mercoledì, aprile 18, 2012

Levante e Athletic, la bellezza degli opposti.

Sebbene inficiata dall’imbarazzante divario (di punti e di diritti televisivi) fra le due grandi e il resto, la Liga quest’anno è tornata un campionato di alto livello. Impressione sempre soggettiva di chi scrive, ma che trova un sostegno abbastanza oggettivo nella competitività internazionale dei club spagnoli.

E la Liga è bella perché in qualche misura è anche varia, sul piano tattico. Vero che il possesso-palla esercita un dominio tirannico, ma se va già notato come anche questa filosofia possa avere le declinazioni più disparate (il modo di passarsi il pallone del Barça è diversissimo da quello dell’Athletic o del Real Madrid, e diversissime sono le ricadute sulla disposizione della squadra quando perde palla), è concentrandosi sulla fase di non possesso che si trovano dentro lo stesso campionato concezioni agli antipodi.

Levante e Athletic Bilbao sono le due squadre che hanno giocato il miglior calcio dopo le due grandi, anche in virtù della loro concezione difensiva tutt’altro che ortodossa. Il Levante si organizza a partire dalla fase di non possesso, e questa condiziona poi la transizione offensiva, mentre per l’Athletic è l’esatto contrario.
Bielsa ha implementato una “marcatura a uomo nella zona” che rompe con tutti i canoni che vogliono la zona pura come l’organizzazione collettiva più razionale, perché mantenendo inalterata la collocazione dei giocatori permette un minor dispendio atletico e un passaggio più fluido da una fase all’altra. È indubbio che gli sforzi in ripiegamento di Muniain e Susaeta non sono normali, che l’Athletic consuma tanta benzina che non bastano le riserve saudite e che il fatto di prendere l’avversario che capita nella tua zona e seguirlo a tutto campo porta a situazioni bizzarre come il terzino che si trova a rilanciare l’azione a centrocampo, ma è anche vero che questo come altri aspetti è dettato dall’ansia e dalla sovraeccitazione, in senso positivo, che Bielsa con tanto successo trasmette a questa squadra. Ansia di recuperare il pallone, di non far respirare l’avversario e imporgli ritmi insostenibili.

Al contrario il Levante di Juan Ignacio Martínez è l’immagine dell’impassibilità. Non ha nessuna fretta di recuperare il pallone, aspetta che cada come un frutto maturo, senza scomporsi e senza alterare il proprio disegno tattico. Così, appena recupera palla (non importa se a partire da percentuali risibili di possesso) il cervello Barkero e le frecce Valdo e Koné (stagione super) sono già pronte a fare danni in campo aperto.
È una zona dove il riferimento dello spazio è molto più importante del pallone. Se un avversario si avvicina portando palla, nessun giocatore granota gli va incontro a contenderlo. Baderà semplicemente a restare vicino al proprio compagno di reparto, perché se loro restano vicini, e se vicini rimangono difesa e centrocampo, il pallone semplicemente non ha spazio per filtrare.
La peculiarità del Levante, unica nella Liga, è che può passare 90 minuti difendendo nella propria area senza dare l’impressione di soffrire. “Scivola” molto poco verso le fasce laterali, mantiene come priorità difensiva l’intercettazione delle linee di passaggio centrali, perché è lì che giocoforza deve passare l’avversario se vuole segnare. Lo abbiamo visto sabato scorso con il Barça. Nell’impossibilità di trovare l’appoggio fra le linee il Barça si è visto costretto a cercare le ali che, carenti nell’uno contro uno (Alexis bloccato sulla fascia non dribbla, Pedro non dribbla indipendentemente dalle condizioni spazio-temporali, ottimo invece Cuenca nel secondo tempo) e non potendo restituire palla al centro della trequarti intasato hanno buttato cross su cross, facendo il gioco del mitico Ballesteros che nella propria area si trova come un pesce nell'acqua.

Solo quando Cabral, dimenticandosi per un momento il principio tattico fondamentale della propria squadra, ha fatto l’errore di uscire dalla difesa per andare a prendere l’avversario, Messi ha castigato. Ma ciò non toglie che in questo momento il Levante sia la squadra che gioca meglio in tutta la Liga. Quello che superficialmente verrebbe liquidato come “catenaccio” è in realtà un calcio di grande qualità, perché le transizioni da una fase all’altra (e per il controllo delle transizioni passa la differenza fra una squadra che gioca bene e una che gioca male, al di là delle preferenze estetiche soggettive) avvengono con una scioltezza che fa impallidire altre squadre dalle rose ben più attrezzate e costose. Se dopo trentaquattro giornate ti stai ancora giocando i preliminari di Champions con scarti e gente da ospizio evidentemente non è un caso.

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lunedì, aprile 02, 2012

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