Cade Mendilibar, fine di un’era.
Negli ultimi anni di Liga poche squadre come il Valladolid son risultate tanto riconoscibili da restare inconfondibili anche di fronte all’ipotesi immaginaria di un cambiamento improvviso di colori sociali. “Ehi, ma quello è il Valladolid di Mendilibar!”, te ne accorgi ad una semplice occhiata per l’approccio alla partita, per la mentalità e per i movimenti in campo. Un’identità fortissima, un’impronta tattica che si è imposta in maniera quasi dittatoriale sui singoli e ha garantito per tre anni una valorizzazione ottimale delle poche risorse a disposizione del club castigliano.
A partire dal girone di ritorno della scorsa stagione però è cominciato un calo inesorabile, e in questa annata il modello di gioco ha mostrato segni di stanchezza sempre più evidenti, fino alla decisione forse inevitabile dell’esonero di lunedì mattina, dopo il deludente pareggio casalingo con l’Almería che lascia il Valladolid sì ancora sopra le ultime tre, ma più per l’insipienza di Xerez, Zaragoza e (ahimè) Tenerife che per meriti propri.
È sorprendente che questo divorzio sia maturato proprio nella stagione in cui il Valladolid dispone della miglior rosa degli ultimi anni, ma non è paradossale: è un insuccesso frutto anche della rigidità di Mendilibar, assai efficiente quando si è trattato di plasmare squadre povere ma capaci di eseguire lo spartito a memoria, inadeguata però quando la rosa permetteva combinazioni di maggior qualità come quest’anno.
Il bilancio globale di questi tre anni e mezzo comunque non può che essere positivo: Mandilibar ha segnato la storia recente del club, risollevandolo da una depressione tecnica (ed economica), con una formidabile promozione alla prima stagione (2006-2007), e poi due meritate salvezze in Primera.
Una parola descrive meglio di tutti il Valladolid di Mendilibar: pressing, pressing, pressing… ripetuta incessantemente affinchè possa trapanare il cervello dei giocatori penetrandovi in profondità. La prima, indispensabile e innegoziabile, obbligazione del giocatore biancoviola è aggredire il portatore di palla. Ogni altra considerazione tecnica viene relegata in secondo piano. Pressing altissimo e linea difensiva all’altezza della metacampo: un equilibrio delicato, basta che salti un anello perché la catena si spezzi. Baricentro alto per un sistema di gioco estremamente aggressivo che però è errato definire offensivo, perché la preoccupazione di recuperare il pallone è la determinante principale, e la successiva fase di possesso ne viene condizionata oltre misura. Questa non ha una rilevante elaborazione autonoma: se l’avversario cerca la manovra, si può recuperare e attaccare con pochi metri da percorrere; ogni volta che invece ha ceduto il possesso-palla, questo Valladolid ha sempre un po’ faticato: pur essendo una squadra votata al dominio territoriale nella metacampo avversaria, non ha mai amato infatti elaborare l’azione da posizioni più arretrate.
Tuttavia nell’ultimo anno la catena si è spezzata con frequenza sin troppo eccessiva: i tanti gol incassati dal Valladolid hanno finito col suscitare più di una risata nei divoratori di highlights. Un minimo spazio scoperto e l’avversario verticalizza e buca la difesa alta senza problemi: difesa che tra l’altro ha mostrato una tenuta come reparto e come singoli sempre più problematica: da Luis Prieto ai nuovi acquisti Nivaldo e Arzo la sicurezza è un optional (e chissà cosa offriranno i freschi innesti invernali, il centrale portoghese Henrique Sereno e l’ex grande promessa Del Horno).
Il modello del pressing forsennato scricchiola da tempo, ma Mendilibar non ha potuto o non ha saputo riconsiderarlo, sbattendoci la testa fino a rompersela. Ha mostrato flessibilità nella scelta del modulo (il suo 4-2-3-1 aveva sempre accusato la presenza di pochi giocatori a concludere nell’area avversaria, così quest’anno è passato al 4-4-2, spostando il trequartista Canobbio e affiancando Manucho al vulcanico Diego Costa in attacco; in più in alcune gare ha provato la soluzione “alla Gurpegi”, con un mediano sulla fascia destra), ma non nell’idea di gioco, che è la cosa più importante.
Sempre inseguire gli avversari, e non il contrario, cioè cercare di costringere gli avversari ad inseguirti. Quindi doble pivote composto da animali da pressing come Borja, Álvaro Rubio, Pelé o il neopromosso canterano Carlos Lázaro, e mai nessuna possibilità per Medunjanin.
A partire dal girone di ritorno della scorsa stagione però è cominciato un calo inesorabile, e in questa annata il modello di gioco ha mostrato segni di stanchezza sempre più evidenti, fino alla decisione forse inevitabile dell’esonero di lunedì mattina, dopo il deludente pareggio casalingo con l’Almería che lascia il Valladolid sì ancora sopra le ultime tre, ma più per l’insipienza di Xerez, Zaragoza e (ahimè) Tenerife che per meriti propri.
È sorprendente che questo divorzio sia maturato proprio nella stagione in cui il Valladolid dispone della miglior rosa degli ultimi anni, ma non è paradossale: è un insuccesso frutto anche della rigidità di Mendilibar, assai efficiente quando si è trattato di plasmare squadre povere ma capaci di eseguire lo spartito a memoria, inadeguata però quando la rosa permetteva combinazioni di maggior qualità come quest’anno.
Il bilancio globale di questi tre anni e mezzo comunque non può che essere positivo: Mandilibar ha segnato la storia recente del club, risollevandolo da una depressione tecnica (ed economica), con una formidabile promozione alla prima stagione (2006-2007), e poi due meritate salvezze in Primera.
Una parola descrive meglio di tutti il Valladolid di Mendilibar: pressing, pressing, pressing… ripetuta incessantemente affinchè possa trapanare il cervello dei giocatori penetrandovi in profondità. La prima, indispensabile e innegoziabile, obbligazione del giocatore biancoviola è aggredire il portatore di palla. Ogni altra considerazione tecnica viene relegata in secondo piano. Pressing altissimo e linea difensiva all’altezza della metacampo: un equilibrio delicato, basta che salti un anello perché la catena si spezzi. Baricentro alto per un sistema di gioco estremamente aggressivo che però è errato definire offensivo, perché la preoccupazione di recuperare il pallone è la determinante principale, e la successiva fase di possesso ne viene condizionata oltre misura. Questa non ha una rilevante elaborazione autonoma: se l’avversario cerca la manovra, si può recuperare e attaccare con pochi metri da percorrere; ogni volta che invece ha ceduto il possesso-palla, questo Valladolid ha sempre un po’ faticato: pur essendo una squadra votata al dominio territoriale nella metacampo avversaria, non ha mai amato infatti elaborare l’azione da posizioni più arretrate.
Tuttavia nell’ultimo anno la catena si è spezzata con frequenza sin troppo eccessiva: i tanti gol incassati dal Valladolid hanno finito col suscitare più di una risata nei divoratori di highlights. Un minimo spazio scoperto e l’avversario verticalizza e buca la difesa alta senza problemi: difesa che tra l’altro ha mostrato una tenuta come reparto e come singoli sempre più problematica: da Luis Prieto ai nuovi acquisti Nivaldo e Arzo la sicurezza è un optional (e chissà cosa offriranno i freschi innesti invernali, il centrale portoghese Henrique Sereno e l’ex grande promessa Del Horno).
Il modello del pressing forsennato scricchiola da tempo, ma Mendilibar non ha potuto o non ha saputo riconsiderarlo, sbattendoci la testa fino a rompersela. Ha mostrato flessibilità nella scelta del modulo (il suo 4-2-3-1 aveva sempre accusato la presenza di pochi giocatori a concludere nell’area avversaria, così quest’anno è passato al 4-4-2, spostando il trequartista Canobbio e affiancando Manucho al vulcanico Diego Costa in attacco; in più in alcune gare ha provato la soluzione “alla Gurpegi”, con un mediano sulla fascia destra), ma non nell’idea di gioco, che è la cosa più importante.
Sempre inseguire gli avversari, e non il contrario, cioè cercare di costringere gli avversari ad inseguirti. Quindi doble pivote composto da animali da pressing come Borja, Álvaro Rubio, Pelé o il neopromosso canterano Carlos Lázaro, e mai nessuna possibilità per Medunjanin.
Il bosniaco è l’emblema di questa scarsa flessibilità di Mendilibar: mancino delizioso per eleganza, sensibilità di tocco e visione di gioco, tuttavia sempre considerato dal tecnico basco un anello troppo debole per la propria catena, a causa della scarsa propensione al pressing. Così Medunjanin si è dovuto accontentare di un impiego da trequartista a partita in corso, immodificabile qualunque cosa facesse, ripetuti gol decisivi e spezzoni di qualità compresi. Altro caso quello di Alberto Bueno, attaccante esile ma con molta tecnica e capacità di appoggio alla manovra, costantemente ignorato perché evidentemente le priorità sono altre, giocatori più fisici che si facciano valere sulle palle contese, come l’angolano Manucho che appena arrivato in Spagna promise la scorsa estate una trentina di gol (…so’ ragazzi…).
Eppure un altro Valladolid sarebbe possibile, con Medunjanin in regia (senza dimenticare l’alternativa Héctor Font: minor qualità ma caratteristiche simile), Canobbio falso esterno, due punte e un altro esterno offensivo da pescare nella rosa fra i validi mancini Marquitos e Jonathan Sesma e l’un po’ meno valido destro Nauzet Alemán (peccato l’infortunio a Sisi), con possibilità di inserimento anche per l’altro nuovo acquisto invernale Keko, in prestito dalla cantera dell’Atlético Madrid. Mai avuta tanta scelta: pure troppa per una squadra impegnata solo in campionato.
Con Diego Costa a guidare l’attacco c’è di che giocare e staccare le concorrenti per la salvezza, ma il nuovo tecnico Onésimo, promosso dalla seconda squadra, dovrà inventarsi qualcosa di originale. Non è più “quel Valladolid di Mendilibar”.
PS: Da più di una settimana ho iniziato una collaborazione con il sito “Sardegna-Diario Sportivo”, con una mia rubrica settimanale sul calcio spagnolo. Siete tutti invitati.
Eppure un altro Valladolid sarebbe possibile, con Medunjanin in regia (senza dimenticare l’alternativa Héctor Font: minor qualità ma caratteristiche simile), Canobbio falso esterno, due punte e un altro esterno offensivo da pescare nella rosa fra i validi mancini Marquitos e Jonathan Sesma e l’un po’ meno valido destro Nauzet Alemán (peccato l’infortunio a Sisi), con possibilità di inserimento anche per l’altro nuovo acquisto invernale Keko, in prestito dalla cantera dell’Atlético Madrid. Mai avuta tanta scelta: pure troppa per una squadra impegnata solo in campionato.
Con Diego Costa a guidare l’attacco c’è di che giocare e staccare le concorrenti per la salvezza, ma il nuovo tecnico Onésimo, promosso dalla seconda squadra, dovrà inventarsi qualcosa di originale. Non è più “quel Valladolid di Mendilibar”.
PS: Da più di una settimana ho iniziato una collaborazione con il sito “Sardegna-Diario Sportivo”, con una mia rubrica settimanale sul calcio spagnolo. Siete tutti invitati.
Etichette: Valladolid
14 Comments:
In pratica, il classico allenatore ottimo per squadre da salvezza ma incapace di fare il salto di qualità quando si tratta di gestire giocatori un po' più tecnici. Un Mazzone spagnolo?
Più o meno, però con la fissa del pressing alto :-)
Comunque, questo non esclude che possa allenare grandi squadre, è un allenatore valido.
Non paragonerei Mazzone a Mendilibar, visto che Mazzone quando allenò la Roma (l'unica grande squadra che ebbe la fortuna di allenare) arrivò fino al 5° posto e con una rosa lontana anni luce da quella attuale, quindi evidentemente riusciva ad ottenere buoni risultati anche con giocatori di grande qualità. Che ne pensa Valentino di Manucho? Se non ricordo male era stato pescato in Africa addirittura dal Man UTD però non mi sembra che fin'ora abbia convinto nelle varie squadre in cui ha giocato... Strano comunque come un allenatore vada in difficoltà quando può contare su valide alternative più di quando ha gli uomini contati e di qualità medio-bassa.
Se ci pensi non é nemmeno tanto strano. Con giocatori di livello medio basso puoi dare ad ogni giocatore le istruzioni che preferisci, loro eseguiranno il compitino e tu porti a casa il risultato, se tatticamente sei in gamba. Tipica in questo senso è la squadra di bassa classifica con un solo giocatore forte o una punta di sfondamento, in cui ogni giocatore fa il compitino al fine di mettere quello più forte in condizione di segnare o di cambiare la partita (l'Atalanta di Inzaghi, l'Almeria di Negredo).
Con tanti giocatori di livello medio o medio alto questo non lo puoi fare, devi lasciare maggiore libertà affinché si esprimano al meglio. Se li imbottigli in un sistema tattico predefinito e non hanno le caratteristiche o la voglia per fare quello che gli chiedi il rendimento della squadra diventa nettamente inferiore. Se invece gli lasci troppa libertà, si sacrificheranno poco per la squadra, ne risente l'equilibrio complessivo, e anche lì le cose diventano difficili. In questo caso dunque, a fronte di un talento mediamente maggiore e di una squadra potenzialmente più forte, diventa più difficile costruire un sistema di gioco vincente, perché nella gestione dei giocatori entrano in gioco altri fattori. E lì si vede la differenza tra un buon allenatore e un allenatore da big.
Difatti tra i grandi allenatori in circolazione se ci pensi possiamo distinguere due tipi: quelli portati a "dare un gioco" (Wenger, Pellegrini, Guardiola, Spalletti), che sono in grado di gestire il talento dei loro giocatori inserendoli però in un sistema di gioco collettivo che ne esalti le qualità invece di sacrificarli sull'altare del tatticismo; e quelli 'carismatici' (Capello, Lippi, Ferguson, Ranieri, Mourinho), nelle cui squadre, chi più chi meno, ognuno svolge un ruolo specfico e parimenti le stelle (Rooney, Eto'o ripiegano costantemente, e Balotelli quando non lo fa viene massacrato da Mourinho), ma che riescono a tenere unito il gruppo grazie al loro carisma e alla capacità di avere i giocatori "dalla loro".
Naturalemnte sono convinto che questo discorso sia molto più complesso, ma diciamo che è una sintesi generale del mio pensiero.
@ Hincha
Manucho è un bell'armadio, forte nel corpo a corpo, bravo a difendere palla e girarsi, forte di tesa con un sinistro potente. Non è granchè tecnico nè particolarmente mobile, non è il mio ideale di centravanti, però può dare il suo (ovviamente non al livello di un Manchester United).
Diego Costa comunque è un'altra storia.
@ Francesco
Interessante. Comunque ritengo che più i giocatori hanno talento e caratteristiche che si sposano, più combinazioni ti possono offrire anche da un punto di vista tattico, aumentando la complessità del tuo stile di gioco.
Poi è chiaro che il tatticismo è la risorsa soprattutto delle squadre che hanno poco talento su cui contare. Con più talento puoi definire uno stile di gioco a partire da una maggior libertà dei tuoi giocatori, senza lobotomizzarli con rigide consegne a priori. Ovviamente l'allenatore non si deve limitare ad assegnare le maglie ad inizio partita, deve avere un'idea di gioco chiara e scegliere i giocatori più adatti ad applicarla.
Per fare un esempio di come la presenza di giocatori con molto talento ed elevata compatibilità reciproca faciliti la costruzione di uno stile di gioco, cito la nazionale spagnola.
Se guardi l'ultima amichevole con l'Argentina vedi una squadra che gioca davvero a memoria (dopo aver giocato male nelle prime gare dell'Europeo è stata una crescita costante). Come ci sono arrivati? Con tanto allenamento e ripetizioni ossessive degli automatismi? No, non sono un club, e nè Aragonés nè Del Bosque son stati mai dei fenomeni dal punto di vista tattico.
Semplicemente sono giocatori che hanno fortemente interiorizzato una maniera di giocare, e hanno un grande talento nel riconoscere quello che di volta in volta devono fare. Con l'abitudine, di partita in partita, e con un ottimo spirito di squadra (che è fondamentale e non c'entra nulla con la tattica), hanno migliorato il rendimento collettivo.
Aragonés o Del Bosque potranno aver detto a Silva "taglia da destra verso il centro", ma solo Silva riconosce il momento in cui deve tagliare, solo avere Silva ti permette di contare al tempo stesso su un esterno e un trequartista offrendoti possibilità di gioco molto più ampie; gli allenatori potranno dire a Xavi o Cesc "bello, detta i tempi!", ma solo loro sanno il momento in cui tenere palla, scaricarla in perfetto tempismo coi movimenti dei compagni e dare armonia alla manovra.
Il merito di Aragonès è quello di aver scommesso forte su un'idea di gioco (io stesso ero scettico all'inizio, sbagliandomi di grosso) scegliendo giocatori estremamente compatibili perchè simili nella maniera di intendere il gioco, pur partendo da ruoli differenti.
Commento sull'operazione Canales, acquistato per 5 milioni dal Real Madrid (ma l'anno prossimo lo farà in prestito ancora al Racing): colpaccio memorabile da parte madridista (sempre che lo valorizzino e non corrano il rischio di bruciarlo), mossa da polli del Racing.
Io non riesco a capire che fretta ci sia di vendere subito un talento simile senza aspettare che la quotazione salga... insomma Canales ha le qualità per moltiplicare enormemente questa cifra. Cinque milioni sono una miseria, oltrettutto metà li devi spartire col Deportivo...
Temo (ma spero di sbagliarmi, per esempio con tutti i suoi limiti Sergio Ramos preso da ragazzino è un punto fermo della squadra) che Canales possa brucarsi come accaduto ad una valanga di giovani canterani poi dispersi in squadre di infimo lignaggio oppure andati a fare le fortune di altri (Mata ma anche Arbeloa andato via gratis e ritornato a pagamento). Canales è un giovane di ottime speranze ma fin'ora è alla sua prima stagione da protagonista e come riuscirà a trovare spazio in una squadra che l'anno prossimo avrà anche (probabilmente) Ribery a sgomitare per un posto da titolare? Inoltre le punte del Madrid sono tutte molto giovani come età media e quindi è difficile un ricambio entro due stagioni quando Canales arriverà alla base. Però ovvio che per quel prezzo: 1. il Madrid potrebbe aver fatto un affarone, 2. la dirigenza del Racing è ai livelli di quella della Longobarda. Chiudo segnalando come i giornalai di Madrid siano ormai candidati ad emuli di TuttoSport: Kakà alla Juve, Chiellini+Diego a Madrid...
Uhm, tipico giocatore da Bernabeu Chiellini, già me lo vedo...
Canales ha dalla sua una certa versatilità (può fare la mezzala e il trequartista, giocare in appoggio a una sola punta o nel doble pivote), se non altro questo lo potrebbe aiutare.
Vale, tu citi la nazionale spagnola, ad esempio di come "la presenza di giocatori con molto talento ed elevata compatibilità reciproca faciliti la costruzione di uno stile di gioco".
Mi trovi d'accordo, ma aggiungerei che quando hai in una stessa squadra Cesc, Silva, Xavi e Iniesta con Xabi Alonso in panchina (!), di certo non puoi giocare con le ripartenze. Sei quasi obbligato a fare un gioco d'attacco costante, a meno che un paio non li metti fuori, ma come fai a tenere fuori da una formazione Xavi o Iniesta? Nel caso della Spagna poi, in attacco c'erano e ci sono Villa e Fernando Torres, una coppia perfettamente complementare e micidiale. E Fabregas era il 12 uomo! Con una squadra così Aragonés non aveva molta scelta: doveva giocare all'attacco, con più jugones possibili, sfruttando le sue stelle e cercando di trovare un sistema che le esaltasse. E anche qui il rischio di fare un patatrack era alto. Aragonés ha rischiato grosso (e credo lo sapesse)con quel sistema di gioco, e le tue critiche, che ben ricordo, secondo me a priori erano perfettamente condivisibili. Gli é andata bene, la fortuna aiuta gli audaci, lui ha rischiato e ha vinto. Ma avrebbe anche potuto perdere ed essere massacrato, se un minimo dettaglio si fosse inceppato. Questo per dire che forse quello della Spagna é un caso più unico che raro, per il talento umano, lo "spirito di squadra" come dici tu, la disponibilità totale di tutti i giocatori a credere in quel sistema di gioco e anche quel po' di fortuna che non guasta mai. Ma alla fine quante nazionali giocano così? Nemmeno il Brasile ormai lo fa più. I casi sono due. O Aragonés e' un genio, oppure il fatto che si creino le condizioni per esprimere un gioco come quello della Seleciòn sono molto rare.
Certo questo caso dimostra che il calcio non é, o almeno non é solo, come si pensa da 15 anni a questa parte, un gioco a somma zero ("se hai un fantasista che ti dà un plus in attacco devi coprirlo con un medianaccio che ti dia lo stesso plus in difesa"), e che l'insieme dei talenti dei giocatori, se ben amalgamato, può avere un valore molto più alto della sempice somma dei singoli.
L'abilità di un allenatore del resto sta anche nel capire che tipo di gioco può fare con le risorse che ha a disposizione. Capello nella Roma dello scudetto giocava con Totti, Batistuta e Delvecchio più Cafù falso terzino ma in realtà attaccante esterno e sull'altra fascia Candela con un ruolo simile. Praticamente 5 attaccanti, con un gioco arioso e spettacolare. In Spagna gli davano del difensivista. In realtà non é mai stato né offensivo né difensivista. Capello é sempre stato molto bravo, tra le altre cose, a capire come far giocare la squadra rispetto agli uomini che aveva. Anche se non credo che, se fosse stato al posto di Aragonés, avrebbe rischiato un sistema di gioco simile. Quando ha potuto scegliere i giocatori, ha sempre creato squadre arcigne e compatte: un po' a sua immagine e somiglianza...
Ora, scendendo un attimo dal piedisttallo della Spagna campione d'Europa ed estrema esemplificazione del tuo modo di intendere il Calcio, ti pongo una domanda. Sei l'allenatore di una squadra, una a caso, facciamo il Zaragoza, e hai a disposizione Aimar, D'Alessandro, Matuzalem, Ewerthon e Milito. Che fai? Giochi come la Spagna o qualcuno lo lasci fuori per inserire un medianaccio? :P
"Uhm, tipico giocatore da Bernabeu Chiellini, già me lo vedo...", cosa vuoi dire? Percepsico una leggera ironia...
@ Francesco
Ti applaudo per la perfidia dell'esempio preso a caso :P
Comunque, dipende. Se vedo che questa squadra non riesce ad avanzare con ordine, che si spezza in due, allora inserisco un centrocampista più di copertura. Lo stesso se mi trovo di fronte una squadra con una qualità tale da costringermi a difendere nella mia metacampo più del dovuto.
Però, attenzione. Posso guadagnare equilibrio non solo abbottonandomi, ma anche avanzando. La cosa che conta di più è controllare gli spazi e i tempi del gioco, e non dipende necessariamente dall'avere il tizio bravo a rubare palla.
Ogni squadra, a seconda di quello che si può permettere, sceglie la zona di campo prediletta per il proprio gioco.
Ti faccio un contro-esempio freschissimo: domenica scorsa il Valencia ha fatto pena con Albelda-Marchena, doble pivote piattissimo, difficoltà ad uscire dalla metacampo coi primi passaggi, i quattro giocatori offensivi dati per dispersi.
Squadra spezzata e squilibrata, nonostante Albelda e Marchena fossero sulla carta quelli bravi a difendere e Banega, tristemente in panchina, no.
Esistono mille maniere di arrivare a un equilibrio. Ricordo a questop proposito un articolo di Guardiola quando collaborava con "El Pais" durante il mondiale 2006.
Parlando della Francia diceva che il suo miglior difensore in realtà era... Zidane.
Perchè? Perchè ordinava tutta la squadra. Ricordo anche Riquelme ai tempi d'oro col Villarreal.
Era lento, verissimo, faticava a verticalizzare, verissimo, ma nel mentre che andava lento e faticava a verticalizzare teneva palla e faceva avanzare di venti-trenta metri buoni tutti i suoi compagni, che riducevano le distanze reciproche e si raccoglievano compatti attorno al pallone. Giunti alla trequarti, con l'avversario spinto tutto dietro, potevano rischiare nel finalizzare la giocata. Male che andava l'avversario recuperava palla a chilometri dalla porta avversaria e col Villarreal già tutto ben raccolto.
Insomma, nonostante Riquelme non avesse mai mosso il culo per recuperare un pallone, aveva anche lui la sua importanza difensiva, se non altro perchè consentiva alla sua squadra di guadagnare posizioni favorevoli per accorciare sull'avversario non appena la palla andava persa.
Non tutti hanno Zidane o Riquelme, dipende dai giocatori, ma le grandi squadre sono tali perchè si possono permettere equilibri più avanzati delle altre.
Sulla Spagna prima dell'Europeo sbagliai perchè mentre criticavo l'assenza di esterni di ruolo, ignoravo il fatto che le fasce si possono coprire anche senza esterni di ruolo.
"Il calcio non é, o almeno non é solo, come si pensa da 15 anni a questa parte, un gioco a somma zero ("se hai un fantasista che ti dà un plus in attacco devi coprirlo con un medianaccio che ti dia lo stesso plus in difesa")"
Detto questo hai detto tutto ;-)
@ Hincha
Ehm, mi sa che hai indovinato :-)
Beh, Kakà pagato 68...Diego 24,5 e Chiellini quanto potrebbe valere...mettiamo 20 perchè è italiano, altrimenti meno della metà. Ci sarebbe qualcosa che non quadra nello scambio anche perchè se Kakà non va nel meccanismo, non e che Diego stia scalando la Mole tutte le domeniche.
A proposito di bei centrocampisti: ma De la Red lo si può recuperare o gli tiriamo una riga sopra?
Tornando all'esempio di Francesco: se sei l'allenatore del Saragozza e retrocedi con quei cinque là davanti sei un pirla a Milano, un bischero a Firenze ed "unu cuzzone" a Sassari.
Così minchioni Victor Fernandez e Irureta (che fece un paio di partite e scappò) non mi sembrano. Evidentemente qualcosa non andava in quella società e in quella squadra. Capita.
Di De la Red quasi non si parla più, e i timori aumentano. Non si è parlato ufficialmente di ritiro definitivo come per Sergio Sanchez del Sevilla, però sono pessimista ormai.
Posta un commento
<< Home