giovedì, giugno 25, 2009

Scivolone.

Doveva arrivare prima o poi, ma brucia comunque la sconfitta di ieri con gli USA, soprattutto perché con molta probabilità svanisce l’incrocio in finale col Brasile, la partita che più di tutte avrebbe dato un significato a questo torneo in vista dei Mondiali.
Invece nessuna delle quattro partite disputate finora ci ha detto nulla di nuovo sul livello di questa nazionale: né la Nuova Zelanda, né l’Iraq, né il Sudafrica e nemmeno gli Stati Uniti possono costituire delle prove attendibili. Stati Uniti pienamente meritevoli in una partita nata male: pessimo approccio della Spagna e splendidi USA nel primo tempo, buona reazione degli uomini di Del Bosque, ma non troppo assistita dalla buona sorte.

È chiara la morale che bisogna trarre da quanto successo ieri: giocare con sufficienza, pensare di aver già vinto solo per essere scesi dall’autobus, si paga. Errori di misura e di concentrazione, reiterati passaggi orizzontali rischiosi e palle perse in zone delicate, squadra lunga e poco propensa a ripiegare a palla persa, disattenzioni difensive… La prestazione di ieri rappresenta l’esatto opposto del quarto di finale con l’Italia dell’ultimo Europeo: partita questa che fece storcere il naso a più di uno sul piano spettacolare, ma che personalmente considero fondamentale per spiegare l’approdo alla massima competitività di questa nazionale, per come fu curata nei minimi dettagli, affrontata con spirito di sacrificio e coesione. La fortuna per la Spagna è che può anche fare tesoro di una sconfitta come quella di ieri, un’iniezione di umiltà.
Dello sbandamento hanno approfittato gli USA, impeccabili: squadra sempre ben organizzata, da Bruce Arena a Bob Bradley l’andazzo non è cambiato, un 4-4-2 lineare, senza fronzoli, efficace. Sostenuti dalla miglior condizione atletica di tutto il torneo, gli yankees fanno leva su un pressing asfissiante (il piccolo Bradley, Michael, dovrebbero tenerlo a bada con un guinzaglio), tengono il baricentro alto per recuperare palla e verticalizzare subito, attaccando con quattro uomini, i due esterni Donovan e Dempsey e gli attaccanti Davies e Altidore, costantemente alla ricerca della profondità, sovente con tagli dal centro verso l’esterno negli spazi lasciati dalle avanzate dei terzini spagnoli.
Proprio con un’azione diretta e verticale gli USA passano in vantaggio: Altidore, conoscenza degli appassionati spagnoli (metà stagione al Villarreal, metà in prestito al neopromosso Xerez, nel quale comunque non ha trovato spazio), fa valere il suo fisico poderoso scherzando un imprudente Capdevila: in palese inferiorità atletica, il catalano azzarda un anticipo davanti all’avversario invece che temporeggiare; Altidore mette il corpaccione fra Capdevila e la palla, e il gioco è fatto, il resto lo fa l’intervento impreciso di Casillas (allarmante il suo finale di stagione) sul resistibile tiro, potente ma centrale, dello statunitense.
È una brutta Spagna in tutto il primo tempo, leggerissima nei disimpegni, nervosa e persino disordinata e precipitosa, anomalie pesanti per la squadra geometrica per eccellenza.
La ripresa presenta tutt’altro scenario: la combinazione del calo fisiologico americano (non puoi pressare sulla trequarti avversaria per tutti i 90 minuti se non sei una squadra che tiene anche il possesso-palla) e dello scatto d’orgoglio, anch’esso preventivabile, dei campioni d’Europa, determina una gara a senso unico e in una sola metacampo.
La Spagna fa bene quello che sa fare fino all’area di rigore, poi puntualmente manca qualcosa. Il dominio è fuori discussione, perché Xabi-Xavi-Cesc hanno spazio per tessere la ragnatela, e da lì il resto viene di conseguenza. Cesc da falso esterno destro si accentra e fornisce l’appoggio fra le linee, crea confusione nel sistema difensivo avversario e libera la fascia destra tutta per Ramos, uno dei giocatori più attivi in fase offensiva, anche se spesso impreciso nel concludere l’azione.
Gli USA non riescono più a soffocare sul nascere la manovra, la Spagna trova le combinazioni che preferisce, accumula calci d’angolo ma non sfonda: da “scientifica” la difesa americana si fa artigianale, con difensori che respingono a corpo morto, Howard sempre più coinvolto, e cose di questo tenore.
Ma subentrano due fattori a compromettere del tutto le chances iberiche: prima il cambio incomprensibile di Del Bosque, Cazorla per Cesc. Toglie il giocatore in quel momento più ispirato, oltre che determinante dal visto tattico. La Spagna aveva già trovato gli spazi desiderati, il suo calcio migliore che attraverso la superiorità nella zona centrale della mediana crea gli spazi per attaccare dalle fasce o tra le linee, togliere Cesc depotenzia questo discorso e limita anche lo slancio di Ramos, che aveva già trovato il fondo in numerose occasioni, senza bisogno di vedersi pestare i piedi da Cazorla in quella zona.
Il secondo fattore dà il colpo di grazia: ancora una palla persa stupidamente sulla trequarti difensiva, e due errori clamorosi in successione sul rasoterra di Donovan che attraversa l’area, prima il liscio di Piqué e poi la dormita di Ramos, che pensa bene di addormentarsi col pallone a pochi centimetri dalla porta sguarnita, con Dempsey che si avventa e non lascia scappare l’occasione. Non è la prima volta che la testa di Sergio Ramos parte per misteriose vacanze, detto per inciso.
Ultimo quarto d’ora di assedio impotente, cross in serie verso l’area di rigore che forse richiedevano l’ingresso di Llorente al posto di un Torres senza spazi per il suo gioco in profondità e di un Villa testardo e improduttivo.


SPAGNA 0 – STATI UNITI 2

Spagna (4-4-2): Casillas; Sergio Ramos, Puyol, Piqué, Capdevila; Cesc (Cazorla, m. 68), Xabi Alonso, Xavi, Riera (Mata, m. 78); Villa, Torres.
In panchina: Diego López, Reina; Albiol, Marchena, Arbeloa, Busquets, Pablo, Silva, Llorente y Güiza.
Stati Uniti (4-4-2): Howard; Spector, Onyewu, DeMerit, Bocanegra; Dempsey (Bornstein, m. 89), Clark, Bradley, Donovan; Davies (Feilhaber, m. 69), Altidore (Casey, m. 83).
In panchina: Guzan, Robles; Califf, Wynne, Pearce, Beasley, Klejstan, Torres y Adu.

Goles: 0-1. M. 27. Altidore recibe un pase picado al hueco de Dempsey, protege con su cuerpo el balón, se gira y marca de fuerte tiro. 0-2. M. 74. Demspey se adelanta a Sergio Ramos y marca a puerta vacía.
Árbitro: Jorge Larrionda (Uruguay). Expulsó con tarjeta roja directa a Bradley (m. 86). Amonestó a Donovan, Altidore, Capdevila y Piqué.
Free State Stadium: 40.000 espectadores.

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martedì, giugno 23, 2009

Bilancio Under 21.

Era attesa solo l’ufficializzazione, ma ieri sera l’Under 21 ha completato il suo capolavoro alla rovescia: López Caro, beato lui, non lo ritiene un fallimento, vede nemici attorno a sé (alle domande sul suo futuro, certo non particolarmente fantasiose o carine, risponde che qualuno probabilmente sarà contento per l’esito di questa spedizione…), sostiene che quando c’è l’impegno non c’è nulla da rimproverarsi, che la sua selezione in tutte e tre le gare ha imposto la propria idea di calcio offensivo (???) e che contro l’Inghilterra la partita è andata persa solo per dei dettagli (???/2).
Beh, io pensavo che non saper perdere fosse un’esclusiva di tecnici alla Capello o alla Lippi, bene o male carichi di trofei, ma a quanto pare anche uno trombato da Levante e Celta (dove guidava un’autentica fuoriserie, relativamente alla Segunda) mettendosi d’impegno può esibire una straordinaria faccia tosta.
Fallimento, non si scappa: stando alle voci che lo vogliono amicone di Fernando Hierro, Direttore Tecnico delle nazionali spagnole, López Caro non dovrebbe muoversi, ma certo è difficile pensare a possibili alternative davanti a un caso paradigmatico come questo di squadra allo sbando, abbandonata a sé stessa.
Anche ieri contro la Finlandia scelte discutibili, a partire dall’insistenza sull’unica punta e sul doppio centrocampista difensivo nonostante l’obiettivo minimo per passare il turno fosse un 4-0 (sperando in una contemporanea vittoria degli inglesi sulla Germania), poi, con l’ingresso della seconda punta solo al 68’ (Pereira, perché Bojan resta in panchina acciaccato), l’uscita del migliore in campo, ovvero Pedro León…

Vittoria meritata ma inutile contro la Finlandia, comunque frutto esclusivamente degli episodi e della qualità dei singoli, le uniche prerogative di una squadra che non è mai stata tale: perennemente incerta nel modulo e negli uomini, incapace di trovare una fluidità e una continuità di manovra che potesse scardinare le difese avversarie schierate (qui López Caro non ci risparmia un luogo comune tipico dell’ allenatore spagnolo che non sa perdere, ovvero il “loro facevano solo difesa e contropiede, brutti cattivi”…).
Personalmente rimane l’insoddisfazione per non aver mai visto nemmeno azzardare l’ipotesi di un 4-4-2 con un solo centrocampista difensivo, Granero in regia e Jurado falso esterno sinistro, la formazione che reputavo teoricamente più completa: mentre la forza della nazionale maggiore è che tutti parlano lo stesso linguaggio calcistico, in questa Under 21 non si è mai riuscito a risolvere il dualismo fra i portatori d’acqua come Raúl García, Javi Martínez e Mario Suárez e i vari trequartisti, non si è mai scelta con chiarezza un’idea di gioco da difendere fino in fondo. Emblematica la partita contro l’Inghilterra, con López Caro che fa il seguente ragionamento: “mi gioco le due punte, mi gioco pure Jurado dietro di loro, però guai se non imbottisco la mediana di muscolari”. Risultato: nessun filo logico, squadra incoerente, slegata, inguardabile e perdente. Novanta minuti che riassumono un intero torneo.

La figuraccia ha inevitabilmente inciso negativamente anche sulle quotazioni dei singoli, il cui rendimento di seguito analizziamo uno per uno (quelli che hanno giocato).

Che il portiere sia stato indiscutibilmente il migliore è indicativo della mediocrità dell’insieme, ma è anche una conferma della credibilità di Asenjo (3 presenze, 270 minuti) come futuro Casillas. Enorme personalità e sicurezza nei propri mezzi, decisivo in un paio di occasioni contro la Germania, splendido sul rigore di Milner, ha anche evidenziato una maggiore sobrietà nelle uscite rispetto al solito. Quasi fatta con l’Atlético Madrid, piazza insidiosa: non è ancora infallibile, per cui gli dovrà essere abbuonata anche qualche papera se non si vorrà comprometterne la crescita.
Anche i due terzini dell’Osasuna, Monreal (3 presenze, 270 min.) e Azpilicueta (2 presenze, 180 min.), si sono confermati: giocatori non entusiasmanti ma regolari, dinamici e disciplinati nel coprire e appoggiare la manovra con continuità. Problemi al centro: Torrejón (3 presenze, 270 min., 1 gol), unico centrale affidabile, non ha trovato un partner all’altezza fra il Chico (1 pres., 90 min.) impreciso e spesso fuori posizione dell’esordio contro la Germania, e il Javi García (2 pres., 180 min.) nel pallone visto contro gli inglesi, giocatore evidentemente disorientato e depresso dagli ultimi anni di prestiti, sballottamenti fra centrocampo e difesa e sottoconsiderazione estrema da parte del Real Madrid (che farebbe bene a liberarlo una volta per tutte).
Bocciato Sergio Sánchez (1 pres., 90 min.) da terzino destro contro la Germania (corsa, generosità, ma troppa poca tecnica per giocare in una squadra ambiziosa), sottoutilizzato Marcano (1 pres., 90 min.), che pure in linea teorica, stando al rendimento offerto nell’ultima stagione oltre che alle potenzialità, avrebbe dovuto essere il titolare a fianco di Torrejón.

Il centrocampo come detto è rimasto irrisolto, negli uomini, nella disposizione e anche nella filosofia di gioco di fondo. Punto fermo Raúl García (3 pres., 270 min.), il cui giudizio assume due facce: positivo sul piano del carisma e della presenza in mezzo al campo, negativo sul piano strettamente tecnico. Si fa sentire dal punto di vista fisico, ha senso tattico ma come all’Atlético ribadisce di non avere le qualità per dirigere la manovra, troppo orizzontale, con poca visione di gioco, ritmi sempre troppo blandi e anche qualche imprecisione di troppo.
Accanto a lui sarebbe stato meglio un regista (magari Granero arretrato) piuttosto che un altro centrocampista difensivo, che non ha aggiunto nulla e anzi ha di fatto compromesso l’agilità della transizione offensiva. Javi Martínez (2 pres., 159 min.) uno dei più deludenti di tutta la spedizione: spaesato contro la Germania (quello fatto di fraseggi stretti non è il suo calcio, c’è poco da fare, non ha i tempi, non ha l’attitudine e non ha il tocco), fuori ruolo con la Germania, costretto ad arrabattarsi sulla fascia destra, una delle scelte più “estrose” dell’Europeo di López Caro. Mario Suárez (2 pres., 170 min.) ha fatto il suo lavoro di cucitura in mezzo, ma non era certo il giocatore capace di dare alla manovra lo slancio che mancava, e in più gli rimane sul groppone la palla persa da cui nasce il primo gol inglese.
Non è stato proprio l’Europeo di Granero (2 pres., 170 min.), assente ingiustificato con la Germania, giustificato (problemi fisici) con gli inglesi, a sprazzi con la Finlandia: bilancio nettamente insufficiente per quello che doveva essere il punto di riferimento della trequarti. Nemmeno una gran vetrina in chiave-mercato: il Madrid non lo riacquisterà, ma forse un deprezzamento potrebbe anche fare comodo ai vari Villarreal e Valencia che hanno mire sul Pirata.
Jurado (3 pres., 201 min.) ha provato a dare qualche accelerazione sulla trequarti, ma ha visto i suoi sforzi compromessi un po’dalla mancanza di cattiveria nel concludere le azioni, un po’ dalla scarsa assistenza dei compagni. Non ha fugato del tutto i dubbi sulla sua personalità, ma appare certamente rilanciato dall'ultima eccellente stagione, che ne fa uno degli uomini mercato per la metà-classifica della Liga oltre che per l’Aston Villa, interessato da mesi (società seria, non certo un Newcastle, ma potrebbe rivelarsi un calcio poco adatto alle caratteristiche di Jurado).
La fascia destra non ha mai avuto un padrone: un altro mistero lo scarso utilizzo di Pedro León (3 pres., 81 min., 1 gol), giocatore importante come dimostrato anche contro la Finlandia, ancora di più in un contesto in cui il gioco di squadra inesistente aumenta l’importanza dei suoi pericolosissimi calci piazzati liftati, mentre Sisi (2 pres., 91 min.) ha inciso pochissimo, inesistente contro la Germania e impreciso nonostante la buona partecipazione alla manovra contro la Finlandia, dove spostato a sinistra ha rilevato in corsa Jurado, azzoppato da un’entrataccia. Non si riprendono le quotazioni di Capel (3 pres., 40 min.), defilato (non a torto, aggiungo) nelle gerarchie di López Caro, nemmeno capace di dare la scossa col suo calcio anarchico nei pochi spiccioli concessigli.

Il simbolo della spedizione fallimentare è chiaramente Bojan (2 pres., 147 min.): un po’isolato come unica punta con la Germania, senza attenuanti nella disastrosa seconda gara con l’Inghilterra, giocata da seconda punta. Polveri bagnate, errori tecnici incomprensibili, e poi questo gap atletico nei confronti dei difensori avversari che comincia ad essere allarmante. Se Bojan il pallone lo ha toccato male, Adrián López (1 pres., 90 min.) invece non lo ha nemmeno annusato: gira a vuoto su tutto il fronte d’attacco contro l’Inghilterra, non fa reparto né da sfogo in profondità, mostra solo il suo peggior difetto, ovvero la tendenza ad estraniarsi del tutto dal gioco per lunghissimi tratti del match.
In questo quadro, ha finito con l’avere più minuti del dovuto un manzo di terza scelta come Xisco (3 pres., 119 min.): l’unico con quelle caratteristiche da centravanti di peso utili a semplificare la manovra, ma anche sin troppo modesto tecnicamente per risultare credibile. Frenetico ma confusionario come da copione Pereira (1 pres. 22 min.) nello spezzone con la Finlandia.

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venerdì, giugno 19, 2009

Un pasticcio indigeribile.

Perdere le partite non è un crimine, esistono anche gli avversari, ancora di più quando si chiamano Germania e Inghilterra, ma la faccia, quella no, non andrebbe mai persa. Sta per concretizzarsi uno spreco di talento che grida vendetta: una vittoria larga nell’ultima giornata contro la Finlandia e la contemporanea sconfitta della Germania contro l’Inghilterra (già qualificata) sono le uniche speranze che rimangono all’Under 21 di López Caro per poter accedere alle semifinali.
Pie illusioni se ci si attiene a quanto mostrato in queste prime due partite: una rosa ricchissima, potenzialmente adattabile a qualsiasi registro tattico, dalla quale però non si riesce a ricavare uno straccio di idea di gioco. Senza identità, senza punti di riferimento, preda dell’improvvisazione, ognuno si trova a fare la guerra per conto suo, e così basta un avversario che abbia un minimo di organizzazione e corsa per smontarti. Se poi ha certe individualità offensive come l’Inghilterra, ti mangia pure in testa.

López Caro prova a far tesoro della lezione della prima partita cercando nuove soluzioni tattiche. Condivisibile la scelta delle due punte: contro la Germania la squadra faticava a distendersi e l’azione ristagnava visibilmente a centrocampo, quindi Adrián López centravanti dovrebbe teoricamente rendere più agili le transizioni offensive e permettere a Bojan di giocare più libero e comodo, aggirando così il suo gap atletico nei confronti dei difensori avversari (il blaugrana si trova più a suo agio se per guadagnarsi l’occasione non deve cercare il corpo a corpo con questi ma piuttosto arrivare in area a sorpresa partendo qualche metro dietro).
Con Javi García (centrale al posto del deludente Chico dell’esordio) e Azpilicueta come novità difensive, il centrocampo viene pesantemente ristrutturato: quattro uomini senza esterni di ruolo, disegno flessibile, a metà strada fra la linea retta e il rombo, con Mario Suárez scelto a sorpresa davanti alla difesa, affiancato a destra da Javi Martínez e a sinistra da Raúl García, e Jurado totalmente libero come trequartista.
I conti non tornano: dopo i primi minuti, effimeri, di buona mobilità del centrocampo, ci si accorge che manca del tutto una continuità di gioco accettabile. Troppi mediani forse: diamo per buona la versione che vuole Granero acciaccato (dobbiamo farlo, è l’unica spiegazione accettabile), ma rinunciare in blocco anche a Sisi e Pedro León (inspiegabile la sottoutilizzazione estrema del giocatore del Valladolid) lascia perplessi, tanto più se ci si ritrova con Javi Martínez largo a destra, volenteroso ma del tutto fuori ruolo.
In una partita dal ritmo alto, vivace perché l’Inghilterra è meno tattica e gioca più a viso aperto rispetto alla Germania, abbondano stranamente gli errori di misura. L’Inghilterra, poco creativa nel mezzo, cerca prevalentemente le sovrapposizioni e i cross dalle fasce, mentre la Spagna non trova mai la fluidità coi suoi fraseggi interni, non riesce mai a controllare i tempi del gioco e non sfrutta il campo in tutta la sua ampiezza. Bojan non ne azzecca una (errori nel palleggio davvero inspiegabili), Adrián è un fantasma, Jurado è l’unico a salvarsi ma predica nel deserto.
Primo tempo di mediocre livello tecnico, le occasioni nascono da errori marchiani, come il retropassaggio quasi-autogol di Onuoha e l’impappinamento di Javi García dal quale scaturisce un rigore per l’Inghilterra: Asenjo però si conferma una delle poche note liete di questa spedizione, un vero fuoriclasse in prospettiva, e neutralizza con una prodezza la conclusione dello stesso Milner.
Come contro la Germania, la ripresa accelera la degenerazione. Una situazione che forse ha anche delle spiegazioni di carattere atletico, fatto sta che la Spagna si sfilaccia ulteriormente e gioca sempre più sparpagliata per il campo, sempre più legata ad estemporanee iniziative individuali. Esce pure ingloriosamente Bojan, entra Capel ma il cambio non produce nulla, l’Inghilterra ha preso nettamente il sopravvento.
Con la Spagna ridotta agli uno contro uno, a venire fuori è la debordante superiorità atletica degli inglesi, nella corsa e nei contrasti: se Javi Martínez nella Liga è un giocatore dominante e qui perde moltissimi duelli, immaginatevi un po’gli altri… Più raccolta, più dinamica, l’Inghilterra arriva prima sul pallone con facilità irrisoria (da segnalare i partitoni della diga Muamba a centrocampo e di un Micah Richards semplicemente fuori categoria a questi livelli, tenuti in conto anche certi interventi un po’ingenui), finisce con l’impadronirsi del centrocampo e macinare palloni su palloni.
Per completare l’opera, ai britannici manca solo la stilettata finale, e qui Pearce ha l’intelligenza di giocarsi Walcott fresco, arma di distruzione di massa con gli spagnoli disuniti e con la lingua fuori. Va detto però che per portarsi in vantaggio i Leoni hanno bisogno del buon cuore di Mario Suárez, sciagurato nel retropassaggio che apre a Fraizer Campbell (subentrato a fine primo tempo all’infortunato Agbonlahor) la strada del vantaggio. Poi basta a Walcott un colpetto sull’acceleratore (Azpilicueta è sì veloce, ma valutato col metro degli umani) per servire dal fondo il 2-0 dell’eccellente Milner.

0. España: Asenjo; Azpilicueta Javi García, Torrejón, Monreal; Javi Martínez (Xisco, min. 69), Mario Suárez (Pedro León, min. 80), Raúl García, Jurado; Bojan (Capel, min. 57), Adrián López.
2. Inglaterra: Hart; Cranie, Richards, Onuoha, Gibbs; Milner, Cattermole, Muamba, Noble (Gardner, min. 84), Johnson (Walcott, min. 62); Agbonlahor (Campbell, min. 39).

Goles: 0-1, min. 67, Campbell; 0-2, min. 73, Milner
Árbitro: Bjorn Kuipers (Holanda). Amonestó con tarjeta amarilla, por Inglaterra, a Richards y Milner
Incidencias: Partido disputado en el estadio Gamla Ullevi (Gotemburgo) ante 16.123 espectadores

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mercoledì, giugno 17, 2009

Promossi senza lode.

Routine vincente intatta, semifinale assicurata ma qualche passo indietro sul piano del gioco. Troppo compassata e monotona nel primo tempo, la Spagna forza la disciplinata ma certo non trascendentale resistenza irachena (…ops…) dopo solo un’ora scarsa grazie a Villa.

Del Bosque gioca il turnover, inserendo rispetto all’esordio Cazorla e Mata (debutto assoluto dal primo minuto) e cambiando la coppia di difensori centrali, da Puyol-Albiol a Piqué-Marchena. Con Cesc in panchina acciaccato, ne viene fuori un 4-4-2 classico, simmetrico, due centrali (Xabi Alonso-Xavi) e due esterni di ruolo a centrocampo.
Un cambio che non beneficia la Spagna. Il dominio è fuori discussione perché l’Iraq recupera palla talmente dietro e ha così poca qualità nel rilanciare l’azione (interessante però il regista Akram) che la partita è forzatamente blindata in una sola metacampo (e quindi destinata alla lunga ad un solo esito), ma la Roja non trova gli sbocchi tipici del suo gioco.
Ammetto di essermi schierato fra gli scettici prima dell’Europeo di fronte alla carenza di esterni di ruolo, ma la realtà attuale indica che la Spagna i suoi migliori equilibri li trova proprio attraverso la coesistenza di molti palleggiatori con tendenza ad accentrarsi. Indipendentemente dall’utilizzo o meno delle due punte, la Spagna costruisce solitamente la propria superiorità associando minimo tre centrocampisti centrali (a scelta fra Xabi Alonso, Xavi, Cesc e l’assente Senna) e un esterno/trequartista (Silva o l’altro assente di lusso Iniesta), un quadrilatero estremamente mobile che prende in mezzo il centrocampo avversario liberando gli spazi ora sugli esterni ora fra le linee.
È di Cesc e Silva in particolare che si sente la mancanza: Cazorla si dà un gran daffare e prova anche ad accentrarsi, ma Villa e Torres rimangono un po’statici e schiacciati sulla linea difensiva avversaria, mentre Mata offre un apporto limitato: la difesa irachena, bassissima, non gli concede la profondità per i suoi proverbiali tagli senza palla, così resta largo, senza incidere data la sua scarsa abitudine al dribbling secco e anche per la scarsa collaborazione alla manovra del centrocampo (rispetto invece a un Riera molto intelligente a stringere verso il centro nella gara d’esordio).
Perciò a Xabi Alonso e a Xavi manca un appoggio fra le linee, e la manovra si fa eccessivamente piatta e orizzontale. Palla da un lato all’altro e cross dalla fascia: copione ripetitivo e sterile, non è questo il calcio ideale della Spagna, e perdipiù lo inficia una certa sufficienza che gli uomini di Del Bosque mostrano durante un primo tempo dalle pochissime occasioni.
La ripresa non riserva rivoluzioni radicali nel gioco, ma l’attitudine della Spagna cambia, si fa più convinta e aggressiva, più all’altezza insomma. Un po’meno tocchi, meno conduzioni palla al piede, un po’più ritmo e dinamismo, Villa più mobile fra le linee. Così si possono creare le situazioni di superiorità numerica, come la sovrapposizione fra Mata e Capdevila (ancora lui, in gran forma) dalla quale nasce il gol di Villa, che a centro area beneficia della marcatura a vista che i difensori iracheni hanno evidentemente mutuato da quelli neozelandesi.
L’indicazione offerta da questa gara è chiara: la Spagna non può prescindere da quel suo centrocampo folto e asimmetrico tanto atipico. La formazione di stasera può andare come esperimento, ma non coi pesi massimi come Brasile e Italia.

España
: Iker Casillas; Sergio Ramos, Marchena, Piqué, Capdevila; Xabi Alonso, Xavi (Busquets, m.80), Cazorla (Silva, m.66), Mata; Fernando Torres, Villa (Guiza, m.74).

Irak: Mohammed Kassid; Salam Shaker, Mohammed Ali, Fareed, Ali Hussein, Basem Abbas; Muayad Khalid, Nashat Akram, Samer Saeed (Kareem, m.59), Hawar Mulla (Karrar Jasim, m.69); Alaa Abdul (Mahmoud, m.79).

Gol: 1-0, m.55: Villa.

Arbitro: Matthew Breeze (AUS). Mostró cartulinas amarillas a Xabi Alonso (36), Marchena (52) por España, y a Basem Abbas (28) por Irak.

Incidencias: encuentro correspondiente a la segunda jornada del Grupo A de la Copa Confederaciones, disputado en el Free State Stadium de Bloemfontein ante la presencia de 28.000 espectadores.

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martedì, giugno 16, 2009

Under 21, partenza falsa.

No, non ci siamo, decisamente. Statica, sterile, sonnolenta, irritante, soprattutto nel secondo tempo l’Under 21 ha tremendamente deluso, accumulando meriti più che sufficienti per una sconfitta di fronte a una Germania dalle idee più chiare.
Eccetto due situazioni da calcio d’angolo nel primo tempo (Chico indeciso a tu per tu con Neuer; traversa di Torrejón di testa), in tutti i 90 minuti la Spagna è stata incapace di concludere con pericolosità dentro l’area tedesca, non ha mai trovato né le accelerazioni né la profondità negli ultimi metri. La partenza è discreta, per lo meno come autorevolezza, ma col passare dei minuti emergono i limiti della proposta. La Germania gioca una partita molto prudente e attenta: 4-4-2, ripiega nella propria metacampo, stringe verso il centro coi due centrocampisti esterni per scongiurare l’inferiorità numerica nei confronti dei palleggiatori spagnoli, tiene la linea di difesa bassa in modo da togliere la profondità a Bojan ed evidenziare la mancanza di peso dell’attacco spagnolo.
Bojan conferma di soffrire da unica punta il corpo a corpo coi difensori avversari, ma svaria in maniera intelligente su tutto il fronte, cercando di creare confusione nel sistema difensivo tedesco ed aprire la strada agli inserimenti dei compagni dal centrocampo; il problema però è che i centrocampisti spagnoli accompagnano poco, il doble pivote Raúl García-Javi Martínez è troppo piatto e orizzontale, uno dei due è di troppo (Javi Martínez, assolutamente fuori partita), e così tutto o quasi è affidato agli spunti dei trequartisti in spazi molto stretti e con gli avversari sempre in superiorità numerica: un Sisi che sulla destra si spegne dopo pochi minuti, un Granero sottotono e un Jurado volenteroso ma poco incisivo nel finalizzare le proprie azioni. Gli unici sprazzi vengono quasi esclusivamente da palle perse nella propria metacampo dalla Germania o da palle inattive (i due episodi già citati), non certo da quelle azioni manovrate convincenti che nelle intenzioni dovrebbero essere il tratto distintivo di questa selezione.

Nella ripresa le cose peggiorano, perché la Spagna perde anche quel controllo territoriale e del possesso-palla che serviva per tenere lontano l’avversario dalla propria area, e la Germania si fa più spavalda. Alza di qualche metro il baricentro la squadra di Hrubesch, e attacca con più uomini, anche se continua a dipendere enormemente dalle illuminazioni di Özil per portare su il pallone e creare pericoli.
Tanto straordinario nell’inventare sulla trequarti, il turco si scioglie però davanti ad Asenjo, divorando un paio di occasioni belle succose (Asenjo però conferma una grande personalità nell’uno contro uno con l’attaccante avversario), propiziate anche da una linea difensiva spagnola tutt’altro che impeccabile nel muoversi in blocco (pessimo Chico). A questo proposito lasciano perplessi le scelte di López Caro, che tiene in panchina giocatori che il loro posto se lo sarebbero ampiamente meritato col rendimento offerto nella Liga, come Marcano o come Azpilicueta, inspiegabilmente trascurato a vantaggio di un Sergio Sánchez che sì si sovrappone spesso, ma che ha troppa poca tecnica per costituire una valida alternativa per il gioco offensivo.
La Germania legittima un possibile vantaggio, la Spagna risponde invece con un totale immobilismo. Si vede che il 4-2-3-1 non funziona, ma dalla panchina non si fa nulla per smuoverlo: nelle solite antipatiche ipotesi a posteriori, si poteva togliere Javi Martínez e aggiungere accanto a Bojan un altro attaccante che potesse aumentare la pressione sulla difesa tedesca, allungarla e allargarla con movimenti tipo quelli di Villa e Torres nella nazionale maggiore, e da lì guadagnare anche maggiore respiro per la manovra del centrocampo, magari con Granero abbassato in cabina di regia, vista la superfluità del Javi Martínez di stasera (ma lo stesso sarebbe valso con Javi García al posto del basco).
Invece López Caro non osa, si limita a cambi pedina per pedina anche abbastanza tardivi, sperando unicamente nei colpi delle individualità, soprattutto Diego Capel subentrato a Sisi. L’andaluso non ne azzecca una, Xisco ci mette più fisicità rispetto a Bojan ma è troppo grezzo. Fatti tutti i calcoli, è andata pure bene a questa pallida Under 21.

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domenica, giugno 14, 2009

Simpatico allenamento.

Si sapeva, bisognerà aspettare ancora un po' per le partite vere. Cinque a zero, tre gol già nei primi diciassette minuti, praticamente una partitella in una sola metacampo, quella neozelandese. Nuova Zelanda segnalatasi per la tragicomica morbidezza nella propria area di rigore: cristoni di due metri che marcano a vista (letteralmente) l'avversario, come nell'occasione del terzo gol di Torres, che stacca indisturbato siglando una tripletta comunque sempre buona per incrementare il proprio score con la nazionale.
In tutto questo, al netto dell'infima competitività dell'avversario, il merito della Spagna è quello di ribadire le proprie virtù di orchestra: tutti parlano la stessa lingua e si muovono armoniosamente, gestendo con intelligenza il pallone e gli spazi. I tre centrocampisti centrali Xabi Alonso-Xavi-Cesc ruotano costantemente, ora abbassandosi a prendere palla dalla difesa ora appoggiando gli attaccanti con gli inserimenti sulla trequarti (soprattutto Cesc gioca a ridosso di Villa e Torres), creando la superiorità in mezzo al campo; il resto lo fanno le sovrapposizioni fra gli ispirati Capdevila e Riera (preferito dall'inizio a un Silva ancora non al 100%) sulla sinistra che, combinate coi soliti tagli dei mobilissimi Villa e Torres, smontano facilmente la difesa neozelandese. Show di Torres, poi Cesc e Villa entrambi a porta vuota (il Guaje con l'aiuto dell'imbarazzante Boyens) completano l'opera.

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lunedì, giugno 08, 2009

Confederations Cup e Under 21.

La stagione di club è appena finita, il mercato entra già a pieno regime, ma a rubare la scena in questo mese saranno, Florentino permettendo, le nazionali. Nazionale maggiore impegnata nella Confederations Cup sudafricana, più un’occasione per consolidare il prestigio internazionale recentemente acquisito dalla Selección che una vera prova generale del Mondiale (girone con Iraq, Sudafrica e Nuova Zelanda: si dovrebbe cominciare a fare sul serio a partire dall’incrocio in semifinale con una fra Brasile e Italia, prevedibilmente); Under 21 impegnata invece nell’Europeo di categoria in Svezia. Le ambizioni in entrambi i casi non vengono nascoste, vediamo ora le scelte dei due selezionatori.


CONVOCATI CONFEDERATIONS CUP


Portieri: Casillas (Real Madrid), Reina (Liverpool), Diego López (Villarreal).

Difensori: Sergio Ramos (Real Madrid), Arbeloa (Liverpool), Puyol (Barcelona), Marchena (Valencia), Albiol (Valencia), Piqué (Barcelona), Capdevila (Villarreal).

Centrocampisti: Busquets (Barcelona), Cesc (Arsenal), Xabi Alonso (Liverpool), Cazorla (Villarreal), Pablo Hernández (Valencia), Xavi (Barcelona), Mata (Valencia), Riera (Liverpool), Silva (Valencia).

Attaccanti: Villa (Valencia), Fernando Torres (Liverpool), Fernando Llorente (Athletic), Güiza (Fenerbahçe).

Del Bosque opta per la continuità, con qualche accento discutibile. Con Senna già indisponibile, altri giocatori arrivano in condizioni precarie: Cazorla tornato solo per giocare qualche spicciolo all’ultima di campionato a Maiorca, un’incognita totale la sua condizione; Piqué e Puyol acciaccati, Silva ancora da recuperare (a differenza di Cazorla non è nemmeno rientrato all’ultima giornata) poi il pesante forfait di Iniesta, sostituito da Pablo Hernández, l’unica novità.
Non è sbagliata in sé la convocazione del valenciano, molto brillante in questo finale di stagione, ma lascia perplessi il fatto che Iniesta non sia stato sostituito da un giocatore di caratteristiche simili, ovvero una mezzapunta più che un esterno di ruolo. Comprensibile che sia Granero che Jurado, tecnicamente i più tagliati per la sostituzione del manchego, siano stati lasciati all’Under 21, mentre il nome di Cani del Villarreal, in formissima nelle ultime partite, si poteva prendere pure in considerazione, lasciando magari a Pablo Hernández il posto di Riera.

Nessuna sorpresa era prevista per difesa e centrocampo (un piccolo appunto riguarda la mancata convocazione di Fernando Navarro nelle ultime gare, che non condivido).
La formazione titolare dovrebbe essere questa: Casillas in porta, difesa da destra a sinistra Sergio Ramos-Puyol-Piqué-Capdevila, a centrocampo Xabi Alonso vertice basso, Cesc e Xavi mezzeali, Silva trequartista (difficile anticipare quale sarà il disegno della squadra, se il canario partirà al centro o sulla fascia, e se sì da quale fascia), per una mediana senza esterni di ruolo, Villa e Torres davanti, incaricati anche di allargarsi sulle fasce per dare respiro alla manovra.
Le possibili alternative per il centrocampo vengono da Busquets, che potrebbe comporre un “doble pivote” più bloccato sulla stessa linea di Xabi Alonso (opzione valida a partita in corso per conservare il risultato), da Riera e Pablo Hernández per allargare il campo (più ala il valenciano, più portato al gioco interno invece il giocatore del Liverpool), con in più Mata che rappresenta quasi un attaccante aggiunto coi suoi tagli senza palla.
Notevole varietà di alternative anche in attacco: Llorente come centravanti di peso (ma con la possibilità di dialogare palla a terra: il basco è un “acquisto” importantissimo, arricchisce l’organico ma non altera il modello di gioco di fondo), Güiza (sempre snobbato, ma quasi sempre efficace) come animale da profondità, micidiale nei movimenti sul filo del fuorigioco e in campo aperto, ideale per matare le partite in contropiede.


UNDER 21

Portieri: Sergio Asenjo (Valladolid), Adán (Real Madrid), Roberto (Recreativo).

Difensori: Azpilicueta (Osasuna), Torrejón (Espanyol), Marcano (Racing Santander), Miguel Torres (Real Madrid), Sergio Sánchez (Espanyol), Chico (Almería), Monreal (Osasuna).

Centrocampisti: Javi García (Real Madrid), Raúl García (Atlético Madrid), Javi Martínez(Athletic Bilbao), Mario Suárez (Mallorca), Pedro León (Valladolid), Granero (Getafe), Jurado (Mallorca), Sisi (Recreativo Huelva), Capel (Sevilla).

Attaccanti: Bojan (Barcelona), Adrián López (Málaga), Jonathan Pereira (Racing), Xisco (Newcastle).

Dominatrice a livello europeo in tutte le altre categorie giovanili, la Spagna non accedeva alla fase finale dell’Euro Under 21 addirittura dal 2000 (l’ultima vittoria invece risale al 1998). Un buco difficilmente spiegabile che cercherà di colmare il gruppo scelto da López Caro. Un gruppo sulla carta molto completo e ricco di talento, poi sarà tutta da verificare sul campo l’amalgama, una verifica non facile dato che gli avversari del girone si chiamano Germania e Inghilterra (con la Finlandia ultima forza del girone).

In porta indiscutibile Asenjo, da tempo segnalato come predestinato erede di Casillas, titolare del Valladolid già a 18 anni. Le doti naturali sono eccellenti, grande potenza, esplosività e riflessi, fegato da vendere che qualche volta trascende in controproducenti eccessi di confidenza. Tecnicamente è ancora migliorabile, ma non c’è dubbio che rappresenti il futuro, come perennemente evidenziano i pettegolezzi di mercato che lo accostano ora all’Atlético ora al Barça.

La difesa presenta quella che con una notevole esagerazione Camacho ha definito addirittura la miglior coppia di terzini della Liga, Azpilicueta e Monreal. Azpilicueta a destra dovrebbe partire titolare, mentre a sinistra è più probabile che Monreal lasci il posto allo scafato Miguel Torres. Sergio Sánchez dovrebbe invece essere chiaramente la riserva di Azpilicueta. Azpilicueta che è l’elemento più intraprendente in un parco-terzini nel quale comunque le note dominanti sono la corsa e la regolarità più che la tecnica e la propensione offensiva.
Al centro Marcano è una novità assoluta, prima convocazione con l’Under 21, ma le sue qualità e l’ottima stagione disputata potrebbero garantirgli da subito una maglia titolare. Centrale o anche terzino sinistro, una delle rivelazioni della Liga 2008-2009 (anche se in calo nella seconda metà della stagione), cercato da Real Madrid e Villarreal, Marcano è un difensore in prospettiva piuttosto completo, che ha fisico, senso della posizione, gioco aereo e anche discreta agilità e rapidità a dispetto della stazza. Senza essere la sua specialità poi sa proporsi coi tempi giusti in sovrapposizione, mostrando un tocco di palla pulito.
L’altro posto nel mio pronostico vede favorito Torrejón su Chico: più esperto, più concreto e più continuo l’espanyolista rispetto al giocatore dell’Almería, più elegante ma anche tendenzialmente più morbido nella marcatura.

Nel 4-2-3-1 di López Caro, dovrebbero essere in tre a lottare per le due maglie del doble pivote. Javi García è una presenza fissa di tutte le nazionali giovanili, ma la frustrante esperienza nel suo club ne sta compromettendo le prospettive, in origine ottime. Gli altri concorrenti sono Raúl García e Javi Martínez: il primo parte con buone chances, visto anche il finale di stagione in crescendo nel proprio club. Dei tre centrocampisti centrali è quello più completo, può giocare mezzala con libertà d’inserirsi a sostegno dell’attacco ma anche restare bloccato davanti alla difesa, ha senso tattico, un buon destro, fisico e visione di gioco, anche se è un po’lento nell’esecuzione e carente di creatività.
Javi Martínez ha notoriamente doti ragguardevoli, soprattutto un atletismo senza confronti nel panorama spagnolo, ma il suo è uno stile di gioco che potrebbe anche stonare nel contesto di questa nazionale. Centrocampista da un’area all’altra, all’inglese, più a suo agio nel corre con la palla che nel farla correre, un po’carente sul piano della visione di gioco, potrebbe non rappresentare la pedina più adatta per il “fútbol de toque” che prevedibilmente dovrebbe caratterizzare questa nazionale. Mario Suárez, già campione d’Europa Under 19 nel 2006 in coppia con Javi García, dovrebbe partire più defilato nelle gerarchie di López Caro: discrete doti di regia, ma qualche limite di personalità.

Sulla trequarti la scelta è ricchissima. I due elementi cardine dovrebbero essere Granero e Jurado, quelli che più di tutti dovrebbero dare spessore qualitativo, personalità e idee al possesso-palla. Granero al centro, Jurado a sinistra: il primo come “calamita” per i palloni, punto di riferimento attorno al quale il resto della squadra possa salire in blocco; il secondo come socio prediletto del getafense e catalizzatore della manovra col suo passo rapido e leggero, ideale per verticalizzare a ridosso dell’area di rigore.
A completare il terzetto sulla destra Pedro León, eccellente tecnica, destro potente e tagliato (insidiosissimo sui cross e i calci piazzati), uno contro uno anche se non ha proprio il passo classico dell’uomo di fascia, soprattutto sui primi metri (in progressione invece recupera terreno). Molto più rapido sul breve è Sisi, il classico “puffo”, esterno di grande dinamismo e vivacità, rapido, tenace, abile anche nel dialogo sullo stretto. La vera riserva (almeno in partenza) di lusso è però Diego Capel: un po’decaduto negli ultimi mesi al Sevilla anche per la contemporanea esplosione dell’argentino Perotti, per l’andaluso comincia a profilarsi un bivio. Diventare giocatore vero, ora o mai più: non bastano lo spunto nel dribbling, la sfrontatezza e quel gioco naïf, quando ostinatamente continua a remare in direzione contraria rispetto ai propri compagni e compromette una volta sì e l’altra pure la fluidità di manovra. Urge un deciso salto di qualità, nel mentre comunque resta una carta importantissima a disposizione di López Caro per scompigliare certi match, magari a partita in corso (non è cosa da poco la sua capacità di forzare cartellini gialli come fossero noccioline).

L’attacco sarà Bojan, Bojan e ancora Bojan. Un appuntamento davvero importante nella maturazione del blaugrana questa manifestazione. Negli ultimi mesi si è notata una crescita da parte di Bojan nella partecipazione alla manovra, pare un giocatore più presente nel gioco, particolarmente abile nel ritagliarsi gli spazi fra i centrali avversari, talentuoso sottoporta e più a suo agio anche nel dialogo coi centrocampisti; tuttavia continuano a mancargli un po’di forza d’urto e di cattiveria (al tiro e nei duelli coi difensori) per incidere fino in fondo, soprattutto considerando che si trova a giocare da unica punta.
Bojan titolare indiscusso, ma non vanno snobbate le altre opzioni, a cominciare da Adrián López (5 gol nel Mondiale Under 20 del 2007): i 3 gol stagionali non hanno proprio rubato le copertine, ma la stagione in prestito al Málaga potrebbe aver rappresentato un trampolino importante per lui. Attaccante che tende un po’a estraniarsi per lunghi minuti, ha tuttavia fiuto, un repertorio relativamente completo e accelerazioni palla al piede interessantissime. La prossima stagione al Depor, chissà, lui e Lassad potrebbero sorprendere più d’uno.
Jonathan Pereira dato il 4-2-3-1 di base potrebbe entrare in ballo più come alternativa per la trequarti che per l’attacco. Seconda punta o ala destra, nanetto ipercinetico e incredibilmente rapido ma spesso anche piuttosto confusionario, crea scompiglio col costante movimento senza palla e il dribbling ma che con troppa frequenza si perde al momento del dunque, pagando qualche controllo sbagliato e l’eccessiva frenesia (gli manca quella “pausa” che rappresenta un concetto molto gettonato presso la critica e il pubblico spagnolo) oltre alla debolezza e la scarsa freddezza nelle conclusioni. Anche lui comunque può essere una buona carta a gara in corso, entra in partita con molta facilità.
Xisco, forse il meno dotato dei 23, dovrebbe partire ultima scelta: coinvolto nel naufragio del Newcastle (toh, eccolo là un altro pollo, come José Enrique), è un centravanti “stile-bisonte”, buone conclusioni d’istinto e di potenza, molto combattivo e a suo agio soprattutto nelle progressioni in campo aperto.

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lunedì, giugno 01, 2009

I verdetti finali.

CAMPIONE DI SPAGNA: Barcelona.

FASE FINALE CHAMPIONS LEAGUE: Barcelona, Real Madrid, Sevilla.
PRELIMINARI CHAMPIONS LEAGUE: Atlético Madrid.

COPPA UEFA: Villarreal, Valencia, Athletic Bilbao.

RETROCESSE: Betis, Recreativo, Numancia.

CLASSIFICA
1 Barcelona 87
2 R. Madrid 78
3 Sevilla 70
4 Atlético 67
5 Villarreal 65
6 Valencia 62
7 Deportivo 58
8 Málaga 55
9 Mallorca 51
10 Espanyol 47
11 Almería 46
12 Racing 46
13 Athletic 44
14 Sporting 43
15 Osasuna 43
16 Valladolid 43
17 Getafe 42
18 Betis 42
19 Numancia 35
20 Recreativo 33

CLASSIFICA MARCATORI
Forlán 32 (Atlético Madrid, 5 rig.)
Eto’o 30 (Barcelona, 2 rig.)
Villa 28 (Valencia, 8 rig.)
Messi 23 (Barcelona, 3 rig.)
Higuaín 22 (Real Madrid, 3 rig.)

PREMIO “ZAMORA” (Coefficiente; gol subiti; partite giocate)
Víctor Valdés(Barcelona) 0,89-31-35
Palop(Sevilla) 1,00-35-35
Aranzubía(Deportivo) 1,22-45-37
Toño(Racing) 1,24-41-33
Kameni(Espanyol) 1,27-47-37


RISULTATI TRENTOTTESIMA GIORNATA

Giocate sabato
Atlético Madrid-Almería 3-0: Agüero 19'; Raúl García 27'; Forlán 49'.
Mallorca-Villarreal 2-3: Cani 29'(V); Aduriz 35'(M); Llorente 39'(V); Llorente 52'(V); Webó 89'(M).
Deportivo-Barcelona 1-1: Bodipo 29'(D); Eto'o 89'(B).
Valencia-Athletic Bilbao 2-0: Villa 6'; Villa 89'.

Giocate domenica
Numancia-Sevilla 0-2: Armenteros 87'; autorete J.C. Moreno 92'.
Espanyol-Málaga 3-0: Tamudo 5'; Tamudo 45'; Tamudo, rig. 55'.
Betis-Valladolid 1-1: Aguirre 47' (V; recupero primo tempo); Oliveira 49'.
Racing-Getafe 1-1: Toni Moral 34'(R); Granero 38'(G).
Sporting-Recreativo 2-1: Ersen Martin 23'(R); Barral 57'(S); Luis Morán 66'(S).
Osasuna-Real Madrid 2-1: Higuaín 11'(R); Plasil 14'(O); Juanfran 60'(O).


Alla fine, nonostante lo sforzo da parte di tutte le squadre, anche quelle senza più nulla da chiedere al proprio campionato, per tenere viva la lotta (il Recreativo già retrocesso che mette sotto lo Sporting per un tempo; il Real Madrid che passa in vantaggio sul campo dell’Osasuna; il Racing che impone il pareggio al Getafe), è Betis-Valladolid la sfida che come prevedibile dirime la questione-salvezza, e la dirime nella maniera più rispettosa nei confronti della tradizione recente della Liga: a fare il tonfo è la squadra non solo più dotata sulla carta, ma quella teoricamente estranea ad ogni prospettiva di lotta per la salvezza. Atlético Madrid 2000, Celta 2004, ancora Celta 2007, Zaragoza 2008, e ora Betis.
Non è un “caso” clamoroso quanto il Zaragoza della scorsa stagione, ma esattamente come quella squadra anche questo Betis poteva contare su una coppia d’attacco composta da Sergio García e Ricardo Oliveira, oltre che sui vari Edu (tornato per il finale di stagione, stavolta non si è ripetuto come salvatore della patria dopo il 2006-2007), Emana, Mark González, Mehmet Aurelio (comunque indisponibile nell’ ultimo mese), Nelson etc.. Se si pensa che la stampa filo-verdiblanca più ottimista parlava la scorsa estate di una delle rose migliori della storia del club, si hanno le dimensioni compiute del fallimento.
Il Betis paga tutta stavolta la mancanza di una linea chiara, la mancanza di continuità e di un progetto vero. Chaparro era stato confermato dopo la salvezza ottenuta in corsa l’anno passato, ma quando si è trattato di fare il salto di qualità, da semplice tappabuchi a valido stratega, da motivatore a gestore a tutto tondo, “Mick Jagger” ha fallito.
Il suo Betis aveva cominciato la Liga mostrando anche momenti di manovra offensiva convincente, ma non ha mai monetizzato appieno quei buoni momenti, e alla lunga a prevalere è stato lo squilibrio in fase di non possesso, un problema mai risolto: un Betis sempre troppo sfilacciato, con troppi giocatori oltre la linea della palla, esageratamente vulnerabile ogni volta che l’avversario rilancia l’azione. Dal 4-3-3 col frizzante trio di centrocampo Mehmet Aurelio-Capi-Emana, Chaparro è passato a un 4-2-3-1 con un doble pivote più bloccato (con l’infortunio di Capi, Arzu viene avanzato dalla difesa e affiancato a Mehmet Aurelio), ma questo non risolve i problemi di equilibrio.
Col passare delle giornate e il peggioramento dei risultati, il Betis ha poi perso pure quella residua allegria offensiva di inizio stagione, finendo col consegnarsi al non-gioco e all’ansia. Chaparro poi perde colpi, riceve crescenti critiche per le sue scelte soprattutto a partita in corso, e così scatta, come tradizione nel caotico club verdiblanco, il cambio di tecnico.
Nogués dal Betis B sembra rinvigorire l’ambiente nelle primissime partite, se non altro quanto a risultati, ma ben presto entra anche lui nella spirale negativa, fino alle pesanti degenerazioni delle ultime giornate. Lo si può dire tranquillamente: se nelle ultime tre giornate parti con Emana (il miglior giocatore della stagione bética, nonché una delle sensazioni di tutta la Liga per alcuni mesi) in panchina, allora vuol dire che un po’te la cerchi anche. Per non parlare dei cambi in quest’ultima partita: fuori Sergio García per mettere per l’appunto Emana, e poi pochi minuti dopo fuori Capi per Pavone (ma non era meglio a quel punto far entrare direttamente Emana per Capi e tenere Sergio García che è meglio di Pavone?); infine Juanma in campo solo negli ultimi cinque minuti al posto di un Mark González inutile e strameritevole di una sostituzione molto più anticipata.
Punto e a capo: il Betis è uno di quei club spagnoli che vivono tutto alla giornata, che procedono per tentativi, e alla fine il verdetto è sacrosanto: a Valladolid ci saranno meno euro e meno nomi, ma son tre anni che Mendilibar lavora su un’Idea che si è guadagnata una piena credibilità, al di là della clamorosa flessione dell’ultimo mese.

La partita è stata il classico scontro diretto di fine stagione: nervoso, irregolare, tiranneggiato dal fattore psicologico. Il Betis parte molto forte per sfruttare il fattore-campo e il disorientamento del Valladolid. Gli ospiti, ripiombati a “freddo” nella bagarre-salvezza, partono contratti e intimoriti. Il Betis punta sui ritmi alti e su un calcio molto diretto, cercando di evidenziare le crepe della difesa vallisoletana, forzatamente rimaneggiata in questo rush finale (il terzino sinistro titolare Marcos si adatta a destra lasciando la sinistra ad Óscar Sánchez; solo García Calvo dei titolari abituali gioca nella sua posizione, affiancato da Javi Baraja, ma pure lui dovrà gettare la spugna per infortunio nella ripresa, rilevato da Iñaki Bea) e molto insicura sulle verticalizzazioni biancoverdi, come quella che smarca Ricardo Oliveira a tu per tu con Asenjo nell’occasione più ghiotta del primo tempo.
Passata indenne la sfuriata dei padroni di casa, col fisiologico abbassamento dei ritmi (la fatica di tutta una stagione e il caldo non si possono ignorare), il Valladolid riequilibra la gara, e capisce che facendo girare con calma la palla non è così difficile evidenziare lo scarso equilibrio del Betis. Così a fine primo tempo la vecchia gloria Víctor (in ottima forma in questo finale di stagione, ha superato Canobbio nel ballottaggio per il posto da trequartista) trova lo spazio fra le linee, attira la difesa su di sé e con una giocata elegante libera Aguirre (subentrato all’infortunato Pedro León) che, spostatosi da destra verso sinistra, lascia partire un gran rasoterra di collo-esterno sinistro che si infila sul primo palo gelando il Ruiz de Lopera. Primo gol spagnolo per l’argentino, il più importante e pure col piede “sordo”.
Nella ripresa Oliveira trova subito il pareggio (Marcos si addormenta sul secondo palo e lascia incornare il brasiliano), prende pure un palo, ma poi non si gioca più a calcio, si inseguono gli stati d’animo e i risultati dagli altri campi. Al Ruiz de Lopera si comincia a sentire puzza di bruciato quando le radio annunciano l’espulsione di Salgado a Pamplona e poi il golazo di Juanfran, infine il colpo di grazia arriva quando lo Sporting completa la poco evitabile rimonta sul Recre (gran bel gol anche quello di Luis Morán).
Ora è tutta fra Betis e Valladolid, i padroni di casa devono fare assolutamente un gol, ma non ci sono più con la testa, mezzora sprecata fra palloni a casaccio, imprecisioni e giocate frettolose che non scompongono un Valladolid cui basta l’ordine per soppravvivere (oltre a qualche pallone tenuto su da Canobbio, entrato per questo preciso scopo al posto di Jonathan Sesma). A Siviglia il calcio si vive con una passione che in Spagna ha pochissimi paragoni, per cui vi lascio immaginare i torrenti di lacrime sugli spalti alla notizia del fischio finale di Gijón. E purtroppo nel quadro rientrano anche quegli ultrà del Betis che non si smentiscono e fuori dallo stadio decidono di sfogarsi a modo loro.

Rose e fiori sugli altri campi: lo Sporting trova finalmente un porto sicuro alla sua stagione incredibilmente altalenante, Camacho si guadagna la conferma sulla panchina dell’Osasuna così come Míchel, che firma per i prossimi due anni col Getafe. Già benvoluto dai giocatori, che gli tributano un’ovazione nei festeggiamenti di fine partita, l’ex della Quinta del Buitre promette di ricominciare quel ciclo virtuoso (bel calcio e giovani da valorizzare) che il pessimo interregno di Víctor Muñoz aveva bruscamente interrotto.

Intanto, il Real Madrid può ufficialmente concentrarsi solo e soltanto sul futuro: Juande Ramos è già storia vecchia (un po’preso in mezzo il tecnico manchego, sicuramente merita un rilancio in qualche altra società di Primera), Florentino Pérez è da oggi il “nuovo” presidente. L’unanimità attorno a Florentino (tutti i possibili concorrenti elettorali si sono ritirati anzitempo) ha un chiaro significato: si chiude un occhio sulla terrificante seconda parte del suo precedente mandato e si spera di riattivare prima a livello mediatico e poi a tutti gli altri livelli l’ottimismo e i sogni di grandezza dell’ambiente madridista.
Solo Florentino poteva contendere le copertine al Barça del triplete, solo Florentino coi suoi annunciati 300 milioni per il prossimo mercato (non male in tempi di crisi… se davvero terrà fede riattiverà l’intero mercato europeo facendo girare cifre simili), per 6 acquisti, anche se l’imperativo è quello di una rosa di 25 giocatori, il che implica numerose cessioni, alcune delle quali eccellenti e potenzialmente piuttosto redditizie (in ballo fra gli altri ci sono Mahamadou Diarra, Robben e Van Nistelrooy).
La scelta quasi certa di Pellegrini fa pensare che il potere decisionale di Valdano, “nuovo” Direttore Tecnico, si farà sentire. Quello dell’ormai ex tecnico del Villarreal è un nome molto più in linea con la visione del calcio di Valdano che con quella di Florentino: un tecnico sudamericano, con uno spiccato gusto per il “futbol de toque” mai disgiunto dall’attenzione per gli equilibri tattici. C’è un po’ di incertezza su come potrà avvenire il passaggio di Pellegrini da un ambiente sereno come quello del Villarreal alla burrasca madridista, e c’è anche un po’ di rammarico per quello che lascia a Vila-Real, un progetto più che mai “suo”, che rischierebbe una battuta d’arresto ove la società amarilla scegliesse un allenatore in disaccordo con la tradizione instaurata dal tecnico cileno (tradotto: niente scelte tipo Víctor Muñoz al Getafe, per favore).

La lotta per la Champions invece praticamente non ha riservato emozioni. Era preventivabile, con l’Atlético, squadra più in forma del campionato, cui bastava un punto in casa contro una delle squadre già in piena vacanza, cioè l’Almería (che si prepara a numerose importanti partenze quest’estate: su tutte quelle di Negredo e dei due ottimi terzini Bruno e Mané). Un Agüero molto brillante nell’ultimo mese sfodera una perla, Raúl García (altro giocatore in ottima condizione) arrotonda, e così il Villarreal a Maiorca può dedicarsi soltanto a mettere il punto esclamativo sul grande finale di stagione di Cani e Joseba Llorente. La ciliegina però non poteva fornirla altri che Forlán, un’altra formidabile conclusione mancina dalla lunga distanza, trentaduesimo gol (in una Liga di gol a buon mercato, parecchi hanno superato la ventina: se si pensa che Villa a 28 gol è soltanto terzo…) e Scarpa d’Oro.
Ora è Champions, per modo di dire visto che la nuova formula dei preliminari metterà contro tutte le squadre dei campionati europei principali, per cui non è da escludere un barbaro Atlético Madrid-Arsenal già ad Agosto. Ancora in ballo il nome del nuovo allenatore: a norma dovrebbe essere Abel Resino, dato che una clausola contrattuale sanciva il rinnovo in caso di quarto posto alla fine del campionato. È un nome molto amato nell’ambiente per il suo status di vecchia gloria del club, e ha saputo guadagnarsi il rispetto di stampa e giocatori (che aveva rischiato di incrinarsi con una scelta discutibilissima come la panchina di Forlán ad Oporto), ma dal punto di vista tecnico non è una certezza. Il suo Atlético ha esibito un’eccellente condizione atletica in questo finale di stagione, e ha anche mostrato qualche miglioramento in fase di non possesso, con la difesa più vicina al centrocampo, ma per quanto riguarda la manovra non è cambiato nulla, resta povera e legata al contropiede e alle improvvisazioni dei solisti offensivi.

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