martedì, dicembre 26, 2006

Il punto su Atlético e Real.

ATLETICO MADRID: Merita davvero applausi questa squadra, perché essere riusciti ad arrivare alla sosta al quarto posto, obiettivo massimo ad inizio stagione, nonostante tutte le limitazioni, gli imprevisti di questi primi mesi e le evidenti carenze nel gioco, rappresenta già un gran successo per Aguirre.
Flagellato in una sola settimana dai gravi infortuni dei suoi due esterni titolari, prima il fondamentale Maxi Rodriguez (vero goleador occulto della squadra, già 3 gol per lui nelle 4 partite giocate) e poi l’ irrisolto Martin Petrov, Aguirre è stato costretto dalle circostanze a sperimentare: Galletti (molta quantità e grinta, un po’ meno qualità, dal “Hueso”), rincalzo naturale di Maxi, è diventato titolare fisso sulla destra del centrocampo, mentre sulla sinistra c’è stata prima la fugace apparizione del canterano Victor Bravo, poi la soluzione col doppio terzino (Pernia, deludente finora, terzino sinistro, e Antonio Lopez avanzato a centrocampo) e infine, nelle ultime due partite, la promozione di Jurado, per lungo tempo trascurato, come finto esterno sinistro che spesso e volentieri si accentra sulla trequarti, suo habitat naturale.
Al di là degli sconvolgimenti della formazione titolare, la costante di questo primo Atlético di Aguirre è risieduta nella tremenda difficoltà nell’ elaborazione della manovra. I colchoneros sono una squadra ben organizzata, con le linee molto ravvicinate come piace ad Aguirre, che ha subito pochi gol (12, come il Barcelona, subito dietro al Getafe, squadra meno battuta della Liga con solo 11 gol al passivo) e che, seconda solo al Barça in questa speciale classifica, riceve pochi tiri in porta (157 finora, subito dietro i 149 subiti dal Barça). E’ una squadra che fa grande quantità e che quasi sempre ha il possesso palla a favore (anche qui sta dietro soltanto al Barça, 402 minuti contro i 467 blaugrana), però il problema è che, a differenza del collettivo di superstelle di Rijkaard, questo possesso palla è di scarsissima qualità, il più delle volte orizzontale, impotente e privo di idee. Il problema è tanto semplice nella sua enunciazione quanto difficile nella sua soluzione: manca chi sappia far arrivare palloni puliti dal centrocampo agli attaccanti.
Tanta solidità da Luccin (mai convincente con la maglia dell’ Atlético come in questa stagione), tanto movimento da Maniche, tantissimi cross prevedibili dalla trequarti, ma il problema rimane irrisolto e spiega bene le maggiori difficoltà che l’ Atlético trova fra le mura amiche rispetto a quando gioca in trasferta: al Vicente Calderon trova meno spazi e quasi mai ha il contropiede a favore, anche perché spessissimo l’Atlético è passato in svantaggio in casa. Avversari ben chiusi evidenziano impietosamente le lacune creative dei colchoneros, non si tratta certo di una semplice curiosità statistica (dei 28 punti ottenuti finora, 13 in casa e 15 in trasferta).
Una soluzione potrebbe passare per l’inserimento convinto e definitivo fra i titolari di Jurado, l’unico della rosa in grado di fornire l’ultimo passaggio, ma il progetto per il momento si scontra con le preferenze tattiche di Aguirre, che non vuole un giocatore così gracile e difensivamente inesistente nel cuore del suo centrocampo (essendo disposto al massimo a far partire Jurado da una delle due fasce, in questo caso meglio da sinistra, perché ha più campo per rientrare col destro), e si scontra pure con gli stessi limiti di personalità del giocatore, uno dei talenti più puri del calcio spagnolo, ma ancora non pienamente consapevole di ciò.
Al di là di un’ inizio di stagione negativo e del solito scarso feeling col gol, stiamo secondo me assistendo alla vera esplosione di Fernando Torres (dopo la stagione 2003-2004, la sua migliore finora, in cui segnò il suo record realizzativo personale con 19 gol), davvero impressionante in alcune partite (su tutte, quelle con Sevilla, Villarreal, Espanyol, nonostante la sconfitta finale, e Getafe) nelle quali, remando contro corrente, ha trascinato di peso la sua squadra, creando il più delle volte occasioni dal nulla con quelle sue straordinarie percussioni partendo dalle fasce. Potrebbe definitivamente essersi assunto tutte le responsabilità implicate da quella fascia di capitano che porta al braccio, sempre che non gli si metta addosso eccessiva pressione sulle questioni meramente realizzative, che non sono il suo forte. Torres è un grande apriscatole, si deve partire da questo punto fermo, anche e soprattutto in chiave Nazionale (ergo, se gioca titolare deve avere sempre accanto una punta prolifica, cioè Villa, non deve fare la punta unica).
Accanto a Torres, cresce ed impara Aguero, protetto (magari con qualche panchina di troppo) da Aguirre, ancora da svezzare e con le sue buone lacune tattiche (senza palla non esiste), ma già in grado di mostrarci qualche sprazzo promettentissimo, come contro il Villarreal, il Barça e contro il Levante in Copa del Rey, lasciando da parte la brutta pagina del gol di mano al Recreativo. Mista fino a questo momento, frenato anche da un infortunio, è più servito come contrappeso per Aguero e come pedina tattica in alcune partite (sulla trequarti come guastatore contro il Real Madrid, come collegamento fra centrocampo e attacco nel secondo tempo col Barça) che altro.
La difesa, già benissimo attrezzata di suo, gode dell’ ottima organizzazione generale: il più continuo è Perea (partitaccia contro l’Espanyol a parte), mentre approfittando delle assenze prima di Pablo (deve ritrovarsi, il pubblico tra l’altro non gli ha ancora perdonato il flirt estivo col Real Madrid) e poi di Perea, si è fatto strada il giovane portoghese Zé Castro, in continua crescita di autorevolezza. Confermata, a parte il pessimo ruolino disciplinare, l’ affidabilità di Seitaridis, il peggiore dei nuovi acquisti finora è stato senza dubbio Costinha, segnalatosi più che altro come maldestro picchiatore.
Su grandi livelli Leo Franco, con l’exploit di Siviglia (due rigori neutralizzati col Betis) come ciliegina.


REAL MADRID: Il progetto giusto (nelle intenzioni, un po’ meno negli strumenti adottati) nel momento sbagliato. Un errore secondo me, in tempi di dominio blaugrana, puntare su un tecnico come Capello e sui relativi campioni affermati e avanti con gli anni.
Quest’ estate, con tanto potere economico a disposizione, era l’ occasione giusta per avviare una rifondazione e un ringiovanimento sistematico della rosa, magari con un tecnico emergente e più confacente ai canoni estetici storici madridisti come Schuster. L’arrivo invernale dei Gago, Marcelo e Higuain pare una mossa tardiva e forse poco ragionata, che probabilmente, in caso di risultati negativi quest’ anno, verrà scavalcata da un’ altra decina di decisioni in senso contrario.
Per ora siamo rimasti a un ibrido, una squadra sostanzialmente anonima, che vive di espedienti e si difende sostanzialmente con la sola forza del suo “marchio”. Senza uno straccio di gioco, agli avversari basta il più delle volte ripiegare ordinatamente e alzare un pochino il pressing per mandare in tilt il marchingegno (come l’ Atlético, il Real Madrid si trova meglio fuori casa che in casa propria: stesse motivazioni tattiche dei colchoneros, con l’aggiunta di pesanti condizionamenti psicologici che scattano quando si gioca al Bernabeu). Fortunatamente la qualità e la personalità di certi giocatori ha consentito il più delle volte di risolvere le partite sfruttando gli episodi, ora con i gol di Van Nistelrooy ora con un arsenale aereo estremamente temibile sui calci piazzati (Cannavaro, Ramos, Helguera, Diarra ed Emerson hanno regalato al Real Madrid il primato assoluto finora nei gol su azioni da calci piazzato, 6 in totale, senza dimenticare le botte da fuori di Roberto Carlos), ma, per l’ appunto, solo di questo, di episodi, si è trattato: troppo facile accorgersene quando il Recreativo monta un umiliante torello al Bernabeu, bisognava pensarci già nelle partite con Nàstic, Racing e Osasuna, senza fermarsi alla sola lettura del risultato finale.
Principale punto debole del progetto è un centrocampo costruito davvero male: a cominciare dalla coppia Emerson-Diarra, fiore all’ occhiello di un undici costruito sulla base di una malintesa concezione degli equilibri di una squadra: un’ utopia difensivista secondo la quale basta aggiungere mastino a mastino, marcantonio a marcantonio, doppione a doppione per diventare automaticamente imbattibili e impenetrabili. Che importa se la squadra si spezza in due tronconi, se gli attaccanti (inadatti tra le altre cose al contropiede, limitazione grave per una squadra “cinica”) restano isolati perché Diarra ed Emerson non sanno impostare, tanto c’è la Diga!
Diga che da irrinunciabile caposaldo delle strategie di Capello nelle ultime giornate è stata accantonata, anche sotto i colpi delle crisi di spogliatoio. Diarra (sacrificato qualche metro più avanti in lavori di impostazione e di propulsione che non sono i suoi: dovrebbe giocare lui davanti alla difesa come faceva a Lione, non Emerson), colto a criticare Capello nel famoso “fuori onda” con Cassano, non è stato nemmeno convocato contro il Recre.
Ma anche l’arretramento di Guti vicino a un solo incontrista come Emerson, non ha elevato la qualità del gioco, e su questo pesano molto le colpe di un talento sostanzialmente inespresso come il biondo canterano. Davanti a se aveva un’ occasione irripetibile, visto che non sono presenti altri giocatori con le sue caratteristiche, in grado di collegare centrocampo e attacco, nella rosa di Capello, ma la sta sciupando, certo tartassato dagli avversari (che sanno che fermando lui, con le buone o le cattive, annulli tutta la manovra madridista) ma limitato in primo luogo da lacune di personalità e di continuità che non lo rendono all’ altezza del compito.
Ma sarebbe ingiusto valutare il Real Madrid solo dal punto di vista della qualità del gioco, perché Capello non è un venditore di fumo e a nessuno ha mai promesso un circo. Chi prende Capello cerca prima di tutto equilibri, solidità difensiva ed efficacia. Ma valutandolo anche da questo più corretto punto di vista il suo Real Madrid finora non ha certo esaltato: i 14 gol incassati sono pochi, ma troppo spesso il gran Casillas ci ha dovuto mettere la pezza.
Il Real Madrid ha subito finora 179 tiri in porta, più ad esempio di Osasuna, Athletic, Recreativo e Barcelona, e non è nemmeno la squadra che ruba più palloni (lo è il Celta). Non certo una squadra blindata: la Diga è rimasta finora un discorso sulla carta, Emerson si è trovato più a correre dietro agli avversari che a imporre la sua legge e la difesa, a parte un Sergio Ramos sempre esuberante (a volte anche troppo) che, sia da centrale che da terzino destro, prosegue positivamente la sua ascesa, non ha mai dato reale sicurezza (a parte la seconda metà di Siviglia e la trasferta con l’Espanyol, poi però sonoramente smentite dalla figuraccia col Recreativo).
Inevitabile parlare di Cannavaro: molto deludente questo suo avvio madridista, segnato da alcuni picchi incredibilmente negativi come le partita col Lione in Champions o la già storica performance col Recreativo. Molti i motivi: una forma imperfetta, con qualche acciacco ricorrente, un po’ di appagamento post-mondiale, la necessità di adattarsi a un calcio molto diverso da quello italiano, nonostante l’ allenatore resti lo stesso, e, non ultima, l’ enorme differenza fra una competizione che si esaurisce in poche partite come il Mondiale e una Liga+Champions molto più logorante per un giocatore di 33 anni. Helguera, ingiustamente emarginato per questioni non eminentemente tecniche (anche se la sua ultima stagione era stata pessima) si era riguadagnato il suo posto facendo appello a tutta la sua professionalità ed esperienza, ma un infortunio lo ha di nuovo ricacciato dietro le quinte.
L’ attacco vive di quel poco che la squadra riesce a produrre (209 tiri, meno di Atlético, Sevilla, Celta, Zaragoza, Mallorca e Barça) e in più occasioni se l’ è cavata egregiamente, con percentuali in alcuni casi vicine in maniera inquietante al 100%, come il mostruoso Van Nistelrooy di Pamplona (ma anche a Valencia contro il Levante e al Montjuic con l'Espanyol l’olandese non ha scherzato), meno mobile l'olandese di un tempo ma sempre capace di trovare il gol in qualsiasi situazione. Incoraggianti segnali da Ronaldo, in via di dimagrimento e comunque sempre in grado di incutere visibilmente terrore alle difese avversarie quando prende palla al limite dell’ area e terribilmente sicuro nella finalizzazione.
Il merito maggiore di Capello finora è senza dubbio rappresentato dal recupero di Raul, per me non ancora all’ altezza di un ritorno in nazionale ma sicuramente più entusiasta e fiducioso, anche nel semplice contatto col pallone (col quale aveva perso familiarità, dico sul serio). Come nella sua passata esperienza al Real Madrid, Capello lo vede meglio partendo da esterno, e non ha torto, perché Raul non può più lottare da pari a pari in area di rigore e non ha mai avuto la tecnica del trequartista. Partendo defilato (senza ovviamente che gli venga chiesto di dribblare come un’ ala) e da lontano, può arrivare nell’ area avversaria a fari spenti ed esaltarsi come ai vecchi tempi e come ha fatto contro Atlético, Barça e Valencia. Anche quando non era in forma l’ impegno non mancava, e Raul resta sempre il madridista di gran lunga più dedito alla causa, quello che macina più chilometri, che copre sempre i compagni e che non si ferma mai una volta che perde il pallone.
Una delle delusioni principali son stati gli esterni: Robinho, che di ruolo è una seconda punta, dopo due partite sensazionali contro Steaua e Barça, si è progressivamente spento, mentre Reyes, promettente all’ inizio, non è uscito da quella dimensione di talento inespresso che ancora lo attanaglia. Beckham non lo commento nemmeno.
Cassano un fuoco di paglia ad inizio stagione, poi si è fregato da solo: fa cadere le braccia che si sia giocato tutto il credito che aveva con Capello, uno dei pochi allenatori con cui andava d’ accordo. A meno che Fascetti non vada ad allenare il Madrid, difficile pensare per lui ad un futuro in maglia merengue diverso rispetto a quello di showman.

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