lunedì, giugno 30, 2008

FINALE: GERMANIA-SPAGNA 0-1


La conclusione più logica, la squadra più talentuosa e (insospettabilmente) solida si aggiudica una delle vittorie meno discutibili nella storia recente delle manifestazioni internazionali. La stessa statistica viene in soccorso issando la Spagna in testa praticamente a tutte le classifiche riguardanti gli aspetti del gioco: la squadra con più gol fatti e quella ad averne subiti meno dopo la Croazia, quella con più tiri all’ attivo, sia nello specchio che fuori, quella che ha costretto ad intervenire meno il proprio portiere e, passando dai dati oggettivi alle sensazioni (solo fino a un certo punto) soggettive, la squadra più sicura, completa, continua, matura ed autorevole.
È stato una specie di romanzo di formazione quest’ Europeo per la Spagna: una squadra partita con l’ obiettivo tremendamente generico ma anche tremendamente pressante del “saper competere”, abbastanza scoordinata, insicura e discontinua nel gioco nelle prime partite del girone, è cresciuta progressivamente fino a consolidare e ad affermare in maniera rotonda una propria identità e credibilità: la gara con l’ Italia è stata la prova più difficile, un esame di maturità nel quale la Spagna ha dimostrato di aver saputo apprendere dalle ingenuità del passato e di saper interpretare con la giusta attenzione e prudenza una gara ad eliminazione diretta; sconfitta la psicosi dei quarti di finale, la semifinale con la Russia ha rappresentato invece la tesi di laurea, una dimostrazione di padronanza che ha avuto in uno spettacolare secondo tempo il punto più alto di quest’ Europeo spagnolo; la finale di stasera con la Germania è stata invece l’ approdo relativamente sereno dopo che gli scogli più duri erano stati superati, una sorta di certificazione ufficiale di quanto la Spagna aveva seminato in precedenza.
Addentrandoci nel dettaglio, in questo romanzo di formazione è inclusa anche una visibile e progressiva crescita in quelli che sono gli aspetti tecnico-tattici più rilevanti. Partita come una formazione che aveva nel pallone il suo migliore ed unico amico, con grossissimi interrogativi che riguardavano la fase di non possesso (le transizioni difensive: come e dove recuperiamo il pallone appena perso?), la linea difensiva (specialmente sulle palle alte) e le transizioni offensive (toque-toque-toque… e poi quando verticalizziamo?), a fortissimo rischio di prevedibilità e monodimensionalità, come le convocazioni di Aragonés facevano temere (un esercito di centrocampisti propensi a calcare le zone centrali e a chiedere palla sui piedi invece che andare ad attaccare lo spazio; spinta sulle fasce ridotta al minimo; attaccanti un po’ simili fra di loro, anche se niente affatto uguali), si è ritrovata col passare delle partite a dominare tutti questi aspetti con una crescente autorevolezza.
La sua identità è sempre rimasta legata prevalentemente al possesso-palla, utile anche solo per sfiancare e tenere lontano dalla propria area l’ avversaria (vedi anche l’ esemplare gestione di questi ultimi 10 minuti) ma ha saputo completare questo aggiungendo tanto altro, esprimendo quelle caratteristiche indispensabili per vincere: concentrazione e sacrificio in fase di non possesso (enorme la crescita della linea difensiva nel corso del torneo, ha finito col risultare quasi impeccabile persino nella difesa delle palle alte e dei calci piazzati), e capacità di alternare con maestria fasi manovrate corali nella metacampo avversaria (concetto decisamente arrugginito nelle prime partite, ma che ha avuto una splendida applicazione nell’ occasione del vantaggio di Xavi in semifinale) a contropiedi micidiali per la verticalità e la scioltezza nel tocco di palla di tutti i giocatori. Significativo che questa Spagna abbia chiuso l’ Europeo nella stessa maniera in cui lo aveva iniziato con la Russia, sfogandosi proprio nell’ azione di rimessa.
In ultimo, non può che avere il massimo rilievo la figura di Luis Aragonés: se i giocatori sono vincitori, lui è stra-vincitore. Ha saputo forgiare un gruppo, gestendolo con la massima personalità (credo passeranno alla storia di quest’ Europeo le sue sostituzioni, apparentemente “spregiudicate” ma quasi sempre lungimiranti) e avendo ragione fino in fondo, se ne va gonfio di orgoglio per aver sbugiardato una critica spesso inaccettabile nei mesi precedenti l’ Europeo perché quasi mai effettuata a partire da argomentazioni tecniche ragionate, in alcuni casi di cattivo gusto e intellettualmente disonesta perché incentrata non sul bene della nazionale ma su questioni di campanile travestite quasi da innegoziabili interessi di Stato (mi riferisco ai quotidiani sportivi di Madrid e alla snervante campagna pro-Raúl).
Per quanto riguarda la Germania, una finale di palese anonimato: approccio giusto alla partita, ma poi si è disunita e non ha saputo più dire nulla di significativo, soprattutto una volta passata in svantaggio. Possiamo pure abusare con la retorica e la mitologia ricordando che “non mollano mai”, che “sanno vincere giocando male”, che “son sempre tedeschi” etc., ma oltre certi limiti qualitativi non puoi andare, quando non sai proporre nulla oltre a un mucchio di traversoni scontati e quando come extrema ratio improvvisi Metzelder alla Beckenbauer, beh, allora è già un grandissimo risultato aver raggiunto la finale…

Abbiamo detto approccio giusto della Germania: nei primi quindici/venti minuti Loew dimostra di averla pensata e preparata al meglio questa partita, intuendo dove fare male a una Spagna che risulta decisamente spiazzata da quest’ impostazione. La Germania mantiene il baricentro alto come non aveva fatto l’ Italia, cercando di inardidire il gioco spagnolo alla fonte, direttamente sulla trequarti ad inizio azione, e, almeno, in queste fasi iniziali, mantiene le distanze giuste fra i reparti che erano mancate nella titubante Russia della semifinale. Risultato: imbarazzi grossi per le Furie Rosse quando devono cominciare l’ azione, Sergio Ramos rischia pure di combinarla grossa con una delle sue leggerezze in disimpegno, mancano quei primi due passaggi che danno poi l’ innesco al tourbillon fra le linee, i favoriti della vigilia faticano a trovare gli appoggi per distendersi, sono contratti e ricorrono più frequentemente del solito al pallone lungo e frettoloso verso l’ attacco, situazione nella quale la Germania, per accompagnare il pressing alto, rischia la difesa alta, probabilmente pensando che con l’ assenza di Villa i pericoli in profondità si dimezzino.
La Germania ha il dominio territoriale e il controllo del pallone, cerca l’ unica situazione offensiva veramente rimarchevole nel suo Europeo, ovvero il sovraccarico sulla fascia destra avversaria, con Klose o Ballack che vengono incontro e a turno si allargano sulla sinistra per combinare con Podolski, creando da qui i presupposti per la sovrapposizione del terzo uomo (generalmente Lahm), attirando in zona la difesa avversaria e preparando il taglio a sorpresa in area di Schweinsteiger dal lato opposto (quello che si è visto contro Portogallo e Turchia). Una situazione che la Spagna può soffrire, si intuisce, ma che al di là di un traversone insidioso di Ballack, la Germania non fa a tempo a sfruttare in maniera adeguata, perché la partita ormai sta girando dall’ altra parte, e le cose non cambieranno più.
Cominciano a formarsi crepe nella barriera tedesca, il pallone inizia a scorrere negli spazi che pian piano si aprono fra i reparti, la Spagna trova la continuità che desidera nella circolazione del pallone e questo costringe la Germania a perdere campo, brutto segno. Nella Spagna che acquisisce confidenza e prende le misure al match a salire in cattedra è un sontuoso Xavi Hernández Creus, il più raziocinante e lungimirante dei 22 giocatori in campo, maestro nel gestire i tempi del gioco e scegliere di volta in volta la migliore opzione: il blaugrana scuote i suoi innescando la prima azione pericolosa, un geniale passaggio che tagliando la difesa avversaria smarca Capdevila sulla sinistra e avvia l’ azione successivamente conclusa in angolo dopo una pericolosa deviazione di Metzelder su cross di Iniesta sventata da Lehmann.
La partita è girata, e la Spagna riesce ora a distendersi, a fraseggiare e a coinvolgere più uomini nelle sue manovre. Ad esempio Sergio Ramos mette la testa fuori, e su un suo cross ben calibrato Torres si eleva sopra Mertesacker (1,98, ricordiamolo), indirizza al meglio ma trova il palo a fermarlo. Più che demoralizzare questo fa capire alla Spagna di avere ormai in pugno la partita, e ancora Xavi illumina il cammino: il modulo a 5 centrocampisti aiuta il blaugrana, che scambiando la posizione con Cesc può muoversi con più libertà nella metacampo avversaria (quello che ama, detesta ripiegare e non è mai stato un “4” che gioca davanti alla difesa come Guardiola o Xabi Alonso), leggere le situazioni e cercarsi gli spazi giusti, come quello che al 33’ trova fra la difesa e il centrocampo tedesco, e dal quale imbuca un perfetto pallone verticale per la corsa di Torres: Metzelder e Lahm son piazzati male, c’è spazio ed il terzino del Bayern è in ritardo nella copertura, il controllo a seguire del Niño è un po’ largo, ma con la falcata potente Torres prende la posizione a un morbidissimo Lahm e fa in tempo ad anticipare l’ uscita di Lehmann con un tocco sotto risolutore.
Partita in cassaforte per la Spagna, che può gestire i ritmi e il contropiede, già da subito dopo il vantaggio, quando Silva sciupa malamente una ripartenza rifinita con classe da Iniesta. Partita in cassaforte anche perché la Germania ha poco o nulla da offrire contro una difesa schierata, fa una fatica mostruosa a far transitare la palla fra i reparti, tanto che con sempre maggiore costanza si comincia a vedere Metzelder cercare la zingarata palla al piede, fatto insolito che denuncia improvvisazione e mancanza di idee.
La Spagna affronta il secondo tempo (nel quale Lahm non c’è più, mandato dietro la lavagna in favore di Jansen) proprio con l’ idea di cedere il pallone ai tedeschi, evidenziarne la debolezza e poi ripartire. Gli uomini di Aragonés non soffrono per la modestia dell’ avversario e anche perché andando avanti in quest’ Europeo hanno sempre più imparato a difendersi e sacrificarsi come blocco, sebbene la loro gestione del pallone in alcuni tratti denoti un po’ più ansietà e meno limpidezza rispetto alle scorse partite.
Ci sono comunque 5-6 minuti di fluidità, nei quali la partita sembra potersi anche riaprire, quei minuti dopo che Loew inserisce la seconda punta, Kuranyi (il tecnico tedesco capisce che l’ unica via è cercare una pressione più diretta sui centrali spagnoli, sennò in porta non ci si arriva mai) e nei quali la Spagna sta perdendo un po’ le distanze fra Senna e Cesc e Xavi, i quali cominciano a faticare a recuperare le loro posizioni dietro la linea della palla, creando anche migliori premesse per gli spostamenti di Schweinsteger in zona centrale. Una situazione nella quale la Germania crea la sua occasione più pericolosa, un tiro da fuori di Ballack sull’ esterno della rete dopo un pasticcio in disimpegno di Puyol, una situazione alla quale Aragonés decide di mettere mano con prontezza: ad uscire stavolta è Cesc, perché Xavi è quello più in partita, entra Xabi Alonso per costituire un doble pivote più saldo con Senna davanti alla difesa trasformando il modulo in un 4-2-3-1. Entra anche Cazorla, che sostituisce un Silva a forte rischio espulsione (fa il teppistello con Podolski, una mezza testata che Rosetti non vede).
Una ristrutturazione che beneficia la Spagna, che ritrova stabilità a centrocampo e che anzi col passare dei minuti si trova a difendere più nella metacampo avversaria col pallone fra i piedi che a sgomitare al limite della propria area. Mentre la Germania pur avendo un sacco di giocatori d’ attacco fa fatica a creare proprio per la separazione fra Ballack, Podolski, Schweinsteiger, Klose (poi Gomez), Kuranyi e l’ altra metà della squadra dove Mertesacker si trova sempre più spesso ad iniziare l’ azione con a disposizione poche opzioni di passaggio sparpagliate alla meglio, la Spagna vede aumentare gli spazi per il contropiede manovrato e per una gestione del pallone relativamente tranquilla. Potrebbe anche raddoppiare, se non fosse per qualche solito eccesso di frenesia di Torres nel condurre gli attacchi, per le parate di Lehmann su un colpo di testa di Sergio Ramos e su due conclusioni ravvicinate di Iniesta (una di queste, su azione da calcio d’ angolo, la salva anzi Frings appostato sul primo palo) smarcato in area, e per il ritardo al tap-in di Senna sulla sponda aerea di Güiza (neo-entrato, al posto di Torres, ovviamente!) dopo traversone dalla sinistra di Cazorla.
Paradossalmente, i minuti finali, quelli in cui secondo copione chi è in vantaggio dovrebbe stringere i denti e secondo tradizione i tedeschi “mai domi” dovrebbero essere più pericolosi che mai, sono i minuti nei quali la Spagna soffre meno, tiene su palla e allontana l’ avversario dalla propria porta, garantendosi un successo relativamente tranquillo.

Migliore in campo Xavi, accanto a lui il solito flemmatico equilibratore Senna, un Torres sempre vagamente caotico ma decisivo, un Marchena ancora una volta senza sbavature stavolta espressosi meglio del non sempre preciso Puyol di quest’ occasione.
Nella Germania deludono i migliori talenti: il solito passivo Ballack, un Podolski timido e impacciato quelle poche volte che gli si è presentata l’ occasione per incidere, un Schweinsteger che ha lasciato soltanto intravedere freschezza e ispirazione ma che a conti fatti non ha lasciato tracce. Il migliore Frings, l’ elemento di maggior spessore tattico.

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domenica, giugno 29, 2008

NO, NON È PIÙ TABÙ! SPAGNA CAMPIONE D' EUROPA!




Arriva il momento del trionfo. In queste righe eccezionalmente vesto i panni del tifoso, che generalmente riservo allo spazio più appartato dei commenti.
Da quando nell' ormai lontano 2000 mi appassionai al calcio spagnolo aspetto questo momento, la gioia più grande che posso dire di aver vissuto da quando sono appassionato di calcio.

Al di là del gioco non entusiasmante (ma sicuramente migliore di quello dell' avversario) offerto in questa finale, la Spagna è l' unica squadra possibile ed immaginabile ad aver potuto meritare questo Europeo.
La squadra che statisticamente ha fatto più tiri, in porta e fuori dallo specchio, quella che ha costretto il proprio portiere ad intervenire meno, quella che ha fatto più gol e quella che ne ha subito meno dopo la Croazia), quella che ha occupato la metacampo avversaria con più costanza.
Una squadra serena, di personalità e di classe, che ha reso omaggio al pallone trattandolo sempre con cura e grazia, che ha fatto capire che la tecnica non è una cosa per nostalgici, ma che resta un ingrediente fondamentale anche in questo calcio ultra-fisico che attorno a questa prerogativa ha costruito la propria identità ma che per vincere doveva e ha infine saputo aggiungere concretezza, attenzione ai dettagli, concentrazione ed equilibrio crescenti, fino ad arrivare a gestire e adattarsi alle diverse fasi del gioco quasi impeccabilmente, tanto nella linea difensiva (sempre più sicura anche sui palloni alti che dovevano essere il punto debole) quanto nell' azione di rimessa, che molti non accreditavano a una squadra fino a poco fa nota più per palleggiarsi addosso che per altro.

Un grazie a Luis Aragonés, il più vincitore di tutti i vincitori: da queste (si fa per dire) pagine non gli sono state risparmiate critiche, mi aveva indispettito, per una semplice questione etica, il fatto che fosse rimasto dopo aver promesso di andarsene ove non avesse raggiunto le semifinali al Mondiale, ma le critiche rivoltegli ho sempre cercato di focalizzarle su aspetti tecnici puntuali, evitando (almeno spero) la presunzione e cercando di argomentare per quanto potevo.
Questa è la maniera in cui credo debba essere giudicato ogni professionista, non costruendogli contro campagne denigratorie ad hoc per questioni campanilistiche, come fecero insopportabilmente i giornali di Madrid per la questione-Raúl. Il loro interesse non era la nazionale, era vendere copie e salvaguardare la propria parrocchietta.
Dopo questa campagna spesso scaduta nel cattivo gusto Aragonés ha guadagnato il mio sostegno convinto (nonostante convocazioni che in parte mi avevano fatto storcere il naso), e soprattutto, cosa ben più importante, il sostegno della squadra. Luis ha saputo creare un gruppo unito come non mai, la squadra di tutta la Spagna, gestendo ogni decisione con la massima... decisione, spesso vedendoci giusto nei cambi e non guardando in faccia nessuno, da Torres a Fabregas, da Xavi a Iniesta.
Ora se ne va con la testa altissima e l' orgoglio alle stelle, troppo tardivi i tentativi per trattenerlo di una Federazione che ha fatto poco per proteggerlo. Onore al Sabio.

P.S.: Oltre al da poco defunto medico storico della nazionale Genaro Borrás, credo che questa vittoria vada dedicata anche alla memoria di Antonio Puerta: era entrato da poco nel giro della nazionale, se quel maledetto giorno non ce lo avessero portato via, probabilmente anche lui sarebbe diventato Campione d' Europa in questa magnifica notte.

A DOMANI PER L' ANALISI DELLA PARTITA

FOTO: elpais.com

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venerdì, giugno 27, 2008

La tesi di laurea.

Massì, mettiamola alla prova questa teoria di Lineker: il calcio dopo domenica resterà quel giochino in cui alla fine vincono sempre i tedeschi, o succederà che a risultare vincitrice sarà semplicemente la squadra migliore di questo Euro 2008? La squadra migliore nell’ opinione di molti, me compreso, era stata finora la Russia, ma dopo l’ esibizione di stasera la Spagna non può che subentrare nel ruolo con sbalorditiva autorevolezza. Dopo un primo tempo equilibrato (con leggera preferenza per gli iberici), il gol rompighiaccio di Xavi mette in discesa una ripresa nella quale gli uomini di Aragonés a momenti hanno dato l’ impressione di toccare la perfezione calcistica.
Una squadra che al di là delle etichette non aveva entusiasmato per il gioco nelle partite precedenti la Spagna, ma che partita dopo partita è cresciuta nella maturità e nella capacità di occupare razionalmente il campo, fino a questo secondo tempo di sbalorditiva padronanza nel quale l’ avversario sulla carta di maggior esuberanza possibile è stato letteralmente cancellato dal campo. Stavolta a differenza della prima partita del girone la sorte non ha indirizzato la partita, si è trattato perciò a conti fatti di pura e semplice superiorità tecnica applicata fino in fondo.
Da applausi la personalità, da applausi la concentrazione del blocco difensivo che (con l’ aiuto di Senna) ha isolato Arshavin, da applausi la qualità di palleggio, da applausi la capacità di alternare sapientemente (e in certi momenti direi quasi sadicamente) le varie fasi del gioco, non subendo mai la corrente del match ma anzi imponendo le proprie priorità in ogni momento, ora rallentando ora accelerando, ora congelando col possesso-palla e facendo salire la squadra in cerca di spazi, ora lanciando contropiedi fulminanti che in due-tre passaggi trovano la via della porta avversaria. Tutto questo coniugando allegria e disciplina, mantenendo le posizioni giuste una volta persa palla e riuscendo a togliere alla Russia il punto forte delle verticalizzazioni, senza mai spendere falli vistosi.
Tolta la possibilità di distendersi, per la Russia, vista francamente un po’ indecisa fra il pressing alto e il ripiegamento nella propria metacampo (col risultato che nessuna delle due strategie è stata applicata veramente, e la Spagna ha sempre trovato sia il tempo per iniziare l’ azione che gli spazi da percorrere nella trequarti), si è trattato di correre dietro al palleggio dell’ avversario, rivelatosi alla lunga incontrollabile dopo l’ ingresso di Cesc (causa infortunio a Villa nel corso del primo tempo: Il Guaje salterà la finale) e il passaggio ai cinque centrocampisti, i quali hanno dilagato negli spazi sempre più ampi apertisi dopo il vantaggio.

In avvio, approccio migliore della Spagna, che sa di più cosa vuole rispetto a una Russia che nei primi venti minuti soprattutto denuncia una certa indeterminatezza. La squadra di Hiddink non arretra in massa nella sua metacampo, mantiene abbastanza alti i suoi elementi offensivi suggerendo l’ intenzione di voler continuare anche in questa partita a coinvolgere molti uomini nelle sue trame corali, ma al tempo stesso non pressa minimamente l’ inizio dell’ azione spagnola. Non c’è ostruzionismo, i palleggiatori di Aragonés hanno il tempo per giocare e in una partita dall’ andamento fluido possono chiaramente far pesare la loro superiorità tecnica, arrivando con una certa facilità al limite dell’ area avversaria.
Come detto, non esiste una prima linea di pressing fra i russi, gli attaccanti però in assenza di questo non ripiegano nemmeno a fare densità, il centrocampo viene preso in mezzo perché non sa se accorciare verso l’ attacco o la difesa (e si trova in ricorrente inferiorità numerica quando Iniesta e Silva, presto invertiti da Aragonés, tagliano verso il centro), la Spagna rispetto al match con l’ Italia porta avanti anche Ramos impegnando Zhirkov e lasciando così i due centrali russi, Ignashevich e V. Berezutsky, in balia di Villa e Torres, i quali hanno un passo differente e, allargandosi e attirando i centrali avversari verso l’ esterno, creano spazi l’ uno per l’ inserimento centrale dell’ altro. Questa relativa facilità di gioco da parte spagnola si traduce in due-tre pericoli per la porta di Akinfeev ad inizio partita (un cross di Xavi sul quale non arriva Sergio Ramos nell’ area piccola, una combinazione Villa-Torres conclusa male dal Niño davanti ad Akinfeev, un tiro da fuori insidioso di Villa).
Nel cuore del primo tempo la partita però si riequilibra, la Spagna perde continuità e ritmo fra centrocampo e attacco, la mediana russa ha modo di salire e, anche se Arshavin resta disattivato, Pavlyuchenko trova un maggiore coinvolgimento. Rispetto ad Arshavin i difensori spagnoli fanno più fatica a controllare la fisicità del centravanti dello Spartak Mosca. Fisicità e anche buone maniere dal punto di vista tecnico, come dimostra l’ elegante destro a girare (visto anche nelle precedenti partite, evidentemente è un colpo che va molto a genio al buon Roman) sventato con un gran tuffo da Casillas, non rilevato dall’ arbitro che non assegna il calcio d’ angolo. Pochi minuti dopo di nuovo Pavlyuchenko fa valere la sua stazza quando in area si smarca fra Marchena e Capdevila un po’ disattenti, stoppa di petto un pallone a spiovere dalla trequarti di Zhirkov ma, disturbato dagli avversari, svirgola a lato di sinistro.
Nella fase in cui la Russia sta guadagnando più campo, per la Spagna si aggiunge poi lo scossone dell’ infortunio di Villa, al quale Aragonés reagisce decidendo con la consueta nettezza vista finora in quest’ Europeo: entra Fabregas, il che vuol dire lasciare una sola punta.
Rispetto al 4-1-4-1 delle amichevoli è più un 4-4-1-1, col giocatore dell’ Arsenal trequartista e Xavi sulla linea di Senna, però i problemi posti sul tavolo da questa mossa rimangono gli stessi: si sentirà di più la mancanza di un’ altra punta a fornire sbocchi in profondità oppure peserà maggiormente il più stabile controllo della mediana offerto dal centrocampista in più? Il secondo effetto si vede da subito, Cesc più i due centrali più i due esterni che si accentrano tornano a mettere in mezzo il centrocampo della Russia, sempre indecisa fra l’ opzione del pressing alto e della densità nella propria metacampo, in difficoltà ancora maggiore trovandosi contro un avversario che fa scorrere il pallone a uno-due tocchi con la massima precisione (“first touch”, “first touch”, ripeteva Hiddink nelle interviste a fine partita).
Ma rimane per la Spagna il problema di coprire l’ area avversaria, di arrivare alla conclusione possibilmente con più giocatori del solo Torres, e così i giocatori di Aragonés passano le fasi finali del primo tempo più che altro a registrare e assimilare il cambio di formazione, con scarsa profondità e in qualche momento andando troppo a chiudersi e a rallentare l’ azione nel centro della trequarti.

La ripresa comincia con il fatidico gol del vantaggio spagnolo, che testimonia un altro piglio e una maggior scioltezza degli uomini di Aragonés rispetto al primo tempo: la costruzione è magistrale, parte da un palleggio insistito e uno scambio di posizioni costante fra Senna, Xavi, Silva e Cesc che libera infine uno spazio tra le linee (solito problema di distanze fra centrocampo e difesa russo, problema che a mio avviso parte dalla passività degli attaccanti in fase di non possesso) per Xavi; il blaugrana trova l’ accompagnamento di tutta la squadra in un’ azione di grande coralità, dove Capdevila porta via l’ uomo in sovrapposizione liberando lo spazio per il tiro-cross di Iniesta, non proprio ortodosso ma efficace nel favorire la deviazione a rete di Xavi, bravo a seguire l’ azione fino in fondo e inseritosi centralmente fra lo sconcertante disinteresse dei centrali russi, vero punto debole della squadra di Hiddink in tutto l’ Europeo, sia che la coppia fosse Shirokov-Kolodin, sia che fosse Ignashevich-Kolodin o Ignashevich-V. Berezutsky come stasera.
Gol che d’ altro canto dimostra come la Spagna abbia saputo rispondere positivamente ai dubbi sorti dopo l’ ingresso di Cesc: non solo il centrocampista in più assicura il pieno controllo del centrocampo, ma l’ area avversaria viene coperta ottimamente dagli inserimenti a turno dei centrocampisti, molto più partecipi in tal senso rispetto a quelle amichevoli nelle quali l’ azione ristagnava paurosamente a metacampo.
Dopo il gol si vede sul serio quel tipo di squadra sognato da Aragonés e che, al di là di certe valutazioni un po’ superficiali, non si era ancora apprezzato compiutamente nel corso della manifestazione: una squadra che gode a possedere il pallone e si organizza armoniosamente attorno ad esso, sfiancando l’ avversario e tenendolo così lontano dalla propria porta (non è un caso che statisticamente Casillas sia il portiere meno impegnato del torneo: non è una questione di sola difesa, è una questione di filosofia di gioco e di identità che dà i suoi frutti), tagliando il campo con un flipper di passaggi a uno-due tocchi e finalmente dando anche un po’ di ampiezza, soprattutto a destra dove uno spettacolare Sergio Ramos prende la moto e scappa in più occasioni, aiutato dalla mancanza di supporto patita da Zhirkov in fase difensiva (mai un raddoppio quando veniva messo in mezzo da Ramos e dal Silva o Iniesta di turno che andava ad appoggiare).
In più la Spagna ha poi un Cesc Fabregas che vede calcio come pochi, che non appena vede lo spazio verticalizza a velocità supersonica (non nel senso che corre lui, è la palla quella che suda), ancora di più con una Russia che inevitabilmente tende ad allungarsi e ad accrescere il suo sbilanciamento (Hiddink non cambia il modulo ma si gioca cambi di maggior propensione offensiva come Bilyaletdinov e Sychev, il quale resta però larghissimo e ininfluente come Saenko). Le Furie Rosse potrebbero anche raddoppiare prontamente, ma stonano nel loro terminale, un Torres che litiga col pallone, duella in goffaggine coi centrali russi e spreca pure un ghiottissimo invito sottoporta di Ramos dalla destra con una improbabile deviazione di ginocchio.
Qui interviene di nuovo Aragonés: il doppio cambio riproposto ancora una volta sa vagamente di scaramantico (a quanto si sa, l’ uomo non è proprio alieno alle superstizioni…), Xavi potrebbe ancora restare in campo, ma Güiza per Torres ci sta tutto. In una situazione nella quale la Spagna può sempre più sfruttare il contropiede, il maiorchino è il più bravo di tutti gli attaccanti spagnoli nel dettare il passaggio in profondità, e rispetto al dispersivo Torres offre un punto di riferimento più certo (e più fresco) per allungare la difesa avversaria.
E Güiza paga subito: la Russia si sbilancia e prende un contropiede avviato da Fabregas che serve Güiza allargatosi sulla destra seguito da Berezutsky; Güiza cede a Ramos arrivato in appoggio, taglia verso il centro dell’ area mentre Berezutsky si addormenta, il resto lo fa il magistrale pallonetto filtrante di Cesc concluso da Güiza con quella freddezza ed eleganza nell’ uno contro uno col portiere avversario che, spesa in quantità industriale negli ultimi due anni coi club, era finora mancata in quest’ Europeo, sostituita da timidi balbettii ed errori a tratti dilettanteschi.
Ormai non ci son più freni, la Russia non ci crede più, si sfilaccia e arriva anche il terzo: Anyukov perde palla in un’ avanzata, torello dei centrocampisti spagnoli, verticalizzazione di Iniesta (un altro uomo dopo il gol del vantaggio) lungo la fascia sinistra, dove Ignashevich scala catastroficamente e lascia via libera a Cesc, il quale non deve far altro che servire Silva smarcatosi a centro area per concludere con freddezza quest’ altro esemplare contropiede.

Per quanto riguarda la Russia, direi che ha cominciato a perdere la partita nella sua linea offensiva: non perché Arshavin sia stato annullato (brutto segnale in termini di personalità, ma non possono essere separate le sue colpe da quelle del resto della squadra), non perché sia mancato Pavlyuchenko, che anzi è risultato l’ unico pericolo vero per la Spagna, ma perché a certi livelli non si possono regalare all’ avversario due-tre uomini (ci metto anche Saenko) oltre la linea della palla in questo modo: va bene, non vuoi pressare alto, allora ripiega e fai mucchio nella tua metacampo, e invece non è avvenuto nemmeno questo, sicchè il centrocampo russo si è trovato abbandonato e sempre preso in mezzo, spesso in inferiorità numerica, indeciso (perché di fatto impossibilitato a decidere) se accorciare verso l’ attacco o verso la difesa, col risultato che la Spagna ha avuto gli spazi che desidera fra le linee e ha fatto tutto il male di questo mondo a una difesa la cui debolezza nei due centrali ha costituito come ricordato sopra un po’ un filo conduttore di quest’ Europeo russo.


LE PAGELLE

Casillas: Fa da spettatore per gran parte del match, la tendenza della sua squadra a soggiornare per lungo tempo col pallone nella metacampo avversaria e la disciplina della linea difensiva gli tolgono pressione, ma Iker ribadisce comunque la sua classe in un paio di interventi: splendido quando sullo 0-0 nel primo tempo si stira per mandare in calcio d’ angolo (non ravvisato dall’ arbitro) il destro a girare a fil di palo di Pavlyuchenko, un po’ meno decisivo ma comunque di qualità l’ intervento su colpo di testa ravvicinato di Sychev a fine partita, già sul 3-0. VOTO: 6,5.
Sergio Ramos: Fa davvero piacere vedere un giocatore reagire in questa maniera alle critiche, farne tesoro per migliorarsi. La prestazione del madridista è stata di una perfezione che lascia allibiti, gambe e testa al servizio della causa comune. Il suo era uno dei compiti più delicati, coprire la zona dove passava il tifone-Zhirkov (che già lo aveva messo in grosse difficoltà nella partita del girone) e dove non di rado incrocia Arshavin, ed è stato svolto con una concentrazione raramente vista nel giocatore, attentissimo nel non perdere la posizione, e, una volta guadagnato questo, determinante nel respingere ogni tentativo avversario sfruttando le proprie doti atletiche da privilegiato. Il fisico di Zhirkov non ha retto il corpo a corpo, Arshavin ha girato a largo, e il madridista ha avuto modo di esaltare la sua esuberanza in una serie di recuperi e ripartenze chioma al vento davvero impressionanti. Oltre all’ attenzione difensiva, ci ha messo anche un’ intelligenza maggiore nellle avanzate: senza abusare della conduzione di palla e lasciando da parte le frivolezze, è risultato uno dei fattori di dominio della Spagna con le sue efficaci e impetuose sovrapposizioni. VOTO: 7,5.
Puyol: Non sorprende più ormai il suo stato di forma, sensibilmente e sorprendentemente superiore a quello della stagione appena conclusa col club (aiuta anche una squadra che in campo si muove molto più razionalmente, che diciamo?). Reattivo, puntuale in ogni anticipo e in ogni chiusura, autorevole e brillante, c’è anche molto di suo nella brutta partita di Arshavin. Non sbaglia una virgola, poco altro da appuntare. VOTO: 7.
Marchena: Il valenciano comincia a diventare preoccupante, ma nel senso esattamente opposto che si temeva ad inizio Europeo. Ormai sguazza come un pesce nell’ acqua, con Puyol c’è grande intesa e lui sa sempre dove piazzarsi e come intervenire in copertura, frena le iniziative avversarie con l’ intuizione e il senso della posizione e senza fare uso delle rudezze alle quali sarebbe abituato (pare che Aragonés prima dell’ Europeo gli abbia fatto un discorso a quattr’ occhi chiedendogli di frenarsi coi cartellini), oltrettutto rigiocando sempre il pallone per i centrocampisti con perizia (in un’ occasione però ad inizio secondo tempo rischia troppo, volendo giocarla a tutti i costi circondato da tre russi sulla sua trequarti). VOTO: 7.
Capdevila: Va bene, non è proprio il giocatore più determinante o appariscente su questa terra, però la miglior partita della Spagna è stata anche la sua miglior partita. Come al solito molto disciplinato nel tenere la posizione e nell’ accorciare sull’ avversario quando opportuno, stavolta offre anche un leggerissimo ma incisivo contributo alla fase offensiva. È bravo se non altro a sovrapporsi coi tempi giusti e portare via l’ uomo al compagno, come nell’ azione del gol di Xavi dove gli possiamo attribuire un 10% di merito. VOTO: 6,5.
Iniesta: A destra ci gioca solo i primi 5 minuti massimo, poi gravita prevalentemente sulla fascia opposta, anche se con una tendenza ancora più pronunciata rispetto alla partita con l’ Italia ad accentrarsi tra le linee (c’è più spazio, mica per altro). Il primo tempo sembra la degna prosecuzione di un Europeo giocato fino a ieri come se un gatto gli avesse appena attraversato la strada: timidezza, insoliti errori di misura, uno addirittura comico quando Xavi gli serve un perfetto pallonetto smarcante in profondità, lui lo stoppa alla meglio di nuca e poi cicca grossolanamente il destro… La svolta della sua partita è il gol del vantaggio, che ispira con un assist (assist un po’ atipico), e dopo il quale gioca con scioltezza e ricopre il ruolo di maggior protagonismo dopo Cesc nell’ organizzare il palleggio e le sfuriate in contropiede. VOTO: 6,5.
Senna: Non disumano come con l’ Italia, ma nella norma di livelli che di questi tempi per lui sono altissimi. Aiuta davanti alla difesa nell’ isolare Arshavin, spezza e rilancia con maestria ogni pallone che tocca, la sua partita fluisce ordinata, lucida e serena. Come per Puyol, una certezza sulla quale non vale più la pena di spendere tante parole. VOTO: 7.
Xavi: Partita di grande spessore, da uomo di esperienza, classe e intelligenza tattica. Come Ramos, era uno dei potenziali punti deboli che poteva attaccare la Russia, perché soffrendo dal punto di vista atletico e dinamico il blaugrana poteva non coprire al meglio quegli spazi al limite dell’ area che la Russia avrebbe potuto attaccare con gli inserimenti dei centrocampisti. La partita invece si è svolta su ben altri binari: non solo Xavi è stato impeccabile nel posizionarsi in fase di non possesso, ma coi suoi compagni ha dettato legge in quella di possesso, gestendo il gioco con più qualità rispetto alla prova un po’ banale con l’ Italia. Mette in cassaforte la palla, alterna il triangolo corto a qualche intelligente verticalizzazione, facendo sempre la cosa giusta (un seguace di Spike Lee). Nell’ occasione del gol, e in tutta l’ azione di preparazione, ribadisce di saper leggere benone il gioco. VOTO: 7. (dal 24’ s.t. Xabi Alonso: Entra con Güiza ma ha inevitabilmente meno occasioni per mettersi in mostra del maiorchino. Si limita a gestire davanti alla difesa, troppo poco per un giudizio. VOTO: S.V.)
Silva: Meno trascinatore che con l’ Italia, ma solo perché stavolta, soprattutto nel secondo tempo, il trascinatore è il collettivo. Ciò non altera la sua inerzia nettamente positiva, importante in particolare, più di Iniesta, nell’ accentrarsi in appoggio a Senna, Xavi e Fabregas e creare situazioni di superiorità numerica nei confronti del terzetto di centrocampo russo gettato in pasto ai leoni da Arshavin, Pavlyuchenko e Saenko, dalle quali si innescano poi le vantaggiose situazioni tra le linee che hanno beneficiato la Spagna. Sempre abbagliante la sua tecnica cristallina al servizio del collettivo, chiude i conti in contropiede. VOTO: 7.
Villa: La nota negativa della serata il suo infortunio, potrebbe essere una assenza gravissima in finale (finale in preparazione della quale la UEFA per me ha dato troppi pochi giorni alla Spagna) visti i difensori centrali della Germania. Parte in maniera interessante, ma quando calcia una punizione si procura l’ infortunio muscolare che provoca la sua uscita anzitempo. VOTO: S.V. (dal 34’ p.t. Cesc Fabregas: Hombre del partido, entra e consegna definitivamente le chiavi del centrocampo alla sua squadra, disegnando poi traiettorie in profondità da genio assoluto. Quando riparte e vede lo spazio può metterti in un amen davanti al portiere avversario, col suo sublime stile minimalista, che riduce all’ osso i tocchi e i fronzoli per andare alla sostanza del calcio. Una meraviglia il colpo sotto ad ispirare il 2-0 di Güiza. VOTO: 8)
Fernando Torres: Continua a non essere il suo Europeo, in una nazionale che non si potrà mai adattare pienamente al suo stile di gioco. Il movimento e la velocità impegnano sempre i due centrali russi, ma entrato in contatto col pallone o conclude debolmente oppure fa una confusione pazzesca: sembra un cacciatore che insegue mille lepri, il pallone scappa come una saponetta, lui balla come un tarantolato e spesso va a sbattere contro i tutt’ altro che sicuri centrali russi. Francamente non riesco a capire com’è che comunemente gli si attribuisca una grande tecnica. VOTO: 5,5. (dal 24’ s.t. Güiza: L’ “Arciere” raddrizza la mira, torna freddo e risolutivo come con Mallorca e Getafe. Il tocco sull’ uscita del portiere è un colpo familiare, per il resto offre un riferimento almeno ieri sera più credibile di Torres nel ribaltare l’ azione. VOTO: 6,5)

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lunedì, giugno 23, 2008

Ora sono maggiorenni.

La Spagna passa i quarti di finale, lo fa il 22 Giugno e lo fa ai rigori, contro i campioni del mondo. Abbattute tutte le maledizioni e i complessi possibili, al termine di una partita sostanzialmente equilibrata (soprattutto a partire dal secondo tempo, nei primi 45 minuti l’ Italia non aveva intenzione di giocare), dove l’ Italia ha avuto le due occasioni più ghiotte con Camoranesi e Di Natale, ma dove d’ altro canto la squadra di Aragonés senza entusiasmare ha prodotto una mole di gioco maggiore e proposto una qualità e un’ autorevolezza complessivamente superiori, calcando le zone in prossimità di Buffon con maggiore costanza e convinzione, pur nell’ ambito di una partita nella quale il rispetto reciproco è stata la variabile dominante.
Rispetto reciproco ma declinato diversamente dalle due squadre: in troppi momenti è stato un rispetto eccessivo da parte dell’ Italia, mentre da parte spagnola si è trattato di un rispetto dettato dalla sana volontà di non commettere ingenuità e di curare i dettagli, fondamentali in un’ eliminazione diretta, pur senza rinunciare a fare la partita. In questo senso, al di là dell’ aleatorietà dei calci di rigore, si può dire che le Furie Rosse hanno offerto la prestazione più completa e matura del loro Europeo, presentando i requisiti giusti per sedersi al Tavolo dei Grandi.



Il primo tempo è piuttosto lento e bloccato, seppure sotto il chiaro controllo spagnolo. L’ approccio degli uomini di Aragonés è quello giusto, proporre il proprio calcio di possesso con personalità ma sempre mantenendo la necessaria prudenza e conservando le giuste distanze, ponendosi con uguale attenzione il problema di cosa fare con la palla fra i piedi e di come organizzarsi subito dopo averla persa, senza dare adito al contropiede avversario.
La coordinazione fra i reparti e il posizionamento della squadra son più corrette rispetto a quella delle partite con Russia e Svezia, Xavi gioca più vicino a Senna in fase di non possesso evitando buchi nel mezzo, la condotta della linea difensiva è più che positiva, perché i quattro dietro si intendono meglio rispetto alle scorse gare, si muovono in blocco con criterio, accorciano, alzano la linea coi tempi giusti riuscendo nell’ obbiettivo di allontanare Toni dall’ area di rigore, depotenziando l’ arma della palla lunga da parte italiana e obbligando il bomber del Bayern Monaco a mostrare i suoi limiti di rapidità e tempismo sul filo del fuorigioco.
Da parte italiana c’è invece una passività abbastanza deprimente, una voglia di impedire di giocare più che di giocare sin troppo accentuata per essere una semplice e rispettabile scelta strategica. Va detto poi che si tratta più di paura pura e semplice che di un’ organizzazione tattica razionale. Gli azzurri neanche lontanamente abbozzano un pressing sull’ inizio dell’ azione spagnola, tendono ad affondare nella loro metacampo abbastanza disordinatamente, ammucchiandosi senza coprire gli spazi tra le linee e senza preparare degli appoggi e delle vie di fuga credibili per lanciare il contropiede. Toni resta isolato, il centrocampo romanista fallisce del tutto (imbarazzante la prova di Aquilani) sia nel compito di avviare le transizioni offensive (direi che è appena appena mancato Pirlo…) sia nel sostegno a Toni dalla seconda linea, completamente inesistente.
Ci sarebbe Cassano col suo delizioso trattamento del pallone, lo svagato Sergio Ramos di inizio partita (in seguito il madridista si rimboccherà le maniche e baderà finalmente al sodo) lo soffre anche parecchio nell’ uno contro uno, ma il problema è che il baricentro italiano è troppo arretrato, il barese è schiacciato spesso in una posizione di terzino aggiunto e quando deve ripartire i metri da percorrere sono troppi, ingrato pretendere la luna da un talento ingabbiato in queste condizioni, condizioni fra le quali figura il divieto quasi assoluto di assistere centralmente Toni come seconda punta.
La Spagna ha l’ indiscusso monopolio del possesso-palla, ma offre una scarsa sensazione di pericolo perché troppo lineare nei primi 20-25 minuti. Le cose migliorano quando Aragonés introduce in corsa quello che Quique Sánchez Flores in un’ intervista su “As” alla vigilia aveva definito “disordine offensivo”, indicandolo a ragione come il maggior punto di forza di questa nazionale: con ciò si denota la grande mobilità dalla trequarti in su, la capacità di abbandonare le proprie posizioni di partenza per proporre diagonali fra le linee nel caso dei falsi centrocampisti esterni e tagli in profondità o dal centro verso le fasce nel caso di Villa e Torres, anomalo tandem di seconde punte.
Con Silva a sinistra e Iniesta a destra, entrambi sulle fasce corrispondenti al piede preferito, le traiettorie del 4-4-2 di inizio partita erano troppo canoniche; giusto invertirli come fa Aragonés da metà primo tempo, giusto investire tutto sulle loro inclinazioni al ricamo sulla trequarti invece che sprecarli in un’ illusoria ricerca dell’ ampiezza. Non è che la Spagna crei il finimondo, ma è più credibile ora perché trova appoggi e possibilità di sfondamento in zona centrale con le triangolazioni strette fra Iniesta, Silva e i due attaccanti, sempre molto bravi a cercarsi lo spazio per allargare o allungare la difesa italiana a seconda delle situazioni e aprire la via per le conversioni in zona centrale soprattutto di Silva, brillante e intraprendente partendo da destra, situazione che peraltro offre il vantaggio di bloccare in una certa misura Grosso, una delle più pericolose armi offensive italiane.
Silva spara anche una fucilata di poco a lato, ma la migliore occasione, o meglio la miglior quasi-occasione del primo tempo è dell’ Italia, col colpo di testa a botta sicura di Toni respinto in maniera un po’ goffa da Marchena davanti a Casillas.
Dalla ripresa in poi la partita vive una maggiore fluidità: comincia forse a pesare il caldo, e cominciano le squadre ad allungarsi. La Spagna non esercita più quel “dominio placido” del primo tempo, qualche variabile comincia a sfuggire al suo controllo, la partita rischia di mettersi su un piano nel quale attacchi e contrattacchi possono susseguirsi nell’ instabilità generale. Le Furie Rosse non organizzano più i loro attacchi con la stessa prudenza, si portano avanti un po’ disordinatamente e scoprono qualche spazio, Villa e soprattutto Torres si intestardiscono in azioni personali nello stretto invece che finalizzare le giocate nei pressi dell’ area avversaria, forzano perdite di palla pericolose davanti alle quali la Spagna non si mostra tanto pronta a recuperare le posizioni difensive.
Di fronte si pone poi un’ Italia ora un po’ più dignitosamente propositiva, disposta anche ad accompagnare di più coi terzini (soprattutto Grosso, da destra invece non si prova proprio, fascia del tutto sprecata, si vocifera che in quella zona risiedesse tale Capdevila). Il nuovo quadro induce Donadoni al cambio fra l’ inesistente Perrotta (non si è capito francamente quali fossero la sua posizione e le sue reali funzioni) e Camoranesi, sicuramente più consigliato ora che la Spagna più lunga offre qualche spazio in più per giocare la palla tra le linee come sa fare l’ argentino. A questo risponde Aragonés addirittura con un doppio cambio, non convincentissimo perché rischiosamente prematuro e un po’ scontato, una meccanica ripetizione di quelli delle gare precedenti operata su due quarti di un centrocampo fin lì più che sufficiente: comunque la staffetta Xavi/Cesc era da mettere in conto, Cazorla per Iniesta rischia invece di deprimere ulteriormente il talento blaugrana, che fatica a ritrovare la miglior condizione, mentre Cazorla al di là dell’ impegno non offrirà grande incisività, faticando a trovare la posizione come contro la Svezia, sia partendo da destra che da sinistra (però il nano del Villarreal tirerà un rigore esemplare).
Comunque passa un quarto d’ ora difficile la Spagna, nel quale perde il controllo del centrocampo e mette in pericolo i collegamenti con gli attaccanti. Aumentano le palle perse, e la difficoltà nel recuperare le posizioni dopo queste costringe la difesa spagnola a rinculare invece che a accorciare, attirando gli attacchi italiani nella propria area. Qui si nota il peso di Toni (al di là dell’ orrendo rapporto col gol in questo Europeo), dal quale nasce l’ azione più pericolosa di tutta la partita, una situazione di confusione nell’ area piccola spagnola conclusa da Camoranesi e respinta da un Casillas meraviglioso nel non farsi prendere in controtempo con l’ intervento di piede.
È la fase di sofferenza più acuta per la Spagna, che riesce progressivamente ad uscirne riequilibrando la situazione col possesso-palla. Donadoni si gioca anche Di Natale, che forse era l’ opzione preferibile alla vigilia per attaccare lo spazio nella zona di Ramos, ma l’ udinese andrà spesso a destra a cercare le combinazioni con Camoranesi.
Intanto si nota nelle fila spagnole il rilevante mutamento tattico apportato dall’ ingresso di Fabregas: il giocatore dell’ Arsenal agisce molto più avanzato di quanto non facesse Xavi, quasi a disegnare un 4-1-3-2, praticamente si disinteressa dei ripiegamenti, accresce gli spazi da coprire per Senna unico “pivote” e cerca costantemente di appoggiare gli attaccanti e inserirsi a rimorchio. I pro sono rappresentati da una verticalità e un ritmo sicuramente superiori a quelli offerti da Xavi in un contesto nel quale la stanchezza sta allungando le squadre e accrescendo gli spazi, i contro invece si concentrano in un centrocampo ad occhio sempre più sguarnito, nel quale Camoranesi può trovare campo per rifinire. L’ idea cui molti (quorum ego) cominciano a pensare è l’ ingresso di un centrocampista, magari Xabi Alonso, al posto di Torres, in modo da frenare un po’ questi emergenti squilibri.
Aragonés esita, perché tutti sanno che togliere le due punte significa togliere profondità (oltre a gioco sulle fasce, perché gli spostamenti sulle fasce di Villa e Torres devono surrogare anche la spinta dei terzini, ridotta a zero dall’ atteggiamento più prudente del solito imposto dalla delicatezza del match), e finalmente, dopo che Buffon rischia di combinarla grossa su un tiro dalla lunga distanza di Senna (remake del Pagliuca del ’94), si decide al cambio: Güiza per Torres è un cambio che inizialmente fa sobbalzare sulla sedia, ma che ragionandoci sopra ha un suo perché.
Probabilmente “El Sabio” pensa che cercare di pareggiare i conti a centrocampo con uno Xabi Alonso non produrrebbe poi granchè in una fase in cui ormai la stanchezza ha portato le squadre a giocare definitivamente lunghe, quindi opta per giocarsela fino in fondo questa “lunghezza”, consapevole probabilmente che le transizioni offensive della sua squadra possono essere più veloci, profonde e insidiose rispetto a quelle dell’ Italia senza Pirlo e col pesante Toni a sgomitare davanti (un po’ il Kienast dei ricchi ieri): rimangono così sempre due o tre giocatori pronti a ribaltare l’ azione oltre la linea della palla, i due attaccanti che cercano la profondità e aprono gli spazi a rimorchio per Cesc, il quale cerca insistentemente la verticalizzazione ogni volta che c’è da rilanciare l’ azione.
La sensazione di pericolo c’è, si vede quando in apertura di ripresa Silva tira di poco a lato al termine di un azione in cui proprio Cesc era riuscito ad inserirsi nello spazio creato dai due attaccanti (conclusione respinta), ma dall’ altra parte c’è l’ orgoglio dell’ Italia che quelle poche occasioni che crea le crea davvero pericolose: è il caso del colpo di testa di Di Natale, simile a quello di Zidane nei supplementari della finale dell’ ultimo Mondiale, solo che stavolta a levare prodigiosamente il pallone da sotto la traversa c’è San Iker e non San Gigi.
Nei supplementari gli spazi per attaccare da entrambe le parti sono più ampi che mai, solo che ormai la stanchezza ha la meglio e la lucidità è ai minimi termini: l’ Italia a parte qualche iniziativa individuale di Camoranesi fa la solita fatica a trasportare il pallone verso l’ attacco, la Spagna arriva sicuramente con più scioltezza ai limiti dell’ area avversaria, ma si perde al momento dell’ ultimo tocco (Villa sbaglia un controllo ed è costretto ad allargarsi sull’ uscita di Buffon che lo chiude in calcio d’ angolo) oppure si arena su Güiza, più presente negli ultimi metri rispetto a Torres e prezioso nel movimento fra i due centrali, ma anche abbastanza maldestro nelle finalizzazioni. Donadoni nel secondo tempo supplementare si gioca l’ ultima carta, Del Piero per Aquilani, presumibilmente più nell’ intento di avere un grande rigorista che di sfruttare il suo uno contro uno negli spazi così ampi (con uno spudorato senno di poi Alex sarebbe potuto entrare anche prima, vista la buona ispirazione mostrata in un paio di giocate).
L’ ultima emozione la regala allo scadere un diagonale di Cazorla dalla sinistra, a metà fra il traversone e il tiro in porta, con l’ accorrente Villa a disperarsi, addirittura consolato da Buffon. Ecco i rigori: ci sarà pure San Paolino, ma si battono sotto la curva dei tifosi spagnoli, particolare da non trascurare, il resto lo fa lo straordinario Casillas, un Di Natale forse un po’ timidino e la perizia di tutti i tiratori spagnoli meno Güiza (chi scrive era matematicamente certo del suo errore).


PAGELLE

Casillas: L’ uomo-copertina. Meno sollecitato quanto a pura quantità di interventi rispetto a Buffon, compie tuttavia i due interventi più impegnativi e di maggior qualità del match, decisivi e spettacolari in pari misura. Fenomeno in controtempo su Camoranesi, felino su Di Natale, ai rigori completa l’ opera. Nettamente vinto il confronto con Buffon disegnato alla vigilia. VOTO: 8.
Sergio Ramos: Personalmente vedevo nella sua fascia il punto potenzialmente più scoperto della Spagna, l’ avvio è stato da brividi, tanto per gradire in una delle prime azioni un’ incomprensibile uscita fuori dalla sua zona di competenza costringe addirittura Villa a un ripiegamento affannoso, poi svagatezze, interventi fuori tempo, un paio di falli evitabili, le solite leggerezze nei disimpegni, sofferenza su qualche dribbling di Cassano (che pure era il tipo di avversario migliore per lui, uno che viene incontro a chiedere palla e sul quale si può giocare in anticipo invece che uno come Di Natale più propenso ad attaccare lo spazio senza palla). Passata la mezzora però ha avuto l’ intelligenza di correggere il tiro, drizzando le antenne, evitando ogni rischio e rimanendo bloccatissimo come le esigenze della partita suggerivano (non a caso il sottoscritto alla vigilia invocava Arbeloa…). Cresce col passare dei minuti, e si dimostra sempre più attento nella diagonale sui traversoni dalla fascia opposta, migliorando l’ intesa coi due centrali e dando un bell’ aiuto con la sua fisicità sia sui palloni alti che nei raddoppi e nelle chiusure. VOTO: 6.
Puyol: Eccellente, non sbaglia nulla, mescola ardore, concentrazione e tempismo come nelle sue migliori versioni. Accorcia coi tempi giusti, anticipa, sventa il pericolo con decisione, soffre poco sui palloni alti perché Toni resta lontano dalla zona calda per gran parte del match, praticamente non perde un contrasto e in un paio di occasioni sfodera tackle e recuperi marca de la casa. VOTO: 7.
Marchena: Se Puyol non sorprende, per lui il discorso è diverso, e va registrata una crescita evidentissima rispetto alla prima partita con la Russia. Qualche piccolo segnale di miglioramento c’era stato già con la Svezia, ieri è stato praticamente impeccabile. Forse come Puyol è stato anche impegnato poco da un’ Italia che faceva tremenda fatica a distendersi, però si è fatto sempre trovare al posto giusto, dei marchiani errori di posizionamento di altre volte neanche l’ ombra, migliore intesa con Puyol per salire compatti, tenere la linea sufficientemente lontana da Casillas e anticipare. Concentratissimo su ogni pallone, provvidenziale quello che nel primo tempo supplementare sottrae all’ accorrente Toni su un taglientissimo traversone di Grosso dalla sinistra. VOTO: 7.
Capdevila: Spettatore non pagante, non per colpa sua, ma perché l’ Italia non attacca quasi mai da quella fascia e perché le consegne di Aragonés ai terzini sono chiaramente quelle (a mio avviso condivisibili) di rimanere bloccati, anche se una cosa è Sergio Ramos e un’ altra è lui che fra Perrotta ed Aquilani qualche margine in più per andare in sovrapposizione l’ avrebbe. VOTO: 6.
Iniesta: Non riesce ad essere il suo Europeo. Parte da destra, e per lui è un esilio, lo abbiamo detto, in una zona dove tra l’ altro non è garantito il suo eventuale aiuto a Sergio Ramos su Grosso e Cassano. Quando Aragonés inverte la sua posizione con quella di Silva ritrova i suoi movimenti preferiti, ma quello che manca è lo spunto e l’ ispirazione, abbozza qualche triangolazione stretta, tiene qualche pallone ma individualmente non riesce ad aprire nessuna fessura nello schieramento italiano. Comunque la sostituzione, oltre a non essere così necessario Cazorla, potrebbe essere stata una mossa non azzeccatissima da parte di Aragonés dal punto di vista psicologico. VOTO: 5,5. (dal 59’ Cazorla: Cambio di non grande successo, Aragonés cerca più vivacità rispetto all’ Iniesta che non decolla, ma come contro la Svezia il simpatico Santi fatica a trovare una posizione utile al di là della buona volontà e delle buone doti, passando un po’ inosservato. VOTO: 5,5)
Senna: Straordinario, pilastro del centrocampo. I meriti sono ancora maggiori se si pensa che ciò che gli si chiede in nazionale è anche abbastanza diverso da ciò che è solito fare nel Villarreal. Là è lui prevalentemente a dettare i tempi del gioco con a fianco uno scudiero che l’ anno scorso era Josico e quest’ anno è stato Eguren, qui gli si accollano responsabilità grossissime, perché spesso quasi esclusive, di chiusura davanti alla difesa, e in questa mansione si sta affermando come un irrinunciabile elemento d’ equilibrio. Una lettura delle situazioni sempre perfetta, interventi decisi e al tempo stesso pulitissimi, porta a termine una partita difensivamente enorme riducendo al minimo i falli e le sbavature, tranquillizza chi gli sta attorno e fa sempre la cosa più intelligente e pratica, una sicurezza anche col pallone fra i piedi, ragiona e non perde mai la bussola, provando pure la sassata quando è il caso. VOTO: 7,5.
Xavi: Prestazione disciplinata, si stringe più vicino a Senna rispetto alle scorse partite e aiuta nella sua metacampo, in fase di possesso è come sempre il riferimento principale, gestisce con la padronanza che gli è propria dando continuità alla manovra, anche se difetta di rapidità nel far circolare la palla. Quando gli spazi da coprire si fanno più ampi, Aragonés ricorre al più dinamico Cesc. VOTO: 6. (dal 59’ Cesc: Gioca una partita totalmente diversa da quella di Xavi, in un contesto tattico differente e con mansioni radicalmente diverse. Gioca più vicino alle punte che a Senna, si disinteressa abbastanza delle copertura, gioca con una libertà e su ritmi simili a quelli dell’ Arsenal, quando le squadre cominciano ad allungarsi e lui in questi spazi cerca ossessivamente di apportare dinamismo e verticalità, cercando subito le punte in profondità come prima soluzione e cercando costantemente l’ inserimento a rimorchio dentro l’ area avversaria. Glaciale sul rigore decisivo, meriterebbe il posto da titolare. VOTO: 6,5).
Silva: Il suo Europeo è convincente, sta garantendo molta continuità ai suoi sforzi creativi, corre parecchio oltre a inventare. Lo vedi sempre attivo e in partita, probabilmente un giocatore anche in crescita sul piano della determinazione. A differenza di Torres, Villa e Iniesta, quando prende palla non si fa assediare da mille idee contemporaneamente finendo per non attuarne nemmeno una, ha obiettivi chiari ed è incisivo nel perseguirli, ha ispirazione e un passo brillante. Convince soprattutto quando Luis lo sposta a destra, da lì converge, crea panico e prova anche la conclusione dalla distanza con più assiduità di quanto non faccia di solito, sfiorando il gol in un paio di occasioni. Sfuma un pochino alla distanza, ma la prestazione è di spessore indubbio. VOTO: 7.
Torres: Generosissimo, bravo a cercare di aprire gli spazi sugli esterni, tiene sempre sul chi vive i difensori con la sua velocità e la Premier gli ha insegnato a non darsi per vinto su ogni pallone, però non mancano nemmeno le solite sbavature. Lascia spesso perplessi quando viene a prendere palla sulla trequarti e parte solo contro il mondo, sia perché si tratta in molti casi di scelte irrazionali, che coi compagni in piena proiezione offensiva rischiano di scatenare il finimondo a palla persa, sia perché il gioco in spazi strettissimi non è il pezzo forte del suo repertorio, anche se lui non pare avere molto presente questo fatto. Quando il suo gioco si sta facendo troppo dispersivo e di poca utilità per il collettivo, arriva il cambio. VOTO: 6. (dal 85’ Güiza: il suo ingresso ha ragioni tattiche anche comprensibili, mentre Torres aveva perso un po’ di utilità per il collettivo i suoi movimenti fra i due centrali tengono di più sulla corda la difesa italiana e favoriscono anche la creazione di qualche spazio per i rifinitori che arrivano dalla seconda linea, ma chiamato a finalizzare il maiorchino tradisce ancora una volta la sua inadeguatezza a certi livelli, su tutti un bagher in area di rigore per stoppare la palla e un tentativo dal vertice destro con l’ uomo davanti che non c’ entrava proprio nulla. Molto brutto il rigore infine. VOTO: 5,5).
Villa: Se la partita è rimasta bloccata sullo 0-0 nonostante un riconoscibile predominio territoriale spagnolo, è anche per via della poca lucidità sua e di Torres al momento di scegliere la giocata negli ultimi metri. Movimenti pungenti anche per lui, ma quando entra in possesso del pallone, anche nella sua zona prediletta, il vertice sinistro dell’ area di rigore, balbetta giocate assai poco produttive, in alcuni casi scivolando o dribblandosi da solo di fronte agli ottimi difensori italiani che non abboccano alle sue mezze finte poco convinte. La quantità c’è, la qualità affiora raramente (solo in due colpi di tacco a smarcare Fabregas, uno dei quali da cartone animato, sdraiato da terra). VOTO: 6.

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giovedì, giugno 19, 2008

Le alternative di Aragonés.

Ci ha tenuto a non interrompere la serie positiva la Spagna, in una partita di poco significato per la classifica, caratterizzata da un blando primo tempo (con annesso gol di Charisteas libero da marcatura su calcio piazzato: tasto molto dolente i calci piazzati e le palle alte per questa nazionale, anche oggi che la coppia di centrali, Albiol-Juanito, era la più attrezzata sul piano aereo) e da un secondo tempo più tonico nel quale, anche se con le persistenti difficoltà nel verticalizzare e nel dare ampiezza, la Spagna ci ha tenuto ad onorare l’ impegno, completando la meritata rimonta coi gol di due dei “nuovi”, ovvero De la Red e Güiza.
Luis Aragonés per questa Spagna-2 ha scelto un 4-1-4-1 (modificabile in corsa dai movimenti di Cesc e De la Red, alternativamente trequartisti a sostegno dell’ unica punta): modulo che più volte ho criticato, perché il salto di qualità di questa nazionale mi è sempre parso strettamente legato ai maggiori sbocchi forniti dalle due punte, però va detto che la linea di mezzeali Cesc-De la Red vista oggi offre rispetto alla coppia Cesc-Xavi delle amichevoli pre-Europeo meno possesso-palla ruminato e più capacità di inserimento dalla seconda linea, il che può garantire in linea di massima quella quantità di fonti realizzative sufficiente a sopportare l’ utilizzo di una sola punta.

Le prestazioni delle seconde linee erano il motivo di maggiore interesse, pur specificando che “seconde linee” rappresenta un termine quasi offensivo per i tizi che giocavano stasera nel cuore del centrocampo, giocatori che sarebbero titolari in tutte le altre selezioni ma non nella Spagna votata al nuovo culto del “centrocampismo”.
Proprio la qualità e le prestazioni di Xabi Alonso, Cesc e De la Red sono gli aspetti che potrebbero mettere maggiormente in difficoltà Aragonés al momento di scegliere la formazione per l’ Italia.
Innanzitutto Xabi Alonso, di qualità semplicemente siderale la prova del basco: alla Guardiola, davanti alla difesa un vero maestro, con una visione panoramica del campo, sempre velocizzando e pescando in verticale i compagni smarcati tra le linee, esibendo i tradizionali cambi di gioco e la lunghissima gittata di un destro calibrato come pochi altri nel panorama europeo. All’ attivo un gol sfiorato da dietro la metacampo (specialità della casa) nel primo tempo e una sassata che ha rischiato di abbattere il palo nella ripresa.
Nessuno dei centrocampisti della rosa spagnola ha la capacità di cambiare gioco di Xabi, questo andrà tenuto in debito conto considerando il fatto che la Spagna gioca un calcio in cui per facilitare la creazione di spazi è fondamentale proprio la capacità di far correre il pallone più rapidamente possibile da un lato all’ altro del campo (aspetto nel quale la Spagna ha lasciato a desiderare specialmente nel match con la Svezia).
La prestazione eccezionale di stasera è per Xabi Alonso la miglior candidatura possibile per una maglia da titolare con l’ Italia, ma è difficile, quasi impossibile pensare che questi possa smuovere dalla titolarità il Senna visto contro la Svezia: troppo importante e con pochi concorrenti la capacità del brasiliano di fornire equilibrio davanti alla difesa.
Poi c’è Cesc, l’ osservato numero uno: su buoni livelli il catalano, con più personalità e maggior peso sulla manovra. Ha proposto il suo calcio continuo, lucido, essenziale, appoggiando, rifinendo (avvia il gol del pareggio) e offrendosi sempre con grande intelligenza senza palla. Anche qui però è difficile pensare a una sua titolarità, essendo stato finora Xavi un punto di riferimento imprescindibile in tutta la gestione-Aragonés, essendo diventate imprescindibili anche le due punte e tendendo ad appesantire la manovra la coesistenza dei due. La scelta è stata fatta: 4-4-2 obbligatorio dall’ inizio, quindi solo uno fra Xavi e Cesc, e l’ autorità del blaugrana nella Seleccion è decisamente più consolidata.
Infine De la Red: giocatore per il quale ho grande stima, seppur con qualche errore di misura qua e là ha ribadito le sue prerogative di giocatore di personalità, bravo ad adattarsi e a padroneggiare da subito le situazioni, completo e versatile: questa è la carta che più di altri può giocarsi, la capacità di smistare indifferentemente il gioco davanti alla difesa (suo ruolo preferito) o di giocare da incursore a ridosso delle punte, o anche addirittura di partire al centro della difesa come successo in alcune occasioni col Getafe, forte di un ottimo gioco aereo. Sicuramente inferiore in quelle specialità che rendono Xavi, Senna, Cesc e Xabi Alonso più forti nelle gerarchie di Aragonés: rispetto a questi è sicuramente meno dotato in quelle specialità che rendono i tre citati più forti nelle gerarchie di Aragonés, De la Red garantisce però un ampio ventaglio di soluzioni che lo rende adattabile a uno spettro più esteso di possibili situazioni. Se però per Xabi Alonso e Cesc le chances sono già ridotte, per lui sono praticamente nulle.

Così così altri due piuttosto attesi, Sergio García e Güiza. Il zaragocista non ha fatto vedere molto di più di quello che possono già offrire, con talento sicuramente superiore, Iniesta e Cazorla. Largo a destra con reminiscenze e tagli da seconda punta, qualche buon movimento a smarcarsi, ma il punto è che anche lui taglia troppo frequentemente e con troppa impazienza verso il centro invece che provare ad allargare il campo. La sensazione è poi che in qualche frangente abbia pure pagato dazio al palcoscenico internazionale, peccando in lucidità al momento di concludere le azioni. Prestazione non negativa in assoluto (bello il cross per il raddoppio di Güiza), ma che comunque al momento non consente di considerare l’ ex canterano del Barça un’ alternativa di eccessiva credibilità.
E al di là del gol decisivo non è eccessiva neppure la credibilità di Dani Güiza, la cui prova ha convalidato tutti i sospetti sul suo reale valore, da bomber di provincia (seppure capocannoniere con 27 gol e senza l’ ombra di un rigore) più che da stella internazionale. Sulla stampa spagnola si è letto in questi giorni di un Güiza abbastanza nervoso e deluso per il suo chiarissimo ruolo di riserva, e viene da chiedersi cosa si aspettasse avendo davanti Villa e Torres.
I movimenti sono sempre interessanti, lui che nel Mallorca e nel Getafe è stato abituato a guadagnarsi da vivere giocando isolato come unica punta sa bene come dettare il passaggio, come tagliare e allungare la difese, come tenere sulla corda i centrali avversari e come creare spazi per i compagni (vedi il gol di De la Red), però al momento di entrare in contatto col pallone i limiti si sono visti tutti: controlli difettosi, una certa macchinosità che fa sfumare azioni promettenti, difficoltà nello stretto e in generale la visibile ansietà di chi cerca in ogni modo di giustificare la propria presenza, perdendo buona parte di quella serenità che necessita un freddo esecutore quale lui sarebbe (l’ uno contro uno col portiere è unanimemente la sua prerogativa migliore).

Colpe di Albiol sul gol greco, non troppo splendente Reina, regolari Fernando Navarro, Juanito e Arbeloa (quest’ ultimo potrebbe essere un’ idea per bloccare la fascia destra contro l’ Italia), gli altri interrogativi della serata riguardavano Iniesta, il più deludente nelle prime partite con Sergio Ramos. Molto ha giocato a suo sfavore il fatto di partire dalla destra, posizione assolutamente scomoda per quelle che sono le sue caratteristiche, ma anche stavolta, spostato sulla sinistra dove ha potuto ritrovare movimenti a lui più congeniali per rientrare e rifinire, non ha convinto appieno: sembra mancargli lo spunto migliore, ricama ma non incide, e data anche la buona forma di Silva si prospetta per lui una continuazione dell’ esilio sulla fascia destra.

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sabato, giugno 14, 2008

Avanti, senza convincere.

Ancora un episodio casuale (seppure sempre impreziosito dalla qualità sublime di attaccanti fra i migliori del mondo) salva da complicazioni una Spagna che ottiene l’ accesso ai quarti già alla seconda partita del girone, risultato ottenuto però senza persuadere minimamente.
Il sospetto che la rondine russa non potesse fare primavera era fortissimo, e oggi abbiamo visto il vero volto della selezione di Aragonés: un undici difensivamente vulnerabile e con una manovra insopportabilmente prolissa ed asfittica. E non c’è voluta mica l’ Italia di Bearzot per dimostrarlo, è bastata una Svezia al solito terribilmente piatta ma che almeno ha messo in mostra due cose semplici semplici che nella tenera Russia di martedì scorso brillavano per la loro assenza (eccetto i primi 20’): difesa ordinata tutta nella propria metacampo e attacchi più diretti con palle alte subito nell’ area avversaria, a colpire il grosso punto debole che rappresenta il gioco aereo per la difesa spagnola (una delle maggiori incognite sulla competitività di questa nazionale). Tutto qui, e la Spagna ha fatto una fatica tremenda, con la casualità del gioiello di destrezza di Villa ad accrescere i motivi di riflessione.

Comunque rispetto all’ inizio con la Russia l’ avvio della Spagna qualche leggero miglioramento lo aveva mostrato. Stesso undici titolare, ma un posizionamento più corretto: baricentro qualche metro più avanti, terzini più alti all’ inizio dell’ azione, ciò che evita agli esterni di centrocampo di retrocedere troppo per prendere palla permettendogli di cercare spazio tra le linee e liberare Xavi e Senna da un po’ di pressione. Non è un assedio memorabile, non può esserlo perché la Svezia è tutta raccolta nella sua metacampo, ma le Furie Rosse fanno girare palla con pazienza e a un ritmo più accettabile, cercando intelligentemente di cambiare fronte con continuità al fine di smuovere il blocco svedese dalle proprie posizioni.
Torres continua a muoversi verso gli esterni cercando di allargare le maglie avversarie e aprire spazi al centro, e la pressione moderata ma costante frutta il calcio d’ angolo dal quale nasce il vantaggio. Anche qui la Spagna smentisce uno dei tanti e giustificati luoghi comuni che si erano consolidati sul suo gioco, e cioè che non sappia preparare e mettere in atto schemi efficaci sulle palle inattive: bella la preparazione fra Xavi che batte rasoterra, Villa che viene incontro e scarica fuori area su Silva, carezza del valenciano e bel guizzo risolutivo in spaccata di Torres in anticipo sul difensore.
Il gol origina una sorta di disorientamento nelle fila spagnole: come gestire il vantaggio? Qui peccano grossolanamente gli uomini di Aragonés, diradando le lunghe fasi di possesso palla e ritraendosi progressivamente nella propria metacampo.
Chissà, forse l’ idea subentrata era quella di ripetere quanto fatto contro la Russia, cedere il pallone e ripartire in velocità, e l’ errore è quello di voler tramutare in legge universale una ricetta improvvisata con successo per un caso specifico. La misura dell’ errore risiede tutta nella differenza di caratteristiche fra Russia e Svezia: i primi attaccavano con trame palla a terra scolastiche e senza accelerazioni, i secondi attaccano con lanci direttamente su una delle due punte alla ricerca della spizzata per i tagli profondi dell’ altra punta e degli esterni di centrocampo o comunque alla ricerca della situazione caotica nell’ area avversaria. Sa fare solo questo la Svezia di Lagerback (“fantasioso come un gambero”), ma se glielo lasci fare ti fa male.
La Spagna in questa fase non risponde positivamente a una delle due domande fondamentali per misurare la propria competitività, e cioè “Come recuperare palla lontano dalla nostra area?”: mancano i giocatori portati al recupero alto, ci si lascia schiacciare nella propria trequarti e si rinuncia a quella che in realtà sarebbe la miglior strategia difensiva possibile per le caratteristiche di questa squadra, e cioè il possesso-palla narcotizzante (“se la palla ce l’ abbiamo noi, non ce l’ hanno gli avversari”).
Così la Svezia guadagna metri, può giocare lungo sugli attaccanti con crescente pericolosità (nel mentre è entrato Albiol per l’ infortunato Puyol, bruttissima tegola) e far maturare i presupposti per il meritato pareggio, dove Sergio Ramos esegue in ritardo la diagonale e poi copre male su Ibrahimovic, che inizialmente stoppa male ma se la ritrova comunque lì per la conclusione a rete.
Chiuso il primo tempo con un rigore su Silva non visto dall’ arbitro, la ripresa pone invece in tutta la sua nettezza l’ altra cruciale domanda per le ambizioni spagnole: “Come attacchiamo una difesa schierata?”. E con altrettanta nettezza, la risposta è insoddisfacente.
L’ uscita di Ibrahimovic delinea uno scenario di dominio territoriale incontrastato per la Spagna, visto che l’ assenza dell’ asso interista impedisce agli svedesi di trovare un punto d’ appoggio credibile per rilanciare l’ azione in campo contrario (un po’ è anche una questione di carisma) e permette alle Furie Rosse di concentrarsi quasi esclusivamente sulla fase offensiva, anche se con risultati modesti.
Aragonés ci mette del suo ordinando un’ inversione di fascia fra Iniesta e Silva, che col mancino del Valencia che parte da destra significa manovra ancora più strozzata, poi prova a dare la scossa con due coraggiosi cambi in un colpo solo, Cazorla per Iniesta (scomodo a destra, c’è poco da fare) e Cesc per Xavi (l’ “inglese” però non migliorerà gli standard del blaugrana, anzi offrirà una prestazione banalotta e di poca personalità), che non cambiano però la sostanza, non danno ossigeno a un possesso-palla asfittico.
Qui si apprezzano le risapute carenze della lista dei convocati disegnati da Aragonés, la quale ha gravemente ridotto le possibilità di gioco sugli esterni. Cazorla avrà pure l’ elettricità, avrà pure il gioco ambidestro e lo spunto ficcante sul breve, ma se nel Recreativo e nel Villarreal ha sempre giocato preferendo la diagonale verso l’ interno un motivo ci sarà pure. L’ asturiano se possibile intasa le zone centrali ancora più di quanto non facesse Iniesta, la destra rimane sguarnita (quando invece Sergio Ramos parte in percussione, 9 volte su 10 combina pasticci), Silva si fa risucchiare al centro, Capdevila ha il passo pesante e scarsa propensione offensiva. Così l’ unica soluzione sono le triangolazioni nello spazio di un fazzoletto fra le maglie della Svezia che si stringono agevolmente al centro: una soluzione alla portata degli squisiti palleggiatori spagnoli, qualcosina di tanto in tanto esce fuori (Silva si mangia un gol bello grosso), ma di certo la soluzione più irrazionale e contorta possibile.
Impotenza spagnola che cresce col passare dei minuti, e in un copione classico l’ avversario mette fuori la testa in cerca del colpaccio negli ultimi minuti, e sull’ ennesimo traversone (da calcio piazzato) mal difeso dalla debole difesa spagnola la deviazione di Hansson solo per poco non trova il tap-in di Henke Larsson.
Sembra pareggio, ma ancora Capdevila si inventa assist-man involontario (dopo il calcione che aveva lanciato Torres nell’ 1-0 alla Russia), butta una palla gestita male dalla difesa svedese, Villa ruba il tempo ad Hansson e fredda Isaksson in uscita con una giocata classica del proprio repertorio.

Individualmente, svetta il partitone di Marcos Senna, si afferma come cerniera indispensabile davanti alla difesa (avevo nutrito dubbi, mea culpa). Malissimo Sergio Ramos (ha “gamba” come nessuno, ma il cervello lo usa davvero male), Villa involuto prima del gol, generoso e in alcuni momenti interessante il movimento senza palla di Torres.
(Domani se avrò tempo inserirò le pagelle giocatore per giocatore)

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venerdì, giugno 13, 2008

Daniel Alves al Barça. Un grande acquisto?

Quest' articolo l' ho scritto una settimana fa, ma fra gli europei e tutto il resto era caduto nel dimenticatoio. Lo pubblico adesso, è ancora commestibile (con un aggiornamento: per Fernando Navarro al Sevilla è fatta). Dopo l' Europeo, tornerò a parlare del mercato con un punto più ampio della situazione, già molto vivace e con parecchi movimenti interessanti (gran colpo Guerron al Getafe).

José Maria Del Nido ha mollato l’ osso prima di quanto si pensasse, e per nostra fortuna, il pericolo-telenovela è scampato (ma quella su Cristiano Ronaldo al Real Madrid è solo all’ inizio…). Sevilla e Barcelona hanno raggiunto l’ accordo: Daniel Alves l’ anno prossimo vestirà blaugrana, per una cifra che le varie fonti stimano fra i 29,5 e i 32 milioni di euro, con 6 milioni di euro che il Barça dovrà aggiungere qualora raggiungesse determinati obiettivi (in soldoni, titoli) la prossima stagione. In più al Sevilla va il 30% dei diritti che il Barça continuava a possedere sul maiorchino (e neo-nazionale) Fernando Navarro, obiettivo dichiarato della campagna acquisti del club andaluso (un acquisto intelligente, l’ erede ideale di David Castedo, si aggiungerebbe al già ufficializzato ingaggio dell’ argentino Lautaro Acosta dal Lanus).
Non c’è che dire, una bella botta di soldi. A prima vista, ci sarebbero poche discussioni da fare, perché il Barça si è assicurato se non il miglior terzino destro del mondo, una cosa che gli assomiglia parecchio. Ma, entrando nel dettaglio, non mancano gli aspetti che personalmente mi lasciano perplesso. L’ operazione-Alves va molto al di là del prendere la figurina e incollarla nell’ album al posto di Zambrotta.

Daniel Alves è forse il terzino destro migliore al mondo, ma è un terzino destro assai atipico, con movimenti che si discostano radicalmente dai canoni consolidati del ruolo. Per rendere al meglio, per continuare a vederlo sui livelli del Sevilla, bisogna costruirgli l’ habitat ideale, come ha magistralmente fatto il Sevilla, che lo ha posto al centro del suo sistema di gioco minimizzandone i punti deboli ed esaltandone al massimo i pregi. Ora, i miei dubbi nascono dal fatto che vedo molto più difficile ripetere simile operazione nel Barça e che, considerando vari fattori, il suo inserimento presenta aspetti problematici da non sottovalutare.
Premesso che ancora non si sa quale modulo utilizzerà Guardiola ma dando come punto di partenza la conferma del 4-3-3, credo si profili all’ orizzonte un problema di compatibilità con Leo Messi. Sommando astrattamente il potenziale dei due giocatori viene fuori sulla carta qualcosa di atomico, ma andando a vedere i movimenti tipici di entrambi all’ interno delle dinamiche di squadra c’è il rischio che si producano strozzature nella manovra non facili da superare.
Il calcio non è una somma astratta di potenziali individuali, ma una questione di tempo e di spazio: chi copre meglio tutto il campo, chi lo sa restringere all’ avversario quando questi ha la palla e al tempo stesso riesce a crearne di più per sé quando ha il possesso del pallone, è colui che ha le migliori possibilità di vittoria. Da questo punto di vista, c’è da dire che la coesistenza in un 4-3-3 di Alves (terzino destro) e Messi (attaccante esterno destro) non si preannuncia come la scelta più razionale per una squadra come il Barça abituata da sempre a porsi il problema della creazione di spazi contro difese molto chiuse.
Tanto Messi partendo dalla fascia inversa al piede d’ elezione quanto Alves partendo dalla posizione di terzino destro sono giocatori che prediligono portare palla per linee interne, e questo mix di attitudini potenzialmente può togliere molta fluidità al gioco del Barça futuro.
Ciò di cui ha sentito la mancanza Messi in questi due anni è stato più che altro un compagno di fascia che sovrapponendosi senza palla all’ esterno gli portasse via l’ uomo creandogli lo spazio per la diagonale palla al piede e l’ uno contro uno nelle zone interne. Dall’ altra parte invece Alves ha sempre avuto come ideale compagno di fascia il buon Jesús Navas, ovvero un giocatore totalmente diverso da Messi, un extremo classico che partendo e il più delle volte restando larghissimo lasciava ad Alves tutto lo spazio che desiderava per le sue scorribande interne.
Mi sembra evidente che facendo due più due da quanto ho detto, qualcosa rischia di non quadrare. È una questione elementare che riguarda quello “spazio vitale” che deve essere garantito a ogni talento perché possa esprimersi compiutamente arrecando beneficio a tutta la squadra. Se le premesse sono queste, la fascia destra del Barça invece che la zona di campo con due giocatori fra i più forti di tutto il campionato rischia di diventare una zona dove il gioco si fa prolisso, disordinato e anarchico, con scarsa coordinazione di movimenti e troppa conduzione di palla (senza dimenticare la più che probabile presenza sul centro-destra dell’ Iniesta o Xavi di turno).
A questo proposito invito anche a riflettere sul Dani Alves della nazionale brasiliana, dove non ha avuto finora lo stesso successo proprio per una questione di geometrie tattiche, molto differenti rispetto a quelle del Sevilla: mentre nel Sevilla è lui a dominare la scena nelle zone interne del campo e fare praticamente da regista occulto della squadra, nella Seleção queste zone le trova già ampiamente occupate da mezzepunte tipo il Kaká o Ronaldinho di turno, che lo costringono per forza di cose a cercare lo spazio sull’ esterno. Giocando il Brasile col 4-3-2-1 o 4-2-3-1, davanti non c’è nemmeno il Jesús Navas della situazione a fungere da punto di riferimento, per cui risulta sicuramente più indicato per allargare il campo un terzino più verticale come Maicon (se l’ interista è un terzino-ala, Alves è un terzino-mezzapunta). Ovvero il tipo di terzino che meglio si accorderebbe coi movimenti di Messi.
Altro aspetto da tenere in conto nell’ inserimento di Alves è l’ aspetto difensivo, cioè quello che comporta avere in squadra Alves quando non sei tu ad avere il pallone. È in questo senso che il Sevilla ha compiuto il capolavoro di aver al tempo stesso esaltato i punti di forza e minimizzato i punti deboli del giocatore, compensando l’ anarchia di Alves fino a farla diventare il proprio asso nella manica.
Giocatore non solo sempre proiettato all’ attacco ma dal raggio d’ azione esteso ben oltre i confini della fascia destra, nemmeno tanto propenso al rientro immediato in difesa, nel Sevilla ha potuto giocare con una certa libertà offensiva grazie ai raffinati meccanismi di compensazione elaborati da Juande Ramos, con Poulsen davanti alla difesa e Javi Navarro sul centro-destra pronti a coprire gli spazi lasciati sguarniti dal brasiliano nelle sue proiezioni offensive. Analoghi meccanismi andranno studiati e messi in pratica al Barça. Individualmente poi non mancano le sbavature difensive nel gioco di Alves: molto reattivo sul breve, per questo non facilissimo da superare nell’ uno contro uno, tende tuttavia a non misurare adeguatamente il tempo e la modalità dei suoi interventi, rischiando falli stupidi in zone pericolose di campo. Le carenze maggiori Alves le rivela comunque nella difesa dei traversoni provenienti dalla fascia opposta: non di rado capita di sorprenderlo distratto, in ritardo nel seguire i movimenti della linea difensiva e il taglio dell’ avversario sul secondo palo, dove peraltro l’ altezza ridotta tende a farlo soccombere sulle palle alte.
Debolezze difensive evidenti, ma non è questo l’ aspetto più problematico del suo inserimento nel Barça: se la squadra di Guardiola riuscirà a dominare il possesso-palla e insediarsi stabilmente nella metacampo avversaria, senza la necessità di ripiegare nella sua per difendere, questi limiti potranno anche essere mascherati. Ciò che desta le maggiori perplessità è la funzionalità dell’ inserimento di Alves nel contesto della manovra offensiva, per quanto questo possa sembrare a prima vista paradossale.

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mercoledì, giugno 11, 2008

La Russia sarà come l' Ucraina?

Pur con aspetti assai migliorabili nel gioco d’ insieme (in entrambe le fasi), con momenti di tremore palpabile soprattutto nel primo tempo e una difesa che continua a non lasciare tranquilli, la Spagna nettamente vincente al suo esordio europeo si diverte a demolire alcuni luoghi comuni che (a ragione) definiscono generalmente il suo calcio. Questi giustificati luoghi comuni dipingono la Spagna come una squadra incapace di cambiare ritmo e di verticalizzare, assolutamente all’ oscuro del concetto di transizione rapida, oltre che incapace di cambiare registro e andare oltre una partita di sterile e orizzontale possesso-palla, con l’ eterno limite della mancanza di concretezza.
Bene, non solo questa Spagna conosce il concetto di transizione offensiva, ma ha dimostrato di saperlo eseguire combinando una velocità e una qualità notevolissime. Recupera palla, vede gli spazi e li aggredisce arrivando alla porta avversaria con facilità disarmante, contando su due attaccanti esplosivi e letali (l’ unico vero punto di vantaggio sul Portogallo). Ha dimostrato grossa concretezza e ha dimostrato di saper tenere sempre vivo il pericolo anche in quelle fasi nelle quali non ha il controllo del gioco, la notizia migliore questa per chi temeva che il grosso limite di questa nazionale fosse proprio quello di non aver altra scelta per vincere le partite che quella di dominarle e monopolizzare il possesso-palla, senza varianti di rilievo. La Spagna di stasera spesso ha ceduto il possesso-palla, e la partita l’ ha vinta giocando magistralmente in contropiede, realtà difficilmente ipotizzabile alla vigilia.
Tutte queste considerazioni non possono comunque non tenere conto dell’ enorme delusione rappresentata dalla Russia: ottima fino al gol dello svantaggio, se si eccettua il palo di Zyryanov subito dopo l’ 1-0 di Villa, dopo questo spartiacque è clamorosamente sparita dal campo, sfilacciandosi malamente e sconcertando per la totale assenza di personalità, proprio quando a guidarli ci sarebbe un certo Hiddink che in passato aveva accresciuto oltre misura l’ autostima di coreani e australiani, giocatori di certo tecnicamente inferiori a quelli coi quali lavora attualmente.

Partita che dimostra con totale evidenza un assunto sul quale personalmente insisto da tempo: non si può pensare a una Spagna competitiva senza due punte, almeno in partenza. Torres e Villa offrono uno sfogo indispensabile, senza il quale la Spagna passerebbe rapidamente dall’ elettricità di oggi al torpore insostenibile delle amichevoli con gli USA e l’ Italia.
Prima però che i due attaccanti offrissero il loro show, l’ inizio aveva confermato ogni possibile timore e perplessità sugli uomini di Aragonés. Solita tremenda difficoltà a portare avanti l’ azione, a darle ritmo e sbocchi credibili contro una difesa schierata. Gli esterni vengono a prendere palla troppo bassi, i terzini non accompagnano l’ azione o comunque lo fanno coi tempi sbagliati, Senna (troppi tocchi e incapacità di cambiare fronte come farebbe Xabi Alonso, con conseguente agevole piazzamento da parte degli avversari) e Xavi (spesso seguito a uomo da Zyryanov, non entra nel gioco con la dovuta continuità) non riescono proprio a far decollare la manovra. Non convince affatto in questa fase la Spagna, e avendo avuto per il resto della partita tutto il contropiede a disposizione, è un aspetto del gioco che andrà riesaminato con attenzione nelle prossime partite, prima di dare adito ai soliti superficiali entusiasmi.
Nei primi 20 minuti il controllo strategico ce l’ ha indiscutibilmente la Russia, che si stringe a tenaglia coi suoi 5 centrocampisti e raddoppia puntualmente sui palleggiatori spagnoli, cercando di rilanciare immediatamente sulla boa Pavlyuchenko, qualche volta imbeccato pure largo a sinistra nei momenti in cui Sergio Ramos non può rientrare in tempo nella sua zona.
La Spagna è tenuta fuori dalla partita, ma vi rientra di peso grazie a un episodio: episodio casuale, un rimpallo che coglie la difesa russa di sorpresa e fuori posizione, ma un episodio che ci consegna in qualche modo il Fernando Torres da Premier League, in verticale e nello spazio, dove può scatenare la sua falcata, grazie alla quale, con l’ aiuto di un fortunoso rimpallo, supera Kolodin e porge l’ 1-0 a porta vuota a Villa.
È lo spartiacque della partita: la Russia si riversa nella metacampo spagnola, continua ad avere la superiorità numerica a centrocampo con Semak vertice basso sempre piuttosto libero di impostare, la Spagna continua a faticare assai a recuperare palla lontano dalla sua porta e Zyryanov colpisce pure un clamoroso palo dopo uno svarione nell’ area spagnola (prima Marchena e poi Senna ciccano il pallone), ma nella squadra di Hiddink cominciano ad affiorare segnali preoccupanti: i russi dopo il gol hanno perso la sicurezza di inizio partita, e cominciano visibilmente a perdere le distanze fra i reparti. Visibili anche gli squilibri nella linea difensiva, coi centrali Shirokov e Kolodin che giocano troppo larghi e non hanno margine di copertura e recupero tutte le volte che Torres e Villa, micidiali nel dettare il passaggio in profondità, filtrano fra le loro maglie.
Ne è una prova il fatto che Iniesta (imbarazzante nei primi 20 minuti: passo da zombi, conduzioni di palla prolisse e rischiose) cominci finalmente a trovare spazio fra le linee, e proprio dal blaugrana nasce l’ azione del 2-0 a fine primo tempo, una mazzata per i russi: troppo spazio per Iniesta che taglia palla al piede, alza la testa e pesca Villa perfetto nel finalizzare sull’ uscita di Akinfeev.
Nemmeno l’ inizio del secondo tempo è tutto ‘sto scintillio per le Furie: gli uomini di Aragonés difendono troppo bassi, sono chiaramente vulnerabili fino alla loro trequarti e gli va bene che l’ avversario si limiti a una circolazione di palla terribilmente scolastica, che risparmia Puyol e Marchena da quei patemi che sicuramente creerebbe loro un calcio più diretto da parte dei russi, magari con un socio per Pavlyuchenko.
In questa fase interviene la seconda scelta azzeccata della serata di Luis Aragonés: il 4-1-4-1 non è l’ opzione ideale per iniziare la partita, ma è ben altra cosa se si tratta di addormentare i ritmi e conservare il vantaggio. Qualcuno mugugna per l’ uscita di Torres (eccellente prestazione, grandissimo movimento e anche meno sbavature del solito palla al piede), ma l’ entrata di Cesc pareggia i conti col centrocampo russo e pone fine a ogni sofferenza in mediana, inaugurando anzi una fase di controllo totale del match.
La Spagna nasconde la palla e gioca al gatto col topo, rallentando, accelerando e affondando come e quando desidera: Cesc si piazza più a ridosso delle punte, libera da un po’ di pressione Xavi, l’ entrata di Cazorla aggiunge elettricità e i contropiedi ormai filano lisci come l’ olio. Il contributo di Cesc è stavolta molto più tangibile, non solo nelle verticalizzazioni ma anche nei movimenti sempre intelligenti di accompagnamento al contropiede: proprio il Gunner pesca Villa in profondità per il 3-0, e Il Guaje completa la sua esibizione con un gol di classe dopo dribbling secco in area su Shirokov. Straordinaria prestazione del miglior attaccante spagnolo in assoluto, fiuta il gol ma crea anche tantissimo gioco per sé e per i compagni, con le sue qualità di palleggio sopra la media. I dirigenti del Valencia si fregano le mani: in una sola partita il loro attaccante ha riguadagnato tutti i milioni di quotazione persi in quest’ anno disgraziato per il VCF.
Ci sono finalmente due punte centrali nella Russia, con l’ ingresso di Adamov, ma è troppo tardi, riapre un piccolo spiraglio solo la rilassatezza della Spagna, col gol di Pavlyuchenko libero da marcatura su calcio d’ angolo (ehi, Capdevila, era tuo!). Inammissibile calo di tensione, Semak avrebbe addirittura la palla del 3-2, ma il contropiede condotto elegantemente da Villa e concluso da Cesc a porta vuota sulla ribattuta di un tiro di Xavi mette il definitivo punto esclamativo sulla vittoria spagnola.
Esordio che non può non richiamare l’ attenzione, la formazione di Luis Aragonés ha scoperto di possedere prerogative insospettabili ma ha confermato anche alcune zone d’ ombra da non trascurare in prospettiva futura.


PAGELLE

Casillas: Pochi interventi, perché quando i russi tirano o lo fanno in maniera imparabile (gol di Pavlyuchenko) oppure la palla finisce sul palo (Zyryanov) e Iker ringrazia gli dei. Poco sollecitato anche sui palloni alti e le uscite, i russi giocano soprattutto palla a terra e spesso disegnano cross sbilenchi, il che toglie al portiere madridista un po’ di responsabilità. Voto: 6.
Sergio Ramos: Poco convincente, non alterna bene le due fasi, qualche volta lascia scoperta la sua zona, poi vedendo che i russi attaccano soprattutto dal suo lato rimane più dietro, ma non mancano le sbavature. Falloso, talvolta va con troppa sufficienza nei disimpegni, perde l’ uomo, la posizione e la concentrazione, soffre qualche avanzata di Zhirkov e costringe Puyol a frequenti chiusure laterali. Voto: 5,5.
Puyol: Ce lo si aspettava meno brillante, invece ha giocato una partita dai notevoli contenuti, con la sua proverbiale reattività su tutti i palloni, non di rado ovvia alle insicurezze dei compagni che si muovono ai suoi fianchi, cioè Marchena e Sergio Ramos, soprattutto chiudendo lateralmente in seconda battuta dalle parti di quest’ ultimo. Voto: 6,5.
Marchena: Se per Sergio Ramos si può parlare di una battuta un po’ a vuoto (sebbene le sbavature del madridista siano figlie di determinate e note carenze del suo repertorio di giocatore prevalentemente istintivo), nel caso del valenciano non è mistero che si tratti del principale punto debole dell’ attuale formazione titolare. C’è poco da fare: non trasmette sicurezza, dà l’ impressione che con un minimo di pressione in più da parte russa i patimenti sarebbero risultati ben più gravi (fortuna sua che mancasse la rapidità nello stretto di Arshavin). Cicca clamorosamente il cross rasoterra da cui scaturisce il palo di Zyryanov, incerto pure nei disimpegni, mette anche in difficoltà Casillas con qualche retropassaggio al limite. Voto: 5,5.
Capdevila: Si appisola sul gol di Pavlyuchenko, per il resto gioca una partita corretta, regolare, “da Capdevila”. Buon senso della posizione in fase difensiva, interventi puliti (un po’ all’ opposto del Tarzan che giocava dall’ altra parte), dovrebbe cogliere e sfruttare meglio i momenti nei quali sovrapporsi a sorpresa, manca un po’ di incisività il suo peraltro non eccessivo supporto alla manovra offensiva (uno degli aspetti del nodo irrisolto dell’ attacco a difese schierate). Voto: 6.
Iniesta: Primi 20 minuti di totale spaesamento, procede tremebondo e la scelta, sorprendentemente per le sue abitudini, è sempre quella sbagliata, porta troppo palla, la riceve troppo arretrato e spalle alla porta, rischiando di innescare pericolosi contropiediogni qual volta gli avversari anticipano e raddoppiano. Dopo il gol però i russi perdono le distanze fra i reparti, per lui si aprono spazi fra le linee, dove può accentrarsi per dare respiro a Senna e Xavi offrendogli un appoggio per portare avanti l’ azione, e da dove può partire nelle sue classiche percussioni palla al piede, su tutte quella che ispira il raddoppio di Villa. Anche se la fascia destra non è l’ ideale posizione di partenza, la sua qualità pesa sempre. Voto: 6,5. (dal 63’ Cazorla: Poco noto al grande pubblico, coglie l’ occasione per un buon assaggio delle proprie potenzialità. La gara era già un po’ in discesa, ma è piacuta l’ immediatezza con cui è entrato in partita e la solita carica di vivacità che è capace di offrire. Dà la sensazione di poter essere la carta forse più interessante da giocare a partita in corso, per creare problemi con la sua rapidità, intraprendenza e freschezza. Voto: 6.)
Senna: Ottime critiche per lui, tuttavia personalmente non ha convinto appieno. Schierato da Aragonés probabilmente nell’ intento di dare maggiore vigore in interdizione, da questo punto di vista il suo contributo lo fornisce (sebbene cicchi anche lui nell’ occasione del palo di Zyryanov), aiutando i difensori centrali nelle chiusure al limite dell’ area (se gli avversari arrivano così facilmente al limite dell’ area ovviamente non è un problema suo, ma eminentemente collettivo). Convince meno nella costruzione del gioco: che le doti di palleggio siano buone è certo, ma il ritmo è sempre molto contenuto, le pause e i passaggi corti predominano come sa bene chi lo conosce dal Villarreal. In questo contesto, quando si tratta di attaccare difese schierate, si può far sentire la mancanza della capacità di cambiare gioco millimetricamente e le geometrie ad uno-due tocchi di uno Xabi Alonso o anche il ritmo di un De la Red, ciò che è parso chiaro nei primi 20 minuti di affanno spagnolo. Voto: 6.
Xavi: Inizia soffrendo, perché Hiddink in lui vede giustamente la principale fonte di gioco spagnola e decide di inaridirla, a tratti quasi con una marcatura a uomo da parte di Zyryanov. Primo quarto di partita assai difficile, senza mai la possibilità di potersi girare e pensare alla migliore opzione, cresce col passare dei minuti, e proprio l’ entrata di Cesc, in linea di massima poco compatibile con lui ad inizio partita, conferisce la supremazia rendendo anche Xavi più libero di esprimersi. Buon piazzamento e un contributo in interdizione superiore alla norma, in alcune occasioni legge e intercetta ottimamente le traiettorie russe, avviando il contropiede e dimostrando la consueta lucidità nella gestione della pelota. Non sarà il più fico del bigoncio, ma è un cervello sempre validissimo. Voto: 6,5.
Silva: Prestazione sufficiente, sempre fine palleggiatore, settantasette minuti regolari e senza grossi squilli. I suoi movimenti a memoria con Villa, consolidati nel Valencia (io taglio al centro, tu Guaje invece ti allarghi sulla sinistra), promettono sempre situazioni interessanti, ma stavolta Villa batte prevalentemente altre strade, e Silva non coglie sempre la scelta migliore da compiere o comunque non esegue sempre la giocata nei tempi e nelle modalità giuste, talvolta perdendosi in ricami eccessivi al limite dell’ area avversaria. Voto: 6. (dal 77’ Xabi Alonso: s.v.)
Villa: Un drago, era sempre un po’ sottovalutato nelle gerarchie dei migliori attaccanti europei, ora anche a livello internazionale afferma in tutta la sua evidenza il proprio valore. Letale a tu per tu col portiere, formidabile nel cercare lo spazio in profondità fra i due centrali, preciso ed elegante al momento di rifinire per i compagni, un pericolo sempre vivo nell’ uno contro uno e nelle giocate sullo stretto, in qualche momento addirittura si sacrifica in copertura retrocedendo nella posizione di esterno di centrocampo quando Silva o Iniesta non fanno a tempo a recuperare dalle loro divagazioni. Che volere di più? Voto: 8.
Fernando Torres: L’ uscita anticipata (comunque giustificatissima da precise esigenze tattiche) gli lascia un po’ di amaro in bocca per non aver suggellato col gol una serata sicuramente molto positiva sul piano del gioco. La presenza di un'altra punta lo aiuta molto, redistribuisce meglio gli spazi e i carichi di lavoro fra lui e i compagni e gli permette di svariare come ama, senza essere troppo costretto a incombenze spalle alla porta non nelle sue corde. A ciò si aggiunge poi il fatto che la partita si sviluppa per lunghi tratti in contropiede, cioè in quegli spazi che sono il suo pane, dove distrugge in velocità i centrali russi. Altruista non solo nell’ 1-0 di Villa e più in sintonia coi movimenti del resto della squadra rispetto ad altre occasioni. Voto: 7. (dal 54’ Fabregas: Cesc c’è, e ha battuto anche un colpo. Il suo ingresso ha determinato quella superiorità a centrocampo che è servita alla Spagna per mettere in cassaforte la partita. Si piazza più avanzato rispetto a Senna e Xavi, da trequartista, pareggia i conti col centrocampo russo e offre uno sbocco sempre razionale alla manovra, accompagnando i contropiedi con grande intelligenza, proponendo quei movimenti che portano via l’ uomo e aprono nel mezzo la difesa russa. Va splendidamente di rasoio nell’ azione del 3-0, e segna in prima persona il 4-1, soddisfazione facile ma meritata. Ora però non si ridiscuta il 4-4-2 di partenza, per favore. Voto: 6,5)

L' analisi di Ernesto Valverde (nuovo allenatore dell' Olympiacos, lo rimpiangeremo) su "El Pais"

Dichiarazioni dei giocatori ("El Pais")
Dichiarazioni Aragonés ("El Pais")

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