccolto nella metacampo avversaria, e quindi si risparmia metri di corse all’indietro in transizione difensiva o voragini come quelle viste alla prima giornata col Racing. Inutile poi aggiungere che, al momento di accorciare e anticipare, Rami-Víctor Ruiz al centro della difesa è un’altra cosa rispetto ai vari mix fra Ricardo Costa, Dealbert e David Navarro visti negli anni scorsi.

Il Chelsea perde campo, ma non per questo soffre particolarmente: l’unica occasione del primo tempo è una conclusione sull’esterno della rete di Pablo Hernández, sbucato in area sul solito cross della prolifica fascia sinistra valenciana. Il Chelsea è solidissimo, e si vede tutta la squadra abituata a certi palcoscenici: sempre compatta, concentrata, difende ed esce in blocco della metacampo senza farsi intimorire dal pressing del Valencia.

Nella ripresa si vede anche il volto offensivo degli inglesi, e sarebbero cavoli se non ci fosse un Diego Alves prodigioso fra i pali del Valencia. Già all’Almería il brasiliano dimostrava di esaltarsi nei bombardamenti, e qui ha di che divertirsi, con un Chelsea che in 4-5 minuti crea 3-4 palle gol nettissime. Straordinaria la reattività l’esplosività di Alves, che però non può nulla sul gol strameritato di Lampard. Dopo lo svantaggio il Valencia si disunisce e il passivo rischia di degenerare: il Chelsea tiene di più palla, coinvolgendo maggiormente anche Mata e Malouda tra le linee, e con un Torres mobilissimo che, pur non seguendolo partita dopo partita, mi sembra in chiara ripresa.

Al Valencia in svantaggio non serve più la formazione iniziale, che può dare controllo ma poca profondità. Va bene l’appoggio al centrocampo di Canales (che peraltro si eclissa un po’ nella ripresa), ma serve qualcosa che smuova la difesa del Chelsea, sicura di sé ai limiti dell’arroganza. Allora fuori Pablo H. per Feghouli, ma soprattutto Mathieu (utile ma troppo lineare in questa fase della partita) per Piatti e Jonas per Banega. Jonas è un mio pallino, particolarmente adatto contro difese schierate per la calma, la tecnica e l'intelligenza con e senza palla. Partendo da sinistra si accentra per incrociare con Piatti, che completa la pausa di Jonas col suo gioco frenetico e verticale, tagliando in diagonale o alle spalle della difesa del Chelsea e creando all’avversario qualche incertezza in più nelle marcature, utile anche per accrescere l'effetto-sorpresa delle sovrapposizioni di Jordi Alba. Pure Canales, ora in cabina di regia accanto ad Albelda, riacquista peso nella manovra e ha più opzioni per servire il passaggio filtrante, come quando smarca Piatti sul filo del fuorigioco. Questa, sventata da Cech in angolo, è l’occasione più grossa del Valencia, che, va detto, nonostante la maggior pressione offensiva nel finale, difficilmente avrebbe pareggiato senza il rigore regalato del subentrato/pallavolista Kalou. Il Chelsea meritava di vincere, ma per il Valencia il bicchiere sembra mezzo pieno.

FOTO: marca.es

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martedì, settembre 27, 2011

SESTA GIORNATA: Getafe-Betis 1-0

Ci si aspettava di più. Il Betis resta capolista ma sbaglia la partita, e il Getafe fa leva più su questo che su una prestazione di grande personalità.

Il problema del Betis nel primo tempo è che il suo consueto punto di forza, il trio di centrocampo (stavolta però c’è Matilla al posto di Beñat) che muove tutti i fili, si trasforma nell’occasione in un punto debole. Contro i due centrocampisti centrali del Getafe, il Betis parte col potenziale vantaggio dell’uomo in più, Salva Sevilla che l’esterno non lo fa mai e si aggiunge centralmente a Iriney e Matilla, smarcandosi tra le linee. Il guaio però è che, in un primo tempo in cui nessuno ne ha il reale controllo (52% Getafe contro 48% Betis), il possesso-palla del Betis dura troppo poco, e una volta persa palla sono dolori.

La superiorità numerica nella zona della palla non viene sfruttata, perché il trio del Betis palleggia sempre nella stessa minuscola zolla: se non allarghi verso le fasce non allarghi nemmeno le maglie dell’avversario, che così può stringere, raddoppiare e rubarti palla con relativa facilità. Questa gestione del possesso-palla poi non dà nemmeno il tempo ai terzini del Betis di salire e bloccare Pedro León e Diego Castro nella loro metacampo. Il vantaggio potenziale diventa uno svantaggio effettivo, perché Salva Sevilla, ancora senza il dono dell’ubiquità, non può tornare in tempo a coprire la fascia destra, e così recuperata subito la palla il Getafe ha subito pronto anche il passaggio di apertura verso Diego Castro o Mané, liberissimi sulla fascia sinistra di ripartire.

Insomma, in quest’andirivieni da una metacampo all’altra il Betis ha tutto da perdere, in difficoltà anche con la difesa alta su Güiza, che può prontamente dettare la profondità sui ribaltamenti (e se c’è uno bravo sul filo del fuorigioco, questo è il jerezano). Difesa ospite che, dopo la quasi-rimonta subita col Zaragoza, si conferma tutt’altro che impenetrabile quando tutta la squadra non può riposare sul cuscinetto del possesso-palla e tocca difendersi nella propria metacampo. Sul gol Chica fa la diagonale per marcare il secondo attaccante del Getafe, ma alle sue spalle Diego Castro è completamente incustodito: né Iriney (che sul cross di Valera avrebbe potuto fare lo stopper aggiunto, liberando quindi Chica dall’obbligo della diagonale) né Salva Sevilla (collega di fascia di Chica) correggono lo squilibrio che permette al Getafe di passare in vantaggio.

Pepe Mel a inizio ripresa cerca di correre ai ripari passando a un 4-2-3-1 simmetrico: Salva Sevilla alle spalle di Santa Cruz, Montero e Jonathan Pereira larghi, riferimenti più semplici per il possesso-palla e fasce più coperte anche in transizione difensiva. Beñat entra al posto di Matilla, ma poi esce anche Salva Sevilla per Jorge Molina, altro ariete che si aggiunge a Santa Cruz. L’intento è chiaro: due contro due con i difensori centrali del Getafe, sfruttare i cross e gli uno contro sulle fasce, soprattutto di Jefferson Montero (poi del 17enne Vadillo). Forse discutibile la scelta di rinunciare a Salva Sevilla invece che a Jonathan Pereira: la pressione delle due punte sulla difesa getafense avrebbe potuto aprire spazio per giocare tra le linee, invece il Betis punta tutto sui duelli. Più ordinato rispetto al primo tempo ma anche più prevedibile, guadagna campo più per la condotta conservatrice del Getafe, rintanato dietro (e infoltisce il centrocampo con Míchel), che per meriti propri, e le due occasioni (Pereira a tu per tu con Moya e un pericolosissimo cross di Chica nell'area piccola sventato da Valera), pure chiarissime, arrivano solo da episodi ed errori avversari.

I MIGLIORI: Diego Castro a sprazzi, ma fa intravedere quanto può pesare uno come lui a livello di medio-bassa classifica. Buona visione di gioco da Lacen.

I PEGGIORI: Matilla fallisce l’esame, trasparente nel centrocampo disordinato del primo tempo. Da Jefferson Montero qualcosa di pericoloso può sempre arrivare, ma quando non arriva il suo modo di giocare, un po’ slegato dal resto della squadra, può diventare controproducente. Si vede poco Abdel, e ci si chiede perché lui e non Sarabia al centro della trequarti.

Getafe (4-2-3-1): Moyá; Valera, "Cata" Díaz, Lopo, Mané; Rubén Pérez, Lacen; Pedro León (Míchel, min. 75), Abdel (Sarabia, min. 68), Diego Castro; Güiza (Miku, min. 64).

Betis (4-4-2): Goitia; Chica, Mario, Dorado, Nacho; Salva Sevilla (Jorge Molina, min. 54), Matilla (Beñat, min. 46) Iriney, Montero (Vadillo, min. 70); Pereira, Santa Cruz.

Gol: 1-0, min. 30: Diego Castro.

Árbitro: Turienzo Alvarez (Comité Castellano-Leonés). Mostró cartulina amarilla a Mario (min. 8), Iriney (min. 45) y Jorge Molina (min. 82) por parte visitante y a Lopo (min. 28), Pedro León (min. 40), Mané (min. 58), Diego Castro (min. 82) y Valera (min. 87) por parte local.

Incidencias: Partido correspondiente a la sexta jornada de Primera División, disputado en el Coliseum Alfonso Pérez de Getafe ante cerca de 10.000 espectadores

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domenica, settembre 25, 2011

SESTA GIORNATA: Barcelona-Atlético Madrid 5-0

Viene da chiedersi onestamente se Manzano e i suoi abbiano visto la partita di mercoledì di Valencia. Al di là dei meriti del Barça (che sono sempre la prima spiegazione, ma se dovessi incentrare su questo ogni pezzo il blog avrebbe già chiuso da tempo per mancanza di nuovi argomenti), l'Atlético ha giocato nella maniera meno intelligente possibile contro i blaugrana. Soprattutto non ha fornito risposte quando aveva il pallone: se il Valencia mercoledì aveva castigato il 3-4-3 di Guardiola (ora chiaramente un 3-4-3, con Fàbregas molto più centrocampista) attaccando gli spazi alle spalle delle mezzeali culè con un "doppio terzino" Jordi Alba-Mathieu, in questo caso l'Atlético ha semplicemente ignorato questi spazi, che rappresentano il potenziale punto debole del nuovo modulo di Guardiola.

Passaggio al centro, passaggio al centro e poi ancora passaggio al centro...fra Tiago, Mario, Gabi e Reyes più appiccicati fra di loro che nella metropolitana di Tokyo all'ora di punta. In panchina Arda Turan, che in quest'Atlético "di centro"si stava dimostrando l'equilibratore coi suoi intelligenti tagli verso la fascia, e poi per togliere ancora più respiro sugli esterni l'inspiegabile panchina di Filipe, cui viene preferito Antonio Lopez (nonostante il primo aprile sia ancora molto lontano). Con una manovra così asfittica, è stato ancora più facile per il Barça stringere le maglie e pressare. Manzano ha cercato di correre ai ripari a inizio ripresa allargando un po’ il campo con gli ingressi proprio di Arda (al posto di Mario Suárez) e di Salvio (al posto di un Reyes ancora una volta pesce fuor d’acqua in questa posizione di pseudo-trequartista), ma il risultato era già 3-0 e comunque Guardiola ha assicurato le coperture difensive necessarie, passando alla difesa a 4 con l’ingresso di Piqué.

Per il resto, va ribadita, Valencia a parte, la difficoltà di ogni avversario del Barça nel leggere e intercettare tutte le possibili linee di passaggio dei catalani schierati col 3-4-3. L’Atlético non commette l’errore dell’Osasuna di pressare tanto alto (anche se la difesa si alza parecchio), però si fa comunque superare sui primi passaggi, Diego e Reyes sono poco aggressivi e non sanno bene quando avanzare e quando temporeggiare, e quindi il Barça con i cambi di gioco trova sempre l’uomo libero sul lato opposto. Quest’uomo spesso è un eccellente Fàbregas, che compensa la tendenza ad accentrarsi di Xavi e Thiago, per motivi diversi. Con un Cesc così impegnato a centrocampo, mancano quei movimenti coordinati con Messi ad allungare la difesa avversaria (uno viene incontro, l’altro attacca lo spazio), e il Barça per trovare la profondità si affida maggiormente ai tagli in diagonale delle due ali, vedi il gol di Villa, o alle azioni palla al piede dello stesso Messi, quando si fa trovare smarcato fronte alla porta. Imbarazzante la mollezza di Godín sul terzo gol, impressionante invece il quarto.

Barcelona (3-3-1-3): Valdés; Alves, Mascherano, Abidal (Maxwell, m. 80); Xavi, Busquets (Piqué, m. 54), Thiago; Cesc (Keita, m. 72), Pedro, Messi y Villa. No utilizados: Pinto, Puyol, Adriano y Fontàs.

Atlético (4-3-2-1): Courtois; Perea, Godin, Miranda, Antonio López; Tiago (Adrián, m. 78), Mario Suárez (Arda Turan, m. 46), Gabi; Reyes (Salvio, m. 46), Diego; Falcao. No utilizados: Asenjo, Filipe Luis, Domínguez y Juanfran.

Goles: 1-0. M. 8. Villa. 2-0. M. 14. Miranda, en propia puerta. 3-0. M. 25. Messi. 4-0. M. 77. Messi, cruza el balón en otra jugada individual. 5-0. M. 91. Messi, en pared con Villa.

Árbitro: Delgado Ferreiro. Amonestó a Piqué y a Perea.

83.730 espectadores en el Camp Nou.

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lunedì, settembre 19, 2011

Nemmeno nei peggiori incubi.


Difficilmente in questa fase della stagione, l’Athletic Bilbao avrebbe potuto trovare un avversario più difficile del Betis. Una squadra come quella di Bielsa, che cerca gli automatismi e le distanze giuste nel pressing alto, contro una squadra straordinariamente rodata come quella sivigliana, che basa il suo gioco su un possesso-palla molto fluido e sulle rotazioni continue di centrocampisti (in particolare il triangolo Iriney-Beñat-Salva Sevilla, il vero fulcro) che giocano sempre vicini, si dispongono su più linee e complicano notevolmente il lavoro a chi tenta di pressarli e scalare coi tempi giusti. Tanto più a un Athletic che questi concetti sta appena iniziando ad applicarli, dopo anni e anni in cui gli erano totalmente estranei.

L’esito è stato quello che (senza aver nulla contro il Betis) temevo: un massacro. Il 2-3 finale è bugiardo perché gli ospiti più di una volta si son messi la mano sul cuore una volta giunti davanti ad Iraizoz, sugli sviluppi di azioni clamorose per la facilità con cui l’Athletic regalava spazi.

Pressing disordinato quello dei baschi, uno alla volta, e allora Salva Sevilla & C. ti fanno correre a vuoto coi loro passaggi, e Montero una volta che si apre lo spazio prende palla e non lo vedi più.

Come al solito prodigo di spiegazioni e onesto nell’analisi, Bielsa fornisce le chiavi del divario attuale fra le due squadre: “Ogni volta che loro recuperavano la palla riuscivano a finalizzare mentre noi la perdevamo a inizio azione. Riassumerei questa evidente superiorità dicendo che il Betis ci ha tolto il pallone con facilità e ha tardato nel perderlo”; ”Quando non si finalizzano le azioni offensive, ricompattare i reparti che si separano al momento di attaccare costringe a percorrere 30-40 metri di campo ogni volta”.

Fase difensiva e offensiva non vanno mai considerate separatamente, l’esito dell’una influisce sulla preparazione dell’altra, sulle transizioni di tutta la squadra. L’Athletic era sempre lungo in fase difensiva anche perché attaccava male. I due gol incassati subito hanno tolto ulteriormente tranquillità ai giocatori di casa, generosi ma molto precipitosi nell’abusare di cross e palloni frontali. Non aiuta certamente l’infortunio di Ander Herrera, proprio in questo momento in cui la squadra cerca una sua identità e avrebbe bisogno come il pane del giocatore più capace di legare i reparti e dare i tempi. Bielsa in alternativa ci sta provando con Muniain trequartista, e l’idea non è male perché Iker è molto di più di una mezzapunta brava ad accelerare: è un talento speciale, a momenti con una pausa degna di Iniesta, con la capacità innata di temporeggiare e agevolare lo smarcamento dei compagni, ma non gli si può chiedere di essere da solo una squadra che ancora non c’è.

All’interno di questo discorso, una menzione speciale la merita poi il calamitoso Amorebieta: se l’obiettivo di questo nuovo Athletic è generare sin dalla difesa superiorità nella zona della palla, e avanzare ordinatamente attorno ad essa, beh…il basco-venezuelano è l’Anti-Calcio. Incredibile osservare la quantità di palloni che spreca ad ogni partita. Se si presenta una situazione in cui ha spazio per avanzare, provocare l’uscita di un avversario e passarla al compagno libero più vicino (la superiorità nella zona della palla di cui sopra), lui fa l’esatto contrario, lancia a casaccio o comunque verso una zona lontana in cui l’Athletic questa superiorità non la può proprio creare, perché si tratta del solito Llorente che va a staccare contro uno-due difensori. Tentare la sorte, il lancio della monetina, non proprio gli automatismi che cerca l’Athletic. Ogni volta di più che lo vedo, Amorebieta mi sembra meno compatibile con quest’idea di calcio.

Un bel problema quello della difesa, reparto dove Bielsa finora ha dimostrato di avere le idee poco chiare: assente San José, uno spreco Javi Martínez centrale (infatti ieri a partita in corso è retrocesso Gurpegi per far tornare Javitxu al suo ruolo abituale), mentre per l’altro posto nessuna garanzia: detto di Amorebieta, con Ekiza (pedina fissa per Caparrós la passata stagione) Bielsa ancora non si azzarda, mentre l’idea di Aurtenetxe centrale, sulla carta interessante (meno fisico, ma probabilmente anche meno grossolano e più ordinato di Amorebieta), resta per ora solo sulla carta.

Il punto però, alla terza giornata, rimane sempre lo stesso: non il fatto che l’Athletic stia giocando male, questo è difficile negarlo, ma quanto tempo si vuole dare al progetto. Criticare la squadra per come gioca è sacrosanto, ma che alcuni settori del pubblico partano coi fischi al terzo passaggio rasoterra fra i difensori non è rispettoso e non aiuta il lavoro dei giocatori e del tecnico. Leggere poi, già dopo la partita con l’Espanyol, interrogativi su Bielsa, se mangerà o no il torrone, il panettone o quello che volete, non è corretto e segnala un qualche preconcetto, perché nessuno giustamente disse nulla quando Caparrós vinse una sola partita sulle prime nove casalinghe alla guida dell’Athletic (come ricorda Santiago Segurola, uno dei migliori giornalisti sportivi spagnoli oltre che tifoso zurigorri dichiarato).

Inutile ricordare poi che si corrono meno rischi costruendo una squadra basata su lanci lunghi e 8 giocatori che rimangono dietro la linea della palla. Soffri di meno i primi tempi, di sicuro eviti figuracce come quella di ieri col Betis, però le tue possibilità sono anche inferiori a lungo termine. Sai fare solo quello e sai che non andrai oltre. Se invece cerchi triangolazioni, sovrapposizioni, tagli, tanti giocatori che partecipano all’attacco, è logico che in mancanza di rodaggio rischi di regalare molti più spazi alle tue spalle. Chiedere pazienza, molta pazienza è il minimo, e con Málaga e Villarreal nelle prossime giornate qualche altro rospo da ingoiare non può nemmeno essere escluso. Altrimenti si può chiamare il Mané di turno a stagione in corso e accontentarsi di una rassicurante mediocrità.

FOTO: marca.es

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domenica, settembre 18, 2011

Come affrontare il mostro?

Non staremo qui a commentare l’ennesima partita senza storia (forse più ancora dell’8-0 finale a un certo punto, a ripresa inoltrata, sbalordiva il dato del possesso-palla: 90% per il Barça!), ma a livello generale la partita di ieri qualche spunto lo fornisce.

Guardiola ha riproposto anche contro l'Osasuna il 3-3-4 col doppio falso centravanti Cesc-Messi, e i blaugrana hanno sfruttato i vantaggi potenziali del modulo con ancora maggior continuità e convinzione rispetto alla goleada della prima col Villarreal.

Il vantaggio fondamentale è la possibilità di trovare appoggi quasi infiniti (ovviamente sempre che tu abbia i giocatori col piede e i tempi giusti per gestire il pallone: sono sempre loro a fare il modulo, gli interpreti) in zona centrale, mantenendo come riferimenti esterni solo le due ali (stavolta Villa e Alves, avanzato in attacco), il cui compito fondamentale è bloccare i terzini avversari per lasciare spazio al centro ai compagni, dispensati da possibili raddoppi.

Tre difensori a inizio azione son già difficili da pressare, ma il vantaggio rispetto al 4-3-3 di sempre è che stavolta il terzo difensore non è un centrocampista che si abbassa e toglie quindi un effettivo alla mediana. No, oltre a un difensore in più per iniziare l’azione rimane anche il centrocampista centrale in più rispetto al prevedibile doble pivote avversario. Abbiamo visto tutte le difficoltà dell’Osasuna, che certo non è partito arrendevole, ma ha cercato di pressare alto: il problema però è che col 4-2-3-1 di Mendillibar se sui difensori blaugrana andavano a pressare attaccante+trequartista+un terzo della linea delle mezzepunte, al Barça rimaneva sempre la possibilità di servire una delle due mezzeali (Xavi e Thiago), che si potevano allargare e ricevere senza essere disturbati, perché Villa e Alves tenevano bloccati i due terzini e nemmeno il doble pivote osasunista, Lolo-Puñal, poteva scalare, dovendo già pensare ai centrali del Barça e dare un’occhiata anche a Fabregas e Messi, sempre pronti ad aggiungersi al centrocampo o smarcarsi tra le linee. Insomma, troppe opzioni di passaggio per poterle neutralizzare a partire da una strategia di pressing alto.

Il 3-3-4 esalta la tendenza classica del Barça a palleggiare su un lato, attirare la difesa avversaria e poi smarcare l’uomo libero sull’altro lato, ma è un problema che prescinde dal modulo: troppo rischioso pressare altissimo il Barça. Può funzionare per una decina di minuti, ma poi gli uomini di Guardiola si sistemano meglio, su più linee, cominciano a far filtrare qualche passaggio e alla fine è l’avversario ad allungarsi e ad avere troppo campo da coprire. L’esempio più celebre delle controindicazioni di questa strategia è il Manchester United dell’ultima finale di Champions. Ad ogni errore di tempismo, anche il minimo, nell’andare in pressing sui suoi difensori, è come se al Barça concedessi un contropiede.

Allora quale può essere l’alternativa? Il Milan di martedì scorso? Naaaaaah…

La strategia difensiva del Milan era basata su un concetto molto semplice, rozzo ma verissimo: per segnare bisogna passare per il centro, per forza, a meno che non ti chiami Mortensen. Allora io mi difendo non solo con quattro difensori, ma i quattro centrocampisti li metto strettissimi, tutti accentrati, e mi preoccupo relativamente delle corsie esterne, lasciando che Alves prenda palla e arrivi indisturbato addirittura fino al vertice della mia area di rigore. Difendo stretto e difendo bassissimo, perché se non lascio spazio fra l’ultimo difensore e Abbiati il Barça non può materialmente verticalizzare. Lascio le corsie esterne e difendo nella mia area perché tanto il Barça non ha giocatori forti di testa in attacco.

Nel dopopartita su Sky Ancelotti ha sottolineato come per lui questa sia la strategia ideale contro il Barça, in particolare per il fatto di togliergli la verticalizzazione e costringerlo al cross. Idee già messe in pratica in questi ultimi anni anche dall’Inter di Mourinho (in emergenza per l’espulsione di Motta) per quanto riguarda la difesa bassa, e dall’Hércules vittorioso al Camp Nou la scorsa stagione per quanto riguarda il trascurare la difesa delle fasce.

Ora, sebbene rimanga il sospetto che fra me e Ancelotti il secondo ne capisca qualcosa di più, io non sono d’accordo. Vero che non ha la verticalizzazione facile, ma non per il fatto di attaccare difese basse il Barça è costretto a ricorrere al cross alto. L’argomento del gioco aereo è privo di peso: se Alves ha la possibilità di portare palla fino al vertice dell’area (perché non marcandolo posso vigilare meglio al centro su Messi & C.), può benissimo buttare dentro un traversone rasoterra, veloce, che fra mille gambe diventa pericolosissimo. Difendere così per 90 minuti non è sostenibile, dimenticare che comunque concedi sempre ad Alves e a Pedro l'opportunità costante dell'uno contro uno vicino alla tua area di rigore, per quanto esterno esso sia.

Inoltre è in generale, considerando il gioco nella sua globalità, una strategia da squadra piccolissima, quasi dilettantesca. Con otto giocatori schiacciati al limite della tua area semplicemente rinunci a qualsiasi transizione offensiva: quando recuperi palla, i tuoi giocatori sono disposti in maniera tale da non poter riorganizzare un attacco in tempi accettabili. Non a caso il Milan ha tirato due volte in tutta la partita, e col gentile ausilio delle distrazioni difensive del Barça.

La strategia migliore, il metro di paragone, rimane quindi il Real Madrid che soffiò l’ultima Copa del Rey ai catalani. Pressing molto aggressivo, ma non troppo alto, a partire dal cerchio di centrocampo e dalle mezzeali blaugrana, non dai difensori. Lasciare che Piqué e Puyol (o Mascherano, o Abidal, o Busquets…) si passino il pallone, tenere le posizioni senza cascare nella trappola del Barça (che porta palla coi difensori per cercare di far uscire gli avversari, sfilacciarli e allungarli) e aggredire soltanto quando Iniesta e Xavi cercano di avvicinarsi al pallone, col fine di non farli mai girare. Allora pure Messi dovrà abbassarsi più del solito per prendere palla, e il Barça rischierà di perdere qualche riferimento offensivo.

Anche questa strategia ovviamente può essere applicata bene (un altro esempio positivo è l’Arsenal che vinse all’Emirates 2-1) come essere applicata male (il Porto che a Montecarlo ha lasciato qualche spazio di troppo tra le linee). Insomma, ho impiegato 6300 battute solo per dirvi che contro il Barça non è facile giocare. Scusate.

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giovedì, settembre 15, 2011

Un Submarino che fa acqua.


Se questa è la maniera, forse non vale nemmeno la pena di presentarsi in campo, tanto più se ti trovi nel cosiddetto girone di ferro. Deprimente il Villarreal visto ieri contro il Bayern. Poteva finire molto peggio di 0-2, ed è un’immagine umiliante per l’intero calcio spagnolo.

In sede di presentazione del nuovo campionato, avevo espresso qualche dubbio sull’organico amarillo, profilando un suo possibile indebolimento. Il dubbio ancora non è una certezza, ma sicuramente l’ultima cosa che serve è che l’allenatore ci aggiunga del suo, snaturando il sistema di gioco. In fondo, hai solo il Bayern di fronte, perché non fare esperimenti?

In tutti questi anni siamo stati abituati a vedere un Villarreal schierato con un 4-4-2 “sudamericano”, senza esterni di ruolo a centrocampo, un quadrato più che un trapezio. Compito di questi esterni è partire dalla fascia per tagliare al centro, creare linee di passaggio fra la difesa e il centrocampo avversario. Così giocano vicini ai mediani, creano superiorità e al tempo stesso, attirando su di sé le attenzioni difensive, creano spazio sulle fasce per gli inserimenti a sorpresa dei terzini.

Ora, il punto non è il modulo, il punto è la filosofia di gioco, creare queste linee di passaggio fitte davanti a chi porta palla. Si può fare con un 4-4-2 come con il 4-3-1-2 (vedi anche il bel Málaga che lunedì ha liquidato il Granada), ma non si può fare con l’undici scelto da Garrido, che toglieva al Villarreal di avere i punti d’appoggio di cui sopra, quelli a partire dai quali di solito si organizza e si equilibra.

Centrocampo a tre con Senna davanti alla difesa, Bruno a sinistra e Marchena mezzala destra (!?!?!?). Tre giocatori che per caratteristiche tengono la posizione, restano bloccati e non possono certo appoggiare il gioco offensivo muovendosi davanti alla linea della palla.

Separati, nettamente separati da loro, i tre uomini offensivi, Rossi e Nilmar e il trequartista, debuttante, De Guzman (Borja Valero squalificato). De Guzman che non sapeva dove sbattere la testa: senza movimenti attorno a lui che lo liberassero un po’ (a parte i soliti volenterosi Nilmar e Rossi), l’olandese non riusciva proprio a smarcarsi in zone utili per ricevere fronte alla porta. La mancanza dei consueti tagli dei falsi esterni, che portassero via l’avversario, ha tolto slancio pure ai terzini, individualmente incapaci di dare profondità senza che qualcuno creasse loro lo spazio. Mario a destra è offensivamente mediocre, non si scopre certo oggi, Catalá un po’ più tecnico ma comunque incapace di arrivare sul fondo da solo.

Risultato: in tutto il primo tempo il Villarreal praticamente non è riuscito a passare la sua metà campo. Non convincono le giustificazioni di Garrido: “Se giochiamo sempre allo stesso modo, i rivali ci conosceranno”; Volevamo che De Guzman, Rossi e Nilmar non avessero troppe preoccupazioni difensive”.

Certo, la tua squadra è incapace di superare la metacampo, di accorciare in avanti, allora lasci tre davanti e ti copri dietro per magari ripartire in contropiede. Nulla di male sulla carta, peccato però che il Bayern giochi con un 4-2-3-1 e mandi sempre avanti i terzini, e che terzini (Lahm a sinistra, Rafinha a destra dopo l’uscita per infortunio di Van Buyten). Con tre giocatori “disattivati” in fase difensiva, seguendo le dichiarazioni di Garrido, qualcosa non torna: girando palla da un lato all’altro il Bayern trova sempre l’uomo libero nelle sovrapposizioni, perché il trio Marchena-Senna-Bruno non può coprire in ampiezza. Così arriva il primo gol. Il Villarreal non la vede mai.

Immalinconisce vedere Senna ora come ora: l’ispano-brasiliano somiglia sempre di più a un ex giocatore, arriva sempre in ritardo e impiega un’eternità per giocare la palla. Marchena a destra poi è la dimostrazione che non per il fatto di aggiungere un giocatore dalla caratteristiche difensive ci si difenda necessariamente meglio. Forse Cani dal primo minuto avrebbe fatto salire un po’ più la squadra, prolungato le fasi di possesso, e costretto il Bayern a correre anche all’indietro. Questo pur ammettendo che anche con Cani dentro, nella ripresa, il Villarreal ha continuato a fare pena.

FOTO: elpais.com


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lunedì, settembre 12, 2011

SECONDA GIORNATA

Tre punti buttati via e segnali un po’ preoccupanti per il Barça, rimontato sul campo della Real Sociedad. Rimontato dopo aver costruito un doppio vantaggio in poco più di dieci minuti. In quel frangente il timore era quello di un’altra goleada imbarazzante per la credibilità della Liga: Real Sociedad improponibile nel suo 4-1-4-1 (Mariga preferito ad Aranburu) con difesa altissima ma senza pressare chi faceva il passaggio. Xavi o chi per lui alzava la testa, imbucava e il gioco era fatto.

Talmente facile che il Barça ha finito per rilassarsi: i passaggi son diventati via via più fini a sé stessi, giusto per tenere palla, Fàbregas da falso centravanti ha finito con l’appiattirsi sempre più sul centrocampo, e gli assist alle spalle della difesa txuri-urdin sempre più scontati, con una circolazione troppo lenta e sempre meno movimenti che distraessero la difesa di casa.

Così la Real, tutto sommato sopravvissuta alla fine del primo tempo, ha finito col crederci, e registrando qualcosa dietro (bene il canterano Iñigo Martínez), con più aggressività sulle linee di passaggio blaugrana, è rientrata in partita. Prima grazie ad Agirretxe (confermato al centro del tridente, Vela invece in panchina per il ritorno di Griezmann), rivelazione di inizio stagione, e poi grazie a…Villa (subentrato all’infortunato Alexis Sánchez, otto settimane fuori), che con uno sconsiderato retropassaggio innesca l’azione del pareggio della Real, firmato Griezmann.

Guardiola butta dentro i big Iniesta e Messi, preservati dopo la sosta delle nazionali, ma è un Barça che fatica a ritrovare la cattiveria giusta dopo essere colpevolmente uscito dalla partita. Lezione di umiltà.

Real Madrid a due facce: bene a tratti in un primo tempo complessivamente di buon livello anche per la dignitosissima figura del Getafe; malissimo, ma paradossalmente più prolifico, nel secondo tempo.

Il primo tempo conferma l’idea di Mourinho in fase offensiva, la mancanza totale di punti di riferimento e il movimento costante. Tre le chiavi: Özil, Benzema, Coentrão. Il tedesco rispetto alle sue prime partite a Madrid è un giocatore che pesa sempre di più sull’elaborazione della manovra, non solo nella fase di accelerazione a partire dalla trequarti. Non si limita a dettare il passaggio verticale, ma sempre più spesso si avvicina a Xabi Alonso. Coordinato coi movimenti del tedesco, il lavoro di Coentrão, una scheggia impazzita. Davanti alla linea della palla, tagliando verso l’esterno o verso l’interno, inserendosi in area di rigore, il portoghese è sempre il terzo uomo, quello che genera la sorpresa, nella zona in cui il Madrid sta giocando la palla.

Dulcis in fundo, Karim Benzema, il principe degli attaccanti di manovra. La sua tendenza a uscire dall’area di rigore offre un punto d’appoggio sempre più prezioso alla manovra madridista (senza dimenticare che il francese non dimentica quando serve dare la profondità e schiaffarla dentro). In questo momento lui assieme a Özil, Coentrão, Xabi Alonso e Marcelo orienta e dà spessore al gioco madridista più di quanto non faccia Cristiano Ronaldo, che si limita ad aspettare lo spazio o il momento giusto per piazzare lo spunto.

Il Real Madrid potrebbe meritare di più per le occasioni, ma non si può dire che il Getafe rubi l’1-1 alla fine del primo tempo. Buona impressione dalla squadra di Luis García, che pure non poteva disporre di tre dei suoi migliori elementi (Diego Castro, Pedro León e Lopo). Sarabia promosso sulla sinistra, Torres centrale e Valera terzino destro, per il resto stessa formazione vista col Levante, un 4-5-1 molto raccolto nel retrocedere nella sua metacampo ma anche nell’uscirne in blocco, talvolta con disimpegni notevoli palla a terra sul pressing madridista. Sempre ben raccolta e quindi con un buon controllo delle transizioni fra le due fasi. Non sono un fan di Miku, ma il suo movimento ha creato più di un grattacapo alla coppia Pepe-Carvalho, non impeccabile.

Nella ripresa, un’altra partita. Il Madrid si allunga, un po’ per la stanchezza un po’perché comincia ad esagerare con le iniziative individuali palla al piede che tendono a spezzare in due la squadra (si segnala in negativo Cristiano Ronaldo), con i quattro giocatori offensivi che faticano a ripiegare. Con la squadra più lunga, anche Coentrão perde punti di riferimento, e in qualche momento della fase difensiva si vede che quello di centrale non è il suo ruolo.

Il paradosso però è che in queste fasi il Madrid può diventare ancora più pericoloso: invita l’avversario a giocarsela, e con quattro giocatori che non tornano in difesa, e possono ripartire in campo aperto, può segnare in qualsiasi momento. È quello che succede, tanto che giocando male arrivano tre gol nel secondo tempo. Cristiano Ronaldo fa un gol e un bell’assist, e lui sarà contento così anche se la sua non è stata una buona prestazione in realtà.

Deludente il big-match della giornata, Valencia-Atlético Madrid. Emery fa storcere un po’ il naso con la sua formazione: Albelda-Tino Costa nel doble pivote, poi Pablo-Jonas-Piatti dietro Soldado. Intensità altissima, grande velocità e costante intenzione di verticalizzare, ma poco cervello nel gestire le azioni offensive. Difetto non nuovo. Quel Canales in panchina non si capisce (Parejo invece non è stato nemmeno convocato nelle prime due partite, questo parla chiaro), ma in parte spiega perché soprattutto nel primo tempo la gara veda susseguirsi azioni da una metacampo all’altra senza troppo criterio.

L’Atlético però non ne approfitta, perché pur con i difetti esposti sopra, il Valencia è una squadra, mentre i colchoneros non ancora, nulla di strano. Manzano gioca con questa specie di tridente nel quale Reyes occupa una posizione abbastanza indefinita: non parte da destra per accentrarsi come con Quique, direi che parte già abbastanza accentrato, come trequartista. Al di là degli spunti individuali però pesa pochissimo sulla manovra. Le altre due punte, Falcao e Adrián, si dividono gli spazi in base alle loro preferenze, e cioè Falcao centravanti classico che si muove fra i centrali avversari, Adrián che svaria anche verso le fasce.

L’Atlético però copre male il campo in ampiezza, e non crea i presupposti perché i terzini possano inserirsi a sorpresa (Silvio comunque mi sembra ogni volta che lo vedo sempre più un acquisto azzeccato: uno di quei terzini che hanno il pregio di alzare la testa). Non avvolge l’avversario e non accorcia nella sua metacampo, e questo lo rende al momento più vulnerabile nei ripiegamenti, perché i 3 mediani non fanno in tempo a coprire le sovrapposizioni dei terzini avversari. L’azione del gol di Soldado su cross di Miguel (ma non lo avevano fatto fuori?) parla chiaro.

Mario Suárez è evidentemente di troppo (anche se Manzano nell’occasione ha fatto uscire Tiago), e la squadra ha risposto meglio con gli ingressi di Diego, Juanfran e Arda Turan. Solo sulla carta più sbilanciato, l’Atlético invece si è organizzato meglio in fase di possesso, con Diego a dirigere e i due subentrati, esterni di ruolo, a dare riferimenti più chiari, aprendo campo anche a Reyes, più presente nell’ultimo quarto della gara. Anche Emery però se l’è un po’ cercata, con cambi esclusivamente difensivi (Jordi Alba per Piatti, Topal, doppione di Albelda, al posto di Tino Costa nel doble pivote; Canales dentro solo per l’infortunio di Jonas, ma non riesce a entrare in partita) che hanno schiacciato troppo dietro la squadra nel finale.

Qualcuno comincia a borbottare invece sul fronte Athletic Bilbao. Un punto dopo due partite, comprensibile se si pensa che l’idea di gioco di Bielsa esige più tempo della media per mettere radici, incomprensibile per chi invece pretende tutto e subito. L’esito della stagione dell’Athletic dipende da quale delle due tendenze prevarrà…

Bielsa perde il confronto con l’allievo Pochettino (sua scoperta come giocatore ai tempi del Newell’s, ispiratore invece del Pochettino allenatore). Quanto a occasioni ci poteva stare anche un pari (Cristian Álvarez, portiere di casa, fra i migliori in campo), ma certo all’Athletic manca ancora tantissimo.

Pessimo il primo tempo, stramba la formazione scelta dal Loco: Ia predilezione del tecnico argentino per centrocampisti che giochino da terzini (in modo da esaltare la predisposizione offensiva delle proprie squadre) stavolta porta all’impiego di Iñigo Pérez (un centrocampista centrale, massimo esterno sinistro) da laterale difensivo, spostando invece De Marcos, il titolare del ruolo nelle gare precedenti, a centrocampo, come mezzala accanto a Ander Herrera. Il gol dell’Espanyol testimonia tutta la scomodità di Iñigo Pérez nel ruolo: sguardo rivolto verso la porta, senza accorgersi dell’uomo che arriva alle sue spalle, seguendo solo la palla e dimenticandosi del resto. Un gioco da ragazzi per una vecchia volpe come Sergio García tagliare e concludere in rete il cross dall’altra fascia. Bene l’attacco dell’Espanyol: sempre intelligenti i movimenti del centravanti Álvaro Vázquez, più in evidenza nell’aprire spazi ai compagni che nel concludere; brillante il canterano Thievy, che entra subito al posto dell’infortunato Albín e sulla sinistra mostra un bel cambio di passo e personalità.

Inizialmente la partita è una marmellata a centrocampo, coi tre centrali delle due squadre che si annullano a vicenda, e nessuno che crei superiorità smarcandosi tra le linee o portando palla dalla difesa. Poi l’Athletic degenera: i baschi ancora non si muovono come blocco coeso. Quando l’Espanyol inizia l’azione, il pressing è poco coordinato: magari uno esce ad inseguire l’avversario come un assatanato, ma gli altri non scalano per coprire tutte le linee di passaggio; poi la difesa accorcia male verso il centrocampo, lasciando più di un buco.

E anche la scarsa armonia in fase di possesso influisce negativamente sulla transizione difensiva: attacchi frettolosi, con pochi giocatori che portano palla o verticalizzano frettolosamente senza dare il tempo alla squadra per salire, e così una volta recuperato il possesso, l’Espanyol trova facilmente il giocatore libero cui passare la palla per ripartire.

Un po’ più ordinato l’Athletic della ripresa. Chi lo ordina è Muniain (bene anche Iturraspe, che la sua maglia da titolare se la sta meritando tutta): è lui a tenere palla e dare il tempo ai compagni per salire ed accorciare più agevolmente anche sulle respinte avversarie. Il talento di Muniain ispira alcune occasioni per l’Athletic, anche se il gol arriva dallo strapotere aereo di Llorente su un calcio d’angolo. Nel momento migliore però s’infortuna Ander Herrera, il socio migliore di Muniain, e l’Athletic non assimila il cambio (entra Toquero e si passa a un 4-2-3-1), perdendo quel controllo sulla gara che sembrava aver acquisito. Il resto lo fa ancora una volta la prontezza di riflessi di Sergio García, che sorprende la difesa basca su un calcio di punizione battuto rapido.

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venerdì, settembre 09, 2011

Il punto sul calciomercato/seconda parte.

Osasuna

Il mercato ha visto un certo ricambio, con partenze importanti (Monreal, Camuñas, Pandiani, Aranda, Soriano) rimpiazzate da scommesse dall’estero e da giocatori “di categoria” (si spera da salvezza, non da Segunda).

Al primo gruppo appartengono l’ala ivoriana (su entrambe le fasce) Roland Lamah, dal Lens, e il terzino sinistro finlandese Raitala, al secondo i due del Tenerife (tristemente sprofondato in Segunda B), Marc Bertrán, terzino destro piuttosto offensivo, e Nino, il bomber, acquisto ad occhio azzeccato, che supera quanto a fiuto Aranda e quanto a rapidità Pandiani. Nino la porta la vede, e nell’ultima sua esperienza in Primera (solo due in carriera, quella precedente al Levante però è da dimenticare) segnò ben 14 gol, in un Tenerife pure retrocesso. Parte titolare con Kike Sola,mentre Ibrahima Baldé (lanciato un paio di anni fa dall’Atlético Madrid) e Lekić, prime punte di peso, saranno i rincalzi.

A centrocampo il “colpo” è rappresentato dal ritorno di Raúl García dopo l’esperienza sostanzialmente negativa all’Atlético Madrid (che comunque lo ha dato solo in prestito). Bisognerà vedere se sarà un Raúl García scottato da questa delusione, o il Raúl García dei bei tempi; e bisognerà anche vedere se giocherà nel doble pivote oppure sulla trequarti in un 4-2-3-1, come faceva già nell’Osasuna di Ziganda, con i soliti Puñal e Nekounam davanti alla difesa (sempre meno gli spazi per Masoud, giocoliere più che giocatore).

Indebolite le fasce (a meno che non esploda Lamah) viste le partenze in pochi mesi di Juanfran e Camuñas, ancora non rimpiazzati in maniera sicura. A destra il comunque discreto Cejudo, a sinistra invece nella prima con l’Atlético ha giocato il canterano Timor.

Affidabile il parco-centrali, col valido Roversio (tornato dal prestito al Betis) accanto all’esperto Sergio, e di scorta Lolo, Miguel Flaño e un altro nuovo, Rubén, difensore di stazza come piace da quelle parti. Ricardo ha 40 anni, e ormai farà il terzo portiere, alle spalle di Riesgo e di un altro canterano tornato da prestito, Andrés Fernández (bene al Huesca).

Non un panorama esaltante, ma l’Osasuna si è sempre basato sul blocco più che sui nomi, e c’è da pensare che sarà una squadra capace di fare giocare male più di un avversario, impostata sul pressing forsennato prediletto da Mendilibar.

Racing Santander

Anno dopo anno, vedendo l’organico e il gioco espresso, ci si chiede come diavolo faccia a restare in Primera, eppure merita simpatia per come riesce a raggiungere i propri obiettivi con così poco.

Sedotto e abbandonato dal mascalzone Ali Syed, che aveva promesso di colmare i debiti del club, il Racing si trova sotto Ley Concursal , costretto a un mercato ancora più misero degli anni scorsi. La scelta di Héctor Cúper onestamente non fa fare i salti di gioia: quello dell’argentino, progressivamente in secondo piano dopo la sua epoca d’oro a Valencia, sembra un calcio un po’ vecchio, un 4-4-2 troppo rigido, basato sì su una grande disciplina difensiva, preparazione atletica accurata e su tanta serietà, ma senza situazioni offensive studiate.

Acosta-Stuani-Tziolis-Bernardo…ve li dico tutti d’un fiato i nuovi acquisti così forse vi spaventate un po’ meno. In difesa la perdita di Henrique non è da sottovalutare, e così accanto a Torrejón troverà molto spazio un centrale giovane come Osmar (titolare come l’altro canterano Picón, terzino destro, nella prima a Valencia) o Bernardo, canterano del Sevilla in prestito. Tutto sommato discreti, anche in fase offensiva, i due terzini, Francis a destra e Cisma a sinistra.

Colsa-Diop il doble pivote titolare, poverissimo di creatività, sempre che non si inserisca il regista Edu Bedia, altro canterano (veniva segnalato come il più promettente assieme a Canales) tornato in pista dopo infortuni e prestiti in giro. Kennedy Bakirçioglu sulla destra è il giocatore di maggior qualità, buon piede e capacità anche di impostare dalla fascia, mentre Arana ha più caratteristiche da ala, spendibili fra destra e sinistra (qui in concorrenza con Óscar Serrano). Anche Adrián González (non lo chiameremo più “il figlio di Míchel” per fargli un favore) può portare quella pochissima qualità presente in rosa, sulla sinistra o al centro.

In attacco ci si aggrappa mani e piedi a Stuani, prelevato dal Levante, perché Ariel Nahuelpán come ariete è una scommessa sul punto di essere persa. Attorno a questo benedetto centravanti ronzerà uno fra Munitis (a 36 anni più che mai giocatore finito, con tutto il bene che gli vogliamo), che può sempre fare anche l’esterno, e il rapido, vivace argentino Lautaro Acosta, sfortunatissimo al Sevilla e in cerca di minuti che gli permettano di dimostrare le proprie buone qualità. Se Stuani non sfonderà reti però saranno acidissimi cavoli.

Rayo Vallecano

Saprà la disastrosa situazione economica del club motivare (paradossalmente) anche quest’anno i giocatori? Il legame fra squadra e tifosi (un’identità fra le più forti del calcio spagnolo: il Rayo è il quartiere di Vallecas, e il quartiere di Vallecas è il Rayo) rimarrà la spinta più forte? Ci sarà da soffrire, ma non mancano gli spunti di interesse, e la validissima prova d’esordio a Bilbao incoraggia.

Confermati rispetto alla promozione Cobeño fra i pali e Casado terzino sinistro, la difesa ha perso un ottimo elemento nel terzino destro Coke (per ora gioca Tito, il brasiliano e ovviamente ultra-offensivo Sueliton è la scommessa), mentre al centro due maglie per quattro candidati: Arribas, altro superstite della promozione, e i tre nuovi acquisti Jordi (dal Rubin Kazan), Labaka (Real Sociedad) e Raúl Bravo (Olympiacos), non proprio una scelta esaltante, a dirla tutta.

A centrocampo il doble pivote Movilla-Javi Fuego, e Movilla, a suo tempo buon centrocampista, a 35 anni ha perso un bel po’ di ritmo. Non è più giovane, anzi ha la stessa età, il mitico Míchel (protagonista del Rayo di fine anni ’90 che fece l’exploit con Juande Ramos), sinistro sensibilissimo ma con pochi minuti nelle gambe ormai. Come primo ricambio, probabile che arretri Michu, che a Bilbao ha giocato davanti in un 4-2-3-1 praticamente senza attaccanti puri. Michu che non spicca per la visione di gioco e la creatività ma ha dalla sua un gran tempismo negli inserimenti. Se ne possono ricavare 5-6 gol in tutta la stagione.

Trashorras sulla trequarti è una scommessa affascinante: dopo gli esordi nelle squadre B del Barça (dove lo chiamavano “la Brujita del Mini Estadi”, per il paragone con Verón) e del Real Madrid (i blaugrana lo scaricarono e Valdano, suo estimatore, lo ingaggiò per il Castilla, ma zero opportunità in un Madrid galáctico come quello), una lunga carriera da fenomeno di Segunda, con invenzioni da lasciare a bocca aperta ma anche molte pause. Vediamo in Primera, a 30 anni.

Sulla sinistra Botelho si preannuncia come una delle possibili rivelazioni della Liga 2011-2012: 21 anni, brasiliano di proprietà dell’Arsenal (che lo ha mandato in prestito già a Salamanca, Celta e Cartagena), lo chiamo “il Gareth Bale dei poveri”, per la capacità di divorarsi tutto il campo con poche falcate, lanciandosi in velocità senza alcuna possibilità per gli avversari. Impressionante un gol propiziato nel Cartagena-Barça Atlètic della scorsa stagione, partendo dalla sua area per arrivare all’altra e servire l’assist. Ma Botelho non è solo un velocista da spazi ampi, sa giocare, ha una buona tecnica che gli permette di improvvisare slalom o chiedere l’uno-due stretto. Terzino o esterno, molto più probabile la seconda ipotesi in questo Rayo.

A Bilbao sulla destra ha giocato il 30enne Piti, una punta dal gran sinistro che può rientrare per cercare il tiro; altra opzione Alberto Perea, canterano dell’Atlético Madrid che può giocare su entrambe le fasce, oppure Nestor Susaeta, cugino di quello dell’Athletic.

Due giovani possibili sorprese Lass Bangoura, guineano del Rayo B (bene lo spezzone a Bilbao, prima trequartista e poi a destra), e Dani Pacheco, in prestito dal Liverpool, seconda punta ultra-tecnica (ma anche molto esile) che può partire dalla fascia sinistra, come nelle nazionali giovanili spagnole. Da unica punta si perderebbe un po’, la combinazione offensiva più ambiziosa sarebbe Botelho terzino, Pacheco davanti a lui e Trashorras trequartista, scambiandosi con Pacheco.

Punto debole evidente è l’attacco, fra Delibašić e la vecchia gloria Tamudo (altro 35enne, grande mestiere ma riflessi chiaramente appannati).

Real Madrid

Mercato che punta ad aumentare le alternative a centrocampo, da un punto di vista qualitativo più che numerico. L’anno scorso i merengues hanno sofferto la mancanza di un altro elemento in grado come Xabi Alonso di agire dietro la linea della palla e far girare tutta la squadra: un sostituto e al tempo stesso un possibile socio del basco. È arrivato Nuri Sahin, ma il turco comincia a diventare un’incognita a causa di un infortunio che si trascina già da prima del suo ingaggio e che posticipa ogni giorno il suo rientro. L’altra soluzione aggiunta al centrocampo è il terzino Coentrão, che invece si muoverà davanti a Xabi Alonso, da centrocampista con l’anima da esterno. Soluzione sulla carta non ortodossa, ma che si può sposare bene coi tagli interni di Cristiano Ronaldo e di Marcelo, aumentando la mobilità e l’imprevedibilità della fase offensiva madridista.

Poco comprensibile invece l’acquisto di Callejón, non solo non all’altezza di un contesto come questo, ma senza possibilità in un settore sovraffollato come la linea dei trequartisti. Il 18enne francese Varane invece, descritto come un prodigio, completa una difesa non nutritissima, l’anno scorso in difficoltà in assenza dei titolari (anche perché Albiol come vice-Pepe e vice-Carvalho non si è confermato sui livelli della sua prima stagione madridista).

Real Sociedad

Pochi cambi per quanto riguarda l’organico, ma cambio radicale in panchina: Philippe Montanier, tecnico francese arrivato dal Valenciennes, vuole giocare qualcosa di diverso rispetto a Lasarte. Più che un calcio più offensivo di quello della scorsa stagione, chiede più possesso-palla, e perciò imposta la squadra su un 4-3-3, tanti triangoli per fare avanzare la squadra. Buono il risultato della prima, vittoria in casa dello Sporting, ma ancora parecchio lavoro da fare, come è logico.

La partenza più pesante è quella di Diego Rivas, finito all’Hércules in Segunda. Davanti alla difesa Montanier prova il canterano Illarramendi, non l’unico giovane lanciato dal transalpino (a Gijón ha esordito in difesa Iñigo Martínez), in attesa di vedere se e dove troverà Rubén Pardo, mezzala o regista davanti alla difesa, il più promettente dei nuovi elementi del vivaio.

Intanto completano bene il centrocampo il dinamismo di Aranburu e il prezioso Zurutuza, giocatore molto poco appariscente ma ideale per il calcio di possesso che chiede Montanier, per la capacità che ha di associarsi ai compagni, cercandosi lo spazio e combinando a uno-due tocchi. Il socio ideale di Xabi Prieto, che dalla fascia tiene palla e detta i tempi a tutta la squadra. Zurutuza mezzala destra vicino a Xabi, quindi. Non penso invece che troveranno molto spazio gli altri ricambi per il centrocampo, Mariga, Markel ed Elustondo.

Detto di Xabi Prieto, completano il tridente Agirretxe e Vela. Il primo è un’eterna promessa, snobbata da Lasarte e invece tenuta finora in gran conto da Montanier. Un attaccante slanciato, tecnico e pure elegante, ma che pecca un po’ di aggressività (anche in questo ricorda Xabi Prieto, oltre che nell’aspetto fisico). La preferenza accordata a lui, attaccante di manovra, invece che a Joseba Llorente, animale d’area di rigore che ama muoversi sul filo del fuorigioco, ci dà un’idea delle differenze di stile di gioco fra Montanier e Lasarte.

A Gijón Agirretxe non ha tenuto una posizione fissa: partiva da sinistra ma incrociava in continuazione con l’altra eterna promessa, il messicano Carlos Vela. Combinazione interessante, anche se la sinistra dovrebbe essere di Griezmann, il quale ha suscitato malumore fra i tifosi con la sua volontà non troppo nascosta di cambiare squadra (anche guardando egoisticamente solo alla sua carriera, è un’idea prematura a mio avviso). Ifrán e Sarpong le alternative offensive.

La difesa è il reparto che lascia più a desiderare: un ottimo portiere come Bravo, ma centrali di scarsa qualità (Demidov però c’è solo da gennaio, va valutato ancora) e una evidente vulnerabilità sulle palle inattive. Potrebbe cambiare qualcosa un inserimento positivo dei canterani: oltre a Iñigo Martínez il basco-francese Cadamuro. Sulla destra non si capisce perché giochi Carlos Martínez (forse il peggior terzino destro della Liga) e non Estrada, sulla sinistra De la Bella spinge parecchio.

Sevilla

Ritrovare l’essenza, il “marchio” Sevilla, questa la sfida di Marcelino. Tornare all’”Anti-tikitaka”: non nel senso di giocare male, ma di stupire gli spettatori con quel calcio arrembante, diretto, verticale, sviluppato sulle fasce che segnò i migliori momenti della storia del club.

Per fuggire dal modello “Jiménez/Álvarez”, ovvero quel Sevilla rigido come un calciobalilla, orizzontale ed esasperante contro difese schierate, è stato rinnovato il centrocampo: prima Rakitić lo scorso gennaio, ora Trochowski, adattato al centro, con l’intenzione non tanto di avere un regista o un trequartista, ma un incursore di buona tecnica che possa sorprendere negli spazi aperti dalle due punte e dagli esterni (il solito Jesús Navas, poi un Perotti che si deve riprendere dalla pessima scorsa stagione, e infine Armenteros, tornato dal prestito al Rayo, più centrocampista rispetto agli altri due).

Incerto l’altro centrocampista centrale: finora Marcelino ha provato Fazio (che sarebbe meglio da difensore centrale, e in ogni caso sta deludendo le attese di inizio carriera, vuoi per gli infortuni vuoi per un rendimento effettivamente al di sotto delle sue potenzialità) o il mastino Medel, ma a sorpresa potrebbe spuntarla il geometrico Campaña, che a 18 anni è già nell'organico della prima squadra ed è considerato assieme al trequartista 19enne Luis Alberto (che ha avuto i suoi minuti in pretemporada) la perla della cantera.

Il vero regista rimane Kanouté, con la sua eleganza e maestria impareggiabile nel gestire i tempi ricevendo sulla trequarti. Kanouté ha però 35 anni, e il leader offensivo ora è un Negredo sempre più ispirato e capace di fare reparto, spalle alla porta (anche se senza il “centrocampismo” di Kanouté), in profondità o in area di rigore, con una potenza notevole e un sinistro capace di trovare la porta da qualsiasi angolazione e distanza. Completa l’attacco il jolly Manu del Moral, che può giocare seconda punta e esterno, senza la caratura tecnica dei colleghi di reparto ma con dinamismo e buoni movimenti senza palla.

Rinnovata la difesa, col bosniaco Spahić accanto a Escudé (o Alexis, altra promessa quasi mancata), senza dimenticare la possibilità di schierare Cáceres (letture e capacità tattiche non all’altezza delle enormi doti atletiche) in tutte le posizioni della linea arretrata. Interessante l’acquisto di Coke (ex Rayo) sulla destra, che ha una spiccata attitudine offensiva, tra l’altro con la tendenza a sovrapporsi pure all’interno che lo rende particolarmente compatibile con Navas e in minima parte (infima direi) ricorda i movimenti del Dani Alves sevillista. Un po’ stanco quel Fernando Navarro sulla sinistra, forse verrà scavalcato dal canterano Luna, mentre è ormai consolidato il sorpasso di Javi Varas sul 38enne Palop fra i pali.

Sporting

Puzza di bruciato. Gli asturiani nelle ultime stagioni sembrano progressivamente indeboliti. Il problema principale è l’attacco, visto che anno dopo anno il contributo realizzativo di Barral e Bilić. Non è arrivato nessuno, e bisogna sperare che Sangoy esploda dopo l’improduttivo scorso campionato.

Indebolita anche la trequarti, che era il punto di forza della squadra, con giocatori mobili, abili nell’uno contro uno e rapidi nel ribaltare l’azione che rendevano lo Sporting una squadra anche abbastanza divertente nelle sue migliori versioni. È andato via l’uomo dribbling Diego Castro, e per ora lo sostituisce Miguel de las Cuevas, che è più un rifinitore che si accentra per dare l’ultimo passaggio. Carmelo nel dimenticatoio, e una trequarti completata (almeno questa è la formazione proposta da Preciado nella prima con la Real Sociedad) da André Castro al centro, più un cursore che una mezzapunta, e dall’incomprensibile Nacho Novo sulla destra, corsa e grinta ma contributo alla manovra quasi inesistente. La variazione possibile, e credo auspicabile, è l’inserimento di Trejo, l’argentino fresco di promozione col Rayo Vallecano, molto abile nel dribbling ma difficilmente in grado di non far rimpiangere da subito Diego Castro. Occhio comunque al gran mancino del campione d’Europa Under 19 Juan Muñiz, in rampa di lancio.

L’esordio in campionato ha dimostrato che questa squadra può ancora fare difficilmente a meno di Rivera (partito in panchina con la Real) come direttore d’orchestra (anche se è arrivato Ricardo León dal Tenerife, non malvagio), certo non per dare spazio al doble pivote formato da Eguren e dal canterano Sergio Álvarez, parso inadeguato. C’è comunque l’altro canterano lanciato la scorsa stagione, Nacho Cases, che ha fatto intravedere qualità interessanti.

A posto invece la difesa, confermata al centro (Botía la certezza, l’altro posto per Gregory o Iván Hernández) e toccata invece sulle fasce dalle partenze di Sastre e soprattutto José Ángel. Comunque i titolari resteranno i soliti, la mezzala adattata Lora a destra (invenzione di Preciado) e l’ex uomo-mercato Canella a sinistra, con l’uruguaiano Damián Suárez (descritto come un terzino molto offensivo) pronto a subentrare su entrambe le corsie, preferibilmente a destra.

Valencia

Mercato interessantissimo, fra i migliori. È partito Mata, ma è stato ampiamente sostituito, ed Emery gode di una varietà di soluzioni invidiabile fra trequarti e attacco, non solo per la quantità ma anche per la diversità di caratteristiche. C’è l’ultra-velocità con il nuovo acquisto Piatti (esterno sulle due fasce o seconda punta) e con il canterano Bernat (esterno sinistro), possibile sorpresa. Due elementi ideali per sfruttare il contropiede, anche se a Piatti non manca il gioco nello stretto (però 9 volte su 10 detta il passaggio verticale, non è tipo portato ad abbassarsi spesso per appoggiare il centrocampo) e a Bernat la capacità, molto apprezzabile, di offrire linee di passaggio anche in zone interne. Loro due, con Pablo Hernández, rappresentano il gioco più diretto, ma una trequarti così composta non è la soluzione migliore contro difese schierate, e rischia di rendere la manovra confusa per eccesso di frenesia, senza nessuno che colleghi i reparti e dia i tempi.

Qui perciò entra in gioco Canales. Questa deve essere la sua stagione, e l’antipasto (la ripresa giocata contro il Racing) promette assai. Il biondo ha una abilità innata nel trovarsi lo spazio e da lì fornire sempre un approdo sicuro a chi porta palla. È lui il vero erede di Silva, può arricchire la manovra del Valencia e in più ha capacità di incursore e uomo-gol che lo rendono perfettamente adattabile allo stile consolidato della squadra, meno elaborato e più diretto. Accanto a Canales, parla la stessa lingua il brasiliano Jonas: seconda punta o falso esterno a sinistra, un attaccante di manovra nel miglior senso del termine. Lui a sinistra, Canales al centro e Piatti a destra: questa la mia combinazione preferita per la trequarti, capace non solo di dare continuità e qualità al possesso-palla, ma di assorbire le attenzioni delle difese schierate e creare spazi preziosi per le sovrapposizioni dei terzini.

Anche qui prospettive interessanti: a destra ci si è finalmente liberati della zavorra Miguel, Bruno resta il titolare ma con due nuovi concorrenti, Barragán dal Valladolid e soprattutto Dalmau dalla cantera del Barça, gran colpo, anche se inizialmente partirà col Valencia Mestalla. Il piatto forte è però a sinistra: Jordi Alba, in crescita sul piano difensivo, è il terzino spagnolo del futuro (lui e José Ángel quelli con più qualità in chiave Selección), rapidissimo, inesauribile, e con una capacità di saltare l’uomo secco, anche da fermo, anche pressato, che gli viene dal suo passato di ala e può dare uno slancio importantissimo a tutta l’azione offensiva del Valencia. I polmoni di Mathieu, comunque utili anche se il francese rimane un giocatore muscolare più che talentuoso (anche se si sovrappone costantemente e ha buon piede, lo denotano le sue scelte quando ha il pallone, le sue come quelle di Bruno), dovrebbero riposare parecchio in panchina quest’anno.

A centrocampo la scelta è ugualmente ampia, ma c’è maggiore incertezza. La partita col Racing ha visto un orribile primo tempo del duo Topal-Banega: prima che entrasse Canales a dare un po’ di criterio, un Valencia generoso ma disordinato nella gestione del pallone e sbilanciato in transizione difensiva. Banega rischia di far perdere definitivamente la pazienza, mentre Albelda tarda a passare in secondo piano come dovrebbe; rimangono Parejo, che ha eccellenti doti di regia (ottimo a smarcarsi per ricevere dai difensori ad inizio azione, ha lancio millimetrico e visione panoramica) ma un temperamento e un ritmo che devono ancora passare l’esame di una realtà come il Valencia, e Tino Costa, che non è un regista ma ha geometrie, dinamismo e una certa intelligenza nel creare linee di passaggio davanti a chi porta palla, oltre a un gran sinistro dalla lunga distanza.

Ben assortito anche l’attacco. Scartato Jonas unica punta (visto contro il Liverpool, non ha i movimenti della prima punta, “allunga” poco la difesa avversaria), Soldado andrà sicuramente in doppia cifra, con Aduriz come alternativa più da “lavoro sporco”. Il basco però dovrebbe giocare pochino, anche perché dal Valencia Mestalla bussa sempre più forte Paco Alcácer, progetto di crack dell’area di rigore.

Al centro della difesa, Víctor Ruiz potrebbe rivelarsi uno degli acquisti migliori di tutto il campionato. Non so cos’abbia combinato a Napoli, ma qui calza alla perfezione: il giocatore che serviva per tirare un po’ su la linea difensiva, evitando le voragini viste col Racing e anche per avviare l’azione, sinora un problema macroscopico del Valencia di Emery, con quel terribile tentativo di “falsa difesa a 3” alla La Volpe che non faceva che attirare il pressing avversario. Rami promette: grande fisicità, personalità, gioco aereo e anche rapidità a dispetto della stazza. Fra i pali, non è così certo che il nuovo acquisto Diego Alves passi davanti a Guaita.

Se alla quarta stagione di Emery saprà affermare una sua identità precisa, il Valencia con questa campagna acquisti avrà posto le premesse per un salto di qualità: l’idea sarebbe infastidire di più le due grandi negli scontri diretti e andare più avanti in Europa.


Villarreal

Sembra indebolito. Soprattutto a centrocampo, che se non è il reparto più forte (davanti ci son pur sempre Rossi e Nilmar) è comunque la chiave strategica di tutta la squadra. I petrodollari hanno portato via Cazorla, e va bene, non ci si può fare nulla, però anche lasciare andare Matilla non pare una furbata, considerando che un regista accanto a Bruno serviva e che il monumento Marcos Senna sembra avviato verso il declino.

Comunque De Guzman potrebbe ovviare a questa carenza, sempre che venga impiegato nel doble pivote come a Maiorca, perché altrimenti Marchena come unico rincalzo lascia alquanto perplessi. De Guzman permetterebbe di schierare l’onnipresente Borja Valero nel ruolo dove meglio rende, cioè avanzato sulla trequarti, partendo da falso esterno (ma in realtà lui la fascia non la tiene neanche in partenza, a differenza di Cani o del fu Santi Cazorla). Meglio lì che davanti alla difesa, dove la sua tendenza a muoversi a briglia sciolta può spezzare in due la squadra in transizione difensiva, una volta persa palla (quando una delle basi dell’equilibrio del Villarreal è la capacità dei Bruno e Senna di tenere sempre la posizione pur contribuendo a far avanzare la squadra).

Con l’assenza di Cazorla il finissimo Cani diventa titolare obbligato, e ci sono un po’ di dubbi sulle alternative: esploderà il paraguaiano Hernán Pérez, promosso dal Villarreal B? Maturerà il ghanese Wakaso? Camuñas poi è un acquisto utile, pienamente coerente con la filosofia di gioco, ma sembra più un dodicesimo (anche come seconda punta di riserva) che un giocatore in grado di sostituire in pianta stabile Borja Valero e Cani nel caso in cui dovessero per qualche motivo mancare.

La difesa invece non ha perso nulla, anzi potrebbe guadagnare, con l’arrivo di Zapata (spostato a destra dopo il disastro con l’Odense: meglio così, Mario Gaspar non è all’altezza). Musacchio, Gonzalo e Marchena sono una terna di centrali valida, mentre Joan Oriol sembra più che pronto a non far rimpiangere Capdevila.

Zaragoza

Inquietante lo 0-6 incassato dal Real Madrid, anche se rispetto a quello schierato da Aguirre nell’umiliante esordio può venire fuori un undici migliore nel corso della stagione, considerando gli acquisti.

Andrà sicuramente cambiato il centrocampo: nel 4-1-4-1 visto contro il Madrid il trio centrale Ponzio-Zuculini-Abraham era incapace di dare la minima continuità alla fase di possesso. Abraham, che tra l’altro è un esterno di ruolo, dovrebbe saltare, e al suo posto entrare Ruben Micael, da cui possono dipendere molte cose. Al portoghese, promettente al Nacional e un po’persosi al Porto, tocca fornire la qualità andata via con la cessione di Ander Herrera. E sarebbe anche il caso di provare come mezzala destra il jolly messicano Efraín Juárez (meglio lì che da uomo di fascia bloccato), poca tecnica ma gran dinamismo e intelligenza nel far progredire la manovra col movimento senza palla. Terzini destri di ruolo però la rosa non ne presenta (invece quelli sinistri sono addirittura tre: Paredes, Obradović e il citato Abraham), ed è quindi probabile che Efraín debba sgobbare tutta la stagione in difesa.

Bene le fasce, Lafita può partire da sinistra per tagliare al centro come scambiarsi di fascia con l’altro messicano Barrera (acquisto molto stuzzicante), che ha più le caratteristiche del dribblomane. Non dovrebbero trovare molto spazio Juan Carlos (dal Real Madrid Castilla) e Edu Oriol (dal Barça Atlètic), due dei sin troppi scarti prelevati dalle canteras più celebri di Spagna (c’è anche il difensore centrale Mateos, ex madridista).

Le ultime ore di mercato hanno rinforzato l’attacco, che se ha perso Uche ha acquisito comunque Postiga (carriera inferiore alle attese, ma qualche gol lo farà) e l’ex Espanyol (ed ex nazionale, non dimentichiamolo) Luis García, usato sicurissimo. Luis García che può partire anche da esterno, per cui bisogna vedere se entrerà in concorrenza anche con Lafita e Barrera o se magari Aguirre passerà a un 4-4-2 con lui e Postiga davanti al posto del 4-1-4-1 dell’esordio (in estate poi il Basco ha provato insistentemente anche la difesa a 5). Luis García comunque il meglio lo dà da seconda punta, ruolo che non ha potuto coprire nel modulo di Pochettino che lo sacrificava un po’ sulla destra.

Fernando Meira-Da Silva è una coppia di esperienza al centro della difesa (Lanzaro-Mateos quella di riserva), mentre in porta Roberto Jiménez è uno dei casi dell’estate: il Zaragoza è in Ley Concursal, ma lui è stato pagato più di 8 milioni, addirittura. Non dalla società Zaragoza, ma da terzi, da un fondo di investimento cui partecipa lo stesso proprietario del club, Agapito Iglesias. Come sempre l’obiettivo è massimizzare gli utili, quelli del fondo (in caso di successivo cessione del giocatore a prezzo maggiorato), mica quelli del Zaragoza in campo. Roberto Jiménez come il prezzo del petrolio, come le azioni della Coca-Cola e come la valutazione della sterlina. Non starò qui a rimpiangere i tempi in cui non c’era il professionismo, o a fare demagogia sui calciatori che guadagnano troppi soldi, ma forse così si sta esagerando.

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mercoledì, settembre 07, 2011

Il punto sul calciomercato/prima parte.

Questo pezzo in realtà è in parte un bilancio del mercato in parte una presentazione delle 20 squadre del campionato, che verranno analizzate in maniera più approfondita nel corso della stagione.


Athletic Bilbao

Poco da trafficare, per ovvi motivi. Bielsa ha usato l’accetta: anche se i vari scartati (fra cui Koikili) ad inizio pretemporada son stati reintegrati, l’idea è sempre quella di un blocco ridotto di 19 giocatori super-motivati da integrare con gli innesti dalla cantera. Emblematica la scelta della cessione del veterano Orbaiz (ormai senza ritmo per competere) per far spazio all’atteso centrocampista del Bilbao Athletic Ruiz de Galarreta (ma anche Jonas Ramalho dovrebbe avere i suoi minuti dietro, dove non è stato acquistato nessuno e Bielsa conta di poter adattare Aurtenetxe centrale, all’occorrenza).

Non è arrivato Aduriz (e sarebbe stato un acquisto intelligente, utilizzabile sia come quel vice-Llorente che in rosa non c’è, sia come jolly per tutte le posizioni del tridente), e il mercato è servito più che altro per tagliare un po’di rami secchi (Ion Vélez, Balenziaga, lo sfortunato De Cerio, la meteora Urko Vera e Ustaritz, che forse poteva ancora servire).

Sul campo, inutile dire che bisogna dare tutto il tempo a Bielsa: i fischi al termine della prima deludente col Rayo ci possono stare per la gara in sé, ma non se si pensa a tutto il lavoro ancora da fare per cambiare il modello di gioco, che dal rudimentale stile di Caparrós deve passare a un sistema molto più complesso, con tanti nuovi concetti e movimenti offensivi che devono diventare pressoché automatici e un’idea di calcio totale che intende coinvolgere tutti e undici i giocatori in entrambe le fasi, indifferentemente (e l’idea di spostarne alcuni fra un ruolo e l’altro, vedi De Marcos e Gurpegi terzini o Javi Martínez difensore centrale nell’amichevole col Tottenham, va proprio in questo senso, non è certo il divertimento estemporaneo di uno scienziato pazzo).

Atlético Madrid

Dal panorama deprimente di inizio mercato si è passati a un quadro che, seppur con l’obbligatoria differenza che suscita qualsiasi mossa di questo club, sembra piuttosto stuzzicante.

Era cominciata male con la scelta di Manzano, che non può non sapere di minestra riscaldata: vero che questo Atlético non c’entra niente con quello 2003-2004, vero che Goyo è un buon tecnico, ma è anche vero che trasmettere all’ambiente un messaggio di rinnovamento (e non del tipo “abbiamo preso Manzano perché quelli che avevamo scelto prima di lui non volevano”, ciò che è successo in realtà) ti può aiutare a partire con un margine maggiore di fiducia e ottimismo.

La partenza di Agüero poi era parsa il colpo di grazia, ma le successive operazioni di mercato hanno rimescolato molto le carte e contribuito a suscitare molta curiosità attorno al progetto.

Era impossibile sostituire il Kun con un altro attaccante di pari livello, quindi giustamente l’Atlético ha cercato di reinvestire il denaro ottenuto dalle due squadre di Manchester (anche De Gea è valso un bel gruzzolo) rinforzando altre zone, soprattutto il centrocampo. È un Atlético questo che potrebbe finalmente avere la varietà di soluzioni e la creatività di cui mancava fra mezzeali e trequartisti. È arrivato Diego, reduce sì da delusioni fra Juventus e ritorno in Bundesliga, ma che se si ritrovasse potrebbe davvero dare un’altra dimensione alla manovra; poi c’è Arda Turan che da esterno sinistro può accentrarsi spesso e aggiungere imprevedibilità tra le linee, consentendo al tempo stesso a Reyes di partire da destra, la posizione da cui davvero può esprimere il suo miglior calcio e far giocare meglio anche i compagni.

A seconda della posizione di Diego, vedremo un 4-2-3-1 o il 4-3-3 della prima con l’Osasuna, ma qualche dubbio in più lo lasciano i centrali. È richiesta un’esplosione di Koke, che sicuramente possiede più talento e geometrie di Gabi (va bene come primo rincalzo per la mediana, ma da titolare…) e dei piattissimi Mario Suárez e Assunção, fermo restando Tiago, valido più come complemento che come leader. La regola degli extracomunitari ha invece imposto la cessione di Elias, che poteva rappresentare un’alternativa interessante come incursore.

Il fatto di non poter trovare un altro come Agüero non toglie comunque il valore di Falcao, fra i più pregiati sul mercato. E anche Adrián può apportare alternative, movimento e qualche gol in più rispetto alle sue stagioni passate (sembra cresciuto dal punto di vista realizzativo). La cessione di Forlán ci sta tutta.

Una coppia Miranda-Godín potrebbe far fare un salto di qualità alla difesa, così come una crescita di Filipe sulla sinistra, mentre più incerte sono le questioni riguardanti il terzino destro (Silvio sostituirà degnamente il sottovalutato Ujfaluši?) e soprattutto il portiere (molta inesperienza fra Joel e il nuovo acquisto Courtois, in prestito dal Chelsea; da ricostruire l’ex grande promessa Asenjo). Comunque, a prima vista non sembra un Atlético indebolito rispetto alla scorsa stagione, anzi.

Barcelona

Acquisti mirati ma di peso, tra l’altro rientrando pure nei margini finanziari previsti: la società aveva preventivato 45 milioni di esborso massimo per la campagna acquisti, e se è vero che Fàbregas e Alexis Sánchez son costati 60 milioni, i circa 24 ottenuti dalle cessioni di Bojan, Oriol Romeu, Jeffren e Cáceres hanno permesso di rientrare nel bilancio.

Alexis largo nel tridente deve studiare da “Pedro con un po’ più di magia”, in un attacco chiaramente impostato attorno all’idea dell’assenza di centravanti di ruolo. Partito Bojan, non rimane nessuno, se consideriamo che Villa partirà soprattutto all’ala e che l’acquisto di Fàbregas sembra pure proporre un’alternativa al Messi falso centravanti, anche se in casi presumibilmente limitati.

Acquisto di Fàbregas che più che incasellarsi nel solito 4-3-3 mira ad aumentare le alternative tattiche a disposizione di Guardiola, fra il 3-4-3 e le sconfinate possibilità di turnover offerte da una stagione fitta di impegni. Così si spiega (oltre che, inutile nasconderlo, col capriccio di tutto un ambiente ossessionato dal “ritorno del figliol prodigo”) quello che a prima vista può apparire un lusso non necessario, ovvero Fàbregas quando hai pronto Thiago e magari anche Sergi Roberto.

Unica carenza (ma non imperdonabile), un terzino sinistro, perché per i centrali la cantera può fornire un buon ricambio fra Fontas, Bartra e Muniesa.

Betis

Rispetto all’analisi pubblicata qualche giorno fa, da aggiungere solo l’ufficialità di Santa Cruz.

Espanyol

I conti potrebbero non tornare. Va bene che Pochettino ha tante idee, va bene il mercato al risparmio degno d’elogio, va bene la politica dei giovani, ma quest’organico rischia di perdere parecchi punti quanto a solidità. Potrà divertire vedere giocare l’Espanyol (però la prima a Maiorca a dire il vero è stata brutta), ma il saldo fra gol fatti e subiti quale sarà?

In attacco bisognerà pregare perché Álvaro Vázquez esploda non subito, subitissimo. La partenza di Osvaldo ha lasciato sguarnito il reparto in termini di personalità sicuramente, in attesa di valutare appieno il talento di Alvarito nostro. Personalità che potrebbe offrire l’acquisto dell’ultim’ora Pandiani, ma 35 anni sono 35 anni. Si tentava il colpo El Hamdaoui dall’Ajax, ma purtroppo è svanito.

Se ne vanno via gol preziosi anche con la partenza di Luis García verso Zaragoza, che si aggiunge a quella di Callejón. A Maiorca Pochettino ha schierato ai lati di Verdú (meno male che almeno lui è rimasto) sulla linea dei trequartisti proprio Luis García a sinistra e il canterano Rui Fonte a destra. Questo per dire che dovrà reinventare qualcosa, anche se non manca il talento, fra Sergio García e un altro nuovo acquisto, l’ala slovacca Weiss dal Manchester City. Senza dimenticare un buon trequartista come Albín, forse sin troppo snobbato da Míchel al Getafe negli ultimi anni. Ma i gol rimangono un’incognita.

In difesa potrebbe rivelarsi una mossa da dritti il centrale mancino messicano Héctor Moreno, che cerca un po’ di riproporre l’identikit del Víctor Ruiz della scorsa stagione, ovvero senso della posizione, leadership e qualità nell’impostare. Qualità nell’impostare che è diventata quasi una tautologia parlando di difensori messicani. Bel colpo anche l’operazione Didac col Milan: i soldi incassati a gennaio rimangono in cassa, e intanto si gode di un prestito sicuro in un ruolo che l’Espanyol ha faticato un po’ a coprire nella pessima seconda metà della scorsa stagione. Una scommessa il recupero del deludentissimo Romaric, in un ruolo che peraltro è già occupato da Javi Márquez, uno dei pezzi pregiati dell’organico: la sua connessione con Verdú in cabina di regia è la chiave del gioco dell’Espanyol.

Getafe

Una specie di rivoluzione. Via Míchel, dentro Luis García dopo il mezzo miracolo sulla panchina del Levante, via i due migliori giocatori oltre che colonne portanti del centrocampo (Boateng e Parejo), ma anche tanti nuovi arrivi davvero interessanti. Interesse che si concentra soprattutto sul possibile quartetto offensivo: a destra Pedro León, dopo l’annata da incubo al Real Madrid, tornerà a fare quello che sa (cross precisi come pochi nella Liga e quel curioso modo di dribblare e conquistare il fondo, senza avere la velocità dalla sua) senza doversi confrontare con Di María o Cristiano Ronaldo (ma Callejón è poi tanto meglio di lui, Divo José?), ma da “stella” di metà classifica, la sua dimensione; al centro, o forse no (nella prima contro il Levante è subentrato a sinistra) il fresco campione d’Europa Under 19 Sarabia, movenze alla Silva (ma tatticamente un po’ diverso); a sinistra, visto che parliamo di stelle di media classifica, abbiamo invece un fuoriclasse del dribbling, l’ex Sporting Diego Castro, solitamente ai vertici delle statistiche di questo particolare fondamentale, in compagnia di nomi ben più altisonanti. Un colpaccio, anche se non più giovanissimo.

Poi in attacco un ritorno eccellente, Güiza, innesto veramente cruciale perché uno dei punti deboli del Getafe l’anno scorso era proprio l’inconsistenza offensiva, sia in generale per la scarsa profondità del possesso-palla che per le mancanze individuali (Colunga ha fallito miseramente il salto di qualità, Miku va bene come dodicesimo più che come titolare).

Possesso-palla abbastanza sterile anche nella prima col Levante, dove Luis García ha proposto un centrocampo sin troppo affollato, con tre centrali, Casquero sul centro-destra (che comincia a mostrare segni di declino), Juan Rodríguez al centro e Lacen (quasi tutti i palloni passavano da lui) sul centro-sinistra. L’azione ristagnava lì, con troppe poche linee di passaggio più avanti.

Se fra trequarti e attacco il Getafe di quest’anno migliora quello dell’anno scorso, più incerta la scommessa per quanto riguarda la mediana. Bisognerà trovare un nuovo leader dopo Boateng, e difficilmente potrà esserlo Juan Rodríguez, cursore di poca qualità, o Lacen, poco più che ordinato. Rubén Pérez, una delle poche note positive del Deportivo lo scorso anno, ha geometrie, e le ha anche Míchel, in cerca di rilancio dopo la negativa esperienza inglese. Loro due sembrano la coppia migliore, in un 4-2-3-1.

Sempre dal Deportivo, una garanzia l’acquisto di Lopo per fare coppia con Cata Díaz al centro della difesa, molto più discutibile Valera come rincalzo di Miguel Torres, mentre il sudafricano Masilela dà il cambio a Mané sulla sinistra. Moyá fra i pali è un altro che cerca rilancio dopo i disastri a Valencia, ma sarebbe grave far perdere il posto a un potenziale fuoriclasse come Ustari, attualmente infortunato.

Granada

Il contropiede più veloce della Segunda 2010-2011 cerca successo anche in Primera. Alla freccia Dani Benítez sulla sinistra, dominante in Segunda ma tutto da verificare nella massima serie, si aggiunge nell’ultimo giorno di mercato Ikechukwu Uche (girato in prestito dal Villarreal), mai pienamente confermato fra Getafe e Zaragoza dopo le promettenti stagioni al Recreativo Huelva. Bisognerà vedere se il nigeriano partirà come punta o sulla destra del 4-1-4-1 di Fabri (lasciando l’attacco al bomber di Segunda Geijo o al connazionale, interessante ma ancora un po’ acerbo, Ighalo; in attesa di verificare l’argentino Franco Jara, prestato dal Benfica), scalzando in tal caso il mancino Jaime Romero, uno dei 45000 prestiti dall’Udinese.

Fascia destra che ha perso un elemento come Orellana (con tutto il rispetto per il Celta, questo stramerita la Primera), che dava gioco tra le linee a una squadra che abusa un po’ della sovrapposizione e del cross in area senza guardare quanti ce ne sono pronti a concludere.

A centrocampo buon acquisto quello di Moisés Hurtado, quasi invisibile ma sempre efficace davanti alla difesa, mentre Abel sul centro-destra non pare troppo all’altezza della Primera. Meglio il portoghese Carlos Martins, in coppia col dinamico Mikel Rico oppure con l’altro nuovo acquisto Yebda (che può giocare anche davanti alla difesa). Magari potrebbe spuntarla a sorpresa Fran Rico, 24enne regista di cui si parla bene da anni (già dai tempi del Pontevedra, prima di passare al Real Madrid Castilla) ma mai sperimentato in Primera.

In difesa assolutamente da seguire il terzino sinistro Siqueira, il giocatore forse più interessante di tutto il Granada: nella miglior tradizione brasiliana, esprime grande tecnica ad alta velocità e pure una apprezzabile disciplina difensiva. Molto inferiore, semplicemente un muscolare, anche se con una facilità di corsa che impressiona, il francese Nyom sulla destra (rincalzo il sempre affidabile David Cortés). Al centro, i nuovi acquisto Pamarot e Diakhaté si contenderanno due posti con la coppia della promozione formata da Lucena (impiegabile anche davanti alla difesa) e Diego Mainz.

Levante

Dimenticare Caicedo. Una parola. Non parliamo di Van Basten, ma del giocatore che comunque dava certezze realizzative alla squadra “operaia” della scorsa stagione, che ha perso anche il suo allenatore, Luis García, sostituito da Juan Ignacio Martínez, messosi in bella mostra al Cartagena.

Caicedo potrebbe mancare tantissimo, anche perché pure il suo vice (Stuani, che chiamato in causa i gol li faceva) è partito, e i nuovi arrivi hanno altre caratteristiche. Aranda è un attaccante di movimento, tecnico quanto si vuole, pure capace di creare occasioni dal nulla (la sua carriera poteva essere molto migliore) ma difficilmente in doppia cifra; Arouna Koné invece è l’incognita delle incognite, fra infortuni e delusioni assortite a Siviglia. In ogni caso, non un finalizzatore. Le alternative poi le abbiamo viste già nella partita di Getafe, dove Martínez ha dovuto schierare un attacco composto da un centrocampista esterno, Valdo, e dalla seconda punta Rubén Suárez.

Qualche gol magari potrebbe arrivare dallo splendido sinistro di Barkero, esterno o trequartista, molto prolifico in Segunda col Numancia, l’acquisto forse di maggior richiamo di un club che deve fare le nozze coi fichi secchi. Con Barkero centrale, la fascia sinistra resterebbe di Juanlu, che garantisce profondità e rendimento. Senza dimenticare il marocchino El Zhar, prelevato dal Liverpool, che può dare vivacità (ce n’è molto bisogno) in tutte le posizioni della trequarti.

A centrocampo le caratteristiche dei Xavi Torres, Pallardó e Iborra dicono che difficilmente lo stile di gioco potrà cambiare rispetto alla scorsa stagione: 4-4-2 semplice, organizzato in fase difensiva, rubare palla e ripartire, giocare con concentrazione e aggressività. Difficilmente Martínez potrà proporre il “tiqui-taca” visto al Cartagena, anche se Farinós ha le qualità e i tempi di gioco per permettersi qualcosa un pizzico più elaborato.

La difesa dei vecchietti Javi Venta-Ballesteros-Nano-Juanfran (senza dimenticare Del Horno) aggiunge due ricambi: il terzino Pedro López, un altro assai scafato, e il 26enne argentino Cabral, che mi ricordo al centro della difesa dell’Argentina campione nel Mondiale Under 20 del 2005, quello di Messi.

Málaga

I protagonisti del mercato, dietro i soliti noti. Se Pellegrini la scorsa stagione subentrando in corsa non aveva proprio i giocatori più adatti per il suo calcio (erano adatti al calcio di Jesualdo Ferreira), quest’anno non ha scuse. Potrà sbizzarrirsi col suo quadrato (o rombo) di centrocampo, senza esterni veri, con l’imbarazzo della scelta.

Cazorla è chiamato ad essere il giocatore-chiave, conoscendo a menadito questo sistema di gioco, mentre abbiamo già parlato delle possibili difficoltà di adattamento di Joaquín sulla destra. Buonanotte è inferiore, ma ha più nel sangue il taglio per smarcarsi tra le linee, mentre Isco è il più atteso per quanto mi riguarda: il talento, sovrabbondante, potrebbe compensare pure le carenze atletiche. Difficile trovare spazio per Duda, uno dei giocatori di riferimento quando il Málaga era ancora una piccola squadra.

Il vero acquisto capolavoro però è Toulalan, il Marcos Senna che mancava a Pellegrini per completare le qualità di Apoño in cabina di regia. Il doble pivote di scorta, sicuramente meno desiderabile, è composto invece da Camacho (promessa ancora non mantenuta) e Maresca (onestamente passato di cottura). Le porte sembrano chiuse per il canterano Recio, che pure era stata la scoperta di Pellegrini la scorsa stagione.

Esperienza (forse troppa…) in difesa: Demichelis, nonostante il rendimento sul piano strettamente difensivo abbia lasciato fin qui a desiderare, rimane difficilmente discutibile anche per la sua capacità nell’impostare. Un primo passaggio fra i migliori della Liga, e che concede un vantaggio importante al Málaga in fase di possesso, per la facilità dell’argentino nel superare il pressing avversario e liberare compagni nelle zone più avanzate. Accanto a lui il 31enne Mathijsen, affermatosi come giocatore affidabile a livello internazionale, poco appariscente, lento ma dal buon senso della posizione. Il danese Kris Stadtsgaard (più che il nuovo acquisto Sergio Sánchez, un po’ sopravvalutato) è un buon rincalzo. Caballero fra i pali non ha sbagliato un colpo finora.

Sulla destra Jesús Gámez e nessun altro (fra i migliori terzini del campionato), a sinistra la buona intuizione di Pellegrini di arretrare Eliseu, che partendo dalle retrovie ha più spazio per sorprendere con la sua velocità, e che cresce anche sul piano difensivo. In alternativa comunque Monreal (pagato sin troppo, 6 milioni), non così esplosivo non così offensivo ma con buoni tempi e buone letture in entrambe le fasi.

In attacco, Van Nistelrooy potrebbe rivelarsi un acquisto più di nome che di sostanza. Conosce il mestiere, e i movimenti fra i centrali avversari, come nessuno, però gli anni si fanno sentire ed è sempre più difficile per lui arrivare per primo sul pallone. Pellegrini ha bisogno di questi movimenti degli attaccanti: preferisce le due punte più che il 4-2-3-1 perché così può allungare e allargare meglio le difese: una punta detta la profondità e l’altra svaria verso le fasce, così la difesa avversaria non può uscire a raddoppiare e il centrocampo senza esterni di Pellegrini può conquistare la superiorità nel mezzo.

Van Nistelrooy ha i migliori movimenti da prima punta ma poca energia, Rondón invece ha energia da vendere, Papelito Fernández non abbonda di tecnica e forza nei contrasti, ma come seconda punta è molto mobile e intelligente su tutto il fronte offensivo. Forse la scelta migliore è confermare proprio gli ultimi due, la coppia della passata stagione, e sfruttare il fiuto di Van Nistelrooy a partita in corso. Senza dimenticare il talento di casa (per alcuni supertalento) Juanmi.

Mallorca

Incazzato è dire poco. Michael Laudrup esprime tutta la sua contrarietà rispetto alla campagna acquisti condotta, in particolare sulla cessione dell’ultima ora di De Guzman al Villarreal, avvenuta senza aver preparato un adeguato ricambio (Marvin Ogunjimi del Genk è una scommessa, Tissone non proprio la stessa cosa dell’olandese/canadese).

Peccato perché la prima uscita con l’Espanyol aveva mostrato cose interessanti, oltre alla vittoria ottenuta grazie a un gol proprio di De Guzman (anche se con una fortunosa deviazione). Coralità, scambi fitti a centrocampo e un 4-4-2 senza punti di riferimento: Martí e De Guzman in mezzo al campo, ma da lì in avanti nessuna posizione fissa: il mancino Tejera che parte da destra e si accentra, Alfaro che da sinistra taglia per fare la seconda punta, la nuova punta israeliana Hemed che incrocia con lui e Nsue che è un attaccante di movimento per definizione.

È chiaro che senza De Guzman questo Mallorca manovriero sarà più difficile da proporre: accanto a Martí probabilmente scalerà Tejera, che ha buon piede e visione di gioco anche se è un po’lento nell’esecuzione. Gonzalo Castro avrà un posto di esterno, mentre è incerta la collocazione di Nsue e Alfaro, divisi fra fascia e attacco. Sulle fasce tutto sommato le alternative sono ampie, contando Pereira (rivelazione nella prima parte della scorsa stagione) e non dimenticando il discreto contributo fornito dal mancino (schierato però a destra) giapponese Akihiro Ienaga, acquisto invernale. Il canterano Pina e João Victor le alternative per il doble pivote.

È in attacco però che si concentrano le sacrosante preoccupazioni di Laudrup, che calcola “16 gol in meno” rispetto alla scorsa stagione, date le cessioni di Webó e De Guzman. Arduo individuare delle fonti alternative di gol: Nsue è utilissimo quanto a movimento ma sotto porta è un po’ negato, Alfaro ha segnato molto solo in Segunda, Víctor è un oggetto misterioso da sempre e rimane infine ingiusto caricare di responsabilità eccessive il nuovo arrivo Hemed, come sottolinea lo stesso Laudrup.

La difesa è il reparto uscito meglio dal mercato, anche se l’infortunio che terrà fuori a lungo il leader Nunes è una mazzata: accanto a Ramis lo sostituisce l’ex genoano Chico. Buon acquisto l’olandese Zuiverloon sulla fascia destra, mentre l’uruguaiano Pablo Cáceres rimpiazza la partenza di Ayoze al Deportivo.

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