MONDIALE PER CLUB: America-Jeonbuk 1-0: Ricardo Rojas.
Sofferta e non troppo meritata vittoria per un pessimo Club America, che rischia di smentire gli scontati pronostici della vigilia impantanandosi fino al 78' contro un tostissimo Jeonbuk, disposto al meglio dallo stratega Choi Kang Hee.
Presuntuosi e con la testa forse già al Barcelona (che li attenderà in semifinale), i messicani si rivelano incapaci di alzare i ritmi sulla trequarti e il loro palleggio ruminato (molto messicano) non scombina minimamente il 4-4-2 coreano, corto, stretto, impreziosito dall' entusiasmo delle grandi occasioni e da risorse atletiche inesauribili, con minimo due giocatori per volta pronti ad aggredire il portatore di palla avversario. Gli unici pericoli l'America li crea attraverso estemporanee iniziative dei solisti oppure sfruttando i limiti individuali che inevitabilmente affiorano nelle fila dei coreani quando la loro difesa viene messa sotto pressione, come capita nell'occasione in cui Claudio Lopez per poco non castiga una folle uscita sulla sua trequarti del portiere Kwoun Sun Tae.
I messicani si schierano con un 4-3-3: il giovane Ochoa in porta, in difesa da destra verso sinistra Castro, elemento veloce e offensivo, il cileno Ricardo Rojas, Davino, esperto centrale, e infine Oscar Rojas, terzino sinistro meno grintoso ma forse più tecnico del compagno Castro (beh, detto così sembra più il Granma che Calcio Spagnolo...); a centrocampo Arguello e il veterano Villa, con il brasiliano Fabiano Pereira, acquistato ad hoc per questo mondiale, deputato a mansioni più offensive (non mi ha convinto molto, mi è piaciuto di più il vivace Mosqueda, quando è entrato); tridente composto dal lento e goffamente lezioso Cuauhtemoc Blanco (non lo sopporto proprio, è un pallone gonfiato: aumenta la mia stima per La Volpe che non lo ha portato agli ultimi mondiali, infischiandosene dei tumulti dei tifosi dell'America), che dalla destra arretra sulla trequarti, dal centravanti paraguaiano Cabanas, compatto e dal destro secco e infine dal Piojo Lopez (i movimenti astuti e la qualità restano, ma qualche annetto comincia ad accusarlo), che parte da sinistra per poi tagliare nel mezzo e agire da seconda punta.
Come detto, la partita rimane congelata e, col passare dei minuti, Choi Kang Hee, che vede i suoi sempre più comodi in campo, comincia ad assaporare il colpaccio: per aumentare il potenziale offensivo, toglie già alla mezzora del primo tempo Wang Jung Hyun e immette il trequartista brasiliano Rafael Botti, che va ad assistere in attacco il suo connazionale 23enne Zé Carlo.
Non solo l'America non sfonda, ma nel secondo tempo comincia pure a rischiare la figuraccia, con Ochoa (uno dei migliori giocatori della squadra di Città del Messico, senza dubbio) che deve fare appello a tutte le sue qualità per sventare una conclusione sotto misura di Rafael Botti prima e un'altra di Zé Carlo poi, che sulla sinistra umilia in uno contro uno Ricardo Rojas e si presenta davanti al portiere messicano.
Ma, nel momento migliore dei coreani, arriva il gol decisivo, in un'azione confusa e casuale, su un traversone dalla destra che Ricardo Rojas (fino a quel momento uno dei peggiori in campo, sempre insicuro e falloso) si trova a spingere in rete non si sa neanche come. I coreani provano il tutto per tutto nel finale, ma il tempo e la qualità a disposizione sono troppo ridotte per riuscirci.
Onorevolissima figura del Jeonbuk, che oltre ai due attaccanti brasiliani (ormai tutti hanno il proprio brasiliano in squadra), ha proposto dignitosi elementi indigeni, come il 19enne terzino sinistro Choi Chul Soon, veloce, spigliato e attento in copertura, e i due esterni di centrocampo, il 25enne Chung Jung Kwan a destra e il 22enne Kim Hyeung Bum a sinistra, coraggiosi nel puntare l'uomo e, quando serve, non liberarsi subito del pallone, aspettando il momento in cui l'avversario perde la posizione o l'equilibrio per tentare il dribbling o comunque il passaggio buono, segno questo che distingue i giocatori di qualità.
Dalle tribune del National Stadium di Tokyo (la sede della vecchia Coppa Intercontinentale) hanno spiato l'America Rijkaard, Neeskens ed Eusebio, ma probabilmente gli appunti presi non serviranno a molto, perchè la partita di giovedì presenterà un contesto tattico radicalmente diverso rispetto a quella di oggi. L'America tenterà l'imboscata in contropiede, strategia ancora più opportuna se al posto della palla al piede Blanco i messicani dovessero inserire la velocità del paraguaiano Cuevas, con tanti saluti ad eventuali contestazioni del "Temo".
C'è da tenere in conto anche un precedente: nella tournée di quest'estate Barça e America si erano già sfidate e, prima della rimonta finale (4-4), fino all' 85' il risultato era di 4-1 per i messicani. Poi c'è la presenza di Claudio Lopez, incubo di Van Gaal ai tempi in cui il Valencia di Ranieri, in contropiede, trionfava ogni anno nelle praterie del Camp Nou...
Presuntuosi e con la testa forse già al Barcelona (che li attenderà in semifinale), i messicani si rivelano incapaci di alzare i ritmi sulla trequarti e il loro palleggio ruminato (molto messicano) non scombina minimamente il 4-4-2 coreano, corto, stretto, impreziosito dall' entusiasmo delle grandi occasioni e da risorse atletiche inesauribili, con minimo due giocatori per volta pronti ad aggredire il portatore di palla avversario. Gli unici pericoli l'America li crea attraverso estemporanee iniziative dei solisti oppure sfruttando i limiti individuali che inevitabilmente affiorano nelle fila dei coreani quando la loro difesa viene messa sotto pressione, come capita nell'occasione in cui Claudio Lopez per poco non castiga una folle uscita sulla sua trequarti del portiere Kwoun Sun Tae.
I messicani si schierano con un 4-3-3: il giovane Ochoa in porta, in difesa da destra verso sinistra Castro, elemento veloce e offensivo, il cileno Ricardo Rojas, Davino, esperto centrale, e infine Oscar Rojas, terzino sinistro meno grintoso ma forse più tecnico del compagno Castro (beh, detto così sembra più il Granma che Calcio Spagnolo...); a centrocampo Arguello e il veterano Villa, con il brasiliano Fabiano Pereira, acquistato ad hoc per questo mondiale, deputato a mansioni più offensive (non mi ha convinto molto, mi è piaciuto di più il vivace Mosqueda, quando è entrato); tridente composto dal lento e goffamente lezioso Cuauhtemoc Blanco (non lo sopporto proprio, è un pallone gonfiato: aumenta la mia stima per La Volpe che non lo ha portato agli ultimi mondiali, infischiandosene dei tumulti dei tifosi dell'America), che dalla destra arretra sulla trequarti, dal centravanti paraguaiano Cabanas, compatto e dal destro secco e infine dal Piojo Lopez (i movimenti astuti e la qualità restano, ma qualche annetto comincia ad accusarlo), che parte da sinistra per poi tagliare nel mezzo e agire da seconda punta.
Come detto, la partita rimane congelata e, col passare dei minuti, Choi Kang Hee, che vede i suoi sempre più comodi in campo, comincia ad assaporare il colpaccio: per aumentare il potenziale offensivo, toglie già alla mezzora del primo tempo Wang Jung Hyun e immette il trequartista brasiliano Rafael Botti, che va ad assistere in attacco il suo connazionale 23enne Zé Carlo.
Non solo l'America non sfonda, ma nel secondo tempo comincia pure a rischiare la figuraccia, con Ochoa (uno dei migliori giocatori della squadra di Città del Messico, senza dubbio) che deve fare appello a tutte le sue qualità per sventare una conclusione sotto misura di Rafael Botti prima e un'altra di Zé Carlo poi, che sulla sinistra umilia in uno contro uno Ricardo Rojas e si presenta davanti al portiere messicano.
Ma, nel momento migliore dei coreani, arriva il gol decisivo, in un'azione confusa e casuale, su un traversone dalla destra che Ricardo Rojas (fino a quel momento uno dei peggiori in campo, sempre insicuro e falloso) si trova a spingere in rete non si sa neanche come. I coreani provano il tutto per tutto nel finale, ma il tempo e la qualità a disposizione sono troppo ridotte per riuscirci.
Onorevolissima figura del Jeonbuk, che oltre ai due attaccanti brasiliani (ormai tutti hanno il proprio brasiliano in squadra), ha proposto dignitosi elementi indigeni, come il 19enne terzino sinistro Choi Chul Soon, veloce, spigliato e attento in copertura, e i due esterni di centrocampo, il 25enne Chung Jung Kwan a destra e il 22enne Kim Hyeung Bum a sinistra, coraggiosi nel puntare l'uomo e, quando serve, non liberarsi subito del pallone, aspettando il momento in cui l'avversario perde la posizione o l'equilibrio per tentare il dribbling o comunque il passaggio buono, segno questo che distingue i giocatori di qualità.
Dalle tribune del National Stadium di Tokyo (la sede della vecchia Coppa Intercontinentale) hanno spiato l'America Rijkaard, Neeskens ed Eusebio, ma probabilmente gli appunti presi non serviranno a molto, perchè la partita di giovedì presenterà un contesto tattico radicalmente diverso rispetto a quella di oggi. L'America tenterà l'imboscata in contropiede, strategia ancora più opportuna se al posto della palla al piede Blanco i messicani dovessero inserire la velocità del paraguaiano Cuevas, con tanti saluti ad eventuali contestazioni del "Temo".
C'è da tenere in conto anche un precedente: nella tournée di quest'estate Barça e America si erano già sfidate e, prima della rimonta finale (4-4), fino all' 85' il risultato era di 4-1 per i messicani. Poi c'è la presenza di Claudio Lopez, incubo di Van Gaal ai tempi in cui il Valencia di Ranieri, in contropiede, trionfava ogni anno nelle praterie del Camp Nou...
Etichette: calcio internazionale (non spagnolo)
17 Comments:
Blog davvero ben fatto, vorrei linkarlo se possibile. Ho letto i vecchi post sull'Athletic, tutti ottimi, solo due cose: è stato provato da due università che Gurpegi produce naturalmente norandosterone in qualità anomale; è impossibile solo pensare di avere stranieri a Bilbao. Meglio in Segunda che mercenari! Ciao
Grazie mille per la visita e per i complimenti.
Per carità, sul caso Gurpegui non voglio sbilanciarmi troppo, perchè l'ho seguito troppo sommariamente per farmene un'idea precisa. Volevo soltanto (se mi ricordo bene quello che avevo scritto allora)sottolineare la durata imbarazzante, per le istituzioni calcistiche spagnole, della vicenda, che porta con se tutta una serie di implicazioni (pensa a tutte le squadre avversarie che in questi 4 anni hanno giocato contro un giocatore in una posizione quantomeno ambigua).
Comunque dal punto di vista tecnico una bella botta per l'Athletic giocare quest'anno senza lui, Tiko (che non mi piace però fa comunque comodo)e soprattutto il grande Orbaiz.
Ho letto che domenica ha giocato bene Iraola in quel ruolo, e la cosa non mi sorprende perchè è uno che sa giocare a calcio.
Io non l'ho mai visto giocare, potrebbe funzionare il mancino Iturriaga? "Mundo Deportivo" aveva addirittura parlato di Yeste in quella posizione, ma insomma...
Capitolo stranieri: se l'Athletic deve mercanteggiare come ha ridicolmente fatto la Real Sociedad, meglio che stia com'è.
Però ci sono stranieri che possono anche integrarsi benissimo e sentire grande attaccamento alla maglia e al luogo in cui vanno a vivere. Penso ad esempio a Lulù Oliveira che, venuto qua in Sardegna, si è talmente affezionato che è rimasto a viverci, e in Brasile non ci torna da anni!
Insomma, capisco benissimo, e anzi ammiro, il discorso delle radici e del sentimento, però quando leggevo quest' estate che Higuain poteva essere acquistato dall' Athletic perchè in qualche modo (non mi ricordo quale) aveva origini basche, la cosa mi ha fatto pensare. Higuain non ci ha mai vissuto nell' Euskal Herria, nè ha mai avuto qualche tipo di rapporto con questa terra.
Se la politica di mercato dell' Athletic si riduce a simili formalismi ed escamotages, tanto vale allora pensare a qualche buon straniero per qualche ruolo scoperto, fermo restando che Lezama rimane l'indiscutibile fulcro delle strategie di questa società.
P.S.: Questo weekend la partita dell' Athletic la danno su Sky, quindi la "recensirò". Se ti va di passare per un commento, sei il benvenuto.
A presto
Mercanteggiare? mercenari? Ma finiamola con sta storia, che poi la gente ci crede e andiamo avanti a imporre tasse rivoluzionarie, anche all'Athletic. Perché non fanno l'esame del sangue o di basco ai cancelli per non fare entrare allo stadio quegli operai andalusi e murciani che si sono gonfiati di nero i polmoni nelle fabbriche di Bilbao e che hanno contribuito al benessere di tutti, tranne al loro?
“Si algún español te pide limosna, levanta los hombros y contéstale, aunque no sepas euskera: Nik estakit erderaz (Yo no entiendo el español). Si algún español recién llegado a Bizcaya te pregunta dónde está tal pueblo o tal calle, contéstale: Nik estakit erderaz. Si algún español que estuviera, por ejemplo, ahogándose en la ría, te pidiese socorro, contéstale: Nik estakit erderaz”. (Sabino Arana. Bizkaitarra n° 29. 30 de junio de 1895).
Sia ben chiara una cosa.
NON SOPPORTO I DISCORSI SULLA PUREZZA ETNICA, MI FANNO SEMPLICEMENTE RIVOLTARE LO STOMACO. NON ACCETTO LEZIONI SU QUESTO.
Volevo semplicemente sottolineare che il fattore dell'attaccamento alla maglia (di giocatori cresciuti nel vivaio, di qualunque origine essi fossero) ha costituito un valore aggiunto nella storia dell'Athletic, che altrimenti sarebbe già retrocesso più volte.
NON PARLERò MAI DI RAZZA BASCA, DI RAZZA ANDALUSA, DI RAZZA GALIZIANA O SCEMPIAGGINI DI QUESTO TIPO. L'E.T.A. E I SUOI BALZELLI NON C'ENTRANO UN CAVOLO.
Ho anzi sottolineato (magari in termini molto sfumati) quanto mi sembrasse bizzarro il ragionamento alla base dell' eventuale ingaggio di Higuain, come se dovessero fare il test di "baschità" a ogni giocatore.
RIFIUTO OGNI DISCORSO BASATO SUL SANGUE, quello che ammiro è il fatto di investiore nel vivaio, su giovani che sanno cosa vuol dire giocare per quella maglia, GLI OPERAI ANDALUSI NON C'ENTRANO NULLA.
Ho usato il verbo "mercanteggiare" semplicemente per sottolineare i tanti flop che la Real Sociedad ha pescato sul mercato internazionale negli ultimi anni, nonv'è in esso nessun significato etico, si parla di calcio che è un gioco e non volevo dire nulla di più con quel verbo colorito.
Il termine "mercenari" io non l'ho usato e non lo userei, mi sembra un po' un esagerazione retorica oltre che un discosro poco realistico: tutti sono professionisti nel calcio, e con ciò hanno contribuito a migliorarlo.
P.S.: Bello il brano, mi hai dato una bella lezione, ma desidererei che questo sapzio si mantenesse al suo consueto livello terra terra.
Secondo me non va confuso il termine "razza" con quello di "popolo". E quello basco è un popolo a tutti gli effetti. Con questo intervento non voglio però addentrarmi in un ginepraio politico, quindi passo al nocciolo della questione.
L'Athletic ha tifosi sparsi in tutto il mondo, e la limitazione "etnica" riguarda esclusivamente i giocatori, tant'è che anche gli allenatori talvolta sono stranieri. L'operaio murciano è liberissimo di tifare Athletic, e non viene certo considerato un tifoso di Serie B (parlo dopo aver letto il recente libro di Simone Bertelegni "L'ultimo baluardo - il calcio schietto dell'Athletic Bilbao"). Francamente non capisco l'ostilità che regna attorno a questa squadra che antepone le radici a qualsiasi tornaconto economico e sportivo.
PS Definire i giocatori mercenari é eccessivo tanto quanto definirli eroi.
Alec, son d'accordo con te.
Per me non c'è nessunissimo razzismo, è come se fosse una rappresentativa nazionale, solo che gioca in un torneo per club.
Peraltro io già in alcuni post precedenti, avevo già affermato che, qualora lo si ritenesse opportuno, si potrebbe benissimo aprire agli stranieri (perchè Heynckes da giocatore no e da allenatore sì?). Non credo sarebbe il finimondo...
D'altra parte rispetterei anche il mantenimento di questa politica che, come ho detto, trovo per certi versi ammirevole. L'importante è che al centro di tutto resti la cantera (perchè non andare a scovare talenti in giro e farli crescere come fanno l'Arsenal o l'Ajax?).
La parola "mercenari" l'ho colta dal primo post, che è il post a cui ho soprattutto risposto, ed è un tipico post dei simpatizzanti del Bilbao. L'unicità basca, il concetto stesso di "popolo basco" è una panzana ben costruita, ma, appunto, una panzana, come qualsiasi storico serio potrebbe facilmente dimostrare. Un uomo come Unamuno, basco lui pure, ci ha anche scritto sopra. Ho citato la frase dell'indiscusso padre del nazionalismo basco (colui che coniò il termine Euskadi) tanto per sottolineare, se ce ne fosse bisogno, che la tanto sbandierata diversità era basata su concetti razziali, come poi Arana sottolinea più volte, distinguendo il povero latino dal fine basco. Il fatto che, questo strano concetto di "causa basca", che rivendica una non meglio chiarita indipendenza, sia veicolato da una squadra di calcio secondo me resta pericoloso, proprio per le considerazioni alla base di questa reclamata diversità. Il fatto di crescere i ragazzi nel vivaio è lodevole, ma l'allure del Bilbao non risiede certo qui, dato che a quel vivaio non potrà mai accedere un ragazzino di Cordova. A me pare francamente triste.
Non ho avuto modo di approfondire la questione, credo che tu la conosca meglio di me, dico solo (cito un manuale di Scienza Politica da cui ho studiato, che non è il verbo ma per il momento è il mio unico appiglio) che è verissimo che il concetto di popolo basco nasce su basi esclusivamente razziali, ma in questo non si distingue per nulla da tutti gli altri (deleteri, aggiungo) nazionalismi nati nella seconda metà dell' 800.
Il concetto di razza è una cretinata. Noi siamo italiani perchè siamo di "razza italiana" o perchè (chi più chi meno) sentiamo un'appartenenza comune (territorio, lingua )?
Comunque, "il nazionalismo basco nasce enfatizzando la purezza della razza basca (brr), con posizioni di rifiuto della modernizzazione che a quella purezza attentava, ma poi rinasce nell' opposizione al franchismo, proponendo, almeno in una sua parte, una alleanza con la classe operaia in difesa della cultura basca e dell'autogoverno della regione"
"L'identità territoriale è stata costruita sulla base di diverse ideologie. Se il nazionalismo del secolo scorso insisteva spesso sui caratteri ascrittivi dell' appartenenza ad una razza, le mobilitazioni sul tema del territorio degli anni settanta hanno invece privilegiato una dimensione culturale."
Dal Dizionario. POPOLO: "L'insieme degli individui che si considerano o sono considerati appartenenti a una stessa collettività, spec. etnicamente omogenea, in quanto abitano un territorio geograficamente o politicamente definito o hanno in comune lingua, cultura, tradizioni, ecc.."
ETNIA: "Raggruppamento umano basato su caratteri fisici, storico-demografici,linguistici e culturali".
Non voglio fare nessuna lezioncina, voglio provare solo a mettere ordine, perchè queste sono i concetti fondamentali su cui ragionare.
Perchè esiste un popolo italiano o francese e non ne esiste uno basco?
Quanto pesa nella definizione l'elemento soggettivo (insieme degli individui che SI CONSIDERANO...) e quanto quello oggettivo (o SONO CONSIDERATI appartenenti a una stessa collettività etc...)?
Bisognerebbe vedere nelle terre in questione, quante persone parlano la stessa lingua, se ci sono dei costumi e una cultura comune diffusa che ne sottolinea la particolarità (considerando le attuali intersezioni fra una dinamica globale e una locale), se esiste una maggioranza ampia che si considera esclusivamente basca.
Io non so rispondere con certezza, spero di approfondire la questione in futuro, ma questi mi sembrano i punti cardine, premesso che il concetto di appartenenza dall'800 ad oggi ha subito le sue belle variazioni.
Non mi sembra scandaloso che una squadra di calcio possa avere un' identità di questo tipo, che vada oltre la semplice sommatoria dei componenti della sua rosa, non credo che sia pericolosa e non credo possa fomentare razzismi di qualche tipo. L'Athletic, come diceva Alec, ha tifosi da tutte le parti (si vedono anche sugli spalti del San Mames), e se lo si vede più come una rappresentativa nazionale (poi il loro concetto di nazionalità può essere discusso), non mi sembra una cosa scandalosa.
Non credo che vadano a Cordova a prendere i ragazzini, però sono convinto (e voglio ben sperare) che se un ragazzino da Cordova con la sua famiglia si trasferisce a Bilbao, cresce nel luogo e dimostra di saper giocare possa benissimo essere preso in considerazione dal settore giovanile dell'Athletic. Si tratta probabilmente di una questione di territorio, non di "sangue".
Mi correggo: i nazionalismi sono nati all' inizio dell' 800, nella seconda metà dell' 800 hanno assunto quella dimensione distorta, su presunte basi "biologiche", che ha prodotto tante mostruose degenerazioni.
A me questo flirt tra l'Athletic e certe dichiarazione di identità basca dà fastidio, anche perché quell'identità si sostanzia tramite un concetto di diversità che definisce evidentemente una superiorità: " non siamo come gli altri, i nostri sono valori puri", e altre amenità simili. Insomma, non mi pare ci sia molta goliardia ma sentimenti forti, malriposti e ingiustificati, se non altro ché provengono da una storia di indipendenza che non esiste, e non vado oltre poiché non mi pare il caso di tirare fuori situazioni molto più gravi. L'Athletic per alcuni, per molti, è il simbolo su un campo di calcio di tutti questi valori. Ma non siamo sotto Franco, il "popolo basco" non è alla fame, anzi: perché l'AB ha la necessità di veicolare quei valori? Dalle tribune del San Mames non so cosa si veda, certo so che alcuni gruppi rock baschi utilizzano proprio la "bolgia" di quello stadio per trasmettere, per dimostrare ancora una volta, la diversità dei baschi. Vado giù piatto: si comincia qui e si potrebbe finire per fiancheggiare Eta. E questo è inaccettabile.
Sentirsi diversi non vuol dire necessariamente sentirsi superiori.
Moralmente superiori, rispetto al caso che stiamo trattando, sicuramente sì.
Rimanendo di proposito nell'ambito puramente sportivo, secondo me la cossidetta "superiorità morale" dell'Athletic risiede nell'attaccamento alle radici, nella democraticità interna (è una delle poche squadre gestite quasi direttamente dai tifosi, con elezioni, assemblee, consigli, ecc.) e soprattutto nella rinuncia allo sponsor. Un'eresia, quest'ultima, per i profeti del calcio-business.
Rispondo solo ora perchè non ho avuto tempo.
Valentino: Higuain era un'idea balzana del sempre lucidissimo ex presidente Lamikiz, una tristezza (come dici giustamente te) frutto delle iniziative cretine di un dirigente che si credeva un dio. Infatti non se n'è mai parlato seriamente.
Carlo: i tuoi argomenti sono tanto di parte quanto i miei. Conosco benissimo la storia del Paese e del Popolo Basco ma non voglio certo polemizzare su un blog di calcio per una questione storico-politica; "si comincia qui e si potrebbe finire per fiancheggiare Eta": qui esageri. Sei mai stato al san Mamés? Vacci. Prima di aprire la bocca, le cose sarebbe bene saperle.L'Athletic è una squadra di calcio in cui molta gente vede le proprie radici e se ne sente orgogliosa. punto. Arrivare a parlare di ETA mi sembra esagerato. Ciao.
Caro Edo14, apro la bocca perché ho dei motivi, e li ho spiegati, per aprirla. Qui non si paga nessuna tassa rivoluzionaria per parlare. In compenso ti segnalo che tra i links del tuo blog ce ne sono alcuni che pubblicizzano Batasuna. Tanto per rafforzare la mia tesi.
la chiudo qui perchè non è il mio blog. Beti aupa Athletic.
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