venerdì, aprile 30, 2010

Atlético sino in fondo.

Se chiedete a un tifoso colchonero il suo peggior incubo, probabilmente vi dipingerà una qualche partita casalinga di Liga contro Xerez o Málaga, infernali per come spingono puntualmente la squadra al fancazzismo e alla decomposizione. Invece, davanti a una partita ad Anfield, con la Kop sovreccitata e i Reds col coltello fra i denti, gli brilleranno gli occhi. In qualche modo, non importa come, i suoi risponderanno.
Spiace ripeterci con questa retorica che non rende del tutto giustizia alla storia di un club in fondo dominante in parecchi momenti della sua storia, però se Joaquín Sabina nell’inno del centenario dell’Atlético recita qué manera de sufrir… qué manera de ganar, ci sarà pure un motivo. Senza trovarsi sull’orlo della disfatta, senza complicarsi la vita, questa squadra non concepisce la vittoria, e se per un caso sfortunato la ottiene lo stesso, non la gusta proprio.
Il merito dell’Atlético è stato questo anche ieri, in una partita per larghi tratti soffertissima, con poche possibilità di proporre una reazione, ma che non ha mai visto i colchoneros completamente abbattuti e rassegnati (quanta differenza con il Barça della sera prima, che con un contesto da sogno sembrava non crederci più già dopo un’ora… a volte anche le migliori squadre del mondo o presunte tali hanno tantissimo da imparare). Hanno saputo aspettare il loro momento, si sono andati a prendere le loro occasioni e si sono conquistati la finale. Con merito, senza rubare proprio nulla, anche se la prospettiva di partire favoriti con il meno blasonato Fulham già terrorizzerà il tifoso colchonero medio… figuriamoci poi quella di un’ipotetica doppietta con la Copa del Rey…

La terapia del terrore aveva già avuto inizio dopo 15 secondi: prima palla giocata dal Liverpool, prima occasione. Atlético del tutto spiazzato dall’avvio dei padroni di casa, disposti in maniera anticonformista e molto interessante da Benítez: 4-2-3-1 con Aquilani, ma curiosamente l’ex romanista parte sulla trequarti, e in cabina di regia arretra Gerrard, accanto a Lucas. Ottima mossa perché mette Stevie al centro del gioco e, rispetto all’andata, dà una scossa al Liverpool: al Calderón Lucas+Mascherano non ce la facevano proprio a uscire da una trasmissione della palla lenta, precaria e orizzontale, Gerrard invece rappresenta di per sé un’iniezione di ritmo, di verticalità e di “cattive intenzioni” senza uguali. Tra l’altro, nota personale, fa piacere vedere Gerrard più arretrato per apprezzare appieno il miglior centrocampista del mondo, qualifica invece inevitabilmente annacquata nel tentativo ricorrente di “attaccantizzarlo” avvicinandolo sempre più alla prima punta. In tutto questo, con Glen Johnson adattato a sinistra, Mascherano va a fare il terzino destro (bene: non sempre perfettamente coordinato coi compagni di reparto, ma una garanzia nei recuperi e negli uno contro uno), mentre di punta si nota assai la differenza fra Ngog e un lottatore come Kuijt, che tiene costantemente in tensione i centrali dell’Atlético.
Il Liverpool impone un ritmo alto e alterna intelligentemente la palla lunga e la spizzata di Kuijt con le trame palla a terra (una davvero spettacolare prepara un quasi-gol sottomisura sempre di Kuijt), sfruttando ottimamente la fascia destra (l’intelligenza di Benayoun nei tagli da destra verso il centro e il fitto dialogo sulla trequarti con Benayoun e Gerrard distrae il sistema difensivo dell’Atlético e apre spazi alle sovrapposizioni di Mascherano (cui la voglia di correre non manca di certo), mentre anche Babel sull’ala opposta contribuisce a tenere molto più basso un Atlético che invece all’andata proprio dalla sua fascia destra aveva posto le basi del proprio dominio territoriale.

Stavolta invece Reyes viene ricacciato dietro, il mediocre Valera dà meno possibilità di rilanciare l’azione rispetto a Ujfalusi, ed è tutto l’Atlético che fa una fatica terribile ad uscire. Mantiene un discreto ordine in fase di non possesso, resiste in difesa (enorme Domínguez, enorme) ma inevitabilmente soffre perché non riesce a intervallare queste fasi con quel minimo di possesso necessario ad evitare l’apnea. Perde subito palla e ricomincia un nuovo attacco avversario, il Liverpool mantiene alto il ritmo e Anfield ci crede ancora di più.
Assunção e Raúl García sono attenti nell’accorciare verso la difesa e coprire molte delle possibili incursioni dalla seconda linea del Liverpool (vabbè, il gol di Aquilani… ma se in un contesto tattico e ambientale così difficile Gerrard praticamente non ha avuto mai l’opportunità di inserirsi e prendere la mira, vuol dire che quella zona è stata ben presidiata), ma in fase di possesso sono piatti e orizzontali che di più non si può, e in generale l’Atlético Madrid conferma il solito problema delle linee di passaggio scarse e risicatissime.
Reyes è risucchiato indietro e non può comunicare stabilmente con Agüero e Forlán, limitandosi a sprazzi (per quanto notevoli, vedi il passaggio che smarca Kun, poco ispirato in tutta la serata, per un contropiede pericolosissimo); mancano gli appoggi fra le linee per collegare i reparti e far salire la squadra, il 4-4-2 è troppo leggibile, pochi interscambi, pochi tagli, poca elaborazione (un aspetto sul quale deve lavorare tantissimo l’Atlético per crescere, al di là dell’indispensabile acquisto di un regista), poca partecipazione degli esterni (male Simão, che in questa stagione ha cominciato a dare più che evidenti segnali di declino) e anche scarso protagonismo di Forlán.
Però succede che il Liverpool non può tenere questo ritmo per novanta minuti, e nella ripresa la partita comincia gradualmente a equilibrarsi, pur non facendo l’Atlético niente di trascendentale. Il Liverpool corre e aggredisce meno, abbassa di qualche metro il blocco, e pur rimanendo prevedibili i passaggi dei giocatori dell’Atlético sono di più e più continui (con una maggiore partecipazione collettiva, vedi Antonio López, non proprio Roberto Carlos, che con personalità si carica buona parte del lavoro offensivo che su quella fascia Simão non riesce a garantire), contribuendo a smorzare la tensione.

Non esaurisce però l’orgoglio il Liverpool, e la zampata di Benayoun ad inizio supplementari ne è la dimostrazione. Ma la partita comunque non riescono a dominarla più i Reds, e cresce la paura per quella singola occasione che l’Atlético da un momento all’altro può comunque sfruttare.
Non c’è solo questo però, c’è anche una buonissima lettura di Quique dalla panchina nel giocarsi la carta Jurado. Carta che a dire il vero poteva anche giocarsi prima, già nei tempi regolamentari quando il Liverpool faticava ormai a mantenere pressing e distanze tra i reparti, fatto sta che Jurado incide tantissimo, perché offre la possibilità di sfruttare quegli spazi con un giocatore capace di cambiare ritmo e verticalizzare con estrema facilità. Giocatore graziosetto ma mai esploso, sempre accompagnato da una caterva di “se”, “ma” e “però”, ieri Manolo nel suo spezzone ha giustificato tutta la propria stagione, e la condizione di dodicesimo uomo e principale variante offensiva che andrà preservata anche in vista della prossima stagione.
Questo senza dimenticare che comunque non è stato Jurado ma uno svarione di Johnson ad aprire la strada a Reyes sull’azione del gol decisivo di Forlán… Ma, come si dirà da oggi… la fortuna aiuta quelli che sanno soffrire. Qué manera de sufrir, qué manera de ganar.

FOTO: elpais.com

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5 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Bella partita. Io sono contento quando ci sono queste finali strane, tra squadre che se proprio non sono "Cenerentole" (ma il Fulham un po' lo è) comunque non arrivano fin qui perchè favorite dai pronostici o incoraggiate dai buoni risultati in campionato... tanto per sfatare il mito, così proclamato dai "grandi" allenatori, che una grande stagione significa sempre e per forza un buon piazzamento entro i confini nazionali e solo successivamente un buon percorso europeo. Eccole qua: due squadre di media classifica (non che l'Atlético lo sia, di suo) che si contendono la seconda competizione europea più importante. Meglio di così...
Tommaso.

5:33 PM  
Blogger Vojvoda said...

Atletico buono, più che buono, mai banale nella sua lotta alla routine quotidiana che ti tiene con il fiato sospeso nonostante supplementari arci dominati e in quegli ultimi minuti a "beffa incombente" dopo l'accelerazione mal gestita dal duo Reyes-Aguero, le ripartenze frustrate dal passaggio troppo lieve o troppo audace, il braccetto corto di Salvio quando tener palla significava Amburgo.
Torres no, ma Liverpool che c'è, batte cassa ad una stagione funerea e reclama vita con il Gerrard che vogliamo (centrocampista puro che muova squadra ed emozioni). L'assenza del Nino, contemporaneamente all'inadeguatezza di N'Gog finalmente maturata da Don Rafa, l'assenza di un "basso" a sinistra efficace (Fabio Aurelio, Insua: bocciati) hanno fatto spiccare il volo al "pizzetto col chewin-gum" che ha presentato novità maggiori che al Salone Internazionale del Libro di Torino.
Un orologetto che ha funzionato per parte della gara, uno strumento utile per non far scorrere nei titoli di coda la scritta "clean sheet titles" e quindi finire la stagione con una potenziale sfida nel segno di Keegan nella casa che fu di Kevin.
Ma i sogni sono destinati a rimanere tali se di mezzo c'è l'Atleti. Finali di coppe come piovesse e boccheggiante nella Liga de "las estrellas caidas".
L'aveva Jurado e così è stato: il caditano entra e cambia. Prima la serpentina tra i paletti inglesi e tiro sibilante a due polpastrelli da Reina, poi tutto il monologo colchonero che, si badi bene, si è sempre tenuto la mossa offensiva con un MURINO ben fatto, mai troppo alto, altro che MURAGLIE SELGIUCHIDE del Sultano nomade MURINHOVIC.
"Barca è Barca, Bayern passeggiato a Lione, partita finita, poi allentamento", recitò il sultano nomade nei gesti e nell'anima e pungente come un porcospino.
Eh, ma caro Giuseppe, Gesù e Mania, Liverpool è Liverpool e seppur in stagione disastrata, Anfield è Anfield, caro il mio onnisciente. I materassai sanno l'arte dell'offesa (su quella verbale c'è il Copyright) e si vanno a giocare la finale in postura di favoriti (giammai) con Perea che sembra il fratello di Carl Lewis nella corsa e di un rigattiere nei recuperi. In una parola: trasformista.
Bravo Quique, il timido stilista dell'abbigliamento che guarda le partite col suo compeletino da golf e che questa stagione è già di molto sotto il Par nei tornei infrasettimanali.
Atleti in finale dopo 26 anni da quella gara di Lione contro la Dinamo Kiev (vista...) a 6 giorni dall'immane tragedia di Cernobyl. Fu un desastre deportivo anche per i biancorossi: ora Sir Roy si vuole per caso mettere di mezzo? Gil y Gil dal sepolcro glielo impedirà, ne siamo certi.
Saluti Vale!

8:07 PM  
Blogger valentino tola said...

@ Tommaso
Sì, mi fa piacere per il Fulham. Tra l'altro ha uno dei campi più suggestivi di tutto il calcio europeo.

@ Vojvoda
Mi preoccupano sempre di più questi tuoi attacchi... poi non ti lamentare se Markovic ti ridà del Gazzaniga, eh :D

Vedo che siamo d'accordo su Gerrard. Anche se non sono un esperto di Arsenal, è un discorso che mi sento di fare anche per quelle volte quest'anno che ho visto Cesc trequartista. Secondo me questi giocatori facendo così un po' rischi di banalizzarli. Sono giocatori che devono essere sempre al centro di ogni azione.

12:29 AM  
Anonymous Hincha Madridista said...

Sono contento per i cugini, in fondo ad Anfield hanno saputo soffrire e sopportare l'attacco dei padroni di casa stringendo i denti e uscendo bene quando il Liverpool ha dovuto per ovvi motivi abbassare il ritmo. Certo il fatto che la finale sia col Fulham potrebbe essere un handicap per una squadra che come poche si esalta e convince nella sofferenza per perdersi con avversari abbordabili. Molto deludente il Kun come spesso questa stagione, mentre si conferma Jurado (giocatore che mi è sempre piaciuto come Reyes) più utile a gara in corso che dal 1'.

2:39 PM  
Blogger valentino tola said...

Anche a me Jurado è sempre piaciuto, è uno dei giocatori più raffinati della Liga. Diciamo che non ha dimostrato una personalità tale da garantirsi la titolarità, però averlo come pedina per il turnover o a partita in corso (per le doti che ha calza a pennello: è un giocatore molto leggero, col cambio di passo, entra in partita subito se ci entra) è una fortuna non da poco.

10:30 AM  

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