Protagonisti: Ander Herrera (Zaragoza).
Pura razza tiqui-taca
Nome: Ander Herrera Agüera.
Luogo e data di nascita: Bilbao, 14/8/1989.
Altezza: 1,82 m.
Peso: 70 kg.
Ruolo: centrocampista offensivo (trequartista/mezzala/esterno).
Nel film ora diffuso nelle sale “Il mio amico Eric”, Eric Cantona, interrogato dal suo amico-postino-evocatore su quale fosse stato il momento più bello della sua carriera, anche di fronte alla rievocazione di gol spettacolari e decisivi, risponde senza alcun tentennamento: “non è stato un gol, è stato un passaggio” (nello specifico, quest' inconcepibile assist a Irwin). Se invece il protagonista del film fosse stato un centrocampista spagnolo contemporaneo, la risposta probabilmente sarebbe stata: “un passaggio… ma anche quello seguente, e poi quello ancora successivo…”.
È questa la filosofia della quale si nutrono i talenti spagnoli attuali: i vari Iniesta, Silva, Cesc, Xavi e compagnia sono accomunati dalla predisposizione a mettere il talento al servizio prima di tutto della squadra. Giocatori simili la cui resa collettiva è ben superiore alla semplice somma aritmetica delle individualità: ognuno rafforza e moltiplica le qualità del compagno, di passaggio in passaggio, di triangolazione in triangolazione.
È una scuola consolidata ormai, prova ne sia il ricambio che già si profila all’orizzonte: l’ultimo exploit alcune settimane fa è arrivato dal diciottenne del Racing Canales, protagonista di una doppietta sul campo dell’Espanyol all’esordio da titolare con la prima squadra. Ma pure nel Zaragoza in piena crisi il ventenne Ander Herrera ha il futuro tutto dalla sua.
Luogo e data di nascita: Bilbao, 14/8/1989.
Altezza: 1,82 m.
Peso: 70 kg.
Ruolo: centrocampista offensivo (trequartista/mezzala/esterno).
Nel film ora diffuso nelle sale “Il mio amico Eric”, Eric Cantona, interrogato dal suo amico-postino-evocatore su quale fosse stato il momento più bello della sua carriera, anche di fronte alla rievocazione di gol spettacolari e decisivi, risponde senza alcun tentennamento: “non è stato un gol, è stato un passaggio” (nello specifico, quest' inconcepibile assist a Irwin). Se invece il protagonista del film fosse stato un centrocampista spagnolo contemporaneo, la risposta probabilmente sarebbe stata: “un passaggio… ma anche quello seguente, e poi quello ancora successivo…”.
È questa la filosofia della quale si nutrono i talenti spagnoli attuali: i vari Iniesta, Silva, Cesc, Xavi e compagnia sono accomunati dalla predisposizione a mettere il talento al servizio prima di tutto della squadra. Giocatori simili la cui resa collettiva è ben superiore alla semplice somma aritmetica delle individualità: ognuno rafforza e moltiplica le qualità del compagno, di passaggio in passaggio, di triangolazione in triangolazione.
È una scuola consolidata ormai, prova ne sia il ricambio che già si profila all’orizzonte: l’ultimo exploit alcune settimane fa è arrivato dal diciottenne del Racing Canales, protagonista di una doppietta sul campo dell’Espanyol all’esordio da titolare con la prima squadra. Ma pure nel Zaragoza in piena crisi il ventenne Ander Herrera ha il futuro tutto dalla sua.
Ander spicca per le sue qualità tecniche, per il senso del gioco e la capacità di muoversi in campo, anche se questa prima parte di stagione non gli ha certamente offerto le migliori occasioni per brillare.
Lanciato con successo da Marcelino nel girone di ritorno della passata Segunda, ha iniziato l’anno da primo rincalzo del centrocampo e della trequarti, decidendo col suo ingresso in corsa la gara d’esordio col Tenerife (al primo pallone toccato tunnel e passaggio filtrante che innesca l’azione del gol di Arizmendi). Altro spezzone nella trasferta di Siviglia, ma poi interviene il Mondiale Under 20: nella deludente spedizione egiziana guidata da Luis Milla, Ander è una sorta di dodicesimo uomo pronto a subentrare a Fran Mérida e Parejo come mezzala o anche a partire da una delle fasce rilevando Jordi Alba o Aarón, con un rendimento discreto, due gol all’attivo e qualche sprazzo d’alta scuola.
Il ritorno alla realtà di club lo vede impegnato a riconquistare posizioni nella graduatoria di Marcelino: soprattutto a partita in corso su una delle due fasce (più spesso a destra), senza riuscire però a emergere nella progressiva involuzione zaragocista che porterà infine all’esonero di Marcelino. Col nuovo tecnico José Aurelio Gay arriva un cambio di modulo, dal 4-4-2 al 4-3-3, e una maglia da titolare per Ander, da mezzala destra, ma la serata del Bernabeu passa in archivio come l’ennesima figuraccia che inevitabilmente coinvolge anche il nostro.
Data l’inesperienza non può essere certo questo ragazzo, figlio di Pedro Herrera, segretario tecnico del Zaragoza (di origini basche e tifoso dell’Athletic, da qui la spietata corte che il club vizcaino ha esercitato nei confronti di Ander, con insuccesso data la fede zaragocista del giocatore, nato a Bilbao ma cresciuto in Aragona), il salvatore della patria, ma è anche certo che il contributo di talento e di freschezza da parte di un giocatore relativamente meno compromesso con le recenti tristezze del Zaragoza e ancora sufficientemente “ilusionado” può rivelarsi importante.
Lanciato con successo da Marcelino nel girone di ritorno della passata Segunda, ha iniziato l’anno da primo rincalzo del centrocampo e della trequarti, decidendo col suo ingresso in corsa la gara d’esordio col Tenerife (al primo pallone toccato tunnel e passaggio filtrante che innesca l’azione del gol di Arizmendi). Altro spezzone nella trasferta di Siviglia, ma poi interviene il Mondiale Under 20: nella deludente spedizione egiziana guidata da Luis Milla, Ander è una sorta di dodicesimo uomo pronto a subentrare a Fran Mérida e Parejo come mezzala o anche a partire da una delle fasce rilevando Jordi Alba o Aarón, con un rendimento discreto, due gol all’attivo e qualche sprazzo d’alta scuola.
Il ritorno alla realtà di club lo vede impegnato a riconquistare posizioni nella graduatoria di Marcelino: soprattutto a partita in corso su una delle due fasce (più spesso a destra), senza riuscire però a emergere nella progressiva involuzione zaragocista che porterà infine all’esonero di Marcelino. Col nuovo tecnico José Aurelio Gay arriva un cambio di modulo, dal 4-4-2 al 4-3-3, e una maglia da titolare per Ander, da mezzala destra, ma la serata del Bernabeu passa in archivio come l’ennesima figuraccia che inevitabilmente coinvolge anche il nostro.
Data l’inesperienza non può essere certo questo ragazzo, figlio di Pedro Herrera, segretario tecnico del Zaragoza (di origini basche e tifoso dell’Athletic, da qui la spietata corte che il club vizcaino ha esercitato nei confronti di Ander, con insuccesso data la fede zaragocista del giocatore, nato a Bilbao ma cresciuto in Aragona), il salvatore della patria, ma è anche certo che il contributo di talento e di freschezza da parte di un giocatore relativamente meno compromesso con le recenti tristezze del Zaragoza e ancora sufficientemente “ilusionado” può rivelarsi importante.
Dal punto di vista tattico, Ander Herrera è un giocatore che al pari di Iniesta può indifferentemente agire da mezzala, trequartista o partire da una delle due fasce per poi accentrarsi e rifinire, certamente non per cercare la linea di fondo. La posizione ideale sarebbe quella di mezzapunta centrale, ma nel suo sistema di gioco Marcelino lo ha impiegato soprattutto da esterno, e qui si pone l’alternativa se schierarlo a destra o a sinistra.
In assoluto, essendo Ander un destro naturale, come tutti i giocatori di questo tipo preferisce partire da sinistra per accentrarsi, in modo da disporre di un angolo di passaggio più ampio; Marcelino tuttavia lo ha utilizzato prevalentemente a destra, fatto strano se si pensa che a sinistra ha invece giocato maggiormente quel Jorge López che proprio a destra, e proprio allenato da Marcelino, aveva dimostrato di trovarsi a meraviglia a Santander.
In prospettiva però, posto che Ander Herrera non ha comunque mostrato particolari difficoltà nel muoversi in quella zona, il suo impiego a destra può prospettare alla manovra del Zaragoza interessanti prospettive di crescita. La chiave è il recente ritorno di Diogo: se l’uruguagio recupererà la forma migliore e tornerà ad essere quel terzino capace di coprire l’intera fascia con grande esuberanza atletica e profondità, allora dal connubio con Ander potrebbe venire fuori una catena capace di produrre una grande mole di gioco: Ander gestisce i tempi, nasconde il pallone a attira avversari verso di sé, Diogo apre il campo e si fionda negli spazi così aperti.
Una copia in piccola scala del binomio blaugrana Xavi-Alves, tralasciando l’insignificante dettaglio che mancherebbe però un Messi… Comunque una carta da tenere in considerazione, ancora di più se il modulo resterà il 4-3-3 con una eventuale posizione di mezzala che pur facendolo tendere verso la destra garantirebbe ad Ander maggior centralità nella manovra rispetto al ruolo di esterno precedentemente ricoperto nel 4-4-2.
In assoluto, essendo Ander un destro naturale, come tutti i giocatori di questo tipo preferisce partire da sinistra per accentrarsi, in modo da disporre di un angolo di passaggio più ampio; Marcelino tuttavia lo ha utilizzato prevalentemente a destra, fatto strano se si pensa che a sinistra ha invece giocato maggiormente quel Jorge López che proprio a destra, e proprio allenato da Marcelino, aveva dimostrato di trovarsi a meraviglia a Santander.
In prospettiva però, posto che Ander Herrera non ha comunque mostrato particolari difficoltà nel muoversi in quella zona, il suo impiego a destra può prospettare alla manovra del Zaragoza interessanti prospettive di crescita. La chiave è il recente ritorno di Diogo: se l’uruguagio recupererà la forma migliore e tornerà ad essere quel terzino capace di coprire l’intera fascia con grande esuberanza atletica e profondità, allora dal connubio con Ander potrebbe venire fuori una catena capace di produrre una grande mole di gioco: Ander gestisce i tempi, nasconde il pallone a attira avversari verso di sé, Diogo apre il campo e si fionda negli spazi così aperti.
Una copia in piccola scala del binomio blaugrana Xavi-Alves, tralasciando l’insignificante dettaglio che mancherebbe però un Messi… Comunque una carta da tenere in considerazione, ancora di più se il modulo resterà il 4-3-3 con una eventuale posizione di mezzala che pur facendolo tendere verso la destra garantirebbe ad Ander maggior centralità nella manovra rispetto al ruolo di esterno precedentemente ricoperto nel 4-4-2.
Anche tecnicamente si spera che Ander possa ricalcare le orme di Iniesta, seppure con una completezza e una brillantezza atletica nettamente inferiori. Ander è versatile perché il calcio bene o male è sempre lo stesso per chi come lui lo sa giocare: una questione di spazi, di ritmi e di pallone da controllare, qualunque sia la zona della mediana in cui ti trovi.
Drogato di uno-due, il calcio per lui è costante movimento e partecipazione, tecnica, stile, intelligenza e visione di gioco per aggirare gli ostacoli posti dai limiti atletici. Un po’ esile, preferisce affidarsi alle triangolazioni piuttosto che andare a sbattere contro gli avversari. Cerca sempre di conferire agilità alla manovra, liberandosi in pochi tocchi e non mantenendo mai una posizione fissa, con una particolare predilezione per lo spazio tra le linee.
Al tempo stesso però possiede la freddezza e la qualità per congelare il pallone quando opportuno. Assai difficile togliergli il pallone: paradossalmente sembra trovarsi più a suo agio quando gli avversari, anche più d’uno, lo attaccano in pressing, piuttosto che quando sulla fascia ha a disposizione l’uno contro uno “da fermo”, faccia a faccia con il terzino. Nonostante una notevole rapidità nel muovere il pallone sul breve, pare mancargli il dribbling secco, mentre quando deve proteggere palla, anche in spazi molto stretti, i suoi controlli con la suola lasciano il più delle volte all’avversariol’unica alternativa del fallo.
L’ aspetto speciale del gioco di Ander Herrera è però la visione di gioco: non solo per l’eccellente lettura dei ritmi da imprimere alla manovra e degli spazi da coprire in fase offensiva, ma anche per la capacità di inventare rifiniture fuori dall’immaginazione del giocatore medio. De la Peña e Guti sono difficili da raggiungere in questo senso, ma il ragazzo ha già dimostrato di poter far fuori una difesa avversaria schierata con un solo passaggio, liberando varchi apparentemente inesistenti, col pallone che quasi avesse gli occhi si ferma esatto esatto sulla corsa del compagno lanciato (vedere per credere quest’assist visionario, risalente alla passata stagione).
Nato ed educato al culto del passaggio, come i suoi omologhi possiede il difetto di considerare il gol come un di più, un extra non troppo necessario, una cosa quasi volgare, il che può rappresentare un danno quando la maggior parte delle squadre spagnole gioca con una sola punta e richiede quindi un buon apporto realizzativo agli inserimenti dei centrocampisti (le cronache narrano di un Aragonés CT ossessivo ai limiti dell’esasperazione su questo punto con Xavi & C.). Mancano la predisposizione e l’istinto ma manca anche la cattiveria, quasi mai lo si vede cercare la conclusione. Problema che rientra all’interno di quello più generale di una personalità ancora tutta da costruire e verificare ai massimi livelli, l’unico reale punto interrogativo sulla strada verso lo status di grande giocatore.
Drogato di uno-due, il calcio per lui è costante movimento e partecipazione, tecnica, stile, intelligenza e visione di gioco per aggirare gli ostacoli posti dai limiti atletici. Un po’ esile, preferisce affidarsi alle triangolazioni piuttosto che andare a sbattere contro gli avversari. Cerca sempre di conferire agilità alla manovra, liberandosi in pochi tocchi e non mantenendo mai una posizione fissa, con una particolare predilezione per lo spazio tra le linee.
Al tempo stesso però possiede la freddezza e la qualità per congelare il pallone quando opportuno. Assai difficile togliergli il pallone: paradossalmente sembra trovarsi più a suo agio quando gli avversari, anche più d’uno, lo attaccano in pressing, piuttosto che quando sulla fascia ha a disposizione l’uno contro uno “da fermo”, faccia a faccia con il terzino. Nonostante una notevole rapidità nel muovere il pallone sul breve, pare mancargli il dribbling secco, mentre quando deve proteggere palla, anche in spazi molto stretti, i suoi controlli con la suola lasciano il più delle volte all’avversariol’unica alternativa del fallo.
L’ aspetto speciale del gioco di Ander Herrera è però la visione di gioco: non solo per l’eccellente lettura dei ritmi da imprimere alla manovra e degli spazi da coprire in fase offensiva, ma anche per la capacità di inventare rifiniture fuori dall’immaginazione del giocatore medio. De la Peña e Guti sono difficili da raggiungere in questo senso, ma il ragazzo ha già dimostrato di poter far fuori una difesa avversaria schierata con un solo passaggio, liberando varchi apparentemente inesistenti, col pallone che quasi avesse gli occhi si ferma esatto esatto sulla corsa del compagno lanciato (vedere per credere quest’assist visionario, risalente alla passata stagione).
Nato ed educato al culto del passaggio, come i suoi omologhi possiede il difetto di considerare il gol come un di più, un extra non troppo necessario, una cosa quasi volgare, il che può rappresentare un danno quando la maggior parte delle squadre spagnole gioca con una sola punta e richiede quindi un buon apporto realizzativo agli inserimenti dei centrocampisti (le cronache narrano di un Aragonés CT ossessivo ai limiti dell’esasperazione su questo punto con Xavi & C.). Mancano la predisposizione e l’istinto ma manca anche la cattiveria, quasi mai lo si vede cercare la conclusione. Problema che rientra all’interno di quello più generale di una personalità ancora tutta da costruire e verificare ai massimi livelli, l’unico reale punto interrogativo sulla strada verso lo status di grande giocatore.
Etichette: Giocatori, Protagonisti, Zaragoza
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