domenica, agosto 31, 2008

VALENCIA-MALLORCA 3-0: Villa; Mata; Vicente.

L’ inizio è buono, non c’è che dire. Vittoria netta e globalmente convincente del nuovo Valencia di Emery (che comincia a fare scelte pesanti: Hildebrand e Joaquín in tribuna, dentro il nuovo acquisto Renan in porta e Pablo Hernández sulla destra) anche se come non andavano fatti drammi per la pur storica débacle in Supercoppa, anche qui occorre puntualizzare e sfumare i giudizi come giusto che sia.
Il miglior Valencia della serata è stato infatti quello del secondo tempo, quello che ha saputo gestire in maniera impeccabile il doppio vantaggio costruito nel primo tempo, controllando il pallone in scioltezza, schiacciando l’ avversario nella sua metacampo senza offrire il minimo adito a possibili velleità di rimonta e proponendo quelle gradevolissime combinazioni palla a terra in velocità (fra le quali quella del 3-0 del buon Vicentín), con eccellenti movimenti senza palla sulla trequarti, che fanno pensare che sì, forse quest’ anno un altro calcio è possibile al Mestalla.
Prima di questo però c’è stato un primo tempo nel quale il Valencia, per mezzora buona fino a quando si stava sullo 0-0, non era mai riuscito a controllare il gioco a metacampo, mostrando uno spirito positivo ma non uguale padronanza tattica, procedendo più per fiammate estemporanee (le verticalizzazioni per gli scatti sul filo del fuorigioco di Villa e le solite combinazioni sulla sinistra, la fascia forte con Mata, gli spostamenti di Silva e Villa e anche qualche sovrapposizione di Moretti), senza riuscire a coprire il campo nella maniera più razionale e anzi soffrendo un Mallorca che usciva con facilità in palleggio.
Qui si è visto il volto migliore degli ospiti: positivo vedere che pur essendo partiti Ibagaza e Borja Valero con Jurado e Trejo la qualità rimane alta, e questa squadra è sempre capace di proporre trame palla a terra di qualità. Gli ospiti giocano un primo tempo assolutamente alla pari, questo l’ aspetto migliore della serata, ma presto si sciolgono con facilità, ciò che dimostra che questa è una squadra ancora piuttosto tenera, da rafforzare nella tempra: perdite di palla evitabili come quella che avvia il contropiede del 2-0 valenciano, poi dopo il palo colpito da Trejo nell’ ultima parte del primo tempo, che rappresenta l’ ultimo sussulto della partita maiorchina, un secondo tempo di totale passività: senza intensità, a correre dietro al pallone senza mai avere (e direi anche senza mai cercarsi) una possibilità seria per lanciarsi all’ attacco e riaprire la partita, andazzo che rende del tutto ininfluente l’ ingresso di Aduriz (che si mangia pure un gol in maniera inspiegabile già sul 3-0).

I MIGLIORI: Villa, solito show di appetito onnivoro: ogni azione offensiva rilevante del Valencia deve avere una sua partecipazione perlomeno rilevante. Positivo l’ ingresso in corsa di Manuel Fernandes al posto dell’ infortunato (te pareva) Baraja: è lui, non il Pipo agli sgoccioli della propria carriera, il giocatore ideale per interpretare le transizioni rapide del calcio di Emery. Se gioca così, spezzando e rilanciando il gioco senza sosta, con personalità e qualità, il portoghese non faticherà a conquistare il posto. Trejo il giocatore pù pericoloso nel buon primo tempo del Mallorca: seconda punta estrosa e dotata di ottimo dribbling, prima impegna Renan in una parata non facile con un tiro da fuori, poi coglie pure un palo.
I PEGGIORI: Martí pesa poco a metacampo, Jurado e Arango dopo i buoni dialoghi del primo tempo spariscono del tutto nel secondo tempo, Webó è generoso ma difetta di qualità nelle proprie giocate. Un po’ timido Pablo Hernández, una sola bella fuga sul fondo in una partita anonima.

Valencia (4-4-1-1): Renan 6,5; Miguel 6, Albiol 6, Alexis 6, Moretti 6,5; Pablo 5,5 (62') Albelda 6, Baraja s.v. (20'), Mata 6,5; Silva 6,5 (72'); Villa 7.
In panchina: Guaita, Helguera, Angulo 6 (62'), Morientes, Edu, Fernandes 6,5 (20'), Vicente 6 (72').
Mallorca (4-4-1-1): Moyá 6, Josemi 5,5, Ramis 5,5, Nunes 6, Corrales 6; Varela 5,5 (61'), Martí 5,5, Jurado 5,5, Arango 5,5; Trejo 6,5 (74'); Webó 5,5 (61').
In panchina: Germán Lux, D. Navarro, Ayoze, Aduriz 5,5 (61'), Mario Suárez, Santana s.v. (61') Castro s.v. (74').

Goles 1-0 (34'): Villa remata de cabeza un pase de Pablo. 2-0 (37'): Mata, de cabeza. 3-0 (81'): Vicente empuja una asistencia de Angulo.
Árbitro Rubinos Pérez, Colegio Madrileño. Amonestó a Silva (12'), Moretti (19'), Albelda (52') y Alexis (79').
Incidencias Mestalla. Alrededor de 40.000 espectadores. Terreno de juego en perfectas condiciones.

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ESPANYOL-VALLADOLID 1-0: Luis García.

La prima gara della nuova Liga è un discreto orrore, ma per l’ Espanyol son tre punti d’oro: per almeno due settimane allontanerà gli spettri, i dubbi sul nuovo corso e i malumori suscitati dalla campagna di smobilitazione degli ultimi giorni (via Zabaleta e Riera: ma arrivano Nené e Pareja).

Formazione tipo col 4-3-3 per Márquez, Mendillibar invece è privo sia di Canobbio che di Escudero, proprio le due pedine che (assieme a Medunjanin) dovrebbero alzare il tasso tecnico sulla trequarti rispetto alla scorsa stagione, e così rinuncia alla figura del trequartista, optando per un 4-5-1 dove Álvaro Rubio resta prevalentemente vertice basso e Borja e Vivar Dorado si muovono come mezzeali.
Il primo tempo è per stomaci forti: il 4-3-3 e il cambio di filosofia (più possesso-palla) propugnati da Tintín per ora si riducono a mera improvvisazione, le distanze fra i reparti e i giocatori non sono quelle ottimali e il lancio lungo diventa così la soluzione più battuta dal portatore di palla.
Dall’ altra parte il Valladolid è disposto in maniera più razionale, accenna un po’ più di possesso-palla, ma come spesso gli capita manca di lucidità e qualità nello sviluppare l’ azione sulla trequarti: risultato, a fine primo tempo zero tiri nello specchio da ambo le parti.
Vedendo che tutto sommato ha il controllo della situazione tattica, Mendillibar decide di operare due cambi offensivi, fiutando l’ occasione: fuori Goitom, più morto che vivo, dentro Kike, e fuori Borja (magari non andava tolto lui dei centrocampisti) per dare spazio alla vecchia volpe Víctor sulla trequarti. Sarebbero anche i cambi giusti, peccato che subito intervenga una svolta a vanificarli, ovvero il gol del solito Luis García, che servito da De la Peña approfitta dell’ indecisione di Pedro López per procurarsi lo spazio per rientrare sul destro e scaricare a rete.
La partita cambia dal punto di vista psicologico e anche tattico: l’ Espanyol si rianima e con i cambi del Valladolid trova anche più spazi per giocare la palla, specie con De la Peña (che migliora rispetto a un primo tempo mediocre) e prevalentemente in contropiede, ovvero l’ unica situazione per ora familiare, consolidata dall’ epoca Valverde. Anche Coro offre qualcosa in più in termini di vivacità rispetto a Valdo, e Tamudo si mangia un gol clamoroso lanciato davanti ad Asenjo.
Dall’ altra parte la risposta è davvero modesta: Mendillibar si gioca Ogbeche, ma a ritmi bassi e a difesa avversaria schierata, questo Valladolid, privo dei suoi migliori nuovi acquisti, punge davvero poco. Tutto sembrare filare liscio fino al fischio finale per i padroni di casa, ma i tre minuti di recupero offrono più emozioni di quanto non abbiano fatto i novantuno precedenti: Ogbeche colpisce un clamoroso palo di testa solo soletto in area piccola, poi di nuovo il nigeriano con un diagonale mancino al termine di una mischia obbliga Kameni a una deviazione decisiva in calcio d’ angolo.

I MIGLIORI: Sempre Luis García, almeno lui è rimasto, se lo tengano stretto. Nel Valladolid bene García Calvo al centro della difesa, autorevole e puntuale (qualche piccola incertezza invece da Luis Prieto).
I PEGGIORI: Colpevolmente molle Pedro López sul gol avversario, inguardabile Goitom: la cosa che fa più rabbia è che col fisico che si ritrova questo micione si mostri totalmente privo di cattiveria agonistica: se ne sta là davanti, non pressa, non lotta, non conclude, non tiene su un pallone, non offre un punto di riferimento che sia uno.
Giustissimo il cambio, però anche il suo sostituto, il canterano Kike, sebbene volenteroso, si mostra leggerino e anche un po’ confusionario, non combinando nulla. Lo abbiamo già detto, è su questo povero arsenale offensivo che rischia di andare a monte il progetto in altri punti interessante del Valladolid. Pure Víctor non accende la luce. Nell’ Espanyol, non è proprio la serata di Tamudo, e anche Valdo si mostra notevolmente impacciato.

Espanyol (4-3-3): Kameni 6,5; S. Sánchez 6, Jarque 6, Lacruz 6, Béranger 6; Román Martínez 6 (68') Moisés 6, Iván 6,5 (91'); Valdo 5 (56') Tamudo 5, Luis García 6,5.
In panchina: Cristian Álvarez , Chica, Sielva s.v. (91'), Jonathan, Rufete, Corominas 6 (56') ,Ángel s.v. (68').
Valladolid (4-5-1): Asenjo 6; P. López 5,5, Luis Prieto 6, García Calvo 6,5, Marcos 6; Aguirre 6 (73'), Borja 6 (46'), Alvaro Rubio 6, Vivar Dorado 5,5, Sesma 6; Goitom 4,5 (46').
In panchina: Villar, O. Sánchez, J. Baraja, Ogbeche 6 (73'), Víctor 5 (46'), J. Rueda, Kike 5 (46').

Gol: 1-0 (48'): Luis García penetra por la izquierda, recorta a Pedro López y cruza con la derecha.
Árbitro: Ayza Gámez, del Col. Valenciano. Amonestó a Beranguer (39), Rubio (47'), Moisés (66'), Ogbeche (75'), Vivar Dorado (84') y Kike (75') y Sielva (91').
Incidencias: Olímpic de Montjuïc. 19.350 espectadores.

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giovedì, agosto 28, 2008

Atlético a valanga: in Champions!

L’ Atlético Madrid trionfa sullo Schalke e tira un sospiro di sollievo: ora la sua stagione potrà avere un senso. Non è stata la partita perfetta, le titubanze e i difetti rimangono tutti guardando oltre il risultato, però è un’ affermazione salutare e pienamente meritata (magari un po’ eccessivo il passivo per lo Schalke): l’ Atlético ha fatto di più, ha fatto molto, e ha fatto pesare nettamente e indiscutibilmente la propria superiore convinzione e il maggiore spessore tecnico. In una serata in cui non sarebbe comunque giusto individualizzare troppo il discorso, ancora una volta la spinta decisiva l’ hanno data i due fenomeni là davanti: un Agüero che, pur visibilmente al di sotto delle propria migliore condizione (soprattutto nello spunto sul breve), ha deciso con il gol dell’ 1-0 ed entrando in maniera determinante nella produzione del 3-0 e del rigore del 4-0, e un Forlán come al solito impagabile nel movimentare tutto il fronte offensivo, spuntando da una parte e dall’ altra, offrendosi continuamente al portatore di palla e, soprattutto, indirizzando la partita verso la sua più logica destinazione con l’ autentica perla che è valsa il 2-0. È parsa sin troppo evidente la difficoltà dei due centrali tedeschi, Höwedes e Bordon, la differenza di passo ogni volta che venivano puntati e i problemi serissimi ogni volta che venivano costretti a giocare sulla profondità.

I primi dieci minuti erano stati piuttosto lenti e passivi, non lasciavano presagire molto di buono, ma una volta impadronitosi del centrocampo, seppure fra numerose imprecisioni nei passaggi e una fluidità che va e viene, l’ Atlético ha costruito la propria superiorità nel primo tempo. Ha brillato soprattutto Maniche, inaspettato “caso” dell’ estate: si era lasciato malamente con Aguirre lo scorso Gennaio, ma, risolte le incomprensioni e verificato il buon rendimento nel precampionato, il tecnico messicano è tornato sulla sua decisione iniziale, che prevedeva una cessione del portoghese. La presenza di Maniche è stata importante soprattutto nell’ imprimere grinta, dinamismo e ritmo a una squadra nella quale la tentazione dell’ apatia e dello scoramento è sempre presente. Accanto a un Raúl García un po’ macchinoso, ha preso per mano la squadra nel primo tempo, guidando gli attacchi più interessanti, aprendo il gioco verso le fasce e cercando i collegamenti con le punte: proprio da un suo lancio perfettamente calibrato verso la destra è nato il gol del vantaggio, costruito in due tempi (prima una conclusione di Forlán salvata sulla linea di Bordon, poi il colpo di testa decisivo di Agüero smarcato nell’ area piccola) ma sempre a partire dai cross di Perea, quest’ anno stabilmente terzino destro come ai tempi del Boca.
Il primo tempo è proseguito su un sostanziale controllo a ritmi bassi dell’ Atlético, con lo Schalke abbastanza timido e salvato pure dalla fortuna nell’ occasione del palo colpito da Simão con un geniale colpo da biliardo. È a inizio ripresa che l’ Atlético piazza l’ allungo decisivo, premendo nell’ area avversaria prima con un tiro a lato di Raúl García e poi col capolavoro di Forlán, cui uno sfortunato scivolone di Bordon regala quei metri decisivi per prendere palla, puntare, liberarsi dell’ uomo allargandosi leggermente verso il vertice sinistro dell’ area e da qui sferrare uno splendido sinistro rasoterra incrociato verso il secondo palo.
È la svolta che mette l’ Atlético nelle condizioni di gioco tradizionalmente più agevoli per la squadra di Aguirre, cedendo l’ onere (per alcuni invece è un onore) di fare la partita all’ avversario e sfruttare gli spazi in contropiedi. Situazione vantaggiosa che non viene però gestita in maniera razionale, bensì “da Atlético”: è la fase peggiore della partita per i colchoneros, che, soggiogati forse dalla paura di vincere, rinculano troppo, perdono del tutto il contatto con la metacampo avversaria e si consegnano allo Schalke: fortuna che i tedeschi, notizia non nuova, diventino una squadra normalissima ogni volta che si trovano costretti a giocare a ritmi bassi, però è un appunto questo che va al di là della partita di ieri e pone grossi interrogativi sulla competitività di quest’ Atlético ai massimi livelli della Champions: metri per giocare agli avversari, spazio sulla trequarti e difesa che (al di là della sensazione di sicurezza infinitamente maggiore che Heitinga e Ujfalusi sembrano offrire rispetto ai Pablo, Eller o Zé Castro) accorcia poco, di pressing organizzato manco a parlarne, e soliti problemi di coordinazione fra i reparti in fase di non possesso. Con una squadra dalla manovra meno ruminata dello Schalke l’ Atlético avrebbe probabilmente pagato molto di più quelle situazioni, verificatesi continuamente la scorsa stagione e in più di un’ occasione anche ieri, nelle quali a palla persa il solo Raúl García e i 4 difensori rimanevano staccati dal resto della squadra e pericolosamente esposti a possibili contropiedi: espongo una mia convinzione drastica, e cioè che Maxi e Maniche non possano convivere in un 4-4-2 come questo: entrambi portati ad abbandonare costantemente la posizione di partenza per aggiungersi all’ attacco (soprattutto il proptoghese), con la loro condotta tattica possono aggravare questi scompensi.
E detto che lo Schalke di ieri non è stato proprio un alfiere del calcio totale, i brividi il Vicente Calderón li ha corsi eccome, nelle fasi più delicate di questo attacco di panico colchonero: da evidenziare un cross di Westermann che vaga nell’ area piccola senza trovare la deviazione né di Ernst né di Kuranyi provvidenzialmente ostacolatisi a vicenda, poi una conclusione dentro l’ area del liberissimo Westermann (con l’ ingresso di Rafinha avanzato a centrocampo a fare l’ incursore) sventata da Leo Franco. Vedendo la partita in diretta, sembra che onestamente l’ Atlético non ce la possa fare a reggere quest’ andazzo fino al novantesimo, ma i cambi di Aguirre sono intelligenti e riequilibrano la situazione a centrocampo: fuori Forlán e dentro Luis García per ristabilire i collegamenti sulla trequarti (qui dalla mia poltrona storco il naso per l’ uscita dell’ uruguagio, ma i fatti dimostreranno la sensatezza del cambio), fuori l’ ottimo ma anarchico Maniche, che perde spesso la posizione e regala spazio fra le linee, dentro Paulo Assunção, “pivote” difensivo nell’ anima.
Così si ritrovano degli equilibri e negli ultimi dieci minuti si chiude la contesa in contropiede approfittando di uno Schalke ormai sbilanciato dalla disperazione e dall’ ingresso di Asamoah al posto di Jones. Prima Luis García che finalizza un’ azione prolungata di Agüero in campo aperto, poi ancora il Kun avvia il contropiede che, per un fallo su Simão, frutta il rigore trasformato da Maxi. C’è anche un altro palo di Simão nel recupero, ma 5-0 sarebbe davvero troppo.

Ora, sorteggio di Champions (sul cui esito temo purtroppo di non poter scrivere nulla nelle prossime ore), nel quale l’ Atlético suderà freddo in quarta fascia. Comunque vada, l’ affermazione di ieri è un’ iniezione di fiducia importantissima che invita a proseguire nella costruzione di una squadra competitiva anche a livello europeo: splendida notizia è l’ arrivo (in prestito, e con diritto di riscatto fissato a 10 milioni! Non so che parole utilizzare nei confronti del Valencia e di Emery che ha deciso di scartarlo…) di Ever Banega. Già presentato ufficialmente, era una pedina necessaria, per una squadra che negli ultimi anni ha sempre faticato a elaborare gioco in mezzo al campo e a stabilire collegamenti con l’ attacco.

Una parentesi sul Barça di martedì: non ci siamo. Nelle due ultime partite, prima il Gamper e poi il ritorno di questo preliminare, la squadra incoraggiante delle prime uscite estive ha subito una visibile involuzione che l’ ha portata a tornare sugli stessi gravissimi difetti delle ultime stagioni: in particolare un atteggiamento di ripiegamento passivo in fase di non possesso invece che di aggressione sistematica sulla trequarti avversaria, e, in fase di possesso, una mobilità quasi inesistente del centrocampo, con Yaya Touré bloccato davanti alla difesa, senza scambi di posizione con Xavi e Keita (Iniesta ha giocato avanzato, partendo da destra nel tridente con Eto’o e Henry) costretti a ricevere spalle alla porta e a mandare in fumo ogni possibilità di circolazione di palla veloce. Scarsissima coralità e azioni offensive affidate in maggioranza ad iniziative dei solisti. Punto e a capo, per Guardiola c’è ancora molto da lavorare.

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lunedì, agosto 25, 2008

SUPERCOPPA DI SPAGNA RITORNO: Real Madrid-Valencia 4-2: Silva (V); Van Nistelrooy, rig. (R); Sergio Ramos (R); De la Red (R); Higuaín (R); Morientes(V

ME-MO-RA-BI-LE. Se non fosse ormai consuetudine, dovrei abbondare con le iperboli e le metafore miracolistiche su questo Real Madrid, la squadra del cuore obbligata per chi sostiene con convinzione che la palla è rotonda: modesta quando si tratta di ragionare, con palesi stenti nell’ attaccare una difesa schierata; semplicemente straordinaria quando può giocare tutto sulla disperazione e sul cuore, sostenuta da una fede incrollabile e un atletismo che nella Liga non hanno eguali.
Dopo il finale della Liga 2006-2007, in cui sembrava andare in svantaggio apposta per poter poi rimontare “comodamente”, e dopo la partita decisiva di Pamplona, dello scorso campionato, rimonta in due minuti 10 contro 11, i merengues approfittano di questa Supercoppa per alzare ancora una volta di più gli standard dell’ inaudito calcistico: pareggio in 10 contro 11, poi, già in 9 contro 11, tre gol per rimontare e infine goleare il Valencia nell’ infimo spazio di dodici minuti dodici!!! Ancora una volta ridicolizzando la logica, e nell’ occasione sovrapponendosi pure a decisioni arbitrali non troppo giuste (non assurdo ma eccessivo il rosso a Van der Vaart; Albiol andava espulso sul rigore dell’ 1-1; indiscutibile invece la doppia ammonizione per Van Nistelrooy).
Chiaro comunque che dall’ altra parte c’è, ci deve essere per forza, qualcosa che assomiglia molto a un suicidio: il secondo tempo del Valencia è stato come minimo ingenuo e come massimo scellerato: i giocatori in campo (con qualche errore dalla panchina), dopo un primo tempo barboso per lo spettatore ma assai efficace dal loro punto di vista (con un’ impostazione tattica speculativa alla Quique applicata molto correttamente), non hanno saputo minimamente interpretare e gestire il doppio vantaggio, numerico e nel tabellone: col coltello dalla parte del manico ma senza un’ idea, qualsiasi essa fosse (puramente conservativa oppure offensiva, per provare incrementare il vantaggio), da imporre all’ avversario in difficoltà, hanno finito col farsi trascinare dalla corrente della partita, rimediando una batosta difficile da cancellare ma che, mandata giù a dovere, nella sua evidenza può fornire anche tante preziose indicazioni sui moltissimi aspetti nei quali questa squadra deve migliorare per tornare ad essere competitiva.

Rispetto all’ andata, Schuster boccia Robinho e De la Red in favore di Guti e Robben, mentre la difesa riassume contorni decisamente più presentabili col rientro dal primo minuto di Sergio Ramos e Pepe; stesso undici invece per il Valencia.
Al contrario di domenica scorsa, in avvio è il Real Madrid a fare chiaramente la partita, perché il Valencia come era abbastanza prevedibile arretra il baricentro, attenua di molto il pressing, cede il possesso-palla e opta per la densità a metacampo e il contropiede. Una densità che dà decisamente fastidio al Madrid in tutto questo primo tempo, poiché Van der Vaart e Guti sono costantemente vigilati fra le linee del compatto 4-4-2 valenciano, e questo aumenta ben oltre il necessario il peso nella costruzione della manovra dei due difensori centrali e di Diarra: i tre si trovano a toccare sin troppo il pallone, e l’ inizio dell’ azione merengue ne risente, il pallone esce il più delle volte in maniera macchinosa o imprecisa dalla metacampo madridista, e ciò facilita il piazzamento difensivo degli ospiti.
La scelta del Valencia è radicalmente opposta a quella dell’ andata anche nei ritmi, in quell’ occasione molto alti e accompagnati da un’ aggressione costante, qui bassissimi e volutamente ai limiti della sonnolenza. La cosa che colpisce di più è però come il Madrid si adegui a questi ritmi, assai passivamente. Oltre all’ impotenza nell’ elaborazione della manovra, che ricorda quella dell’ eliminazione dalla Champions con la Roma, c’è anche un atteggiamento piuttosto blando in fase di non possesso, manifesto nell’ azione del gol del vantaggio ospite, una serie di passaggi dei giocatori del Valencia (la prima seria azione manovrata degli ospiti) che non trovano opposizione fino a quando Silva non scaraventa in fondo al sacco dal limite dell’ area, sorprendendo Iker con una rasoiata a fil di palo non priva di una certa classe.
Se a questo poi aggiungiamo la successiva espulsione di Van der Vaart (discutibile: l’ entrataccia c’è, ma non sembra esserci la sufficiente cattiveria, e viene toccato anche il pallone), qualcuno potrebbe dare per morti sia il Real Madrid che la partita. Qualcuno evidentemente molto ingenuo, che non sa che questi sono i segnali scatenanti delle migliori prerogative madridiste.
Già con l’ inizio della ripresa si nota un cambio di atmosfera al Bernabeu, un Real Madrid che perlomeno mostra generosità e aggressività, che cerca la verticalizzazione e la palla dentro l’ area con molta più convinzione, da qui il rigore del pareggio: lancio di Guti, torre di Sergio Ramos e colpo di testa a botta sicura di Van Nistelrooy, “parato” con il braccio da Albiol: chiara occasione da gol, mi pare, però magicamente Iturralde si limita al cartellino giallo per il Raúl valenciano (quello campione d’ Europa). Ruud comunque non fa una piega e trasforma, chiamando le sue truppe all’ arrembaggio.
È il momento in cui Schuster può attuare i suoi schemi prediletti: innanzitutto lo “Schema-Sergio Ramos”, ovvero “mi butto in avanti a testa bassa e chi si è visto si è visto”, poi lo “Schema-Robben”, ossia “prendo palla parto e chi si trova sulla mia strada, affari suoi”. Sulla strada di Arjen si trova Moretti, mandato letteralmente al massacro dalla mancanza di aiuti e raddoppi sulla propria fascia, uno contro uno con l’ olandese che nel secondo tempo diventa costante e dall’ esito ovviamente scontato.
A dir poco sconcertante il Valencia: con un’ infinità di opzioni disponibili per chiudere la partita, tutte di applicabilità relativamente facile dato il vantaggio numerico, potendo indifferentemente cercare di affondare in cerca del raddoppio oppure temporeggiare e restare coperto ingolfando l’ azione del Real Madrid, si sbriciola letteralmente, consegnandosi a una partita da una porta all’ altra che non fa che gettare benzina sul fuoco dell’ esaltazione madridista. Avere un uomo in più a maggior ragione renderebbe efficace un’ accentuazione di quella circolazione del pallone lenta e speculativa intravista nel primo tempo, la quale avrebbe la funzione di spegnere gli ardori avvesari e mantenere vicini i giocatori e compatta la squadra, invece gli ospiti adottano una gestione del pallone scriteriata che non è né carne né pesce, né “melina” né contropiede, perdono palloni in maniera incomprensibile e si allungano progressivamente, facendo venire meno ogni protezione della difesa sempre più esposta alle sfuriate madridiste.
Ci mette del suo anche Emery, che non interviene nella zona più delicata, ovvero il settore centrale del centrocampo. Come all’ andata, Albelda e Baraja si sgonfiano: c’è poco da fare, la loro autonomia è limitata (soprattutto quella del “Pipo”), e l’ era-Benitez è lontanissima ormai. Si tratta di un punto delicatissimo e decisivo di questo nuovo Valencia: se l’ idea di Emery è quella di un undici intenso, aggressivo, rapido nell’ affrontare entrambe le transizioni, e il centrocampo dovrebe esserne il motore, questi non sembrano più gli uomini adatti, e l’ aspetto più spinoso è che una loro successione è ancora lungi dal consolidarsi. Emery non si gioca la freschezza di Fernandes (al posto di Baraja o al posto di una punta, questa sarebbe stata l’ idea) come all’ andata, cambia solo i due esterni, non ricompatta la squadra e così perde definitivamente la battaglia della mediana, per quanto ciò possa sembrare strano contro un Real Madrid sgangheratissimo, coi soli Diarra e Guti nel mezzo e un Raúl che gioca praticamente a tutto campo (monumentale il suo sacrificio nei ripiegamenti, però la nulla produzione offensiva non gli permette di andare oltre la sufficienza).
E dire che ci sarebbe anche la seconda ammonizione di Van Nistelrooy a offrire un ulteriore golosissimo assist al Valencia perché riprenda possesso della partita, ma la cosa dura solo un paio di minuti in cui il Valencia sembra poter capire che far girare il pallone e tenere un po’ lì il Real Madrid sembra la cosa più logica. Pura illusione: la grande forza del Madrid, non ci stancheremo mai di ripeterlo, è che sa di poter contare sempre sull’ episodio, al di là dell’ andamento globale dela partita, e che su quell’ episodio le sue forze risulteranno il più delle volte preponderanti.
Detto fatto, ecco un calcio d’ angolo, situazione nella quale gli effetti dell’ inferiorità numerica tendono a minimizzarsi: qui va aperta una parentesi sulla catastrofica difesa di queste azioni da parte valenciana, problema che si trascina dal crepuscolo dell’ era Quique passando per l’ interregno di “Rambo il Distruttore”, problema al quale Emery, celebre all’ Almeria proprio per la cura maniacale delle palle inattive, dovrà mettere mano con assoluta urgenza: inammissibile vedere Diarra saltare libero e felice al centro dell’ area per cogliere la traversa, traversa dalla quale si origina un rimpallo e la successiva ribattuta a rete dello spiritato Sergio Ramos.
Tardivo e improduttivo il tentativo di reazione ospite nell’ ultimo quarto d’ ora (Emery si gioca Morientes per Albiol quando non c’è più nulla da perdere), che lascia spazio soltanto all’ apoteosi merengue: Hildebrand è pollo che più pollo non si può sulla comunque ingegnosa conclusione del neo-entrato De la Red dalla trequarti, poi è l’ altro nuovo entrato Higuaín ad approfittare di un retropassaggio da crocifissione immediata di Alexis. L’ ultimo gol della serata, al 90’, serve solo al Moro Morientes per segnalare che è vivo e vegeto.

I MIGLIORI: Uragano Robben: largo a destra (dopo aver iniziato solo i primissimi minuti di partita a sinistra) nel secondo tempo scatena il finimondo quando il Valencia si sfilaccia e gli lascia gli spazi per andare palla al piede. Lo scenario del secondo tempo scatena anche gli istinti animaleschi di Sergio Ramos, l’ altro grande eroe della serata.
Nel Valencia, scusate il gioco di parole, si salva Silva, se non altro per il gol, perché poi sparisce anche lui nell’ inconcepibile secondo tempo che.
I PEGGIORI: Ovviamente c’è poco da salvare nel Valencia. Abbiamo già analizzato globalmente i problemi del centrocampo, qui mi concentro su Baraja, elegante signore di mezza età a passeggio per il campo: troppo troppo troppo lento nel proporre gioco, se a questo aggiungiamo la genetica incapacità di Albelda nell’ impostazione non si capisce da dove possa scaturire quella manovra in velocità che vorrebbe Emery. Baraja poi esaurisce la benzina passata l’ ora di gioco, e il centrocampo non regge più: lui e Albelda non possono più essere quella macchina da pressing dei tempi di Benitez, gli anni passano per tutti.
Altri due cattivi protagonisti: Joaquín inesistente, tanto per cambiare, Hildebrand ancora una volta del tutto incapace di trasmettere sicurezza e a tratti (vedi il gol di De la Red) persino dilettantesco nelle scelte: quello del tedesco si profila sempre di più come uno dei tanti investimenti a vuoto della sciagurata era-Soler.

Real Madrid (4-3-3): Casillas 6,5; Ramos 7,5, Pepe 6, Heinze 5,5, Torres 6 (63'); Van der Vaart 5,5, Diarra 6, Guti 5,5 (79'); Raúl 6 (80'), V. Nistelrooy 6, Robben 7,5.
In panchina: Dudek, Marcelo, J. García, Robinho, Drenthe s.v. (63), De la Red 6,5 (79'), Higuaín 6 (80').
Valencia (4-4-1-1): Hildebrand 5,5, Miguel 6, Albiol 5,5 (86'), Alexis 5, Moretti 5,5; Joaquín 5 (67'), Albelda 5,5, Baraja 5, Mata (59'); Silva 6,5; Villa 5,5.
In panchina: Guaita, Helguera, P. Hernández 5,5 (67'), Vicente 5,5 (59'), Fernandes, Edu, Morientes 6 (86').

Goles: 0-1 (32'): Silva, con la zurda. 1-1 (49'): Van Nistelrooy, de penalti. 2-1 (76'): Ramos, de rechace. 3-1 (85'): De la Red, desde fuera del área. 4-1 (88'): Higuaín. 4-2 (89'): Morientes.
Árbitro: Iturralde González, colegio vasco. Amonestó a Albiol (49'), Heinze (73') y Alexis (77') y expulsó por roja directa a Van der Vaart (39'), y Van Nistelrooy por doble amarilla (53' y 72').
Incidencias: Bernabéu. 74.000 espectadores.

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giovedì, agosto 21, 2008

AMICHEVOLE: Danimarca-Spagna 0-3: Xabi Alonso; Xavi; Xabi Alonso.

Danimarca: Sorensen, Jacobsen (70'), Laursen, Agger, Silberbauer, Rommedahl, Poulsen, Jensen (78'), Vingaard (55'), Tomasson (55'), Bendtner.
In panchina: Cristopher (55'), Kroldrup, Retov (78'), Nordstrand, Christiansen, Andreasen, Borring (70'), Bernburg, Thygesen (55'), Andersen.

Spagna: Casillas (75'), Ramos (75'), Albiol, Puyol, Capdevila, Silva (46'), Senna, Xavi, Iniesta (62'), Villa (46'), Torres (62').
In panchina: Reina (75'), Navarro, Capel (46'), Cazorla (62'), X. Alonso (46'), Bojan, Güiza (62'), Iraola (75'), Juanito, Amorebieta.

Goles: 0-1 (51'): Xabi Alonso remata tras un gran sombrero de Fernando Torres dentro del área. 0-2 (74'): Xavi con el interior desde la frontal del área. 0-3 (90'): Xabi Alonso empalma un gran centro de Capel.

Árbitro: Martin Hansson, de Suecia. Amonestó a Sergio Ramos (24') y Bendtner (43').



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lunedì, agosto 18, 2008

SUPERCOPPA DI SPAGNA ANDATA: Valencia-Real Madrid 3-2: Van Nistelrooy (R); Mata (V); Villa (V); Van Nistelrooy (R); Vicente (V).

Il primo appuntamento ufficiale della stagione è riuscito: buono spettacolo al Mestalla, discorso ancora tutto in bilico fra un Valencia che comincia a palesare i primi incoraggianti segni del progetto di Emery e un Real Madrid che mantiene tutte le sue caratteristiche: gioco sempre stentato, difficoltà a trovare un filo logico e una continuità di manovra riconoscibile, ma anche la solita brutale efficacia sotto porta, la capacità di sfruttare episodi slegati dal contesto generale della partita che gli garantisce ottime chances per il ritorno casalingo.

L’ inizio è tutto di un ottimo Valencia: sebbene il modulo rimanga quello classico dell’ epoca recente (4-4-1-1) e gli uomini cardine continuino a risalire all’ era-Benitez (Albelda-Baraja), emergono già le caratteristiche salienti della filosofia di gioco di Emery: baricentro avanzato, pressing molto alto sulla trequarti avversaria, preferenza per la verticalizzazione immediata una volta riconquistato il pallone e ricerca della transizione offensiva ultra-veloce, ma anche spiccata coralità nell’ attaccare la difesa schierata, col costante accompagnamento dei terzini all’ azione offensiva.
I padroni di casa entrano subito in partita a differenza dei loro avversari: Silva e Villa esercitano un pressing feroce, accentuando le solite difficoltà di Diarra (per il resto abbastanza puntuale in copertura) nell’ iniziare l’ azione davanti alla difesa, e il Valencia preme impegnando seriamente Casillas. Però, alla prima azione orchestrata nella metacampo avversaria, il Real Madrid passa: ottimo lancio di De la Red (unica cosa buona della sua partita, per il resto fuori dal gioco), ma la meraviglia sta tutta nell’ ennesima dimostrazione di fiuto del gol impareggiabile da parte di Van Nistelrooy, che vede e trova il gol anche da posizioni del tutto ignote ai comuni mortali (va detto comunque che Moretti ci poteva mettere un po’ più di aggressività nel chiudergli l’ angolo di tiro, per quanto ridotto esso fosse).
Brutta botta lo svantaggio per il Valencia, che accusa il colpo dal punto di vista del morale morale e passa un quarto d’ ora di stallo prima di ritrovare l’ aggressività e le geometrie giuste. Fra l’ ultima parte del primo tempo e l’ inizio della ripresa, l’ undici di Emery torna però in pista, sfruttando quasi esclusivamente la situazione nettamente favorevole sulla propria fascia sinistra: se sulla destra Miguel e Joaquín pareggiano con Robinho e Miguel Torres, dalla parte opposta il disegno asimmetrico del 4-3-3 di Schuster prevede il solo Salgado (inspiegabilmente preferito dall’ inizio a Sergio Ramos) come uomo di fascia autentico: Emery allora insiste spudoratamente sul triangolo Mata-Silva-Villa, una della poche situazioni fortunate già nel Valencia di Koeman, solo che con l’ olandese il modulo era un 4-3-3 (fasullo) e Villa partiva spesso largo a sinistra con Silva falso centravanti.
Comunque, il principio rimane lo stesso: a Mata si aggiunge Moretti in sovrapposizione, e dal centro spessissimo si allargano (anche per una propensione naturale) Silva e Villa, i quali spesso e volentieri mettono in minoranza Salgado, attirando la difesa madridista in quella zona e creando di volta in volta gli spazi per inserimenti centrali a rimorchio difficili da controllare. Di fronte a questa situazione di evidente squilibrio, l’ ingresso di Robben poteva forse essere anticipato e utilizzato non come rimpiazzo (pure tremendamente efficace) di Robinho a sinistra, ma al posto dell’ inutile Raúl, largo a destra col compito di equilibrare la situazione sulla fascia forte del Valencia tenendo almeno basso Moretti.
Dopo uno sfortunato palo di Silva nel primo tempo, al decimo minuto della ripresa gli uomini di Emery trovano il meritato vantaggio: l’ azione non nasce dalla fascia forte, ma da un’ estemporanea escursione sulla destra di Albelda, il cui traversone trova un geniale velo a centro area di Silva che libera l’ inserimento di Mata dalla sinistra, il quale insacca sul primo palo con un sinistro secco. Quattro minuti più tardi invece, in piena esaltazione valenciana e disorientamento merengue, il gol del vantaggio ha origine proprio dalla situazione di superiorità sulla fascia sinistra analizzata sopra: Silva e Mata combinano e attirano la difesa madridista, Villa taglia verso il primo palo, clamorosamente scoperto, e incorna a rete il perfetto traversone di Mata (il ragazzo calcia da manuale, dovrebbero usarlo come modello nelle scuole calcio) approfittando dell’ uscita a farfalle di Casillas, punto debole del repertorio del portiere madridista che ogni tanto riaffiora.
Con la partita che sembra in discesa per il Valencia, emerge però il solito grande carattere che porta il Madrid a reagire nei momenti più inaspettati, colpendo in maniera quasi frustrante per l’ avversario. Decisiva l’ entrata di Robben, che restituisce profondità a una fascia sinistra ieri svogliatamente abitata da Robinho: il neo-entrato Pablo Hernández sbaglia del tutto i tempi dell’ uscita in pressing e viene saltato da Robben costringendo Albelda a improvvisare con insuccesso una chiusura laterale, Robben salta netto anche questo e ormai ha la strada in discesa, ubriacare anche Miguel è uno scherzo, il resto lo fa il pessimo piazzamento del Valencia, con la linea difensiva tutta schiacciata su Hildebrand e l’ ingresso dell’ area del tutto incustodito, e la spietatezza di Van Nistelrooy, che arriva solo soletto e non si fa pregare di certo.
Momento delicato per il Valencia, del quale è palese il calo atletico (specialmente nella società Albelda-Baraja), lo scemare del pressing e l’ aumento delle distanze tra i reparti che ora consente al Madrid di elaborare l’ azione con più comodità. In questi spazi che crescono e in questa pressione che si allenta Schuster pensa di inserire Guti in cerca del pase definitivo, e pensa anche bene, però il contemporaneo ingresso di Manuel Fernandes (Emery pare contarci) per Baraja restituisce vigore al centrocampo di casa, che torna a controllare la situazione nel quarto finale di partita. Così arriva il gol che chiude (momentaneamente) la contesa, a firmarlo è Vicente, entrato al posto di Mata, un altro degli uomini che Emery avrà il compito di resuscitare, forse il più prestigioso di tutti: inutile dire che il gol è frutto dell’ ennesima combinazione sul centro-sinistra, col solito Silva a fungere da demiurgo.
In conclusione, e prima ancora di conoscere l’ esito definitivo di domenica, si può dire che il Valencia cominci già a rivendicare una propria diversità rispetto non solo ai disastri di Koeman, ma anche rispetto allo stile di gioco conservatore di Quique, anche se certe distrazioni difensive rimangono e la fase di non possesso deve essere ancora perfezionato. Del Madrid si può dire poco di nuovo, che giochino male per loro non vuol dire niente perché hanno un’ efficacia provata molto al di là di questo discorso, e a discolpa bisogna rilevare il carattere piuttosto improvvisato (date le assenza di Pepe, Cannavaro e Marcelo) della linea difensiva schierata ieri.

I MIGLIORI: Silva è la variabile decisiva, col suo movimento fra le linee e in appoggio alla fascia sinistra, solito connubio di genialità individuale e spiccato senso del gioco di squadra. Villa lo asseconda, per struttura fisica entra in forma presto e ha sempre il secondo in più di risposta rispetto ai difensori madridisti, brillando come al solito anche nella costruzione delle combinazioni sul centro-sinistra.
Delude Van Nistelrooy: solitamente ha bisogno di mezza palla gol per fare una doppietta, qui ne spende addirittura due. Quando gli avversari calano il ritmo, l’ ingresso di Robben si rivela devastante: speriamo solo che gli infortuni lo risparmino almeno quest’ anno, e riavremo la miglior ala sinistra del mondo. Ottimo Miguel Torres, non concede un metro a Joaquin e offre un’ interpretazione tatticamente perfetta sul piano puramente difensivo (il suo punto forte).
I PEGGIORI: Si trascina per il campo Raúl, quasi d’ intralcio nella fase offensiva e protagonista di un solo ripiegamento prezioso in quella difensiva (sulla fascia nella quale il Valencia attaccava in totale libertà): triste che le gerarchie immutabili impediscano a Schuster di cambiarlo anche quando si trova in questre condizioni, e a pagare siano sempre altri, in questo caso un Robinho comunque deludentissimo. La formazione ideale del Real Madrid prevederebbe Van Nistelrooy centravanti e Robinho e Robben larghi a scambiarsi le posizioni, ma a questo non si ha ancora intenzione di arrivare e probabilmente non ci si arriverà mai.
Delude Javi García difensore centrale, come lo sta utilizzando Schuster in questo precampionato: nonostante potenzialità interessanti, il canterano tende a perdere la posizione e il riferimento in marcatura, e questo spesso si traduce in occasioni per l’ avversario. Il nuovo acquisto Van der Vaart cerca di battersi ma si perde in una partita di anonimato, giocata prevalentemente da interno, lontano dalla zona calda della trequarti. Joaquín, forse prossimo alla cessione, non va via una volta.

Valencia (4-4-1-1): Hildebrand 6; Miguel 6, Albiol 6, Alexis 6, Moretti 6; Joaquín 5,5 (Pablo 5,5, m.65), Albelda 6, Baraja 6 (Fernandes 6, m.74), Mata 6,5 (Vicente 6,5, m.71); Silva 7,5; Villa 7.
Real Madrid (4-3-3): Casillas 6; Salgado 5,5 (Sergio Ramos, m.63), Javi García 5,5, Heinze 6, Torres 6,5; De la Red 5,5, Diarra 6, Van der Vaart 5,5; Raúl 4,5 (Guti s.v., m.74), Van Nistelrooy 7,5, Robinho 5 (Robben 7, m.63).

Gol: 0-1, m.13 Van Nistelrooy. 1-1, m.55 Mata. 2-1, m.59 Villa. 2-2, m.67 Van Nistelrooy. 3-2, m.80 Vicente.
Incidencias: Partido de ida de la Supercopa de España, disputado en el Camp de Mestalla ante 40.000 espectadores.

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venerdì, agosto 15, 2008

La prima lista di Del Bosque.

Portieri: Casillas (R.Madrid), Reina (Liverpool)

Difensori: Sergio Ramos (R.Madrid), Puyol (Barcelona), Juanito (Betis), Albiol (Valencia), Amorebieta e Iraola (Athletic de Bilbao), Fernando Navarro (Sevilla) y Capdevila (Villarreal)

Centrocampisti: Xabi Alonso (Liverpool), De la Red (R.Madrid), Silva (Valencia), Xavi e Iniesta (Barcelona), Cazorla e Senna (Villarreal), Diego Capel (Sevilla)

Attaccanti: Fernando Torres (Liverpool), Villa (Valencia), Güiza (Fenerbahçe), Bojan (Barcelona).

Così, a prima vista, penso che io e Baffone andremo d' accordo. Mancano Marchena, Cesc e Palop per motivi fisici, Arbeloa e Sergio García per scelta tecnica, il blocco resta quello dell' Europeo (ci mancherebbe), ma ci sono quattro novità significative e assai apprezzabili.
Innanzitutto, non sarà la più significativa nè probabilmente lascerà grande traccia, perchè Sergio Ramos è inamovibile, ma la novità che più mi rallegra è Iraola, giocatore che se lo strameritava da tempo per regolarità di rendimento. Come scritto l' altro giorno nel post di presentazione dell' Athletic, Andoni è il miglior terzino destro di Spagna dopo Sergio Ramos, per cui questa convocazione mette finalmente giustizia.
L' aspetto significativo sta nell' attenzione che sin dalle prime indiscrezioni giornalistiche Del Bosque sembra voler porre a un aspetto che più volte ho sottolineato come migliorabile in questa nazionale: il gioco sulle fasce. L' ex tecnico madridista vuole aggiungere alternative al palleggio tutto accentrato dei "jugones", riservandosi l' opzione di allargare di più il campo quando necessario con ali e terzini di grande spinta. Iraola risponde a questa intenzione (in attesa di novità dall' altra fascia: credo che Del Bosque sia il primo a sperare che Emery possa far tornare giocatore di calcio Del Horno), e ovviamente anche Diego Capel: nell' aria da tempo la chiamata per il sivigliano, abbastanza scontata visto il grande momento che il giocatore sta attraversando nella pretemporada. Anche su Capel non mi dilungo più di tanto, visto che si tratta di un discorso già affrontato un centinaio di volte: per diventare campione occorre intendere meglio il gioco di squadra e progredire tatticamente, imparare quando andare palla al piede e quando invece attaccare lo spazio, perchè le doti naturali sono sotto gli occhi di tutti: accelerazione bruciante e allungo devastante, cambi di direzione palla al piede, repertorio di dribbling non molto vario ma che lascia il segno, e un cross mancino sempre ottimamente calibrato. E a Capel potremmo aggiungere altri extremos nei prossimi mesi, il rendimento nel campionato ci dirà quali (se si risolve il problema di Navas poi, un posto è già riservato).
E legato a Capel in una politica di ulteriore ringiovanimento di una rosa già piuttosto giovane agli Europei, ecco Bojan, la novità più annunciata di tutte (già Aragonès lo voleva portare agli Europei, il ragazzo preferì declinare non sentendosi pronto, segno che la testa c'è). Per me l' ispano-serbo è un predestinato, negli ultimi metri di campo ha uno spunto e un' intuizione fuori dal comune, però lo vedo in prospettiva un po' in crisi nel Barça di quest' anno: nel 4-3-3 non è completamente adattabile alle fasce, mentre al centro come prima punta soffre schiacciato sui centrali avversari e partecipa ancora troppo poco al gioco per quanto richiede Guardiola al centravanti. Il suo ruolo ideale, come ho già detto, sarebbe quello di seconda punta con libertà di movimento in un 4-4-2, son convinto che schierato così il suo rendimento aumenterebbe di un 50%, e in nazionale gli potrebbe anche andar meglio, vista la maggior possibilità di giocare con questo modulo. In fondo, le sue caratteristiche non sono troppo distanti da quelle di un Villa.
Infine, l' ultima novità viene anch' essa dall' Athletic, ed è Amorebieta, un altro già seguito da Aragonés mesi addietro, centrale marcatore dai grossi mezzi atletici che deve confermare i progressi compiuti dal punto di vista tattico nella passata stagione (per le descrizioni approfondite sua e di Iraola vi rimando al post sull' Athletic). In prospettiva 2010, sembra abbastanza chiara al momento una quaterna di difensori centrali composta da lui, Puyol, Piqué e Albiol.

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giovedì, agosto 14, 2008

Barça normale amministrazione, Atlético normale sofferenza.

Serata infernale con lo streaming: fra continue interruzioni, giocatori pixellosi e palloni che si sdoppiano, non posso onestamente lanciarmi in analisi troppo raffinate. Per l’ Atlético ho resistito fino alla fine dell’ orrendo primo tempo, poi ho virato sul Barça, del quel son riuscito a vedere con buona continuità almeno il primo tempo e poi un po’ a salti il secondo. Queste le basi delle mie considerazioni (cui per il Barça aggiungo gli aspetti emersi nelle amichevoli).

Era difficile pensare che il primo Atlético della nuova stagione potesse differenziarsi da quello della scorsa: stessi difetti, stessi vizi. Centrocampo che, per quanto Paulo Assunçao si sia battuto dignitosamente, viene puntualmente superato dagli avversari in uno-massimo due passaggi, difesa senza rete di protezione e quasi sempre mal disposta, presa facilmente alle spalle sulle verticalizzazioni e nella solita tremenda sofferenza su ogni traversone. Ujfalusi, che nelle previsioni (anche mie) avrebbe dovuto dare un po’ di esperienza e serenità, è stato invece catastrofico, abbonato allo svarione e con enormi difficoltà nel seguire l’ uomo nella sua zona. L’ Atlético per quanto visto nel primo tempo può veramente ringraziare il cielo (e gli errori sottoporta di Rakitic) per aver preso un solo gol (magnifica esecuzione su calcio piazzato del sublime sinistro di Pander): nemmeno un minuto e già Leo Franco deve compiere una grande parata su Rakitic, poi per 25 minuti buoni gli uomini di Aguirre faticano a distendersi, e proprio quando cominciano perlomeno ad assestarsi subiscono il gol, provocato da un fallo evitabile di Antonio López sulla trequarti (altro disastro il terzino sinistro, prenderà pure la seconda ammonizione nell’ ultimo quarto di partita, compromettendo le velleità di rimonta dei colchoneros).
Cominciare ad assestarsi comunque vuol dire soltanto occupare il campo in maniera un po’ più decente, non certo giocare a calcio: il massimo che si vede son serie di passaggi sottoritmo e senza alcuna profondità, con un attacco destinato a pungere molto poco se Sinama diventa la prima e unica alternativa (non ce l’ ho col francese, ma può essere un grave errore di pianificazione… va bene che Diego Costa verrà ceduto in prestito, ma per ieri non è stato nemmeno convocato, e l’ Atlético non aveva neanche un attaccante puro in panchina) in assenza del Kun. Come dettaglio tattico da valutare anche in futuro, ho potuto notare un 4-4-2 alternativamente disposto in linea o a rombo, con Raúl García tendente a staccarsi in appoggio alle punte, Assunçao basso davanti alla difesa (come nel Porto): questo in attesa del nuovo acquisto sulla trequarti al quale sarebbe più difficile arrivare in caso di mancata qualificazione.
Nel secondo tempo Luis García si avvicina anche al gol, ma qui mi posso affidare solo alle cronache altrui (che parlano di Simao come l’ unico positivo della serata). Sarà durissima per l’ Atlético al ritorno, sono decisamente pessimista. L’ unica speranza è il ritorno di Agüero dalle Olimpiadi: siccome non puoi inventarti in due settimane un gioco che non hai mai avuto in due anni (motivo per cui avrei preferito un cambio di guida tecnica, nonostante Aguirre l’ anno scorso abbia centrato l’ obiettivo fissato dalla società), l’ unica via sono le individualità offensive, ovvero l’ unica arma che ha permesso all’ Atlético di raggiungere il quarto posto nella scorsa mediocre Liga.

Dall’ altra parte, il Barcelona, pur contro un avversario scarsamente attendibile come il Wisla, conferma le buone sensazioni delle amichevoli precedenti. Al di là di non pochi aspetti da perfezionare, è visibile la volontà di un inversione di marcia rispetto al recente passato, non certo nel modulo, che resta il 4-3-3, ma nei concetti che lo innervano. Si nota una ricerca costante dell’ aggressività, del ritmo nella circolazione del pallone, delle combinazioni che coinvolgono più uomini, della verticalità e della pressione nell’ area avversaria, magari a tratti ancora precipitosa (quando entrambi gli interni vanno a inserirsi in area il rischio è di voragini una volta persa la palla), ma già da ora capace di fruttare momenti di calcio divertente e una quantità industriale di palle gol e di situazioni pericolose, situazione che non manca di sorprendere piacevolmente considerando il Barça dell’ ultimo anno un monumento alla staticità. L’ obiettivo è tornare ad offrire quello che proponeva il Barça 2004-2005, il più spettacolare degli ultimi anni.
Scorrendo la formazione di partenza di ieri sera (Valdés; Daniel Alves, Márquez, Puyol, Abidal; Xavi, Keita, Iniesta; Pedro, Eto’o, Henry) le note più interessanti sono la titolarità di Pedrito e la presenza di Keita con Iniesta e Xavi. Se nel primo caso si tratta di una situazione passeggera (ma indicativa della mentalità del tecnico, e cioè “se un giocatore si dimostra funzionale alla mia idea di calcio, non mi importa che sia uno sbarbatello, lo utilizzo lo stesso”… e Pedrito allarga il campo, detta il passaggio in profondità e lavora bene nella creazione di spazi sul centro-destra con Alves e Xavi) e anche sorprendente visto che Hleb aveva già dimostrato ottime cose nelle amichevoli da vice-Messi improvvisato ma incisivo, nel secondo è indicativa del progetto che Guardiola ha in mente per il suo centrocampo, con la mobilità come idea-guida.
Keita al posto di Touré vuol dire più dinamismo e rapidità e un’ interpretazione tatticamente molto diversa: mentre l’ ivoriano rimane abbastanza bloccato davanti alla difesa, Keita quando parte vertice basso (non sempre, ieri dopo una ventina di minuti è passato Iniesta davanti alla difesa) si sposta continuamente avanti, a destra e a sinistra, facilitando la creazione di quegli spazi che permettono a Xavi e Iniesta di ricevere palla fronte alla porta e con la possibilità di rigiocarla subito, invece che spalle alla porta, pressati e con la prospettiva del tocco di troppo che permette alla difesa avversaria di piazzarsi o del passaggio indietro.
La creazione degli spazi attraverso un movimento incessante sarà l’ aspetto chiave della fase di possesso di questo nuovo Barça: dimenticare la dipendenza totale dalle incursioni palla al piede di Messi e (in misura minore) Iniesta e arrivare a creare i presupposti delle conclusioni attraverso triangolazioni, scambi di posizione e sovrapposizioni che coinvolgano molti giocatori. È un aspetto che si sta già cominciando ad apprezzare soprattutto nella catena di destra composta da Alves, Xavi e “?” (Messi, Hleb, Bojan, Pedrito, Jeffren), il vero punto di forza di queste prime uscite blaugrana. Alves con le sue caratteristiche enciclopediche rappresenta una rivoluzione per ogni squadra in cui va a giocare: nel Sevilla era la principale fonte di gioco, qui si aggiunge a tutti gli altri “registi” già presenti e potenzia notevolmente l’ inizio dell’ azione (aspetto che non mi stancherò mai di sottolineare quanto sia importante per una grande squadra, in contrapposizione a chi pensa ancora che i difensori debbano soltanto difendere), rendendo in prospettiva molto più difficile per gli avversari prosciugare tutte le fonti di gioco blaugrana.
I movimenti offerti finora da Alves cambiano poco rispetto a quelli del Sevilla, ha molta libertà di aggiungersi centralmente perché i Pedrito e Hleb della situazione finora son rimasti larghi lasciandogli il corridoio e perché anche Xavi da quella parte si allarga spesso per aiutare l’ “extremo”. A proposito di Xavi, favolosa la sua prestazione, a dimostrazione del fatto che se la squadra si muove attorno a lui, se ci sono le opzioni di passaggio e se non viene obbligato a difendere nella sua metacampo, allora il pallone corre che è un piacere e lui resta, opinione personale, il migliore della Liga quando si tratta esclusivamente di dettare i tempi e distribuire. Inoltre, come nella seconda parte della pur mediocre scorsa stagione, cerca con convinzione l’ inserimento (Eto’o non è mai solo in area, almeno una delle due mezzeali lo accompagna sempre sui cross, altra differenza di rilievo rispetto all’ anno scorso), con buon tempismo e qualche volta con successo pure nelle conclusioni, come ieri nel bel (anche per la giocata precedente di Henry) gol del 2-0.
Se dalla catena di destra hanno origine i movimenti e le combinazioni migliori, sulla sinistra c’è ancora da migliorare: sebbene pure Abidal ed Henry mostrino progressi, molto dipende ancora dagli uno contro di Titi più che da movimenti collettivi apprezzabili (e qui chiamo in causa Iniesta, che quando gioca da mezzala sinistra dovrebbe muoversi meglio senza palla, come fa Xavi sull’ altro versante). Anche di Henry possiamo parlare benone stavolta: evidenzia miglioramenti in termini di brillantezza che lo rendono più credibile partendo largo a sinistra con licenza di accentrarsi, e ieri sera s’è pure tolto lo sfizio di un gol di gran classe.
Se il movimento senza palla sarà la chiave della fase di possesso, il pressing alto lo sarà per quanto riguarda quella di non possesso. Anche qui, già per attitudine, è un Barça diverso rispetto alla stagione passata: cerca con buon costanza l’ aggressione e il recupero alto, specialità nella quale si segnalano il mastino Keita e il solito Eto’o (sarebbe banale segnalarlo per la doppietta …), con l’ intento chiaro di giocare costantemente nella metacampo avversario.
Una cosa però sono l’ attitudine e i buoni propositi, un’ altra i meccanismi per metterli in atto, e qui c’è ancora parecchio da migliorare: in queste prime uscite abbiamo visto sì numerose azioni da gol nate da palle rubate sulla trequarti, ma abbiamo anche visto momenti in cui la mancanza di coordinazione fra i reparti in questo lavoro di pressing ha aperto spazi potenzialmente molto pericolosi agli avversari. Delle volte un po’ troppo famelico il centrocampo nel buttarsi sul pallone senza tener conto delle distanze con la difesa (e Keita quando gioca da vertice basso in alcune occasioni si dimentica che non ha più Poulsen alle spalle), questo si è notato poco finora, ma contro squadre più brave a uscire in palleggio del Wisla (cioè la maggior parte delle squadra di Liga) è un dettaglio che può costare più di un dispiacere. Anche la difesa, oltre a dover evitare certi cali di concentrazione affiorati soprattutto nelle amichevoli una volta andati in vantaggio, può migliorare la coordinazione nei movimenti, così come Puyol deve registrare qualcosina sui tempi degli interventi e il piazzamento.
In fase di possesso invece, da limare qualche eccesso di precipitazione nel verticalizzare, frutto di buone intenzioni ma controproducente quando è più consigliabile temporeggiare e riordinare l’ azione (Alves tende un po’ a peccare da questo punto di vista).

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martedì, agosto 12, 2008

Rafael Van der Vaart, nuovo acquisto del Real Madrid.

Come per il neo-colchonero Heitinga qualche mese addietro, Alec Cordolcini ci offre gentilmente un ritratto del nuovo acquisto merengue Van der Vaart.

Nelle giovanili dell’Ajax lo chiamavano il nuovo Cruijff, ad Amburgo era diventato il nuovo Keegan. A Madrid Rafael van der Vaart si accontenterebbe di essere semplicemente sè stesso. Ovvero un giocatore dal talento cristallino, ma anche di cristallo, per il quale non è più necessario ricorrere a paragoni per offrirne una sintetica descrizione. Van der Vaart, punto.
Per lui quello con il calcio spagnolo era un matrimonio annunciato da tempo: le origini iberiche di mamma Lolita, l'amore per il Barcellona manifestato fin dalla giovane età, il goffo tentativo inscenato l'estate scorsa di forzare un suo trasferimento dall'Amburgo al Valencia facendosi fotografare con la camiseta blanca dei valenciani. Tra Van der Vaart e la Spagna era solamente una questione di tempo. Adesso conosciamo anche data, luogo e partner. Non il Barcellona, che ha ormai ripudiato la causa degli olandesi dopo un abbondante decennio di sostegno quasi maniacale, nè il Valencia, finito sul ciglio del baratro la scorsa stagione e dotato pertanto di risorse (e di appeal) con le quali al massimo ci si può permettere un Maduro. Le nozze avranno luogo al Santiago Bernabeu di Madrid, in quella casa Real recentemente testimone di svariate cerimonie profumate di tulipano, vedi alle voci Van Nistelrooy, Robben, Drenthe e Sneijder.
Il salto di categoria è notevole ma pienamente meritato. Da Amsterdam a Madrid via Amburgo, per una maturazione che è stata più difficile del previsto. Van der Vaart deve molto a due tecnici, Co Adriaanse e Huub Stevens, allenatori metodologicamente quasi agli antipodi ma entrambi abili nell’estrarre il meglio dalle qualità del singolo atleta.
Adriaanse ha fatto esordire il giovane Rafael in maglia ajacide, il 19 aprile 2000, dopo cinque stagioni di giovanili, tra le cui fila era entrato dopo aver superato gli ormai storici Talentendagen, le Giornate del Talento attraverso le quali l’Ajax, mediante una durissima selezione, coopta all’interno del proprio vivaio i ragazzini più promettenti. E quel piccoletto dalle movenze di gran classe proveniente dai De Kennemers di Heemskerk, piccolo club della cittadina del Noord Holland in cui Rafael è nato l’11 febbraio 1983, non aveva tardato ad attirare su di sé le attenzioni dello staff tecnico delle giovanili del club di Amsterdam, guarda caso guidato all’epoca proprio da Adriaanse.
Per tanti anni l’Ajax è la delizia di Van der Vaart, e viceversa (da incorniciare la stagione 2002-2003, chiusa con un bottino di 18 gol, record assoluto in Eredivisie per un centrocampista), poi qualcosa si rompe e l’ambiente diventa all’improvviso una gabbia soffocante. Con i compagni non sono solo rose e fiori (nota l’antipatia profonda con Ibrahimovic), dalle tribune inizia a piovere qualche fischio, le prestazioni cadono di intensità tanto da spingere Ronald Koeman a togliergli la fascia di capitano, e alla fine della stagione 2004-2005 il nome di Van der Vaart compare in cima alla lista delle delusioni dell’anno.
Il campanello d’allarme è suonato: di Rafael Van der Vaart si parla di più sui giornali rosa che su quelli sportivi. Meglio quindi cambiare aria, anche se all’epoca non si parla né di Juventus né di Real Madrid. Il talento calcisticamente alla deriva dell’ex pupillo di casa Ajax finisce con il trasferirsi, a prezzo quasi di saldo (5.5 milioni di euro, mentre il Real ne ha sborsati 13), ad Amburgo, dove nel giro di qualche mese entra in gioco il già citato Huub Stevens.
La rinascita di Van der Vaart coincide con la soluzione del grande equivoco tattico in cui era rimasto impigliato: troppo light per essere una punta centrale, troppo fantasioso per finire confinato sulla fascia sinistra, troppo tenero per fare l’interno di centrocampo. Il 4-3-3 non è insomma il modulo più indicato per il nostro, meglio un ruolo di seconda punta con grande libertà di movimento e scarsi compiti di copertura. Stevens, novello sarto, cuce per Van der Vaart uno schema su misura, il 4-4-1-1, ottenendo in cambio tre stagioni da protagonista, con gol (48 in totale, sommando tre stagioni di Bundesliga, Coppa di Germania, Champions League, Uefa e Intertoto), assist e tante giocate, più il record di reti in giornate consecutive (sette) di Bundesliga strappato ad una leggenda del club anseatico quale Uwe Seeler. L’assunto è chiaro: il miglior Van der Vaart è quello che gioca il più vicino possibile alla porta avversaria. Non dovrebbe pertanto avere problemi nel 4-2-3-1 di Schuster, concorrenza ovviamente permettendo. L’importante è che non venga utilizzato nel ruolo di centrocampista puro, come ha fatto Marco van Basten nel quarto di finale di Euro 2008 contro la Russia, dove Rafael ha confermato di non possedere né il passo né le caratteristiche fisiche adatte a tale posizione.
A Madrid arriverà comunque un Van der Vaart ispirato, sereno (il matrimonio con la presentatrice-modella Sylvie Meis, da cui nel maggio 2006 è nato Damian Rafael, a dispetto delle premesse si è tenuto alla larga da derive glamour stile coniugi Beckham) e soprattutto motivato. Il non soddisfacente Europeo (piccolo miglioramento rispetto ai pessimi Euro 2004 e Germania 2006, ma il saldo è ancora negativo) non dovrebbe aver lasciato troppi strascichi, anche se il suo rapporto con la nazionale comincia ad assomigliare pericolosamente a quello tra Del Piero e l’Italia. Le occasioni di rifarsi però non mancheranno, in Champions League come nella Liga. Si può essere campioni anche senza fare i fenomeni indossando la casacca del proprio paese. Per informazioni, chiedere al nuovo compagno di squadra Raul.

LA SCHEDA DI VAN DER VAART
Nome: Rafael Ferdinand Van der Vaart
Data e luogo di nascita: 11 febbraio 1983 a Heemskerk (Olanda).
Squadre dilettanti: De Kennemers (Heemskerk)
Club: Ajax (116 presenze/52 reti), Amburgo (72/29)
Debutto in Eredivisie: 19 aprile 2000 in Fc Den Bosch-Ajax 1-1
Prima rete in Eredivisie: 20 ottobre 2000 in Ajax-Roda Jc 4-2
Debutto in Bundesliga: 6 agosto 2005 in Amburgo-Norimberga 3-0
Prima rete in Bundesliga: 13 agosto 2005 in Arminia Bielefeld-Amburgo 0-2
Debutto in nazionale: 6 ottobre 2001 in Olanda-Andorra 4-0
Prima rete in nazionale: 6 settembre 2003 in Olanda-Austria 3-1
Presenze in nazionale: 58 (3839 minuti giocati).
Gol in nazionale: 12.
Dettaglio carriera: 99/00 Ajax (2 presenze/0 reti), 00/01 Ajax (27/7), 01/02 Ajax (20/14), 02/03 Ajax (21/18), 03/04 Ajax (26/7), 04/05 Ajax (22/6), 05/06 Amburgo (19/9), 06/07 Amburgo (26/8), 07/08 Amburgo (29/12).
Palmares: 2 campionati olandesi (2002, 2004), 1 coppa d’Olanda (2002), 1 Supercoppa d’Olanda (2002), 1 coppa Intertoto (2005).

ALEC CORDOLCINI

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lunedì, agosto 11, 2008

LA NUOVA LIGA/1: Athletic Bilbao.

Mentre nella tifoseria serpeggiano preoccupazione e anche indignazione per quelle svolte societarie che attentano all’ identità storica del club (vedi la sponsorizzazione con la Petronor: per quattro denari, è proprio il caso di dirlo, è stata svenduta l’ immacolata camiseta zurigorri), dobbiamo dire che dall’ altro lato le prospettive puramente tecniche incoraggiano un discreto ottimismo per la stagione 2008-2009 dell’ Athletic Bilbao, e verrebbe da dire finalmente, dopo tre stagioni trascorse con l’ acqua alla gola e l’ unica speranza della sopravvivenza.
È un ottimismo che nasce dall’ auspicio e dalla ragionevole speranza che questa nuova stagione possa costituire un filo ininterrotto con la seconda metà di quella appena trascorsa, nella quale il progetto di Joaquín Caparros ha cominciato finalmente ad assumere concrete e credibili sembianze: c’è una rosa completa in tutti i reparti e già strutturata senza bisogno di interventi radicali sul mercato (del resto impossibili secondo quelli che sono i confini storici della politica di mercato dell’ Athletic), ci sono delle basi in via di consolidamento e la possibilità di dare loro continuità, c’è insomma la concreta opportunità di assestarsi con tranquillità nella metà sinistra della classifica, anche se il sogno europeo pare di difficile realizzazione e al massimo legato alla possibilità dell’ Intertoto.
Le basi citate risiedono nel modello di gioco di Caparros, che dopo una prima metà di stagione caratterizzata da affanni e paurose discontinuità, pare aver infine attecchito, costruendo un’ organizzazione di gioco razionale, un’ identità riconoscibile e la solidità difensiva tanto agognata dopo un paio di annate nelle quali l’ Athletic pareva una groviera. Alla squadra dei secondi tempi sconcertanti, degli episodi sporadici e delle ammucchiate disordinate davanti al portiere del girone d’ andata, è subentrato via via un undici più ordinato, solidale e dalle distanze corrette, capace di affrontare le partite con un piano strategico chiaro, senza subire schizofrenicamente le varie correnti dei 90 minuti.
In un momento nel quale, sulla scia del successo della nazionale, sembra essere di moda il futbol de toque, il calcio di Caparros rappresenta un modello opposto, un 4-4-2 (con la variante della mezzapunta dietro un’ unica punta) nel quale l’ elaborazione ha ben poco spazio e non si cerca tanto di imporre una manovra corale quanto piuttosto di forzare l’ errore avversario e contrattaccare rapidamente negli spazi scoperti. Generalmente nella cultura calcistica spagnola si guarda al possesso-palla come premessa del dominio della partita e base più credibile per la vittoria, nella filosofia del tecnico utrerano invece tenere palla più dell’ avversario ha un’ importanza scarsa per non dire nulla, quel che conta è lavorare sull’ efficacia delle transizioni nelle due fasi (oltre che sulle palle inattive, aspetto importantissimo per ogni tecnico “moderno” che si rispetti: e l’ Athletic può ricavare pure qualche gol in più rispetto all’ anno scorso, visto il potenziale aereo di cui dispone e vista l’ attenzione che il proprio tecnico riserva a quest’ aspetto): ripartenze rapide, subito in verticale e affidate al minimo indispensabile di uomini, in modo da non lasciare scoperte le posizioni difensive in caso di perdita del pallone.
Non certo una grande varietà ed elaborazione di situazioni per la fase di possesso, affidata perlopiù al contropiede (lungo o corto a seconda di dove si sceglie di recuperare il pallone) e ai palloni lunghi subito su Llorente, perno dell’ attacco bravo a tenere palla e a favorire gli inserimenti a rimorchio dalla trequarti, anche se va detto che questo limitato repertorio è stato applicato in maniera incisiva e a tratti perfino gradevole in alcuni momenti dello scorso girone di ritorno, su tutti il 5-1 distruggi-Koeman al Valencia.
La priorità va chiaramente alla fase di non possesso: Caparros vuole una squadra raccolta in pochissimi metri, nella quale le distanze fra la linea di difesa e quella di centrocampo siano talmente ridotte da togliere ogni possibilità di gioco fra le linee, e nella quale l’ aggressione sistematica, i raddoppi e i falli tattici impediscano trame pulite e facilitino il recupero del pallone (alto o basso a seconda delle caratteristiche dello sfidante, del contesto e della fase del match) costringendo l’ avversario a giocare in situazioni scomode o spalle alla porta. Un calcio ad elevatissima intensità, di continua azione e reazione, più dispendioso della media in termini di risorse atletiche e mentali, un calcio dalla forte impronta fisica ed agonistica, che ha ricadute anche in una certa durezza abbastanza insolita per le latitudini spagnole (le squadre di “Jokin” sono generalmente ai vertici delle graduatorie dei falli e dei cartellini). Un calcio ancora non visto del tutto a Bilbao, ma che se perfezionato e applicato con continuità molto maggiore rispetto all’ anno scorso potrebbe rendere l’ Athletic 2008-2009 avversario scomodo per tutti.
Una proposta comunque che trova una certa sintonia con l’ anima tradizionale del club, col quale inoltre si sposa perfettamente la storica propensione (ampiamente apprezzata, e con esempi illustri, a Siviglia) di Caparros al lancio dei giovani, politica vitale per questa società: dopo Susaeta, quest’ estate sei elementi della cantera in ritiro, fra i quali il 19enne centrocampista centrale Iturraspe sembra avere tutte le probabilità di consolidamento in prima squadra.

Possibile formazione (4-4-2): Iraizoz; Iraola, Aitor Ocio, Amorebieta, Koikili; Susaeta, Gurpegi, Javi Martínez, Yeste; Etxeberria, Llorente.
Altri giocatori: Armando, Lafuente; Murillo, Ustaritz, Javi Casas; David López, Orbaiz, Iturraspe, Muñoz, Gabilondo, Del Olmo, Garmendia, Toquero; Aduriz, Iñigo, Vélez.


DIFESA
Fra i pali Iraizoz potrà proseguire l’ interessante discorso interrotto soltanto dall’ infortunio che lo tolse di mezzo per la seconda parte della scorsa stagione (fortuna che il suo sostituto acquistato a Gennaio, il veterano Armando, non lo abbia fatto comunque rimpiangere): la sensazione trasmessa finora dall’ ex Espanyol è stata di sostanziale tranquillità, al di là di uno stile un po’ personale si tratta di un portiere di stazza e personalità, sicuro sui palloni alti nell’ area piccola ma anche sufficientemente reattivo e agile nel togliere palloni difficili dagli angoli. Il mediocre Lafuente, tornato dal prestito all’ Espanyol, farà da terzo portiere.
Iraola giocherà invece l’ ennesima stagione su una media voto non inferiore al 6,5: dell’ incomprensibile non considerazione da parte della nazionale ce ne siamo ormai fatti una ragione, ma continuiamo a ritenere Andoni il miglior terzino destro spagnolo (ruolo al quale ormai lo ha riportato stabilmente Caparros, dopo che il post-Valverde lo aveva visto prevalentemente avanzato a centrocampo) dopo Sergio Ramos: diligente, attento, ordinato, veloce e bravo a giocare la palla sempre con molto criterio (abilità dimostrata anche nel ruolo di emergenza da centrocampista centrale ricoperto nell’ avventurosa Liga 2006-2007), dalle sovrapposizioni puntuali e sempre incisive, anche se il calcio prettamente difensivo di Caparros ne dirada per forza di cosa le sortite. Scartato Zubiaurre (in prestito all’ Elche), si profila come suo sostituto Murillo, cioè un sostituto non di ruolo: centrale ruvido e legnoso adattabile anche a destra, il ruolo nel quale fa meno danni è forse quello di centrocampista difensivo, dove l’ insipienza col pallone fra i piedi la paga tutta ma dove perlomeno la squadra accusa meno la lentezza e l'’inesistente scioltezza nei movimenti.
Al centro, l’ esperto 32enne Aitor Ocio è un po’ il regista del reparto difensivo, che guida con buona personalità e senso della posizione nelle chiusure, essendo anche forse il più preciso dei difensori nell’ iniziare l’ azione dalle retrovie. Suo concorrente, e vedere chi la spunterà è uno dei principali punti interrogativi sull’ undici titolare dell’ Athletic 2008-2009, Aldekoaotalora (sì, si chiama così) Ustaritz, che rispetto a Ocio ha caratteristiche più di marcatore, rapido e appiccicoso, in alcune occasioni adattabile anche sulla destra (ma nel ruolo non fece bella figura con Robinho l’ anno scorso alla Catedral) e addirittura provato da Caparros pure da centrocampista difensivo.
Se Aitor Ocio e Ustaritz si scanneranno per un posto, indiscutibile quello che sul centro-sinistra spetta ad Amorebieta: forse la più bella notizia della scorsa stagione, Caparros sta contribuendo finalmente a sgrezzarlo e a farne un difensore vero. Doti atletiche a dir poco poderose (non a caso lo segue mezza Premier), marcatore fortissimo nel corpo a corpo e nel gioco aereo, dotato di carica agonistica non comune, veloce nel recupero sulla lunga distanza, sta progredendo tatticamente limando quella sua spiccata tendenza a perdere la posizione, e sta provando anche a togliersi il gusto per l’ entrataccia e il cartellino rosso. Se confermerà i livelli della scorsa stagione, è pronta la nazionale.
A sinistra, un altro ballottaggio: in queste amichevoli estive, Caparros sembra fare affidamento su uno degli scartati della scorsa estate, Javi Casas, terzino tecnicamente modesto ma accettabile nel compitino difensivo, il quale si giocherà il posto con Koikili, il cui calo nella seconda metà della scorsa stagione non ha certo scalfito il titolo di rivelazione del 2007-2008 bilbaino, visto l’ ottimo adattamento dimostrato nel passaggio avvenuto a 26 anni dalla Segunda B alla Primera: elemento molto affidabile difensivamente per la concentrazione, la disciplina tattica e la rapidità nello spazio corto che lo aiuta nell’ uno contro uno (situazione nella quale lo agevola anche un fisico tozzo e muscolosissimo, da ex campione di lotta greco-romana qual è), parsimonioso nelle avventure offensive ma non banale nei traversoni tesi e tagliati a mezza altezza fra difensori e portiere avversario. Infine, si affaccia alla prima squadra il 18enne Ander Agüeros, terzino sinistro del quale si parla bene: vedremo se Caparros gli concederà qualche minuto.

CENTROCAMPO
Nel mezzo si naviga nell’ abbondanza, il settore migliore di quest’ Athletic, cominciando dal “nuovo acquisto” Gurpegi, centrocampista difensivo di notevole sostanza e resistenza atletica, intenso nel pressing e anche insidioso nello stacco nell’ area avversaria, un jolly impiegabile anche al centro della difesa che fornirà una carta in più molto importante a Caparros rispetto alla stagione passata. Gurpegi tornerà una presenza familiare in quello che nei suoi due anni di squalifica ha fatto a tempo a diventare il regno del famelico (e ancora non ventenne!) Javi Martínez, debordante mediano, il massimo della modernità per come sa interpretare entrambe le transizioni: cursore dalle impressionanti risorse atletiche, inesauribile e capace di dominare quasi da solo un’ ampia fetta di campo, pronto a sradicare palloni a spallate e un secondo dopo portare l’ azione nella metacampo avversaria con travolgenti progressioni palla al piede (l’ erba del Vicente Calderón attende ancora di ricrescere dopo quel coast to coast), potenzialmente lo stacco aereo e il potente tiro da fuori ne fanno un incursore da 5-6 gol a stagione, anche se il modulo di Caparros non regala eccessivo protagonismo offensivo ai centrali di centrocampo (però lo stesso tecnico di Utrera in un’ intervista ha dichiarato di aspettarsi di più da Javi sotto il profilo realizzativo).
C’è poi Pablo Orbaiz, il miglior giocatore dell’ Athletic negli anni passati e, per quello che può contare, anche il preferito del sottoscritto, ma che non sembra avere ad oggi le migliori prospettive nell’ undici titolare, anche se almeno lo beneficia il fatto di poter svolgere una pretemporada come si deve dopo essere stato martoriato da gravi infortuni negli ultimi due anni. Geometra di grande razionalità, senso tattico, visione di gioco e destro a lunga gittata per aperture sempre puntuali e precise, tuttavia le sue doti di regia non paiono così imprescindibili nel modello di gioco di Caparros, fatto di aggressioni a metacampo e rapide ripartenze più che di manovra corale, modello dove la mobilità e l’ intensità di gioco di Orbaiz son decisamente inferiori rispetto a quelle di Gurpegi e Javi Martínez.
Orbaiz che potrebbe vedersi anche insidiato dall’ emergente Ander Iturraspe, del quale Caparros parla sfacciatamente come di un possibile Susaeta-bis, un giocatore cioè destinato a diventare dalla prossima stagione una parte integrante già di rilievo della rosa della prima squadra. Non avendolo ancora visto giocare, possiamo affidarci a informazioni di seconda mano, che lo descrivono come un centrocampista centrale abbastanza completo ma con un fisico (1,87x73) ancora da irrobustire. Infine, a segnalare la bontà di questo settore centrale dell’ Athletic, il ruolo di ultima scelta di un più che discreto mestierante come Iñaki Muñoz, centrocampista centrale che offre una buona versatilità disimpegnandosi indifferentemente fra funzioni più difensive nel doble pivote o di costruzione e incursione sulla trequarti avversaria giocando da mezzala (ha buon tiro dalla distanza, anche con l’ altro piede, il sinistro).
Sulle fasce, si attende la conferma del talento del 20enne Susaeta dopo la piacevole irruzione della passata stagione: lo spunto breve lascia il segno, abbondano la personalità e la qualità per affrontare l’ uno contro uno, c’è un destro che taglia bene sia i cross che le punizioni calciate sopra la barriera (e alternando sia soluzioni di potenza che traiettorie morbide a foglia morta dal limite dell’ area, soluzione questa non alla portata di molti nel calcio attuale, perfino tra i fuoriclasse), e sembra anche esserci la giusta umiltà per farne il campione del futuro dell’ Athletic dopo i regni di Guerrero e Yeste.
A sinistra, sembra che la soluzione finirà con l’ essere quel Fran Yeste a cui ogni volta pare si debba trovare quasi con fastidio il posto nell’ undici titolare ma che resta indispensabile per quel tocco di classe che nessun altro nella rosa può offrire. Lo spostamento sulla fascia sinistra di queste amichevoli estive, che richiama il ruolo degli inizi quando al centro della trequarti il boss era Julen Guerrero, ha origine dal sovraffollamento nel doble pivote (dove l’ anno scorso, con scarso successo, venne provato un Yeste “alla Pirlo”) e dalla predilezione di Caparros per un attacco con due punte più pure, cosa che, a parte alcune occasioni, priva in linea di massima Yeste dello spazio da mezzapunta. Partendo da sinistra a Yeste dovrebbe comunque essere ragionevolmente concesso lo spazio per accentrarsi, non trattandosi certo di un’ ala col cambio di ritmo e potendo sfruttare la fascia per pennellare cross col suo sinistro magico (il migliore della Liga assieme a quello di Arango, abbiamo più volte fatto questa considerazione: più portato alla conclusione a rete secca il maiorchino, più morbido e liftato il bilbaino) e non di più.
Quanto a esterni sinistri di ruolo, Caparros potrà disporre in alternativa del solito soldato semplice Gabilondo, portato a percorrere la fascia con continuità e disciplina tattica ma senza spunti di rilievo, e il più pepato nuovo acquisto Joseba Del Olmo, reduce da un’ ottima stagione all’ Eibar in Segunda, che è un destro che parte da sinistra e si dovrebbe distinguere per un gioco più offensivo e basato sull’ uno contro uno.
Impiegabile su entrambe le fasce, cerca riscatto David López, vera delusione della passata stagione assieme a Del Horno: mai stato l’ ex osasunista un esaltante dribblomane, anzi si è sempre caratterizzato per un gioco lineare ma abbastanza incisivo e verticale, con buon allungo e ottimi cross, ma l’ anno scorso è scaduto nel puro anonimato a dispetto di un ingaggio relativamente reclamizzato. Le sue buone conclusioni col destro gli permettono di trovare di più la porta quando gioca a sinistra (nella sua ultima stagione all’ Osasuna Ziganda lo impostò proprio così ricavandone un discreto rendimento realizzativo), ma vista la composizione della rosa dovrebbe trovare posto soprattutto come riserva di Susaeta.
Infine, sulla trequarti (ma utilizzabile anche da centrocampista centrale), avrà le sue belle difficoltà a trovare minuti Joseba Garmendia, che pure ha dato qualche buon segno di vivacità (negli inserimenti e negli assist) la scorsa stagione, mentre il nuovo acquisto Gaizka Toquero pare proprio destinato a un prestito all’ Eibar in Segunda.

ATTACCO
Anche qui si attendono conferme: se se lo mette in testa Fernando Llorente può diventare non solo un bomber di piene garanzie per l’ Athletic, ma anche quell’ ariete che amplierebbe le opzioni offensive della nazionale. Una questione di testa, e anche qua l’ abilità di Caparros coi giovani sembra star dando i suoi frutti: finalmente Llorente non aspetta i palloni ma va a cercarli, se consolida questa cattiveria il fisico e le doti tecniche non possono che abbonarlo alla doppia cifra, senza dimenticare che Llorente, non proprio glaciale nell’ uno contro uno coi portieri avversari, si è sempre segnalato più per le sue doti fuori che dentro l’ area: a dispetto della stazza analoga, un giocatore certamente diverso rispetto a Urzaiz, un attaccante che ama svariare sulle fasce ed entrare in contatto col pallone trattandolo con eleganza e proprietà di palleggio, nell’ ultima stagione molto più presente anche come boa spalle alla porta, efficace nel proteggere palla e favorire gli inserimenti dei compagni.
Il risveglio di Llorente ha portato nettamente in secondo piano Aduriz, salvatore della patria fino a non molto tempo fa ma relegato in panchina dopo una grande partenza la stagione passata. Caratteristiche opposte rispetto a quelle di Llorente, profondità, contropiede, opportunismo e ottima finalizzazione a tu per tu col portiere, Caparros gli ha preferito come partner di Llorente il solito Etxeberria, definitivamente impostato come seconda punta, ruolo nel quale l’ ho sempre preferito (anche se per anni ha campato bene di rendita da ala destra con la mitica mono-finta: faccio per accentrarmi, rubo il tempo al terzino e con uno scatto prendo il fondo), perché più che il dribbling ho sempre apprezzato come sua maggior virtù l’ intelligente movimento su tutto il fronte d’ attacco.
Decisamente in secondo piano, il nuovo acquisto Iñigo Vélez, che finora ha fatto una pretemporada a parte, saltando la maggior parte delle amichevoli per un ritardo di condizione: lungagnone (1,93x82) ma mobile come Llorente, anche lui ama svariare sulle fasce e ha un buon allungo quando parte palla al piede, ma la porta la vede proprio poco. L’ altro Vélez, Ion, è invece tornato da un prestito in Segunda all’ Hércules, e prova a riproporre la sua candidatura dopo aver palesato una certa impresentabilità l’ anno scorso al primo contatto con la Primera.

INNO DEL CLUB

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venerdì, agosto 01, 2008

Sorteggio preliminari Champions League.

Andata: 12/13 Agosto.
Ritorno: 26/27 Agosto.

Ganador del Anorthosis FC (CYP) / SK Rapid Wien (AUT) - Olympiacos (GRE)

Vitoria Guimaraes SC (POR) - Ganador del IFK Göteborg (SWE) / FC Basilea (SUI)

Shakhtar Donetsk (UKR) - Ganador del NK Domzale (SVN) / NK Dinamo Zagreb (CRO)

FC Schalke 04 (GER) - Atlético Madrid (ESP)

Ganador del Aalborg BK (DEN) / FK Modrica (BIH) - Ganador del Rangers (SCO) / FBK Kaunas (LTU)

FC Barcelona (ESP) - Ganador del Beitar Jerusalem FC (ISR) / Wisla Cracovia (POL)

Levski Sofia (BUL) - Ganador del Anderlecht (BEL) / FC BATE Borisov (BLR)

Standard de Lieja (BEL) - Liverpool (ENG)

Ganador del Inter Baku (AZE) / FK Partizan (SRB) - Ganador del Fenerbahçe (TUR) / MTK Budapest (HUN)

Twente (NED) - Arsenal (ENG)

FC Spartak Moscú (RUS) - Ganador del Drogheda United (IRL) / FC Dinamo Kiev (UKR)

Juventus (ITA) - Ganador del Tampere United (FIN) / Artmedia Petrzalka (SVK)

Ganador del SK Brann (NOR) / FK Ventspils (LVA) - Olympique Marsella (FRA)

ACF Fiorentina (ITA) - SK Slavia Praha (CZE)

Galatasaray AS (TUR) - FC Steaua Bucarest (ROU)

Ganador del Panathinaikos (GRE) / FC Dinamo Tbilisi (GEO) - Ganador del FC Sheriff (MDA) / AC Sparta Praga (CZE)

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