sabato, settembre 22, 2012

Pirati di Vallecas.


Da una squadra i cui ultras si chiamano “Bukaneros” e il  cui goliardico inno non ufficiale recita “la vida pirata la vida mejor” era difficile aspettarsi qualcosa di diverso dalla spregiudicatezza. Se però la Liga pensava di aver vissuto la sua esperienza più estrema con i 6-7  giocatori costantemente davanti alla linea della  palla di Bielsa, quanto proposto finora dal Rayo Vallecano va persino oltre. Paco Jémez viene da un’ottima Segunda (fermatasi solo ai playoff promozione) con un Córdoba che impressionava per il suo calcio avvolgente e sempre d’iniziativa, ma che non recava nessuna traccia di sconsideratezza.
Invece a Vallecas, dopo una prima giornata con una “normale” difesa a quattro, dalla seconda sul campo del Betis ecco una sorta di 3-3-4 liberamente ispirato ai kamikaze giapponesi della Seconda Guerra Mondiale: il Betis rimane sorpreso, soprattutto nel primo tempo, dalla novità della schiacciante superiorità numerica fra centrocampo e attacco del Rayo, ma al tempo stesso si intravedono i lati scoperti dello schieramento ospite.
Lati scoperti che diventano voragini nella partita casalinga col Sevilla, dove si raggiunge il picco dello sprezzo del pericolo: tre contro tre nella metacampo difensiva regalato al tridente andaluso Jesús Navas-Negredo-Manu, giocatori che quanto a capacità in campo aperto possono persino rivaleggiare con gente come Pepe e  Sergio Ramos. Il bello è che la partita finisce 0-0 quando già dopo il primo tempo il Sevilla  (che si prende il lusso di sbagliare due rigori) potrebbe averne fatti quattro.
Poi c’è il derby al Vicente Calderón, e nemmeno in questo caso il livello dell’avversario intimidisce Jémez al punto da fargli cambiare assetto: il dettaglio psichedelico della serata è il pressing di 6 (!) giocatori, fra attaccanti e centrocampisti, quasi fino al limite dell’area dell’Atlético. Poi i colchoneros mangiano la foglia, e saltano questo pressing lanciando subito sull’attacco: Turan, Falcao e Diego Costa approfittano della parità numerica e finisce come finisce. Ora arriva l’altro derby col Real Madrid: diventa difficile pensare a un Rayo che riproponga la stessa formula, ma ormai siamo abituati a stupirci: stavolta chiederanno all’arbitro di giocare con i portieri volanti, o cos’altro?


Lo stupore naturalmente non nasce dal modulo in sé (i numeri messi così non significano nulla), ma dalle caratteristiche dei giocatori.
Anzitutto il Rayo gioca con la più pura delle difese a tre: accanto al nuovo acquisto Jordi Amat, Tito e Casado son due terzini di ruolo e come tali si muovono. Lo stupore si accresce passando al centrocampo, e in particolare alla coppia di mezzeali. Non tanto Adrián González (onestissimo palleggiatore che in passato, soprattutto a Getafe, ha pagato la “colpa” di essere figlio di Míchel), quanto piuttosto Trashorras.
A questo proposito viene da fare un parallelo con l’altra squadra che di recente ha provato un 3-3-4 nella Liga, e cioè l’ultimo Barça di Guardiola: se il Barça con questo modulo già soffriva qualcosa in transizione difensiva, pure aveva come  perno della manovra un giocatore come Xavi, che proprio sulla capacità di assicurare il possesso del  pallone e il buon posizionamento della propria squadra ha costruito le proprie fortune; Trashorras in cambio rappresenta il tipo opposto: una mezzapunta piuttosto discontinua e anarchica, portata a cercare il passaggio risolutivo più che la continuità di manovra e l’equilibrio. Con lui aumenta la probabilità della giocata geniale, ma anche quella di perdere “male” la palla, con la propria squadra esposta al contropiede. Forse qui si sente anche la mancanza del veterano Movilla (svincolato e passato al Zaragoza), l’uomo d’ordine in mezzo al campo sia nella stagione precedente che in quella della promozione.

Ma questo è nulla…il vero estremo il Rayo lo raggiunge sulle fasce. Ora, con la difesa a tre uno si aspetterebbe esterni sì molto offensivi ma pur sempre esterni, che possano cioè sia offrire il riferimento per aprire il gioco sia la possibilità di ripiegare in aiuto alla difesa. Qui però Paco Jémez non solo utilizza vere e proprie mezzepunte se non attaccanti, ma li utilizza anche sulla fascia inversa rispetto al piede preferito.
Per esempio, Piti: uno inquadrabile come seconda punta, al massimo a destra in un 4-2-3-1 per poter rientrare e liberare il suo buon sinistro (a dire il vero l’unica qualità degna di nota). Qui continua a eseguire lo stesso movimento, ma dietro ha una difesa a tre, e fa tutta la differenza di questo mondo: se accentra troppo la propria posizione il Rayo o rimane senza riferimento esterno o deve addirittura chiamare all’avanzata il terzino! E questo sembra un movimento voluto da Jémez: gli attaccanti esterni ricevono ma poi tagliano subito verso la trequarti, e a quel punto o incrociano verso la fascia altri attaccanti  o il gioco diventa asfittico, e quando il Rayo perde la palla sulle fasce si spalancano incredibili praterie per gli avversari. Inutile dire che in queste condizioni, non solo per la scarsa propensione individuale degli interpreti, è pura utopia vedere gli attaccanti esterni scalare in aiuto ai terzini per chiudere sui cross avversari dalla fascia opposta.

Chi si prende tutte le rogne in copertura è perciò Javi Fuego, centrocampista difensivo in evidenza lo scorso anno (fra i primi recuperatori di palloni nell’ultima Liga, se non ricordo male), ma in questo caso chiamato a un’impossibile ubiquità: deve essere al tempo stesso l’uomo in più a centrocampo e quello in difesa, retrocedendo accanto a Amat in determinate occasioni.
Il movimento di Piti vale anche per José Carlos quando questi si sposta a destra: l’ex promessa della cantera del Sevilla, mancino tecnicamente molto raffinato (ma forse più divertente che utile) è sempre stato tendenzialmente un trequartista, che dalla fascia più che altro parte per accentrarsi. Il giocatore che potrebbe limitare questo disordine è Lass Bangoura: il guineano, rivelazione dello scorso campionato, finora non è stato titolare fisso, ma giocando a destra potrebbe garantire un riferimento esterno più costante e maggiore profondità, senza bisogno di tutti gli incroci fra trequarti e fasce che se da un lato possono aumentare l’incertezza nelle marcature avversarie, dall’altro rischiano di scoprire di più la squadra a palla persa. Ma anche Lass finora non ha giocato solo a destra: pure lui, destro naturale, a tratti ha coperto la fascia sinistra, con una simile (anche se meno accentuata rispetto a Piti e José Carlos) tendenza ad accentrarsi. Evidentemente è una cosa cercata.

I due attaccanti centrali son chiamati a fare tantissimo movimento, perché devono sia alternare i movimenti fra di loro (uno viene incontro per l’appoggio, l’altro detta la profondità) che compensare gli incroci degli esterni allargandosi verso la fascia.
Il danese Nicki Bille finora ha offerto più buona volontà che altro: generosissimo su tutto il fronte,  ma poca qualità per combinare nello stretto, scarsa capacità di tenere palla per fare salire i compagni e zero mordente in area di rigore. Questa è solo una prima impressione, ma la mancanza dei gol di Michu potrebbe pesare tanto.
Il suo compagno invece, il 20enne brasiliano Leo Carrillo Baptistao, è una delle più belle sorprese di quest’inizio di Liga: proveniente dal Rayo B, già in gol (ancora diciannovenne) al suo esordio col Betis, sta impressionando per la personalità e la naturalezza del suo gioco. Testa alta, eccellente controllo in corsa, potenza e agilità nei cambi di direzione palla al piede, buonissime capacità sia nello stretto che in campo aperto. Abile nell’uno contro uno, più portato ad appoggiare i compagni muovendosi tra le linee rispetto a Nicki Bille.

La domanda è: al di là della gara di domani col Madrid, seguirà anche in futuro  questa strada Paco Jémez?  I miei anni di militanza al seguito del calcio spagnolo penso mi valgano e anzi mi impongano il ruolo del vecchio trombone facile alle sentenze, per cui dico che no, questa scelta non mi sembra sostenibile sul lungo periodo. Per quanto io faccia il tifo perché lo sia (perché è una novità molto stimolante e perché in caso di successo confermerebbe la straordinaria ricchezza di possibilità di questo gioco), i rischi a cui si espone dietro il Rayo mi sembrano difficilmente superabili da una maggior scioltezza nel gioco offensivo, e se le prime giornate possono lasciare spazio alle sperimentazioni, alla lunga è meglio non scherzare col fuoco.

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mercoledì, settembre 19, 2012

Giustizia è fatta.


Avventurosa quanto si vuole, la vittoria di ieri premia non solo la caparbietà, ma anche il maggior talento, la migliore organizzazione e la superiore gestione della partita da parte di Mourinho contro il nulla cosmico proposto dal Manchester City di Mancini.
Sapete che qui ho sempre cercato di fare lo schizzinoso il meno possibile di fronte alle partite difensive, che possono racchiudere tanto buon calcio quanto un torello in area avversaria. L’importante è che quando si difende si abbia sempre un piano per passare alla fase successiva una volta recuperata la palla; stesso discorso quando la palla si perde. Limitarsi ad ammassare giocatori in avanti o all’indietro non è calcio. Affidarsi mani e piedi  a un mostro come Yaya Touré (ma  chi rimpiange ancora la sua cessione tenga presente che mai e poi mai avrebbe potuto giocare così nel Barça) per prendere palla, scrollarsi due-tre avversari di dosso con un’alitata e raggiungere l’area avversaria massimo in un  paio di falcate non è avere una transizione offensiva organizzata, non è avere una squadra equilibrata, non è giocare bene (per avere un’idea di cosa significhi giocare bene a partire da una proposta difensiva rivolgersi al sempre più entusiasmante Atlético Madrid) . Motivo sufficiente perché desse sincero fastidio che tanta taccagneria calcistica (inversamente proporzionale alle spese sostenute dallo sceicco) rischiasse di uscire col massimo della posta dal Bernabeu.

L’intelligente partita di Mourinho è al contrario la  dimostrazione di come la preoccupazione per gli equilibri di squadra non implichi rinunciare a giocare.
Il Madrid veniva da una serie di partite davvero preoccupante, l’ultima delle quali a Siviglia aveva visto una squadra disordinata in fase di possesso e costantemente esposta ai contropiedi andalusi. Nella sua migliore versione della passata stagione il Real Madrid si disponeva in campo in maniera decisamente ambiziosa: con Xabi Alonso che scalava fra i due difensori centrali per iniziare l’azione, i terzini partivano altissimi permettendo a Cristiano Ronaldo di fare quasi la seconda punta centrale con Benzema più che l’esterno: un meccanismo che quando la squadra non si trova al meglio e non sale coi tempi giusti, rischia di lasciare parecchio campo ai ribaltamenti  avversari, a maggior ragione se pensiamo che pur essendo una squadra molto tecnica e col possesso-palla costantemente dalla sua, il Real Madrid per caratteristiche è più portato a verticalizzare e meno a difendersi col pallone rispetto al Barça, con  un dispendio atletico qualitativamente diverso (non che il Barça corra poco, anzi, ma la maggior parte delle corse, se si vede ad esempio Xavi che spesso termina fra i primi quanto a chilometri percorsi, sono appoggi corti).

Quando il periodo non è dei migliori, Mourinho invece “blocca” un po’ la sua squadra: i terzini non partono più così alti, Cristiano torna un po’ più stabile sulla fascia e invece che la grande varietà di combinazioni sulla trequarti con Benzema si cerca la profondità più immediata di Higuaín. Ieri Mourinho è andato anche oltre, rinunciando a qualsiasi trequartista (Özil, Modrić e Kaká in panchina) e piazzando una barriera di tre nel mezzo, Khedira e Essien qualche metro avanti e ai lati di Xabi Alonso, con il tedesco più portato a inserirsi. Così si soffoca l’inizio dell’azione del City e si dà sufficiente copertura a Cristiano Ronaldo e Di María completamente liberati nell’uno contro uno coi terzini del City (uno contro uno perché sia Silva che Nasri, poi infortunato, vengono molto al centro in fase di possesso e non hanno il tempo di ripiegare in aiuto: soprattutto Maicon vede i sorci verdi contro Cristiano).
Un Madrid che domina tranquillamente  perché così giocando il suo centrocampo è sempre ben piazzato sulle respinte della difesa del City (a parte le progressioni isolate di Yaya Touré) e  perché lo stesso Mancini gli cede in parte questa superiorità a centrocampo sulle respinte difendendo tutto nella sua area di rigore. Un tipo di difesa che potrebbe andare bene contro il Barcellona, che gioca senza attaccanti d’area, scarseggia di ali in grado di conquistare il fondo e non tira mai da fuori, ma che al Madrid non fa né caldo né  freddo: anzi, non fa che dare continuità al gioco merengue.

Il gol non arriva per questione di dettagli (come l’ottima prestazione di Hart) e anche perché alla lunga l’impostazione madridista difetta di creatività. Con la mediana più portata a bloccare i rilanci avversari o al massimo all’inserimento, il compito di sviluppare la manovra ricade maggiormente sulla fascia sinistra di Cristiano Ronaldo e soprattutto Marcelo. In parte è sembrato di rivedere un Marcelo dal peso sulla manovra simile a quello della stagione 2010-2011, prima cioè che Mourinho modificasse il sistema di gioco basandolo su Xabi Alonso  come spiegato in precedenza.
Se il “sistema-Xabi” ha fatto guadagnare eccome a tutta la squadra la scorsa stagione, ha fatto perdere invece qualcosa a Marcelo,  che col movimento a scalare del basco fra i difensori centrali si è visto “espulso” verso la fascia, lui che da terzino atipico più che tenere la posizione esterna ama portare palla centralmente e inventare come un fantasista. Da fantasista (anche nonostante la deviazione) il suo gol, quando già Mourinho aveva inserito maggiore creatività con gli ingressi di Özil e Modrić e la partita rischiava incredibilmente e immeritatamente di sfuggire di mano.

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domenica, settembre 16, 2012

Tito vola basso.



Pure a punteggio pieno dopo quattro giornate, il Barça di Tito Vilanova non convince del tutto. Al di là della noia mortale di alcune sue partite, e senza dimenticare che è ancora prestissimo per dare giudizi, emerge una sensazione di rigidità che contrasta con le stagioni precedenti.

Nulla di più falso dell’affermazione secondo cui col cambio di allenatore il Barça continua a giocare allo stesso modo. Quello fra Guardiola e Vilanova per il momento ricorda un po’ il passaggio da Aragonés a Del Bosque nella nazionale spagnola. Sempre possesso-palla fino all’indigestione, ma in una chiave più difensiva. L’idea di minimizzare i rischi predomina su quella di creare superiorità, ovviamente senza richiamare nemmeno alla lontana gli eccessi di “tiqui-naccio” della Selección.
Si pensava inizialmente a un semplice ritorno a un uso stabile del 4-3-3, sconfessando l’esperimento affascinante ma non del tutto riuscito del 3-4-3/3-3-4 dell’ultimo Guardiola, però il 4-3-3 utilizzato finora da Vilanova è assai diverso da quello consolidato da Pep. Anzi, quasi non è più un 4-3-3, ma un 4-4-2 in cui i due attaccanti sono le ali.

Alla fine della stagione del Triplete, Guardiola lanciò questo benedetto 4-3-3 col falso centravanti. Storia raccontata fino alla noia: tenere larghi Henry e Eto’o perché Messi potesse ricevere più libero fra le linee. Fondamentale a tal fine era che le due ali pur partendo molto larghe potessero in qualsiasi momento minacciare la diagonale in profondità e così tenere impegnati i due centrali avversari, impossibilitati perciò a uscire dalla linea difensiva per raddoppiare su Messi.
Ciò che cambia con Tito è che ora le due ali restano inchiodate quasi sempre alla linea del fallo laterale, e questo fa tutta la differenza del mondo. L’obiettivo non è più guadagnare metri in avanti, ma garantire lo “spazio vitale” ai palleggiatori in mezzo. Con le due ali fisse, i terzini avversari non possono stringere al centro, e quindi il Barça ha la costante sicurezza del possesso-palla, perché il  quadrilatero Busquets-Xavi-Iniesta-Messi (con Cesc e Thiago come alternative) ha costante superiorità sui due centrali di centrocampo avversari.

Di quadrilatero si parla perché non si tratta più di vedere Messi una linea più avanti di Iniesta, coinvolto (anzi, decisivo) negli sviluppi della  manovra ma comunque ancora inquadrabile più come attaccante. Ora così come Xavi in più di un momento si abbassa sulla linea di Busquets per avere più opzioni sicure all’inizio della manovra, Messi si defila leggermente sul centro-destra, quasi speculare alla posizione di Iniesta. Entrambi ricevono ai lati dei due mediani avversari, e da lì il Barça può tenere palla quanto vuole.
Il punto però è che Messi riceve ancora più lontano dalla porta, e di fatto l’attacco del Barça non agisce più sui difensori centrali avversari. Non li minacciano le due ali che la maggior parte del tempo restano larghissime, e non li minaccia (almeno immediatamente, perché poi se parte son comunque dolori) Messi, che come detto gioca più sulla stessa linea di Iniesta. Praticamente il Barça ora usa una linea in meno per attaccare rispetto a quanto facesse col 4-3-3 col “vero” falso centravanti (perdonatemi), per non parlare del 3-4-3/3-3-4 che era tutto basato sull’idea di rendere inutile qualsiasi tentativo di pressing alto avversario aumentando e disponendo i palleggiatori culè su ancora più linee.

Giocando così, per cambiare ritmo e creare pericolo il Barça finisce col dipendere ancora di più dalla capacità di Messi di prendere palla, avanzare, attirare tutti su di sé gli avversari e smarcare i compagni. Il problema è che questo sistema sembra sostenibile solo con Messi in campo: una simile efficacia offensiva, che rende l’argentino pericoloso quando prende palla sulla trequarti come se la prendesse nell’area piccola avversaria, non ce l’ha nessun altro al  mondo, e non ce l’hanno nemmeno i pur formidabili Iniesta, Cesc, Xavi e Thiago. Pare francamente un appiattimento eccessivo sulle qualità dell’argentino, che alla lunga potrebbe diminuire il potenziale complessivo della squadra e mortificare altri giocatori, irrigiditi in una snervante orizzontalità.
Emblematica la situazione delle ali: il ruolo di “guardalinee” ormai loro richiesto ha portato Vilanova a insistere fin troppo sul giocatore più limitato della rosa, Tello, limitando tanto al tempo stesso Alexis Sánchez, che da ala destra rigida non solo non ha mai avuto il dribbling secco, ma irrigidito in questa posizione non può nemmeno eseguire i movimenti senza palla visti la scorsa stagione, tagli verso il centro a portare via i difensori e aprire spazio ai compagni.

A questo punto viene quasi da chiedersi il perché dell’acquisto di Jordi Alba, che per quanto già si sapesse che non avrebbe potuto replicare quello della nazionale (per semplici ragioni di contesto: nella nazionale era quasi l’unico che correva in avanti e aveva sempre tutto  il campo davanti…nemmeno al Valencia ci eravamo completamente accorti delle sue spaventose doti di corsa), ora con Tello piantato davanti, semaforo sempre sul rosso, ha ben poche possibilità di sfogo offensivo.
I terzini non partono più così alti, si sovrappongono solo nelle ultime fasi dell’attacco, e questo assieme al “quadrilatero di sicurezza” del centrocampo sulla carta diminuisce le possibilità di farsi trovare scoperti una volta persa palla; ma va anche detto che il fatto di attaccare su una linea in meno dà più possibilità ai difensori centrali avversari, non più immediatamente minacciati, di uscire ad accorciare, e quindi anche di recuperare il pallone più vicino alla metacampo difensiva del Barça. Finora i blaugrana hanno rischiato ben poco a dire il vero, ma questo potenziale problema è già emerso nella trasferta sul campo dell’Osasuna, vittoria sofferta e immeritata.

Una possibilità di modificare il nuovo sistema di Vilanova viene però dal recupero di David Villa: anche partendo dalla fascia, il Guaje, pur non essendo un irreprensibile esecutore del “juego de posición”, rappresenta di per sé profondità, attacco ai centrali avversari e una linea in più su cui sviluppare l’azione offensiva. Pure volendo, non potrà mai scimmiottare Tello. Sicuramente col suo rientro in pianta stabile vedremo qualcosa di diverso nel Barça, anche se l’insistenza già mostrata da Tito Vilanova nel bloccare Alexis largo (quando già l’anno scorso il cileno dimostrò di funzionare come alternativa per il centro dell’attacco, dettando parecchia profondità) rivela come quella intravista finora sia un’idea di gioco abbastanza forte nel nuovo tecnico blaugrana.

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