Finale Copa del Rey: presentazione Athletic.
Edoardo Molinelli, alias Edo 14, curatore del blog italiano non ufficiale sull'Athletic Bilbao, ci offre ancora la sua gentile collaborazione per presentarci l'Athletic Bilbao in vista della finale di domani. Anche qui, stessa formula: un occhio alla finale di Copa e uno all'intera stagione bilbaina.
Se i risultati ottenuti fossero l’unico metro di giudizio per stimare il lavoro di un allenatore, di certo Caparros dovrebbe ricevere solo elogi per come ha condotto l’Athletic nelle ultime due stagioni. Due salvezze centrate con largo anticipo, senza troppi problemi, e una finale di Copa del Rey raggiunta dopo 25 anni di assenza dei biancorossi dall’atto conclusivo di tale manifestazione sono medaglie che risplendono in maniera accecante sul petto del generale Jokin, specie alla luce delle tribolatissime stagioni che hanno preceduto il suo insediamento a Bilbao.
Rifuggendo dalla logica tipicamente italiana del risultato, che porta ad isolare solo l’aspetto più evidente, ancorché decisivo, del percorso di un tecnico, è tuttavia impossibile non notare che alcuni degli obiettivi a lungo termine che erano stati fissati dalla dirigenza non sono stati del tutto soddisfatti. In particolare, la gestione Caparros si è distinta finora per la totale assenza di un gioco riconoscibile, una sorta di marchio di fabbrica che permetta agli appassionati di riconoscere lo stile e l’approccio della squadra a prescindere dal contesto di una singola partita.
Come gioca l’Athletic? In tutta franchezza, dare una risposta tecnicamente ineccepibile non è facile, tutt’altro. Cominciamo dicendo che lo schema unico praticato dai biancorossi è un 4-4-2 rigidissimo, nel quale ogni giocatore è tenuto a mantenere la propria posizione in maniera quasi scolastica. In fase di non possesso, le due ali rientrano ben oltre la propria metà campo per aiutare i terzini e uno dei due mediani (di solito Javi Martinez, più veloce e reattivo del collega Orbaiz) è sempre pronto ad abbassarsi fin dentro l’area se il pressing nel settore centrale del centrocampo viene aggirato; l’altro pivote resta qualche metro più avanti, pronto a far partire l’azione di rimessa e a cercare Llorente, che solitamente rimane il riferimento offensivo più avanzato e centrale, mentre la seconda punta parte da una delle due fasce. La tattica difensiva di Caparros prevede pertanto la quasi totalità dei giocatori dietro la linea della palla e l’unica discriminante diventa il tipo di pressing portato dai suoi: se l’Athletic deve aggredire, la linea difensiva si alza e la pressione sui portatori di palla avversari inizia fin dalla loro trequarti, altrimenti i rivali vengono aspettati dentro la metà campo biancorossa (questo avviene soprattutto quando i Leoni si trovano in vantaggio).
Inutile sottolineare come il gioco di rimessa sia quello più gradito ai bilbaini, che possono in tal modo ovviare con l’aggressività e i ribaltamenti veloci alle gravi carenze in fase di manovra che palesano da quando il tecnico di Utrera siede sulla loro panchina. Non sono più i tempi di Valverde, che giocava con un 4-2-3-1 capace di un’intensità straordinaria in fase offensiva e di grande armonia nei movimenti senza palla e nella distribuzione della stessa, anche se, a ben guardare, per com’è costruita questa rosa lo schema ad un’unica punta sembrerebbe il migliore (i reduci dell’era-Txingurri, peraltro, sono ancora parecchi). Caparros non è di questo avviso e ha sempre imposto il suo schema preferito come una specie di dogma, sacrificando sull’altare del 4-4-2 la qualità di Yeste trequartista, le maggiori opzioni che si aprirebbero ad un’ala come Susaeta se solo giocasse qualche metro più avanti e la possibilità per Llorente di giostrare come attaccante unico, referente assoluto per i cross e gli assist dei trequartisti. L’utrerano non ha mai neppure provato una tattica del genere e ha sempre preferito giocare con le due punte, confermando il vecchio adagio secondo il quale la pericolosità e il peso offensivo di una squadra non dipendono necessariamente dal numero degli attaccanti schierati sul terreno verde. Non basta, infatti, aggiungere un altro elemento in avanti se poi la manovra si sviluppa secondo direttrici limitate e pure piuttosto scontate, facilmente prevedibili da avversari attrezzati in maniera adeguata sul piano tattico e ben organizzati in fase difensiva.
Il gioco dell’Athletic è di lettura piuttosto semplice per le squadre rivali perché si sviluppa essenzialmente su due assi: la fascia destra, sempre alta di giri grazie alle percussioni instancabili di Iraola e alla buona intesa che questi crea con l’ala di riferimento, e il corridoio centrale verso Llorente, percorso sia attraverso il lancio lungo dalla difesa (definizione gentile del termine “pallonata”) che tramite il dialogo palla a terra. Non proprio una grande varietà di soluzioni, insomma. Per fortuna dei Leoni, quest’anno Nando è stato immarcabile per molte coppie centrali della Liga, anche di pregio, e le sue prestazioni sono sempre state all’altezza, non solo dal punto di vista dei gol fatti ma anche della capacità di creare spazi e di far segnare i compagni con le sue spizzate e le sue sponde intelligenti; proprio in questa pesantissima incidenza sul gioco della squadra, più che nel numero delle reti segnate, risiede l’importanza fondamentale di Llorente nell’economia del gioco biancorosso: disinnescare lui significa togliere all’Athletic il 70/80% di potenziale offensivo, e ormai qualunque allenatore iberico lo sa. Il difetto principale di Caparros è stato il non riuscire a studiare soluzioni alternative alla ricerca ossessiva del suo numero 9, al netto di una ristrettezza nel parco attaccanti di cui bisogna sempre tenere conto: è in questa mancanza di schemi e di alternative che risiede la critica principale mossa all’utrerano da parecchi mesi a questa parte, da quando cioè anche i sassi si sono resi conto che questa squadra si regge su qualità che esulano completamente dall’aver sviluppato un’idea di gioco personale.
I Leoni sono la squadra forse più umorale della Liga e non a caso il loro percorso in campionato somiglia ad un tracciato di montagne russe: un saliscendi continuo, un alternarsi senza sosta di cadute fragorose e grandi imprese che non facilita il compito di chi deve giudicare l’annata dei bilbaini. Ciò è dovuto principalmente al fatto che i biancorossi hanno giocato “di pancia” più che di testa, lasciandosi spesso guidare dalle emozioni e dalla spinta del pubblico e non dal freddo raziocinio di schemi e alchimie tattiche collaudate; nei momenti migliori l’Athletic ha così ottenuto risultati fantastici (uno per tutti, il 3-0 della semifinale di ritorno rifilato al Siviglia), ma ha poi finito per perdersi ogni volta che le energie mentali diminuivano d’intensità. Questa stretta dipendenza da fattori psicologici ed emozionali si riflette senza dubbio sul gioco della squadra: quando i Leoni sono in giornata-sì attaccano a folate continue, specie sulle fasce, pressano senza soluzione di continuità e costringono spesso gli avversari nella loro metà campo, annichilendoli con una ferocia agonistica che tocca punte di puro furore; risulta chiaro, però, che situazioni del genere non possono durare nel lungo periodo (spesso non durano neppure per una partita intera…) ed ecco spiegati certi blackout a prima vista incomprensibili, forieri di prestazioni oscene anche a seguito di brillanti vittorie o di primi tempi eclatanti. Ovviamente la squadra palesa enormi difficoltà quando non riesce a trovare la giusta sintonia col match, ovvero nel momento in cui, esaurita la carica agonistica, una compagine decente dovrebbe iniziare a masticare calcio, per quanto semplice possa essere. L’Athletic raramente lo fa e non perché non abbia dei buoni palleggiatori, che nella rosa ci sono eccome; semplicemente, il suo tecnico li tiene isolati e senza raccordi tra loro, impedendo di fatto il dialogo stretto a dei giocatori che potrebbero dare del tu al pallone. Emblematico, in tal senso, è il caso di Yeste che, nonostante sia l’unico elemento realmente disequilibrante del centrocampo basco, viene esiliato sulla fascia sinistra e si trova così lontano dal cuore pulsante del gioco, lui che potrebbe essere decisivo come pochi se solo giocasse centralmente e a ridosso dell’area avversaria. Fran rimedia talvolta a questa situazione seguendo l’istinto e accentrandosi, ed è proprio dai suoi movimenti a tagliare che nascono alcune delle situazioni più interessanti in fase offensiva, anche se la squadra paga i pochi inserimenti di Koikili e una mancanza generale di movimento senza palla che talvolta è quasi disarmante.
Gli unici a fornire opzioni di passaggio in fase di possesso, infatti, sono Iraola, Javi Martinez, la seconda punta (Toquero o Velez) e Llorente, il quale ogni tanto prova ad allargare la difesa spostandosi sulla fascia per fare spazio agli inserimenti da dietro o per tentare la conclusione da fuori. Gli altri si muovono pochissimo, ancorati come sono alle disposizioni di Caparros, e davvero non si comprende perché gli esterni debbano restare spesso appiccicati alla linea laterale quando avrebbero davanti una boa dai piedi buoni, capace cioè di triangolare con profitto tenendo la palla a terra.
Situazione disastrosa, dunque, in vista del Barcellona? Basandosi solo su un’analisi tecnico-tattica e sulla lettura della classifica, in cui i catalani hanno quasi il doppio dei punti dell’Athletic, parrebbe proprio di sì, ma per fortuna il calcio non è uno sport esatto e la sorpresa è sempre in agguato. E’ indubbio, tuttavia, che i Leoni dovranno giocare la partita perfetta per avere qualche possibilità, sperando nel contempo che gli uomini di Guardiola arrivino a questo appuntamento più spompati e confusi del solito.
Caparros ha due opzioni davanti a sé: difendere con 10 uomini dietro la linea di centrocampo, come ha fatto il Chelsea in Champion’s, oppure tentare la carta dell’aggressività e del pressing altissimo per soffocare la vena dei palleggiatori del Barça. Due tattiche diversissime e rischiose, ognuna a suo modo. Pensare solo a difendersi potrebbe essere poco salutare, visto che un gol i catalani possono sempre trovarlo (e comunque i difensori e i contropiedisti biancorossi non sono propriamente quelli del Chelsea…si rischia una figura da Bayern, più che altro), ma allo stesso tempo partire a cento all’ora fin dal fischio iniziale lascia presagire inquietanti scenari una volta che i giocatori abbiano esaurito le energie. Tre sono gli uomini chiave dell’Athletic: Koikili, che dovrà controllare Messi (auspico in tal senso una marcatura a uomo, stile Bosingwa al Camp Nou), Javi Martinez, che porterà il pressing sui centrali di centrocampo del Barcellona, e ovviamente Llorente, sul quale graverà quasi completamente il peso dell’attacco. Elementi importanti saranno Iraola e Susaeta, qualora dovesse giocare, senza dimenticare il lavoro sporco di Toquero, fondamentale per soffocare l’azione avversaria sul nascere. La variabile impazzita? Yeste, senza dubbio. E’ l’unico in grado di inventare qualcosa e senza dubbio “sente” moltissimo il match, lui che ha fornito le prestazioni migliori della sua carriera proprio contro le squadre più forti.
Inutile rimarcare che il Barça è il favorito d’obbligo, ma i Leoni non hanno nulla da perdere e pertanto potranno giocare con meno pressione. Speriamo che la partita non deluda le attese e che, a prescindere dal risultato, i 22 in campo ci regalino una partita epica come quella di 25 anni fa.
Buona finale a tutti!
Possibile formazione di domani
Athletic uno per uno.
Iraizoz: portiere affidabile, di certo non è un fenomeno ma ha saputo trasmettere sicurezza al reparto arretrato dopo un paio di stagioni alquanto traumatiche. Dal punto di vista tecnico è piuttosto rivedibile, tuttavia possiede un buon senso della posizione e tra i pali è molto efficace, nonostante uno stile poco ortodosso. I suoi punti di forza sono l’agilità e i riflessi straordinari, mentre difetta in maniera spiccata nelle uscite alte e, più in generale, nel comando della propria area sui cross e in occasione dei calci piazzati. Attualmente è in buona forma e sta garantendo delle prestazioni discrete. E’ l’unico giocatore dell’Athletic, insieme ad Aitor Ocio, ad aver vinto in passato la Coppa del Re, anche se ovviamente con un’altra squadra (nel suo caso con l’Espanyol).
Iraola: eccezionale. Basta questo aggettivo per definire il terzino destro di Usurbil, sbarcato (era l’ora!) in nazionale in virtù di una stagione eccellente sotto tutti i punti di vista. Fatte le debite proporzioni, Iraola è quello che Maicon e Alves sono per Inter e Barcellona, ovvero un regista aggiunto e non solo un semplice fluidificante. Le azioni dell’Athletic partono spesso dai suoi piedi e costante è lo spostamento dell’azione offensiva sul settore destro, dove le doti tecnico-tattiche di questo straordinario giocatore non tradiscono mai la fiducia dei compagni. Corsa, capacità di palleggio, visione di gioco, discreto uno contro uno e destro educato: Andoni doveva solo imparare a difendere per migliorare ulteriormente, e si può dire che con Caparros sia progredito davvero molto sotto questo punto di vista. E’ il vicecapocannoniere della squadra e sarà senza dubbio uno dei pochi elementi che i catalani dovranno preoccuparsi di guardare a vista.
Aitor Ocio: chiamato l’anno scorso per tamponare le falle di una difesa colabrodo, l’ex del Siviglia ha disputato fin qui una temporada in tono minore dopo le buone prestazioni offerte nella sua prima stagione da cavallo di ritorno. Centrale molto esperto e forte di testa, sa guidare la difesa e ha un buon senso della posizione, tuttavia va sovente in difficoltà contro avversari tecnici e veloci a causa del passo lento e di una certa macchinosità che palesa nello stretto; ha bisogno di protezione, insomma, e se il centrocampo non accorcerà in modo adeguato sarà esposto a delle brutte figure contro l’attacco blaugrana. Come detto in precedenza, quest’anno ha avuto un rendimento al di sotto delle aspettative, soprattutto a causo di un evidente calo fisico e di un certo nervosismo (vedere per credere alcune espulsioni che ha rimediato) che ne hanno condizionato le prestazioni, ma si è ritrovato comunque titolare a causa dei perenni infortuni di Ustaritz e dell’ancor scarsa maturità di Etxeita. Ha vinto una Copa del Rey con la maglia del Siviglia e di certo la sua esperienza sarà fondamentale in questa partita, con tutta probabilità l’ultimo incontro importante che il vitoriano affronterà nella sua carriera.
Amorebieta: grandissimi mezzi fisici e poco sale in zucca. Questo, in poche parole, il ritratto perfetto del basco-venezuelano, un corazziere tanto fornito di forza, resistenza e prestanza atletica quanto poco provvisto di intelligenza calcistica e senso tattico. Amorebieta ha tutto quello che serve per essere un grande centrale: fisico imponente, stacco imperioso, velocità non disprezzabile nei recuperi, potenza nei contrasti e capacità di “farsi sentire” nel contatto ravvicinato con l’avversario; Madre Natura, purtroppo, non l’ha però provvisto di un’adeguata capacità di posizionamento (i buchi centrali che lascia l’Athletic sono spesso opera sua) e di quel senso della misura che distingue un buon difensore da un macellaio. Rude e rozzo oltre ogni limite, Nando picchia moltissimo e spesso a sproposito, facendosi notare per delle entrate assurde a metà campo o per degli interventi assassini che vedrebbe anche un miope; tecnicamente poco dotato, nonostante un sinistro non disprezzabile quando calcia lungo, palesa tutti i suoi limiti quando viene pressato e sparacchia in curva senza riflettere. Ottimo lo scorso anno, tanto che si scomodarono per lui osservatori del Liverpool e di altre squadre inglesi, in questa stagione ha faticato molto anche a causa di una forma mai del tutto trovata, e in parecchi hanno compreso che il centrale autoritario visto nella Liga passata è ancora di là da confermarsi. E’ comunque in ripresa e sicuramente un cuore Athletic come lui sarà più che carico in vista della storica finale di mercoledì.
Koikili: l’uomo atteso dal compito più improbo, marcare Messi, è forse anche quello che più incarna lo spirito di questa squadra. Fino all’anno scorso Koikili Lertxundi era infatti un giocatore sconosciuto, con trascorsi in Tercera e Segunda B del tutto irrilevanti; prelevato in estate dal Sestao River per rimpinguare le fila del Bilbao Athletic, venne incluso a sorpresa da Caparros nella rosa della Prima squadra e si guadagnò il rispetto di tutto il calcio spagnolo a suon di prestazioni eccellenti. Un ragazzo venuto dal nulla capace di imporsi in Primera grazie al lavoro, all’umiltà e all’abnegazione: quale miglior esempio delle caratteristiche morali che da sempre sostengono il club basco? Koikili è senza dubbio un calciatore particolare: ha un fisico piccolo e tozzo, retaggio evidente del suo passato di ex campione nazionale di lotta greco-romana, è duro nei contrasti ma sempre corretto, raramente polemico, spesso cavalleresco nei confronti degli avversari; il suo sinistro non è eccezionale, ma sa pennellare cross discreti per le punte e ogni tanto esplode delle gran bordate da fuori. Dal punto di vista tecnico è un giocatore di almeno una categoria inferiore rispetto al torneo in cui milita, ma riesce a mascherare le sue notevoli lacune con un modo di interpretare la gara generoso e improntato al sacrificio. La sua dedizione alla causa è assoluta, come dimostrato dall’atteggiamento ineccepibile tenuto a inizio stagione, quando faceva panchina per lasciare spazio a Balenziaga: Koi non si è perso d’animo e ha risposto solo in allenamento e sul campo, meritandosi il ritorno fra i titolari e questa finale che per lui, forse più che per gli altri, è un sogno divenuto realtà.
David Lopez: l’ex dell’Osasuna ha compiuto un percorso inverso rispetto ad altri compagni di squadra, migliorando cioè nella temporada attuale dopo aver disputato un primo campionato in biancorosso assai poco soddisfacente. Personalmente non è un giocatore per cui impazzisco, anche perché molto lontano, come caratteristiche, dalla mia idea di ala: scarsamente veloce, in possesso di un repertorio di dribbling assai limitato e poco dotato nel breve, il riojano è un esterno che fa della continuità di corsa il suo marchio di fabbrica; più quantità che qualità, dunque, anche se il suo piede destro è davvero degno di nota, capace com’è di servire grandi assist ai compagni e di battere ottimi calci piazzati. Elemento regolare e predisposto a dare una mano in fase di ripeigamento, non chiedetegli di inventare qualcosa o di dare una scossa al match con un’accelerazione improvvisa seguita da un paio di dribbling e un assist geniale; i blaugrana dovranno comunque diffidare dei suoi angoli e delle sue punizioni, che batte molto tagliati e con un grande effetto.
Orbaiz: quando Iñaki Saez, ex tecnico della Furie rosse, lo definì qualche anno fa uno dei migliori centrocampisti della Liga, in molti addetti ai lavori la pensavano come lui su questo regista classico, dotato di una visione di gioco eccellente, di un tocco pulito e di una capacità di aprire il gioco con pochi eguali nel massimo torneo spagnolo. L’Orbaiz attuale, tuttavia, è solo una copia sbiadita del mediano che formò una coppia stratosferica col mastino Gurpegi ai tempi di Valverde: due infortuni gravissimi ad entrambe le ginocchia ne hanno minato il fisico, riducendo di molto la sua velocità di passo già non eccelsa e togliendogli anche quel poco di dinamismo che ha sempre avuto. “Don Pablo” non ha perso la sensibilità del piede destro e la capacità di leggere il gioco con profitto, ma è indubbio che ormai riesca ad esprimere al meglio le sue qualità solo quando il ritmo di gara resta basso; non appena la velocità aumenta, infatti, le sue pecche fisiche vengono a galla e la lucidità che ha sempre dimostrato di possedere viene fatalmente annebbiata da una tenuta atletica quasi del tutto compromessa. Caparros lo schiererà titolare, sia perché è uno dei suoi fedelissimi, sia perché non vi sono altri registi di ruolo in rosa, tolto il quasi desaparecido Muñoz che il tecnico di Utrera ha mostrato chiaramente di non “vedere”: un rischio, visto il dinamismo del centrocampo blaugrana, ma difficilmente il tecnico azzarderà una mossa a sorpresa proprio in occasione della finale.
Javi Martinez: senza dubbio colonna di questo Athletic e tra i primi biancorossi per livello di rendimento, il giovane navarro ha disputato una stagione fin qui inappuntabile e ha compiuto un altro deciso passo avanti verso la maturazione definitiva. Javi Martinez non è un regista e neppure un mediano puro, bensì un centrocampista moderno nella piena accezione del termine, capace cioè di difendere e attaccare, di dare una mano in fase di contenimento e di appoggiare l’azione offensiva con medesima efficacia. Non è un fine palleggiatore, ha scarsa visione di gioco e tecnicamente non è un fenomeno, ma ha dalla sua uno strapotere fisico che gli permette di imporsi anche da solo nei confronti di linee mediane formate da due o tre avversari; in fase di ripiegamento assiste da vicino i difensori, ma quando parte l’azione di rimessa lo si trova subito in appoggio alle punte grazie alla capacità quasi prodigiosa di recuperare e di proporsi in avanti con progressioni imperiose, anche palla al piede (cosa di cui si dovrebbero ricordare molto bene i tifosi dell’Atletico Madrid). Quest’anno è finalmente diventato più consistente in zona-gol, mettendo a frutto nel migliore dei modi la capacità d’inserimento, lo stacco di testa e il buon tiro dalla distanza di cui è dotato. Mercoledì sarà fondamentale la sua azione di pressing sui portatori di palla blaugrana e dalla sua prestazione dipenderanno molte delle possibilità dell’Athletic di giocarsela fino in fondo con gli uomini di Guardiola.
Yeste: genio e sregolatezza allo stato puro, il fantasista di Basauri è l’elemento tecnicamente migliore della squadra, nonché il solo (insieme forse a Susaeta) a non sfigurare in un ipotetico confronto coi fantastici palleggiatori del Barcellona. Mancino educatissimo, fa quel che vuole con il pallone ed è capace di dribbling, assist e conclusioni da fuoriclasse vero; in carriera è stato convocato in nazionale, anche se non ha mai esordito a causa di un infortunio, e questo la dice lunga sul suo valore vista la concorrenza feroce che esiste in Spagna nel ruolo. Caparros, che lo sopporta soltanto, non ha mai voluto adattare il suo schema in funzione del numero 10, costringendolo a giocare come centrale nel doble pivote (posizione per la quale non ha la necessaria cattiveria agonistica) o defilato sulla fascia sinistra, tuttavia è innegabile che il calciatore abbia toccato i suoi livelli più alti giostrando da trequartista centrale in appoggio ad un’unica punta. Poco amato dal pubblico di Bilbao a causa della scarsa propensione al sacrificio e dell’intensa vita notturna, Yeste resta comunque l’unico biancorosso in grado di creare la superiorità numerica nel’uno contro uno e di mutare la partita con un’invenzione estemporanea; partirà probabilmente dalla sinistra, tuttavia è portato per natura ad accentrarsi e con questo movimento potrebbe anche creare qualche grattacapo ad una difesa blaugrana che giocoforza non sarà quella titolare. A differenza di molti fenomeni presunti, poi, Fran è un giocatore che si esalta nelle sfide difficili: è stato strepitoso, ad esempio, nella semifinale di ritorno col Siviglia, ma ora sta a lui dimostrare tutta la sua bravura nella partita più importante dell’anno.
Toquero: se fosse tanto forte con il pallone tra i piedi quanto è generoso e altruista in campo, senza dubbio sarebbe uno dei migliori giocatori del mondo… Strano caso di attaccante che corre dal primo all’ultimo minuto senza risparmiarsi mai, anteponendo il pressing ossessivo sui portatori di palla altrui alla ricerca della soddisfazione personale, Toquero è per questo motivo uno dei preferiti della tifoseria biancorossa, da sempre attratta più dai calciatori dediti anima e corpo alla causa che dai solisti dotati di tecnica sopraffina. Piedi di marmo, pochissima dimestichezza nel controllo e nella protezione della sfera, l’ex del Sestao basa il suo gioco sull’elettricità, sulle accelerazioni improvvise e sull’istintività, compensando la mancanza di fiuto del gol e una certa anarchia tattica con la buona velocità di cui è provvisto e con l’instancabile movimento che pratica rimbalzando come una trottola da un lato all’altro della linea difensiva avversaria. I numeri della sua stagione parlano chiaro (2 soli gol tra Liga e Copa da quando è stato riscattato dall’Eibar durante il mercato invernale), tuttavia Caparros lo ritiene fondamentale per la sua azione disturbatrice e anche mercoledì lo schiererà titolare, affidandogli il delicato compito di pressare i difensori blaugrana per impedire loro di far partire tranquillamente l’azione fin dalla propria trequarti.
Llorente: si è detto e scritto moltissimo su di lui quest’anno, cosa ovvia visto il rendimento stratosferico che il numero 9 dell’Athletic ha tenuto fin dall’inizio della stagione. Se la scorsa Liga c’erano state delle avvisaglie sulla presa di coscienza del giocatore nei propri (notevoli) mezzi, il campionato in corso ha sancito la sua definitiva maturazione ad alti livelli, cosa che finora era rimasta solo nei sogni dei tifosi biancorossi che proprio non volevano arrendersi all’idea che questo gigantesco centravanti fosse destinato ad essere ricordato come una promessa non mantenuta. Llorente aveva tutto: fisico da granatiere, tecnica non comune per uno con la sua stazza, stacco di testa, tiro preciso e buon dribbling, ma difettava enormemente nel carattere e nella fiducia in sé stesso, minato in ciò anche da un paio di stagioni segnate da incomprensioni con gli allenatori e da difficoltà generali di tutta la squadra. Una volta ottenuto credito da Caparros, Nando ha iniziato a carburare lentamente per poi esplodere con un fragore assordante, che ha attirato su di lui gli occhi di mezzo mondo. Attualmente il riojano (ma nativo di Pamplona) non è solo il terminale offensivo principale, per non dire unico, dei Leoni, ma è soprattutto il perno attorno al quale girano tutte le trame della squadra, sia quando l’azione si sviluppa palla a terra, sia quando i difensori o i centrocampisti decidono di ricorrere al pelotazo centrale. Quasi immarcabile dal punto di vista fisico, Llorente è bravissimo a prendere posizione e a tenere alta la squadra, ma sa essere pericoloso anche con incursioni palla al piede e con improvvise conclusioni da fuori. Sarà lui, l’uomo più pericoloso dei bilbaini, il sorvegliato speciale da parte del Barcellona, che sa bene come fermarlo significhi togliere agli avversari il 90% del loro potenziale offensivo.
Armando: secondo portiere di grande esperienza visti i 38 anni di età, non è stato lui a difendere la porta biancorossa in Coppa del Re, nonostante di solito in questa competizione si lasci all’inizio più spazio alle riserve. Anche fisicamente appartiene ad un’altra generazione (è alto 1,80 m, una miseria per gli estremi difensori moderni), tuttavia a dispetto di ciò e di uno stile piuttosto atipico risulta essere molto difficile da superare, in virtù dei buoni riflessi e della grande agilità di cui è dotato. Mai polemico, è il dodicesimo perfetto.
Ustaritz: bersagliato dalla sfortuna e da infortuni a raffica, questo promettente difensore centrale nella sua carriera non è mai riuscito a giocare con continuità e conseguentemente a proporsi per una maglia da titolare. Un peccato, senza dubbio, perché ha caratteristiche molto interessanti e complementari a quelle di Amorebieta: buona velocità di base, senso dell’anticipo, posizionamento più che discreto e piede non disprezzabile. Rivedibile nello stacco di testa, fatica ad imporsi nella marcatura stretta di avversari molto fisici, ma in compenso se la cava egregiamente contro attaccanti tecnici e rapidi nel breve. Quest’anno ha giocato pochissimo a causa dei succitati infortuni, cosa che spiega le molte gare disputate dalla coppia Ocio-Amorebieta nonostante delle prestazioni non proprio all’altezza.
Balenziaga: il giovane terzino sinistro ex Real Sociedad aveva iniziato la Liga da titolare, strappando la maglia a Koikili e proponendosi come una delle grandi novità della stagione biancorossa. A conti fatti si può dire che non abbia convinto del tutto, altrimenti Koi non avrebbe riconquistato il suo posto tanto facilmente, anche se ha mostrato buone potenzialità e margini di miglioramento notevoli. Balenziaga dà senza dubbio il meglio di sé in fase offensiva: veloce e dotato di una buona tecnica di base, spinge sempre moltissimo e mette dentro cross a ripetizione, riuscendo a dare un’alternativa credibile all’iper-sfruttato asse di destra. Peccato che non sia altrettanto efficace quando c’è da ripiegare, e non a caso ha perso la maglia da titolare proprio a causa dei numerosi errori, soprattutto di concentrazione, che ha commesso in fase difensiva. Può essere un’arma tattica importante a partita in corso, anche come centrocampista sinistro.
Etxeita: è il terzo difensore centrale più utilizzato da Caparros e rappresenta una delle note più liete della stagione biancorossa. Classico marcatore di scuola basca, fa della potenza fisica e della rudezza del contrasto le sue armi principali, utili per compensare una tecnica non eccelsa e una scarsa propensione all’anticipo e alla giocata pulita; Etxeita possiede un buon senso di posizione e un discreto stacco, caratteristiche che lo hanno reso un elemento di sicura affidabilità e una valida alternativa ai titolari della difesa. Non è il nuovo Goikoetxea ma neppure una brutta copia di Sarriegi, cosa non da poco se si ripensa alle annate da incubo vissute recentemente dal pacchetto arretrato dei Leoni.
Gurpegi: la stagione del rientro vero e proprio è stata avara di soddisfazioni per il mediano navarro, colpito da infortuni più o meno gravi (si è rotto per ben due volte il naso, ad esempio) e apparso a sorpresa coinvolto solo marginalmente nei piani di Caparros, che pure aveva parlato di lui come elemento imprescindibile per la squadra. Il ventinovenne Carlos ha invece giocato poco, pochissimo da titolare, e non è mai riuscito a trovare quella continuità imprescindibile per riprendere confidenza con il ritmo partita dopo due anni di inattività. La grinta e il cuore sono sempre gli stessi, mancano semmai i polmoni e il passo di prima della squalifica: troppo poco per scalzare Javi Martinez dal ruolo di mediano, giacché la convivenza tra i due è apparsa da subito problematica a causa delle caratteristiche simili (il doble pivote formato da loro è sempre risultato piatto e monocorde, visto che non sono dei registi). Sarà pronto come sempre a dare una mano alla squadra, ma non era questo il ruolo che i tifosi avrebbero voluto per lui.
Susaeta: annata con più ombre che luci per il folletto di Eibar, che ha faticato non poco per confermarsi al massimo livello dopo le grandi prestazioni fornite all’esordio nella scorsa stagione. Una cosa normale per un giocatore giovane, specie considerando i buoni segnali lanciati nell’ultima parte del campionato, nel quale Susaeta è tornato a mostrare i numeri eccellenti con cui si era segnalato da subito al pubblico basco: dribbling secco, fantasia, grande tecnica e personalità spiccata, tutte caratteristiche che avevano fatto coniare per lui il soprannome di “nuova perla di Lezama”. Paragoni troppo affrettati, forse, ma resta indubbio che Markel sia un trequartista/ala molto interessante, capace di creare sempre la superiorità numerica e di sfornare cross al bacio e assist intelligenti per le punte. Occhio al suo destro liftato, specie sui calci di punizione dal limite. Se David Lopez non dovesse recuperare, a destra giocherà scuramente lui.
Gabilondo: non sarà della partita a causa del grave infortunio al ginocchio che ne ha sancito la prematura uscita di scena a marzo, lesione rimediata peraltro nel corso di un’amichevole col Bordeaux disputata in una pausa del campionato dedicata alle nazionali. Giocatore diligente e ordinato, troppe volte monocorde (ma capace di talvolta di lampi di classe quasi inspiegabili, visto il contesto grigio in cui avvengono), Gabilondo avrebbe potuto rappresentare una risorsa tattica importante contro il Barça per la sua capacità di aiutare il terzino in ripiegamento, fondamentale visto il calibro dei clienti con cui la corsia di sinistra sarà chiamata a misurarsi (Alves-Messi). Merita comunque di essere citato anche per i due gol pesanti con cui ha contribuito a portare l’Athletic in fondo alla Copa.
Etxeberria: capitano di lunghissimo corso, il Gallo è ormai l’ombra del giocatore che per più di un decennio ha contribuito alle fortune dell’Athletic. Anagraficamente non sembrerebbe finito, tuttavia bisogna considerare che milita in Primera da quando ha 16 anni e che il suo fisico ha speso tutte le energie di cui era capace, rendendolo senza dubbio più vecchio di quanto non indichi la carta d’identità. Joseba, che non possiede più lo spunto sul breve e la velocità di un tempo, si limita ormai a vivacchiare con qualche giocata d’esperienza che può sempre tornare utile, ma appare francamente al lumicino e non disputa una gara intera da mesi. Caparros lo getta spesso nella mischia quando bisogna recuperare e di certo sa che c’è più classe nel destro di Etxebe che in tutto il reparto offensivo, Llorente escluso. Mercoledì il numero 17 reciterà dunque il ruolo del jolly prezioso, pronto come sempre ad entrare se le cose dovessero mettersi male.
Ion Velez: bocciato l’anno scorso da Caparros dopo poche partite, è stato richiamato alla base dopo il prestito all’Hercules a causa della cessione di Aduriz, senza però fornire giustificazioni valide al suo impiego quasi obbligato. Di una pochezza tecnica imbarazzante, il navarro è impreciso nel tiro, scarso di testa e assolutamente incapace di saltare l’uomo; dalla sua ha solo un’apprezzabile velocità di base e l’innegabile generosità, due qualità che però non fanno, da sole, un buon giocatore di calcio, specie nel suo ruolo. Era titolare a inizio stagione, poi è scivolato in panchina a causa dell’arrivo di Toquero, più arruffone ma anche più dinamico e portato al pressing. Resta comunque la prima alternativa ai due attaccanti titolari, cosa che la dice lunga sulla bontà del reparto offensivo biancorosso.
Murillo, Muñoz, Del Olmo, Garmendia e Iñigo non giudicabili a causa dello scarso utilizzo.
EDOARDO MOLINELLI
Se i risultati ottenuti fossero l’unico metro di giudizio per stimare il lavoro di un allenatore, di certo Caparros dovrebbe ricevere solo elogi per come ha condotto l’Athletic nelle ultime due stagioni. Due salvezze centrate con largo anticipo, senza troppi problemi, e una finale di Copa del Rey raggiunta dopo 25 anni di assenza dei biancorossi dall’atto conclusivo di tale manifestazione sono medaglie che risplendono in maniera accecante sul petto del generale Jokin, specie alla luce delle tribolatissime stagioni che hanno preceduto il suo insediamento a Bilbao.
Rifuggendo dalla logica tipicamente italiana del risultato, che porta ad isolare solo l’aspetto più evidente, ancorché decisivo, del percorso di un tecnico, è tuttavia impossibile non notare che alcuni degli obiettivi a lungo termine che erano stati fissati dalla dirigenza non sono stati del tutto soddisfatti. In particolare, la gestione Caparros si è distinta finora per la totale assenza di un gioco riconoscibile, una sorta di marchio di fabbrica che permetta agli appassionati di riconoscere lo stile e l’approccio della squadra a prescindere dal contesto di una singola partita.
Come gioca l’Athletic? In tutta franchezza, dare una risposta tecnicamente ineccepibile non è facile, tutt’altro. Cominciamo dicendo che lo schema unico praticato dai biancorossi è un 4-4-2 rigidissimo, nel quale ogni giocatore è tenuto a mantenere la propria posizione in maniera quasi scolastica. In fase di non possesso, le due ali rientrano ben oltre la propria metà campo per aiutare i terzini e uno dei due mediani (di solito Javi Martinez, più veloce e reattivo del collega Orbaiz) è sempre pronto ad abbassarsi fin dentro l’area se il pressing nel settore centrale del centrocampo viene aggirato; l’altro pivote resta qualche metro più avanti, pronto a far partire l’azione di rimessa e a cercare Llorente, che solitamente rimane il riferimento offensivo più avanzato e centrale, mentre la seconda punta parte da una delle due fasce. La tattica difensiva di Caparros prevede pertanto la quasi totalità dei giocatori dietro la linea della palla e l’unica discriminante diventa il tipo di pressing portato dai suoi: se l’Athletic deve aggredire, la linea difensiva si alza e la pressione sui portatori di palla avversari inizia fin dalla loro trequarti, altrimenti i rivali vengono aspettati dentro la metà campo biancorossa (questo avviene soprattutto quando i Leoni si trovano in vantaggio).
Inutile sottolineare come il gioco di rimessa sia quello più gradito ai bilbaini, che possono in tal modo ovviare con l’aggressività e i ribaltamenti veloci alle gravi carenze in fase di manovra che palesano da quando il tecnico di Utrera siede sulla loro panchina. Non sono più i tempi di Valverde, che giocava con un 4-2-3-1 capace di un’intensità straordinaria in fase offensiva e di grande armonia nei movimenti senza palla e nella distribuzione della stessa, anche se, a ben guardare, per com’è costruita questa rosa lo schema ad un’unica punta sembrerebbe il migliore (i reduci dell’era-Txingurri, peraltro, sono ancora parecchi). Caparros non è di questo avviso e ha sempre imposto il suo schema preferito come una specie di dogma, sacrificando sull’altare del 4-4-2 la qualità di Yeste trequartista, le maggiori opzioni che si aprirebbero ad un’ala come Susaeta se solo giocasse qualche metro più avanti e la possibilità per Llorente di giostrare come attaccante unico, referente assoluto per i cross e gli assist dei trequartisti. L’utrerano non ha mai neppure provato una tattica del genere e ha sempre preferito giocare con le due punte, confermando il vecchio adagio secondo il quale la pericolosità e il peso offensivo di una squadra non dipendono necessariamente dal numero degli attaccanti schierati sul terreno verde. Non basta, infatti, aggiungere un altro elemento in avanti se poi la manovra si sviluppa secondo direttrici limitate e pure piuttosto scontate, facilmente prevedibili da avversari attrezzati in maniera adeguata sul piano tattico e ben organizzati in fase difensiva.
Il gioco dell’Athletic è di lettura piuttosto semplice per le squadre rivali perché si sviluppa essenzialmente su due assi: la fascia destra, sempre alta di giri grazie alle percussioni instancabili di Iraola e alla buona intesa che questi crea con l’ala di riferimento, e il corridoio centrale verso Llorente, percorso sia attraverso il lancio lungo dalla difesa (definizione gentile del termine “pallonata”) che tramite il dialogo palla a terra. Non proprio una grande varietà di soluzioni, insomma. Per fortuna dei Leoni, quest’anno Nando è stato immarcabile per molte coppie centrali della Liga, anche di pregio, e le sue prestazioni sono sempre state all’altezza, non solo dal punto di vista dei gol fatti ma anche della capacità di creare spazi e di far segnare i compagni con le sue spizzate e le sue sponde intelligenti; proprio in questa pesantissima incidenza sul gioco della squadra, più che nel numero delle reti segnate, risiede l’importanza fondamentale di Llorente nell’economia del gioco biancorosso: disinnescare lui significa togliere all’Athletic il 70/80% di potenziale offensivo, e ormai qualunque allenatore iberico lo sa. Il difetto principale di Caparros è stato il non riuscire a studiare soluzioni alternative alla ricerca ossessiva del suo numero 9, al netto di una ristrettezza nel parco attaccanti di cui bisogna sempre tenere conto: è in questa mancanza di schemi e di alternative che risiede la critica principale mossa all’utrerano da parecchi mesi a questa parte, da quando cioè anche i sassi si sono resi conto che questa squadra si regge su qualità che esulano completamente dall’aver sviluppato un’idea di gioco personale.
I Leoni sono la squadra forse più umorale della Liga e non a caso il loro percorso in campionato somiglia ad un tracciato di montagne russe: un saliscendi continuo, un alternarsi senza sosta di cadute fragorose e grandi imprese che non facilita il compito di chi deve giudicare l’annata dei bilbaini. Ciò è dovuto principalmente al fatto che i biancorossi hanno giocato “di pancia” più che di testa, lasciandosi spesso guidare dalle emozioni e dalla spinta del pubblico e non dal freddo raziocinio di schemi e alchimie tattiche collaudate; nei momenti migliori l’Athletic ha così ottenuto risultati fantastici (uno per tutti, il 3-0 della semifinale di ritorno rifilato al Siviglia), ma ha poi finito per perdersi ogni volta che le energie mentali diminuivano d’intensità. Questa stretta dipendenza da fattori psicologici ed emozionali si riflette senza dubbio sul gioco della squadra: quando i Leoni sono in giornata-sì attaccano a folate continue, specie sulle fasce, pressano senza soluzione di continuità e costringono spesso gli avversari nella loro metà campo, annichilendoli con una ferocia agonistica che tocca punte di puro furore; risulta chiaro, però, che situazioni del genere non possono durare nel lungo periodo (spesso non durano neppure per una partita intera…) ed ecco spiegati certi blackout a prima vista incomprensibili, forieri di prestazioni oscene anche a seguito di brillanti vittorie o di primi tempi eclatanti. Ovviamente la squadra palesa enormi difficoltà quando non riesce a trovare la giusta sintonia col match, ovvero nel momento in cui, esaurita la carica agonistica, una compagine decente dovrebbe iniziare a masticare calcio, per quanto semplice possa essere. L’Athletic raramente lo fa e non perché non abbia dei buoni palleggiatori, che nella rosa ci sono eccome; semplicemente, il suo tecnico li tiene isolati e senza raccordi tra loro, impedendo di fatto il dialogo stretto a dei giocatori che potrebbero dare del tu al pallone. Emblematico, in tal senso, è il caso di Yeste che, nonostante sia l’unico elemento realmente disequilibrante del centrocampo basco, viene esiliato sulla fascia sinistra e si trova così lontano dal cuore pulsante del gioco, lui che potrebbe essere decisivo come pochi se solo giocasse centralmente e a ridosso dell’area avversaria. Fran rimedia talvolta a questa situazione seguendo l’istinto e accentrandosi, ed è proprio dai suoi movimenti a tagliare che nascono alcune delle situazioni più interessanti in fase offensiva, anche se la squadra paga i pochi inserimenti di Koikili e una mancanza generale di movimento senza palla che talvolta è quasi disarmante.
Gli unici a fornire opzioni di passaggio in fase di possesso, infatti, sono Iraola, Javi Martinez, la seconda punta (Toquero o Velez) e Llorente, il quale ogni tanto prova ad allargare la difesa spostandosi sulla fascia per fare spazio agli inserimenti da dietro o per tentare la conclusione da fuori. Gli altri si muovono pochissimo, ancorati come sono alle disposizioni di Caparros, e davvero non si comprende perché gli esterni debbano restare spesso appiccicati alla linea laterale quando avrebbero davanti una boa dai piedi buoni, capace cioè di triangolare con profitto tenendo la palla a terra.
Situazione disastrosa, dunque, in vista del Barcellona? Basandosi solo su un’analisi tecnico-tattica e sulla lettura della classifica, in cui i catalani hanno quasi il doppio dei punti dell’Athletic, parrebbe proprio di sì, ma per fortuna il calcio non è uno sport esatto e la sorpresa è sempre in agguato. E’ indubbio, tuttavia, che i Leoni dovranno giocare la partita perfetta per avere qualche possibilità, sperando nel contempo che gli uomini di Guardiola arrivino a questo appuntamento più spompati e confusi del solito.
Caparros ha due opzioni davanti a sé: difendere con 10 uomini dietro la linea di centrocampo, come ha fatto il Chelsea in Champion’s, oppure tentare la carta dell’aggressività e del pressing altissimo per soffocare la vena dei palleggiatori del Barça. Due tattiche diversissime e rischiose, ognuna a suo modo. Pensare solo a difendersi potrebbe essere poco salutare, visto che un gol i catalani possono sempre trovarlo (e comunque i difensori e i contropiedisti biancorossi non sono propriamente quelli del Chelsea…si rischia una figura da Bayern, più che altro), ma allo stesso tempo partire a cento all’ora fin dal fischio iniziale lascia presagire inquietanti scenari una volta che i giocatori abbiano esaurito le energie. Tre sono gli uomini chiave dell’Athletic: Koikili, che dovrà controllare Messi (auspico in tal senso una marcatura a uomo, stile Bosingwa al Camp Nou), Javi Martinez, che porterà il pressing sui centrali di centrocampo del Barcellona, e ovviamente Llorente, sul quale graverà quasi completamente il peso dell’attacco. Elementi importanti saranno Iraola e Susaeta, qualora dovesse giocare, senza dimenticare il lavoro sporco di Toquero, fondamentale per soffocare l’azione avversaria sul nascere. La variabile impazzita? Yeste, senza dubbio. E’ l’unico in grado di inventare qualcosa e senza dubbio “sente” moltissimo il match, lui che ha fornito le prestazioni migliori della sua carriera proprio contro le squadre più forti.
Inutile rimarcare che il Barça è il favorito d’obbligo, ma i Leoni non hanno nulla da perdere e pertanto potranno giocare con meno pressione. Speriamo che la partita non deluda le attese e che, a prescindere dal risultato, i 22 in campo ci regalino una partita epica come quella di 25 anni fa.
Buona finale a tutti!
Possibile formazione di domani
Athletic uno per uno.
Iraizoz: portiere affidabile, di certo non è un fenomeno ma ha saputo trasmettere sicurezza al reparto arretrato dopo un paio di stagioni alquanto traumatiche. Dal punto di vista tecnico è piuttosto rivedibile, tuttavia possiede un buon senso della posizione e tra i pali è molto efficace, nonostante uno stile poco ortodosso. I suoi punti di forza sono l’agilità e i riflessi straordinari, mentre difetta in maniera spiccata nelle uscite alte e, più in generale, nel comando della propria area sui cross e in occasione dei calci piazzati. Attualmente è in buona forma e sta garantendo delle prestazioni discrete. E’ l’unico giocatore dell’Athletic, insieme ad Aitor Ocio, ad aver vinto in passato la Coppa del Re, anche se ovviamente con un’altra squadra (nel suo caso con l’Espanyol).
Iraola: eccezionale. Basta questo aggettivo per definire il terzino destro di Usurbil, sbarcato (era l’ora!) in nazionale in virtù di una stagione eccellente sotto tutti i punti di vista. Fatte le debite proporzioni, Iraola è quello che Maicon e Alves sono per Inter e Barcellona, ovvero un regista aggiunto e non solo un semplice fluidificante. Le azioni dell’Athletic partono spesso dai suoi piedi e costante è lo spostamento dell’azione offensiva sul settore destro, dove le doti tecnico-tattiche di questo straordinario giocatore non tradiscono mai la fiducia dei compagni. Corsa, capacità di palleggio, visione di gioco, discreto uno contro uno e destro educato: Andoni doveva solo imparare a difendere per migliorare ulteriormente, e si può dire che con Caparros sia progredito davvero molto sotto questo punto di vista. E’ il vicecapocannoniere della squadra e sarà senza dubbio uno dei pochi elementi che i catalani dovranno preoccuparsi di guardare a vista.
Aitor Ocio: chiamato l’anno scorso per tamponare le falle di una difesa colabrodo, l’ex del Siviglia ha disputato fin qui una temporada in tono minore dopo le buone prestazioni offerte nella sua prima stagione da cavallo di ritorno. Centrale molto esperto e forte di testa, sa guidare la difesa e ha un buon senso della posizione, tuttavia va sovente in difficoltà contro avversari tecnici e veloci a causa del passo lento e di una certa macchinosità che palesa nello stretto; ha bisogno di protezione, insomma, e se il centrocampo non accorcerà in modo adeguato sarà esposto a delle brutte figure contro l’attacco blaugrana. Come detto in precedenza, quest’anno ha avuto un rendimento al di sotto delle aspettative, soprattutto a causo di un evidente calo fisico e di un certo nervosismo (vedere per credere alcune espulsioni che ha rimediato) che ne hanno condizionato le prestazioni, ma si è ritrovato comunque titolare a causa dei perenni infortuni di Ustaritz e dell’ancor scarsa maturità di Etxeita. Ha vinto una Copa del Rey con la maglia del Siviglia e di certo la sua esperienza sarà fondamentale in questa partita, con tutta probabilità l’ultimo incontro importante che il vitoriano affronterà nella sua carriera.
Amorebieta: grandissimi mezzi fisici e poco sale in zucca. Questo, in poche parole, il ritratto perfetto del basco-venezuelano, un corazziere tanto fornito di forza, resistenza e prestanza atletica quanto poco provvisto di intelligenza calcistica e senso tattico. Amorebieta ha tutto quello che serve per essere un grande centrale: fisico imponente, stacco imperioso, velocità non disprezzabile nei recuperi, potenza nei contrasti e capacità di “farsi sentire” nel contatto ravvicinato con l’avversario; Madre Natura, purtroppo, non l’ha però provvisto di un’adeguata capacità di posizionamento (i buchi centrali che lascia l’Athletic sono spesso opera sua) e di quel senso della misura che distingue un buon difensore da un macellaio. Rude e rozzo oltre ogni limite, Nando picchia moltissimo e spesso a sproposito, facendosi notare per delle entrate assurde a metà campo o per degli interventi assassini che vedrebbe anche un miope; tecnicamente poco dotato, nonostante un sinistro non disprezzabile quando calcia lungo, palesa tutti i suoi limiti quando viene pressato e sparacchia in curva senza riflettere. Ottimo lo scorso anno, tanto che si scomodarono per lui osservatori del Liverpool e di altre squadre inglesi, in questa stagione ha faticato molto anche a causa di una forma mai del tutto trovata, e in parecchi hanno compreso che il centrale autoritario visto nella Liga passata è ancora di là da confermarsi. E’ comunque in ripresa e sicuramente un cuore Athletic come lui sarà più che carico in vista della storica finale di mercoledì.
Koikili: l’uomo atteso dal compito più improbo, marcare Messi, è forse anche quello che più incarna lo spirito di questa squadra. Fino all’anno scorso Koikili Lertxundi era infatti un giocatore sconosciuto, con trascorsi in Tercera e Segunda B del tutto irrilevanti; prelevato in estate dal Sestao River per rimpinguare le fila del Bilbao Athletic, venne incluso a sorpresa da Caparros nella rosa della Prima squadra e si guadagnò il rispetto di tutto il calcio spagnolo a suon di prestazioni eccellenti. Un ragazzo venuto dal nulla capace di imporsi in Primera grazie al lavoro, all’umiltà e all’abnegazione: quale miglior esempio delle caratteristiche morali che da sempre sostengono il club basco? Koikili è senza dubbio un calciatore particolare: ha un fisico piccolo e tozzo, retaggio evidente del suo passato di ex campione nazionale di lotta greco-romana, è duro nei contrasti ma sempre corretto, raramente polemico, spesso cavalleresco nei confronti degli avversari; il suo sinistro non è eccezionale, ma sa pennellare cross discreti per le punte e ogni tanto esplode delle gran bordate da fuori. Dal punto di vista tecnico è un giocatore di almeno una categoria inferiore rispetto al torneo in cui milita, ma riesce a mascherare le sue notevoli lacune con un modo di interpretare la gara generoso e improntato al sacrificio. La sua dedizione alla causa è assoluta, come dimostrato dall’atteggiamento ineccepibile tenuto a inizio stagione, quando faceva panchina per lasciare spazio a Balenziaga: Koi non si è perso d’animo e ha risposto solo in allenamento e sul campo, meritandosi il ritorno fra i titolari e questa finale che per lui, forse più che per gli altri, è un sogno divenuto realtà.
David Lopez: l’ex dell’Osasuna ha compiuto un percorso inverso rispetto ad altri compagni di squadra, migliorando cioè nella temporada attuale dopo aver disputato un primo campionato in biancorosso assai poco soddisfacente. Personalmente non è un giocatore per cui impazzisco, anche perché molto lontano, come caratteristiche, dalla mia idea di ala: scarsamente veloce, in possesso di un repertorio di dribbling assai limitato e poco dotato nel breve, il riojano è un esterno che fa della continuità di corsa il suo marchio di fabbrica; più quantità che qualità, dunque, anche se il suo piede destro è davvero degno di nota, capace com’è di servire grandi assist ai compagni e di battere ottimi calci piazzati. Elemento regolare e predisposto a dare una mano in fase di ripeigamento, non chiedetegli di inventare qualcosa o di dare una scossa al match con un’accelerazione improvvisa seguita da un paio di dribbling e un assist geniale; i blaugrana dovranno comunque diffidare dei suoi angoli e delle sue punizioni, che batte molto tagliati e con un grande effetto.
Orbaiz: quando Iñaki Saez, ex tecnico della Furie rosse, lo definì qualche anno fa uno dei migliori centrocampisti della Liga, in molti addetti ai lavori la pensavano come lui su questo regista classico, dotato di una visione di gioco eccellente, di un tocco pulito e di una capacità di aprire il gioco con pochi eguali nel massimo torneo spagnolo. L’Orbaiz attuale, tuttavia, è solo una copia sbiadita del mediano che formò una coppia stratosferica col mastino Gurpegi ai tempi di Valverde: due infortuni gravissimi ad entrambe le ginocchia ne hanno minato il fisico, riducendo di molto la sua velocità di passo già non eccelsa e togliendogli anche quel poco di dinamismo che ha sempre avuto. “Don Pablo” non ha perso la sensibilità del piede destro e la capacità di leggere il gioco con profitto, ma è indubbio che ormai riesca ad esprimere al meglio le sue qualità solo quando il ritmo di gara resta basso; non appena la velocità aumenta, infatti, le sue pecche fisiche vengono a galla e la lucidità che ha sempre dimostrato di possedere viene fatalmente annebbiata da una tenuta atletica quasi del tutto compromessa. Caparros lo schiererà titolare, sia perché è uno dei suoi fedelissimi, sia perché non vi sono altri registi di ruolo in rosa, tolto il quasi desaparecido Muñoz che il tecnico di Utrera ha mostrato chiaramente di non “vedere”: un rischio, visto il dinamismo del centrocampo blaugrana, ma difficilmente il tecnico azzarderà una mossa a sorpresa proprio in occasione della finale.
Javi Martinez: senza dubbio colonna di questo Athletic e tra i primi biancorossi per livello di rendimento, il giovane navarro ha disputato una stagione fin qui inappuntabile e ha compiuto un altro deciso passo avanti verso la maturazione definitiva. Javi Martinez non è un regista e neppure un mediano puro, bensì un centrocampista moderno nella piena accezione del termine, capace cioè di difendere e attaccare, di dare una mano in fase di contenimento e di appoggiare l’azione offensiva con medesima efficacia. Non è un fine palleggiatore, ha scarsa visione di gioco e tecnicamente non è un fenomeno, ma ha dalla sua uno strapotere fisico che gli permette di imporsi anche da solo nei confronti di linee mediane formate da due o tre avversari; in fase di ripiegamento assiste da vicino i difensori, ma quando parte l’azione di rimessa lo si trova subito in appoggio alle punte grazie alla capacità quasi prodigiosa di recuperare e di proporsi in avanti con progressioni imperiose, anche palla al piede (cosa di cui si dovrebbero ricordare molto bene i tifosi dell’Atletico Madrid). Quest’anno è finalmente diventato più consistente in zona-gol, mettendo a frutto nel migliore dei modi la capacità d’inserimento, lo stacco di testa e il buon tiro dalla distanza di cui è dotato. Mercoledì sarà fondamentale la sua azione di pressing sui portatori di palla blaugrana e dalla sua prestazione dipenderanno molte delle possibilità dell’Athletic di giocarsela fino in fondo con gli uomini di Guardiola.
Yeste: genio e sregolatezza allo stato puro, il fantasista di Basauri è l’elemento tecnicamente migliore della squadra, nonché il solo (insieme forse a Susaeta) a non sfigurare in un ipotetico confronto coi fantastici palleggiatori del Barcellona. Mancino educatissimo, fa quel che vuole con il pallone ed è capace di dribbling, assist e conclusioni da fuoriclasse vero; in carriera è stato convocato in nazionale, anche se non ha mai esordito a causa di un infortunio, e questo la dice lunga sul suo valore vista la concorrenza feroce che esiste in Spagna nel ruolo. Caparros, che lo sopporta soltanto, non ha mai voluto adattare il suo schema in funzione del numero 10, costringendolo a giocare come centrale nel doble pivote (posizione per la quale non ha la necessaria cattiveria agonistica) o defilato sulla fascia sinistra, tuttavia è innegabile che il calciatore abbia toccato i suoi livelli più alti giostrando da trequartista centrale in appoggio ad un’unica punta. Poco amato dal pubblico di Bilbao a causa della scarsa propensione al sacrificio e dell’intensa vita notturna, Yeste resta comunque l’unico biancorosso in grado di creare la superiorità numerica nel’uno contro uno e di mutare la partita con un’invenzione estemporanea; partirà probabilmente dalla sinistra, tuttavia è portato per natura ad accentrarsi e con questo movimento potrebbe anche creare qualche grattacapo ad una difesa blaugrana che giocoforza non sarà quella titolare. A differenza di molti fenomeni presunti, poi, Fran è un giocatore che si esalta nelle sfide difficili: è stato strepitoso, ad esempio, nella semifinale di ritorno col Siviglia, ma ora sta a lui dimostrare tutta la sua bravura nella partita più importante dell’anno.
Toquero: se fosse tanto forte con il pallone tra i piedi quanto è generoso e altruista in campo, senza dubbio sarebbe uno dei migliori giocatori del mondo… Strano caso di attaccante che corre dal primo all’ultimo minuto senza risparmiarsi mai, anteponendo il pressing ossessivo sui portatori di palla altrui alla ricerca della soddisfazione personale, Toquero è per questo motivo uno dei preferiti della tifoseria biancorossa, da sempre attratta più dai calciatori dediti anima e corpo alla causa che dai solisti dotati di tecnica sopraffina. Piedi di marmo, pochissima dimestichezza nel controllo e nella protezione della sfera, l’ex del Sestao basa il suo gioco sull’elettricità, sulle accelerazioni improvvise e sull’istintività, compensando la mancanza di fiuto del gol e una certa anarchia tattica con la buona velocità di cui è provvisto e con l’instancabile movimento che pratica rimbalzando come una trottola da un lato all’altro della linea difensiva avversaria. I numeri della sua stagione parlano chiaro (2 soli gol tra Liga e Copa da quando è stato riscattato dall’Eibar durante il mercato invernale), tuttavia Caparros lo ritiene fondamentale per la sua azione disturbatrice e anche mercoledì lo schiererà titolare, affidandogli il delicato compito di pressare i difensori blaugrana per impedire loro di far partire tranquillamente l’azione fin dalla propria trequarti.
Llorente: si è detto e scritto moltissimo su di lui quest’anno, cosa ovvia visto il rendimento stratosferico che il numero 9 dell’Athletic ha tenuto fin dall’inizio della stagione. Se la scorsa Liga c’erano state delle avvisaglie sulla presa di coscienza del giocatore nei propri (notevoli) mezzi, il campionato in corso ha sancito la sua definitiva maturazione ad alti livelli, cosa che finora era rimasta solo nei sogni dei tifosi biancorossi che proprio non volevano arrendersi all’idea che questo gigantesco centravanti fosse destinato ad essere ricordato come una promessa non mantenuta. Llorente aveva tutto: fisico da granatiere, tecnica non comune per uno con la sua stazza, stacco di testa, tiro preciso e buon dribbling, ma difettava enormemente nel carattere e nella fiducia in sé stesso, minato in ciò anche da un paio di stagioni segnate da incomprensioni con gli allenatori e da difficoltà generali di tutta la squadra. Una volta ottenuto credito da Caparros, Nando ha iniziato a carburare lentamente per poi esplodere con un fragore assordante, che ha attirato su di lui gli occhi di mezzo mondo. Attualmente il riojano (ma nativo di Pamplona) non è solo il terminale offensivo principale, per non dire unico, dei Leoni, ma è soprattutto il perno attorno al quale girano tutte le trame della squadra, sia quando l’azione si sviluppa palla a terra, sia quando i difensori o i centrocampisti decidono di ricorrere al pelotazo centrale. Quasi immarcabile dal punto di vista fisico, Llorente è bravissimo a prendere posizione e a tenere alta la squadra, ma sa essere pericoloso anche con incursioni palla al piede e con improvvise conclusioni da fuori. Sarà lui, l’uomo più pericoloso dei bilbaini, il sorvegliato speciale da parte del Barcellona, che sa bene come fermarlo significhi togliere agli avversari il 90% del loro potenziale offensivo.
Armando: secondo portiere di grande esperienza visti i 38 anni di età, non è stato lui a difendere la porta biancorossa in Coppa del Re, nonostante di solito in questa competizione si lasci all’inizio più spazio alle riserve. Anche fisicamente appartiene ad un’altra generazione (è alto 1,80 m, una miseria per gli estremi difensori moderni), tuttavia a dispetto di ciò e di uno stile piuttosto atipico risulta essere molto difficile da superare, in virtù dei buoni riflessi e della grande agilità di cui è dotato. Mai polemico, è il dodicesimo perfetto.
Ustaritz: bersagliato dalla sfortuna e da infortuni a raffica, questo promettente difensore centrale nella sua carriera non è mai riuscito a giocare con continuità e conseguentemente a proporsi per una maglia da titolare. Un peccato, senza dubbio, perché ha caratteristiche molto interessanti e complementari a quelle di Amorebieta: buona velocità di base, senso dell’anticipo, posizionamento più che discreto e piede non disprezzabile. Rivedibile nello stacco di testa, fatica ad imporsi nella marcatura stretta di avversari molto fisici, ma in compenso se la cava egregiamente contro attaccanti tecnici e rapidi nel breve. Quest’anno ha giocato pochissimo a causa dei succitati infortuni, cosa che spiega le molte gare disputate dalla coppia Ocio-Amorebieta nonostante delle prestazioni non proprio all’altezza.
Balenziaga: il giovane terzino sinistro ex Real Sociedad aveva iniziato la Liga da titolare, strappando la maglia a Koikili e proponendosi come una delle grandi novità della stagione biancorossa. A conti fatti si può dire che non abbia convinto del tutto, altrimenti Koi non avrebbe riconquistato il suo posto tanto facilmente, anche se ha mostrato buone potenzialità e margini di miglioramento notevoli. Balenziaga dà senza dubbio il meglio di sé in fase offensiva: veloce e dotato di una buona tecnica di base, spinge sempre moltissimo e mette dentro cross a ripetizione, riuscendo a dare un’alternativa credibile all’iper-sfruttato asse di destra. Peccato che non sia altrettanto efficace quando c’è da ripiegare, e non a caso ha perso la maglia da titolare proprio a causa dei numerosi errori, soprattutto di concentrazione, che ha commesso in fase difensiva. Può essere un’arma tattica importante a partita in corso, anche come centrocampista sinistro.
Etxeita: è il terzo difensore centrale più utilizzato da Caparros e rappresenta una delle note più liete della stagione biancorossa. Classico marcatore di scuola basca, fa della potenza fisica e della rudezza del contrasto le sue armi principali, utili per compensare una tecnica non eccelsa e una scarsa propensione all’anticipo e alla giocata pulita; Etxeita possiede un buon senso di posizione e un discreto stacco, caratteristiche che lo hanno reso un elemento di sicura affidabilità e una valida alternativa ai titolari della difesa. Non è il nuovo Goikoetxea ma neppure una brutta copia di Sarriegi, cosa non da poco se si ripensa alle annate da incubo vissute recentemente dal pacchetto arretrato dei Leoni.
Gurpegi: la stagione del rientro vero e proprio è stata avara di soddisfazioni per il mediano navarro, colpito da infortuni più o meno gravi (si è rotto per ben due volte il naso, ad esempio) e apparso a sorpresa coinvolto solo marginalmente nei piani di Caparros, che pure aveva parlato di lui come elemento imprescindibile per la squadra. Il ventinovenne Carlos ha invece giocato poco, pochissimo da titolare, e non è mai riuscito a trovare quella continuità imprescindibile per riprendere confidenza con il ritmo partita dopo due anni di inattività. La grinta e il cuore sono sempre gli stessi, mancano semmai i polmoni e il passo di prima della squalifica: troppo poco per scalzare Javi Martinez dal ruolo di mediano, giacché la convivenza tra i due è apparsa da subito problematica a causa delle caratteristiche simili (il doble pivote formato da loro è sempre risultato piatto e monocorde, visto che non sono dei registi). Sarà pronto come sempre a dare una mano alla squadra, ma non era questo il ruolo che i tifosi avrebbero voluto per lui.
Susaeta: annata con più ombre che luci per il folletto di Eibar, che ha faticato non poco per confermarsi al massimo livello dopo le grandi prestazioni fornite all’esordio nella scorsa stagione. Una cosa normale per un giocatore giovane, specie considerando i buoni segnali lanciati nell’ultima parte del campionato, nel quale Susaeta è tornato a mostrare i numeri eccellenti con cui si era segnalato da subito al pubblico basco: dribbling secco, fantasia, grande tecnica e personalità spiccata, tutte caratteristiche che avevano fatto coniare per lui il soprannome di “nuova perla di Lezama”. Paragoni troppo affrettati, forse, ma resta indubbio che Markel sia un trequartista/ala molto interessante, capace di creare sempre la superiorità numerica e di sfornare cross al bacio e assist intelligenti per le punte. Occhio al suo destro liftato, specie sui calci di punizione dal limite. Se David Lopez non dovesse recuperare, a destra giocherà scuramente lui.
Gabilondo: non sarà della partita a causa del grave infortunio al ginocchio che ne ha sancito la prematura uscita di scena a marzo, lesione rimediata peraltro nel corso di un’amichevole col Bordeaux disputata in una pausa del campionato dedicata alle nazionali. Giocatore diligente e ordinato, troppe volte monocorde (ma capace di talvolta di lampi di classe quasi inspiegabili, visto il contesto grigio in cui avvengono), Gabilondo avrebbe potuto rappresentare una risorsa tattica importante contro il Barça per la sua capacità di aiutare il terzino in ripiegamento, fondamentale visto il calibro dei clienti con cui la corsia di sinistra sarà chiamata a misurarsi (Alves-Messi). Merita comunque di essere citato anche per i due gol pesanti con cui ha contribuito a portare l’Athletic in fondo alla Copa.
Etxeberria: capitano di lunghissimo corso, il Gallo è ormai l’ombra del giocatore che per più di un decennio ha contribuito alle fortune dell’Athletic. Anagraficamente non sembrerebbe finito, tuttavia bisogna considerare che milita in Primera da quando ha 16 anni e che il suo fisico ha speso tutte le energie di cui era capace, rendendolo senza dubbio più vecchio di quanto non indichi la carta d’identità. Joseba, che non possiede più lo spunto sul breve e la velocità di un tempo, si limita ormai a vivacchiare con qualche giocata d’esperienza che può sempre tornare utile, ma appare francamente al lumicino e non disputa una gara intera da mesi. Caparros lo getta spesso nella mischia quando bisogna recuperare e di certo sa che c’è più classe nel destro di Etxebe che in tutto il reparto offensivo, Llorente escluso. Mercoledì il numero 17 reciterà dunque il ruolo del jolly prezioso, pronto come sempre ad entrare se le cose dovessero mettersi male.
Ion Velez: bocciato l’anno scorso da Caparros dopo poche partite, è stato richiamato alla base dopo il prestito all’Hercules a causa della cessione di Aduriz, senza però fornire giustificazioni valide al suo impiego quasi obbligato. Di una pochezza tecnica imbarazzante, il navarro è impreciso nel tiro, scarso di testa e assolutamente incapace di saltare l’uomo; dalla sua ha solo un’apprezzabile velocità di base e l’innegabile generosità, due qualità che però non fanno, da sole, un buon giocatore di calcio, specie nel suo ruolo. Era titolare a inizio stagione, poi è scivolato in panchina a causa dell’arrivo di Toquero, più arruffone ma anche più dinamico e portato al pressing. Resta comunque la prima alternativa ai due attaccanti titolari, cosa che la dice lunga sulla bontà del reparto offensivo biancorosso.
Murillo, Muñoz, Del Olmo, Garmendia e Iñigo non giudicabili a causa dello scarso utilizzo.
EDOARDO MOLINELLI
Etichette: Athletic Bilbao, Copa del Rey
0 Comments:
Posta un commento
<< Home