mercoledì, aprile 29, 2009

Poco calcio, nulla di fatto.

Zero a zero al termine della semifinale d'andata fra Barça e Chelsea. Risultato indecifrabile, o meglio risultato dalle varie possibili letture: Hiddink potrà essere soddisfatto per aver bloccato la squadra nettamente più prolifica del calcio europeo, Guardiola ha comunque raggiunto l'obiettivo minimo, cioè non incassare gol in casa, e mantiene comunque la consapevolezza del fatto che i suoi un gol al Chelsea possono sempre farlo, e che dal Camp Nou a Stamford Bridge lo stile di gioco blaugrana non cambierà, semplicemente perchè il Barça non sa giocare in altro modo, questo è il suo marchio di fabbrica, al tempo stesso il suo pregio, il suo limite e la componente-chiave del fascino del club.

Quello che dovrebbe cambiare nella gara di ritorno è invece l'impostazione del Chelsea, necessariamente, per la spinta del pubblico di casa e per l'esigenza comunque di dover segnare. La proposta dei blues ieri sera è stata senza mezzi termini poverissima: lungi da me criticare la strategia difensivista scelta da Hiddink, sarebbe ingenuo farlo perchè NESSUNO va mai al Camp Nou a fare la partita, neppure il Manchester United, però ci sono differenze fra strategia difensivista e strategia difensivista.
Prendiamo ad esempio il confronto col Valencia di sabato scorso: nemmeno Emery aveva l'obiettivo di dominare il possesso-palla e passare tutto il tempo nella metacampo avversaria, però il suo Valencia ha giocato una partita completissima, di personalità in entrambe le fasi, pressando, chiudendo ma anche elaborando (sottolineo il verbo "elaborando") l'azione di contropiede ogni qualvolta se ne presentava l'opportunità.
Il Chelsea di ieri invece non ha giocato una partita completa nelle due fasi perchè molto semplicemente ha trascurato del tutto la fase offensiva. La distanza fra Drogba e il resto della squadra è stata per tutta la serata eccessiva, e ha impedito ogni tipo di appoggio da parte del centrocampo e di contropiede manovrato (Lampard scomparso dalla carta geografica), e il tutto si è ridotto al retropassaggio verso Cech e al rinvio lungo su Drogba, troppo solo (anche lui che è un fenomeno nel gioco aereo) per poter rendere fruttuosi quei pochi palloni che, stretto fra Piqué e Márquez, riusciva a catturare. Esemplare a questo proposito che l'unica azione pericolosa, pericolosissima, degli ospiti (oltre a un colpo di testa alto di Ballack su un calcio piazzato nella ripresa) sia venuta da un regalo del Barça, un retropassaggio errato di Márquez che lancia Drogba verso Valdés, formidabile nel doppio intervento (soprattutto il secondo: il portiere blaugrana ha sempre posseduto un talento notevole nelle uscite basse e nell'uno contro uno con gli attaccanti).
Favorito anche da questo atteggiamento del Chelsea, il Barça non ha dovuto guardarsi troppo alle spalle, e ha avuto il merito di disputare una gara corretta e concentrata in fase di non possesso, aggredendo nella metacampo avversaria e recuperando palla più lontano possibile da Valdés. Scacciato il maggior timore della vigilia, quello cioè di concedere palle alte nella propria area e calci piazzati nella propria trequarti, dove il Chelsea avrebbe potuto far valere un peso nettamente preponderante.

Dove il Barça non ha fatto appieno il proprio dovere è stato quando aveva il pallone tra i piedi. Il fatto che sia stata delle due l'unica squadra a provare a giocare non vuol dire che ci sia riuscito al meglio. Gli uomini di Guardiola sono un po'caduti nella trappola: la strategia di Hiddink ha puntato ad accumulare uomini a centrocampo, specialmente per togliere al Barça gli spazi per agire fra le linee. Essien a destra per aiutare Ballack (centro-destra) su Iniesta e Ivanovic su Henry; Mikel sul centro-sinistra per controllare Xavi e raddoppiare in aiuto a Bosingwa, praticamente a uomo su Messi; Lampard staccato, teoricamente trequartista ma in pratica aggiunto in copertura, con Malouda incaricato di disturbare Alves.
Va detto che il Chelsea ha giocato sicuramente più corto e aggressivo del Bayern, ma anche il Barça ha fatto poco per uscire da una certa prevedibilità. C'è stata solo una breve fase nel primo tempo in cui i padroni di casa hanno cercato di muovere il pallone con pazienza e ad allargare le maglie del Chelsea con movimenti coordinati fra centrocampo e attacco (del tipo Eto'o viene incontro, Xavi o Iniesta va nello spazio lasciato dal camerunese, Henry taglia etc...), gli unici che possono creare delle crepe in una difesa così chiusa; per il resto, il 4-3-3 blaugrana ha accusato una certa staticità, facilitando il compito del Chelsea: con pochi movimenti che creassero dubbi, ogni difensore del Chelsea ha mantenuto saldo il proprio punto di riferimento in fase difensiva, l'uomo da controllare (che fosse l'uomo nella propria zona o l'uomo da controllare dovunque andasse, come nel caso di Bosingwa su Messi), e così si è spesso giocato sul tentativo individuale e sul corpo a corpo, dove chiaramente dal punto di vista fisico il Chelsea era favorito.
Il Barça doveva far correre il pallone per aggirare questa eventualità, ma non c'è riuscito e non ha occupato razionalmente il campo, talvolta intestardendosi in tentativi impossibili al centro (Alves non ha giocato una partita particolarmente intelligente, solo nell'ultimo quarto d'ora ha affondato sulla fascia), facendosi prendere pure da un certo nervosismo (qui ancora si segnala Alves, con le sue classiche scenate, insopportabili sin dai tempi del Sevilla). Nelle fasi finali del match sono arrivate le occasioni, quando il Chelsea allenta un po' le marcature e prima Bojan (incredibile errore sottoporta) e poi Hleb non centrano il bersaglio (mentre precedentemente Cech aveva salvato da fuoriclasse su Eto'o).

Al Barça è mancata la capacità per abbattere il muro del Chelsea anche perchè sono mancate le individualità capaci di fare la differenza, in particolare Messi: può sorprendere la partita deludente dell'argentino a un primo sguardo, ma non se inquadrata nel periodo di forma che attraversa l'argentino. Segna contro Getafe e Valencia, può sempre decidere un match perchè ha un talento inarrivabile, ma lo spunto nell'uno contro uno in questo periodo non c'è, c'è poco da fare. L'unica possibilità di incidere che ha Leo in questa periodo risiede nella capacità di nascondere il pallone e triangolare coi compagni, che comunque non è poco.
Con Xavi che è quello che è (senza nessun intento dispregiativo: voglio solo dire che si tratta di un giocatore che dipende dal movimento dei compagni, e perciò finisce per adeguarsi al copione che la partita gli presenta), il giocatore che in questo momento tira la carretta nel Barça è Iniesta, in grande condizione, netto vincitore del duello con Ballack (il quale dovrebbe prendersi un secondo cartellino giallo, ma dall'altra parte anche Alves viene graziato ed evita la squalifica; può recriminare invece il Barça per il più che probabile contatto da rigore fra Bosingwa ed Henry ), anche se questo non è bastato per decidere il match. Positivo anche Henry, l'unico a dare profondità sulla fascia, almeno fino allo scontro aereo con Alex dal quale esce malconcio nella ripresa.
Il miglior blaugrana però è stato Piqué: qualche piccola sbavatura c'è stata, ma la differenza col centrale di inizio stagione, in termini di personalità e di concentrazione, va sempre più rimarcata. Da difensore con l'erroraccio sempre in canna a difensore capace di condizionare pure la fase offensiva, iniziando la manovra con visione di gioco e qualità. Importante quando avanza palla al piede coi centrocampisti marcati, splendido in alcuni cambi di gioco e lanci smarcanti (in uno di 40 metri ad Alves sembrava quasi Xabi Alonso). Buona anche la prestazione di Yaya Touré, non tanto in fase di costruzione (dove continua ad appesantire troppo la manovra per i miei gusti) quanto piuttosto in interdizione, dove le grandi doti atletiche dell'ivoriano hanno rappresentato un'arma fondamentale per spezzare i tentativi di rilancio del Chelsea.

Sulla partita di ritorno del Barça pesa però un'enorme incognita, rappresentata dalle assenze: la peggior notizia di tutte è l'infortunio al menisco di Márquez, fuori per i prossimi due-tre mesi. L'importanza di questo giocatore è stata sottolineata più volte, e va al di là del lato strettamente difensivo. Nella rosa blaugrana, e non solo nella rosa blaugrana, è il difensore nettamente più dotato nell'impostare il gioco dalle retrovie. La sua presenza, la sua sicurezza e qualità nel giocare la palla, fa di per sè guadagnare metri preziosi a tutta la squadra ad inizio azione, rappresentando l'anticamera del dominio che il Barça riesce ad esercitare nelle giornate migliori.
In assenza del messicano, l'avversario ha un'arma in più sulla quale fare leva: già contro il Valencia abbiamo visto come la coppia Puyol-Piqué faticasse maggiormente ad iniziare l'azione, accusando il pressing e facilitando il posizionamento difensivo avversario. A Stamford Bridge c'è da immaginarsi uno scenario simile se non peggiore: un Chelsea necessariamente più aggressivo cercherà di forzare errori di impostazione che in assenza di Márquez si fanno più probabili, e per questa via esercitare una forte pressione nella metacampo blaugrana.
Pressione che potrebbe diventare difficile da sostenere per una linea difensiva che Guardiola dovrà improvvisare: all'infortunio di Márquez si aggiunge infatti la squalifica di Puyol. Il capitano comincia a perdere colpi sì, ma la sua esperienza resta importantissima a certi livelli, fornisce molte più certezze del dover adattare Abidal al centro (il vecchio ruolo del francese) o del gettare nella mischia Cáceres. Ancora acerbo l'uruguagio, e poco sperimentato durante la stagione. Per Piqué sarà una prova ancora più impegnativa: non potendo muoversi sotto l'ombrello protettivo di un Puyol o un Márquez, dovrà essere lui il leader del reparto, chiamato ad un ulteriore salto di qualità nella sua crescita.
Qui si rivolta contro Guardiola la politica di sottoutilizzazione di certi giocatori: Cáceres, così come Hleb, è uno di quegli elementi che formalmente fanno parte della rosa, ma finora son stati corpi estranei, impiegati poco, in partite o spezzoni insignificanti, oppure fuori ruolo (Hleb). Guardiola non ci ha creduto, non ci ha lavorato sopra abbastanza, e così per il Barça certi giocatori diventano ancora più irrinunciabili in questo massacrante finale di stagione.

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lunedì, aprile 27, 2009

Una questione d'istinto.

Se contro il Getafe era stata una questione di carattere, stavolta si tratta d’istinto. Raúl González Blanco incastona all’interno di una prestazione altrimenti modesta tre perle da autentico fuoriclasse dell’area di rigore (diciamo soprattutto i primi due gol, nel terzo il merito sta nel crederci e farsi trovare pronto sulla papera di Palop), stende il Sevilla e porta il Real Madrid, attenzione attenzione, a –4 dal Barça, alla vigilia dello scontro diretto del prossimo sabato al Bernabeu.
Permane un cuscinetto di più di una partita di vantaggio da gestire per i blaugrana, ma è ulteriore pressione psicologica che si aggiunge allo stress già enorme che implica il doversi muovere ancora sui tre fronti. La “condanna” per una stagione sin qui magnifica, mentre il Madrid ha il vantaggio di poter concentrare tutti i propri sforzi solo sulla Liga.

E dire che era cominciata nel peggiore dei modi, ancora una volta. Il Sevilla dei primi 25 minuti è parso un ciclone, quasi richiamando alla memoria il Liverpool dell’ottavo di Champions, per la violenza e per l’uguale spaesamento del Real Madrid. Anche il contesto tattico sembra richiamare quella serata: Huntelaar infatti non c’è, prima punta è Raúl che non ha le caratteristiche per fare reparto da solo e allungare la squadra, mentre rispetto ad Anfield stavolta ci sono Guti e Marcelo (centrocampista esterno) nell’undici titolare. Il Sevilla poi ricorda il Liverpool per l’intensità impressionante con cui inizia il match e per il lavoro metodico di demolizione della coppia Gago-Lass.
Gli andalusi giocano più corti, pressano e arrivano sempre prima sul pallone, mentre il Madrid ancora una volta ribadisce la sensazione di giocare spezzato in due tronconi: i quattro difensori (Metzelder al posto di Pepe, squalificato per dieci giornate) più i due mediani da una parte, i quattro elementi offensivi dall’altra.
È a partire da questa situazione che il Sevilla rompe la diga Gago-Lass. Jiménez ripete il 4-5-1 del Mestalla, con Perotti a sinistra e il trio centrale Romaric-Duscher-Renato, e ossessivamente cerca la superiorità sulle fasce, soprattutto a sinistra. Qui c’è Perotti, c’è Fernando Navarro che si sovrappone costantemente, c’è Romaric che si defila, e qualche volta c’è perfino Kanouté che svaria da quella parte. Ramos è in minoranza, e spesso è proprio Lassana Diarra che abbandona la posizione per raddoppiare. Lo stesso avviene sull’altra fascia, quelle volte in cui Adriano supporta Navas e chiama fuori dalla propria zona Gago.
Gago e Lass si trovano così a giocare eccessivamente distanti, e questo compromette la vigilanza al limite dell’area sugli inserimenti dalla seconda linea del Sevilla. Una situazione che frutta il gol del vantaggio sevillista (inserimento indisturbato di Renato su splendido cross d’esterno dalla sinistra di Perotti: sempre più convincente il giovane argentino), e che potrebbe tranquillamente fruttare un altro paio di gol (soprattutto una conclusione di Kanouté di poco a lato) per quanto si vede.
Passati questi ventincinque minuti però la situazione cambia. Il Sevilla ha puntato tutto sull’aggressività, e una volta prodotto il massimo sforzo, non ha forse più le energie per mantenere la partita su questo terreno. Non pressa più alto, ripiega ma senza stringere le maglie, e il Madrid guadagna visibilmente metri di campo. Higuaín dalla destra si porta più vicino a Raúl, dà più profondità ma spreca una grossa occasione. Comunque, il gol madridista diventa ora una possibilità concreta: alla fine del primo tempo arriva da un’azione tanto curiosa (perché è Metzelder che si trova all’ala destra) quanto ben congegnata, culminata nel guizzo sottoporta di Raúl.
La ripresa è bloccata, il Sevilla ha perso slancio, il Madrid aspetta fiducioso l’episodio. Un cross di Torres viene smorzato da una deviazione che fa arrivare un pallone invitante a Raúl, il quale si inventa una straordinaria girata in anticipo su Escudé che va insacca sul secondo palo. Nessuna squadra come il Madrid sa sfruttare l’onda, e immancabilmente arriva subito anche l’1-3 che abbatte il Sevilla, ancora Raúl che spinge in rete un cross di Higuaín non trattenuto da Palop).
Manolo Jiménez nel mentre si è giocato il tutto per tutto, passando al 4-4-2 con Luis Fabiano per Duscher e Diego Capel per Perotti, un po’calato nella ripresa. Mossa che non apporta nulla: avevamo già sottolineato come i tre centrali di centrocampo (sia 4-5-1 o 4-4-2 con Romaric falso esterno) inseriscano un minimo di elaborazione in una manovra inesistente, e il ritorno al 4-4-2 appiattisce ulteriormente la squadra, che in mancanza di tutto il resto ha il lancio lungo verso Kanouté e Luis Fabiano come unica speranza, fra tanti passaggi errati e imprecisioni che denotano come la squadra di Jiménez non ci sia più né con le gambe né con la testa.
Peraltro Juande Ramos accresce indebitamente questa speranza con l’ingresso di Javi García, che spinge più dietro la squadra, privandola della capacità di Guti di trattenere palla e rilanciare il gioco. Ramos commette una sciocchezza e regala a Capel il gol che accorcia le distanza. Un po’ di sofferenza nei minuti finali col Sevilla che cerca insistentemente la mischia, ma Marcelo chiude i conti a tu per tu con Palop, con la freddezza e la classe che lo contraddistinguono.

La sera prima era andata in onda la partita migliore di questa Liga 2008-2009. Il malandato campionato spagnolo avrebbe bisogno di molti più spot come quello del Mestalla, una partita stupenda, giocata al limite da entrambe le squadre. Elevatissimo spessore tecnico e tattico, ritmo, grande equilibrio e incertezza.
Un Valencia quasi perfetto ha messo sulla corda come nessuno in questa stagione il Barça, abbinando alla necessaria disciplina difensiva quella sfrontatezza e qualità nel rilanciare l’azione che sole possono davvero mettere in crisi la macchina di Guardiola. Pochi in questa stagione hanno obbligato i blaugrana a correre verso la propria porta e guardarsi anche alle spalle. Solitamente il pressing animalesco che i catalani portano sulla trequarti basta per forzare il rilancio della difesa avversaria e la pronta riconquista del pallone. Il Valencia no, l’ha giocata sempre, si è appoggiato sul fenomenale Silva, e da lì ha sempre cercato di insidiare con la profondità di Villa e gli incroci di Mata e Pablo Hernández.
Aggressivi sull’inizio dell’azione blaugrana (che ha risentito della panchina di Márquez), gli uomini di Emery non hanno solo pressato con insistenza, ma per una volta hanno mantenuto le corrette distanze fra centrocampo e difesa, il problema più grave emerso in questa stagione. Marchena e Baraja nel doble pivote, con l’aiuto della linea difensiva, hanno limitato le possibilità d’azione di Messi fra le linee. Messi che nonostante ciò (e nonostante una prestazione complessivamente poco brillante: come avevamo già sottolineato dopo il Getafe, gli manca in questo periodo lo spunto migliore nell’uno contro uno) ha messo la firma sul momentaneo vantaggio blaugrana, il cui merito spetta però principalmente ad Iniesta.
Con l’inizio dell’azione reso difficoltoso dall’aggressività valenciana, con un centrocampo a singhiozzo e un Xavi modestissimo (autore di errori banali e persino di scelte discutibili col pallone fra i piedi: Alves deve fare da solo la sua buona partita, durante tutto il match manca la dovuta comunicazione fra lui, Xavi e Messi), è il blanquito, in stato di grazia, a trascinare la squadra: dall’ala sinistra, dove Guardiola inizialmente lo schiera (Henry in panchina e Keita mezzala), ispira l’azione che porta in vantaggio il Barça.
Vantaggio non meritatissimo per un Barça che non riesce a dominare il campo come suo solito, e che nel finale del primo tempo cede al ritorno dei padroni di casa: su calcio d’angolo, l’uscita pessima di Valdés regala il mezzo gollonzo a Maduro, ma il secondo gol valenciano è un capolavoro. Un’azione nello stretto, vertiginosa, conclusa da Pablo Hernández con uno spunto fulminante fra Alves e Puyol (il capitano blaugrana soffre da matti tutti i novanta minuti: i riflessi e l’esplosività non sono più quelli dei tempi migliori, evidentemente) e un colpo da biliardo sull’uscita di Valdés.
Impressionante il momento di forma del canterano valenciano: tre quarti di stagione in difficoltà, fra tanta panchina e spezzoni di scarsissima personalità, e ora l’esplosione. Imprendibile in velocità, devastante in contropiede. L’agilità, la leggerezza e lo scatto bruciante mi ricordano un po’ quelle di Aaron Lennon del Tottenham, magari con picchi di velocità inferiori. Diventa sempre più carne da nazionale, anche se è mia opinione che il potenziale di Pablo Hernández sia comunque inferiore a quello del miglior Joaquín (non è un insulto a Pablo H., è che Joaquín aveva le qualità per diventare uno dei 5-10 migliori giocatori spagnoli degli ultimi 10 anni, se solo ne avesse fatto buon uso).
Nella ripresa il dominio territoriale è decisamente del Barça, anche se il Valencia ha il merito, pur perdendo metri, di continuare a mantenere le distanze corrette in fase difensiva, blindando la zona centrale e limitando le conclusioni a rete del Barça.
Busquets sale un po’ di tono, si posiziona meglio e spezza i tentativi di contropiede valenciani, poi anche l’ingresso di Henry contribuisce a spingere dietro il Valencia. Non solo il francese allarga il gioco sulla sinistra e dà un po’ più di profondità, ma l’arretramento di Iniesta a centrocampo permette di superare con maggior facilità la seconda linea valenciana, grazie all’abilità palla al piede del manchego.
Sempre Iniesta il trascinatore, anche se le conclusioni, a parte qualche tentativo di Henry, scarseggiano. Così ci vuole un mezzo errore in uscita di César, su calcio piazzato dalla trequarti sinistra, per propiziare il 2-2 di Eto’o, messo pochi minuti dopo in pericolo da un geniale tentativo dalla linea di fondo di Villa che però trova attento Valdés sul suo palo.
Ora Barça-Chelsea: c’è da scommettere che Hiddink proporrà qualcosa di simile ad Emery, con possibilità di partenza ancora maggiori. L’incognità sarà verificare la tenuta del Barça fra martedì e sabato nel Clásico.

La crisi del Sevilla apre scenari inaspettati fino a poche giornate fa: ora gli andalusi vedono a rischio persino il quarto posto, visto che a due punti si è portato il Villarreal, col quale proprio nel prossimo turno ci sarà lo scontro diretto.
Villarreal che inguaia sempre più il Getafe, che deve ringraziare l’Atlético (naturalmente orribile) per aver tenuto a secco lo Sporting, ora terzultimo (sempre più in caduta libera gli asturiani, prima erano la “squadra allegria” della Liga, ora devono badare come tutti alla mera sopravvivenza), mentre l’Espanyol si avvicina all’impresa (il buonissimo lavoro di Pochettino finalmente dà i suoi frutti).
Stabili Deportivo e Málaga (alla Rosaleda i galiziani giocano meglio, ma sono gli andalusi a sprecare l’occasionissima, un rigore di Apoño che peraltro è un abbaglio arbitrale allucinante), Almería e Athletic si avvicinano sempre più alla salvezza.

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venerdì, aprile 24, 2009

TRENTADUESIMA GIORNATA: ALTRE PARTITE.

Numancia-Athletic Bilbao 1-2 (giocata martedì): Cisma 10'(N); Toquero 30'(A); Llorente 47'(A).

Betis-Valencia 1-2 (mercoledì): Villa 66'(V); Villa 79'(V); Oliveira 86'(B).

Osasuna-Málaga 2-3 (mercoledì): Apoño, rig. 4'(M); Plasil 18'(O); Nekounam 33'(O); Lolo 72'(M); Salva 79'(M).

Deportivo-Almería 0-2 (mercoledì): Verdú 48'; Lassad 67'.

Sporting-Espanyol 0-3 (giovedì): Nené 24'; Román Martínez 72'; Callejón 74'.

Villarreal-Recreativo 2-1 (giovedì): Camuñas 1'(R); Llorente 39'(V); Cani 67'(V).

Mallorca-Valladolid 2-0 (giovedì): Alhassane Keita 64'; Alhassane Keita 83'.

Racing-Atlético Madrid 5-1 (giovedì): Christian Fernández 9'(R); Garay 16'(R); Tchité 38'(R); Forlán, rig. 62'(A); Munitis 65'(R); Zigic 86'(R).


CLASSIFICA
1 Barcelona 81
2 R. Madrid 75
3 Sevilla 57
4 Valencia 55
5 Villarreal 52
6 Málaga 50
7 Atlético 49
8 Deportivo 49
9 Valladolid 40
10 Mallorca 39
11 Racing 39
12 Betis 37
13 Athletic 37
14 Almería 37
15 Osasuna 35
16 Getafe 34
17 Sporting 33
18 Espanyol 32
19 Recreativo 30
20 Numancia 28

CLASSIFICA MARCATORI
Eto’o 27 (Barcelona, 2 rig.)
Villa 25 (Valencia, 8 rig.)
Forlán 22 (Atlético Madrid, 4 rig.)
Messi 20 (Barcelona, 3 rig.)
Negredo (Almería, 4 rig.)

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giovedì, aprile 23, 2009

TRENTADUESIMA GIORNATA: Barcelona-Sevilla 4-0: Iniesta; Eto’o; Xavi; Henry.

Senza la bava alla bocca e senza gli occhi iniettati di sangue, anche il Barça fa il suo. Tanto per cambiare stritola l’avversario, un miserrimo Sevilla. Era difficile per Guardiola pareggiare il successo psicologico riportato ieri dal Madrid, ma anche il Barça ha trovato motivi per nutrire fiducia che vanno oltre i tre punti. La vittoria è netta, il gioco ottimo, e tutto senza Messi, che, un po’affaticato nelle ultimissime partite (e, nell’occasione, fermato pure da problemi di stomaco), ha potuto riposare in vista dei due appuntamenti con Valencia e Chelsea.
Dall’altra parte Jiménez ha attuato un turnover ben più pesante, forse troppo, partendo con Kanouté in panchina e Koné-Luis Fabiano di punta, rinunciando a Duscher e Renato e riproponendo Maresca. Un disastro, fa venire i brividi ancora una volta pensare che questa possa essere la terza squadra della Liga.
Ci ha messo nulla il Barça a indirizzare il match, il tempo per Henry di recuperare un pallone sulla trequarti (ennesima testimonianza dell’aggressività, intensità e spirito di sacrificio con cui tutti i giocatori di Guardiola interpretano la fase di non possesso: una delle chiavi imprescindibili di questa stagione), favorendo la percussione sulla trequarti di Iniesta, che ha il tempo per prendere la mira e piazzare un destro ad effetto sotto la traversa.
Come a Getafe, il Barça costruisce la propria vittoria fra le linee: se sabato era stato Messi ad aiutare i centrocampisti a creare la superiorità numerica, stavolta è Iniesta a fare la differenza partendo dalla destra e accentrandosi sulla trequarti. Con Alves a fare l’attaccante aggiunto sulla destra, il rimescolamento delle posizioni offensive blaugrana manda facilmente all’aria un sistema difensivo del Sevilla assai poco reattivo: bastano triangolazioni relativamente semplici per entrare in porta col pallone, come nell’azione del secondo gol, il ventisettesimo in Liga di Eto’o.
La partita finisce presto, la ripresa del Sevilla è patetica, di una passività sconcertante fra difesa e centrocampo: più di una volta (vedi il terzo gol di Xavi), i giocatori di casa possono controllare indisturbati, alzare la testa, scegliere la soluzione che preferiscono, cambiare idea magari due o tre volte per poi comunque eseguire l’azione con la massima comodità.

I MIGLIORI: La classe, la versatilità e l’intelligenza di Don Andrés Iniesta sbalordiscono ogni giorno di più. Xavi gestisce i tempi con la solita saggezza, che nel campionato spagnolo non ha nemmeno l’ombra di un concorrente.
I PEGGIORI: Imbarazzante, semplicemente imbarazzante la coppia Maresca-Romaric nel centrocampo ospite. Penoso Mosquera (che peraltro non viene mai aiutato dai raddoppi di Capel, menefreghista all’estremo da questo punto di vista, l’esatto opposto di Navas), distratto nel quarto gol e ripetutamente umiliato da Henry, tanto che Jiménez gli fa un favore a cambiarlo. Tutti però sono fuori partita nel Sevilla.

Barcelona (4-3-3): Valdés s.v.; Alves 6,5, Márquez 6(Sylvinho s.v., m. 82), Piqué 6, Abidal 6; Xavi 7(Bojan s.v., m. 74), Touré 6,5, Keita 6,5; Iniesta 7,5(Hleb s.v., m. 60), Eto'o 6,5, Henry 6,5.
In panchina: Pinto, Puyol, Messi y Busquets.
Sevilla (4-4-2): J. Varas 6; Mosquera 4(Konko s.v. m. 65), Squillaci 5,5, Escudé 5,5, Fernando Navarro 6; Capel 5, Maresca 4,5, Romaric 4, Navas 5,5; Luis Fabiano 5(Renato s.v., m. 56), Koné 4,5(Kanouté s.v., m. 46).
In panchina: Vargas, Duscher, Prieto y Perotti.

Goles: 1-0. M. 2. Iniesta desde la frontal del área la coloca en la escuadra. 2-0. M. 16. Eto'o aprovecha un pase de Iniesta. 3-0. M. 48. Xavi, a pase de Iniesta, la coloca desde la frontal del área. 4-0. M. 54. Henry cruza, tras otro pase de Iniesta.
Árbitro: Mejuto González. Amonestó a Navarro, Abidal, Mosquera.y Alves.
Camp Nou. 76.386 espectadores.

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mercoledì, aprile 22, 2009

TRENTADUESIMA GIORNATA: Real Madrid-Getafe 3-2: Soldado(G); Higuaín(R); Albín(G); Guti(R); Higuaín(R).

E adesso si fa bella. La psicologia passa tutta dalla parte del Madrid, che in una partita da manicomio, ordinaria al Bernabeu, completa la trasformazione: ora è in tutto e per tutto uguale al Real Madrid 2006-2007. Sì, proprio il Capello-bis, quella squadra sgangherata, improponibile, arlecchinesca, costituzionalmente lunatica, dal gioco infame e ripugnante, senza filo logico ma forte di una fede che abbatte ogni ostacolo. Qualunque cosa succeda, loro si rialzano e colpiscono. Hanno sempre una vita in più dell’avversario.
Non si può combattere con le armi della logica chi va due volte in svantaggio, va in dieci, subisce un rigore a pochi minuti dalla fine, e nonostante questo a fil di sirena va a prendersi di forza il gol decisivo. Finora il Madrid di Juande non aveva mostrato un volto simile, ma piuttosto un anticalcio più votato al risparmio. Ora che ha aggiunto l’elettricità e l’epica, ha definitivamente conquistato le anime di chi lo circonda: tifo, stampa e ambiente in generale saranno una cosa sola con la squadra, da qui alla fine, come nel 2007.
L’armonia del 4-3-3 di Guardiola, il senso del gioco di Xavi e Iniesta, l’intesa Messi-Alves ora si trovano obbligatoriamente a fare i conti con qualcosa di completamente estraneo alla “genetica” blaugrana, qualcosa di ignoto e per questo inquietante, sublimato nella rabbia animalesca del Pipita Higuaín. Sul filo di lana le motivazioni, lo slancio e l’energia fanno la differenza molto più delle geometrie e del consolidato equilibrio di forze.

Assenza grave per i padroni di casa quella di Lassana Diarra, che costringe Juande Ramos a ricorrere a Guti nel doble pivote, mentre le condizioni delicate di Robben (la sua muscolatura non regge tre partite in una settimana) regalano una chance a Van der Vaart sulla fascia sinistra, davanti a Marcelo, confermato terzino. Nel Getafe invece, è disponibile Granero (non so sinceramente se il Getafe abbia pagato una penale per poterlo schierare, come ha fatto Jurado del Mallorca per giocare contro l’Atlético).
Il primo tempo del Madrid è uno sproposito di dimensioni abnormi. Lo abbiamo già rilevato un centinaio di volte almeno: cinque che attaccano e cinque che difendono, questo non è calcio. Questa squadra ci ha ormai abituato a un’immagine d’insieme totalmente disorganica, sembra messa insieme con l’Attak.
Impressionante ad inizio azione la distanza fra il portatore di palla (difensore o primo centrocampista) e il compagno più vicino: mediamente, fra questi due giocatori in maglia bianca, di mezzo c’è l’intero centrocampo del Getafe. Non sorprende perciò che i merengues spesso ricorrano alla soluzione più spartana, il lancio direttamente verso Huntelaar e Raúl. Inutile dire che a palla persa, il terreno del Bernabeu lacrima sangue: attacchi disordinati, quindi squadra posizionata male, Guti che si chiama fuori, e praterie per l’avversario, storia di sempre quando non c’è Lass a fare da balia a Gago.
Il Getafe in tutto questo non fa niente di speciale, semplicemente gioca a calcio, con distanze ragionevoli fra i reparti e combinazioni palla a terra che fanno breccia con estrema facilità: Soldado si mangia un gol appena iniziato il match, ma al 9’ non sbaglia quando, in un’azione tutta “Made in Valdebebas”, Granero gli mette sulla testa un cross mancino perfetto che proprio non si può sprecare, anche perché Pepe a centro area dorme.
Non succede più niente, son solo mugugni e fischi del Bernabeu, fino allo scadere del primo tempo, quando la Dea Bendata rimette in pista il Real Madrid. Del tutto casuale lo sviluppo dell’azione che porta al pareggio, una serie di rimpalli nella quale meritano una sottolineatura soltanto l’incertezza di Cata Díaz e la caparbietà di Higuaín.

A quel punto il Madrid può fare leva sul fattore psicologico per tutta la ripresa: laddove non arriva il gioco, è l’entusiasmo a farti guadagnare metri e le gambe che tremano a farne perdere al tuo avversario. Tutti i giocatori di casa cominciano ad aggredire, ad intimidire, a spingersi all’attacco, a spendere una corsa in più del solito per aiutare il compagno. L’habitat ideale di gente come Sergio Ramos e Higuaín insomma.
Vista la necessità, Juande si gioca pure Robben al posto di Van der Vaart, ma gli va male: l’olandese riporta presto un infortunio muscolare ed esce dopo soli 18 minuti, lasciando il campo a Drenthe (riammesso ufficialmente al Bernabeu). Ormai il tecnico madridista sposa una concezione ultra-offensiva, visto che rinuncia pure a Cannavaro, inserendo Javi García e cercando qualità nella costruzione del gioco sin dall’inizio con Gago nell’inedito ruolo di difensore centrale.
Dall’altra parte il Getafe casca nella trappola: soggiogato psicologicamente dalla reazione madridista, si abbandona a una partita di pura sofferenza. Solo Granero ha la calma, la classe e la personalità per vedere gli spazi che il Madrid lascia proteso nello sforzo offensivo, e per gestire il pallone in maniera appropriata.
Víctor Muñoz inserisce Albín (ancora una volta inspiegabilmente riserva di Manu del Moral) per potenziare il contropiede, la partita resta comunque apertissima: il Getafe ha un vantaggio tattico (che gli concede due occasioni ghiottissime e ignobilmente sprecate da Albín e Soldado), il Madrid ha una potenza ovviamente molto superiore nei suoi attacchi. I padroni di casa si avvicinano in più di un’occasione al gol, reclamano un rigore su Higuaín (io l’ho visto come il rigore reclamato da Messi contro il Bayern: tutti dicono che c’era ma io la penso diversamente… non importa che il contatto ci sia se l’attaccante se lo va a cercare cominciando da prima la caduta), ma subiscono la doccia gelata dello svantaggio, un perfetto contropiede finalizzato da Albín con un’altrettanto perfetta conclusione di controbalzo.

È a questo punto che comincia il delirio: Guti, per il resto deleterio (giusto un pase dei suoi per Huntelaar), inventa una punizione meravigliosa per il 2-2. Siccome però sarebbe troppo facile che subito dopo arrivasse direttamente il gol della vittoria, di mezzo ci deve essere per forza un rigore+espulsione a favore del Getafe.
Altro contropiede nella prateria, il neo-entrato Uche taglia dalla destra, aspetta intelligentemente l’inserimento centrale di Casquero che entrato in area viene messo giù da Pepe. Inqualificabile il portoghese: al goffo spintone che determina il rigore e l’espulsione (chiara occasione da gol) aggiunge poi due calcioni sulla schiena dell’avversario caduto a terra. Davanti a ciò il minimo parrebbe una squalifica di 4-5 turni e la camicia di forza.
A stretto giro di posta si passa però dal penale al demenziale: Casquero va sul dischetto, gli vuole fare il cucchiaio… il risultato lo riassume il telecronista spagnolo: “A lo Panenka… y la cagó”. Immaginate quale spinta possa dare l’episodio agli assatanati vestiti di bianco: prima un cross dal fondo di Higuaín che attraversa l’area piccola senza trovare una deviazione, infine al terzo minuto del recupero, il golazo di pura volontà sempre del Pipita, una sassata mancina che dal limite dell’area si insacca sotto la traversa.
Ora vedremo se la fede saprà spingere il Madrid anche oltre le assenze pesanti che condizioneranno la serie di partite contro Sevilla, Valencia e Barça: Pepe dovremmo scordarcelo per un po’ di partite, Higuaín nell’episodio del rigore reclamato ha preso un giallo che gli dovrebbe far saltare (salvo l’esito positivo del ricorso che farà il club) la prossima, Robben sarà assente fino al Barça compreso.

I MIGLIORI: Higuaín ormai si identifica con lo spirito del Real Madrid. C’è sempre lui in mezzo a queste rimonte, dall’Espanyol nel 2007, passando per l’Osasuna la scorsa stagione, fino a ieri. È un giocatore che finora ha deluso nei grandi scontri e in Champions, che non sempre effettua le scelte migliori e che a volte si intestardisce in battaglie inutili e solitarie, ma alzi la mano chi osa negare che ormai fra lui e il pubblico del Bernabeu ci sia un filo invisibile ma impossibile da spezzare: lui interpreta il sentimento della grada e lo traduce in campo, lo incarna e lo potenzia all’estremo.
Più di tante parole bastano due immagini: subito dopo la cretinata di Casquero, prende palla sulla fascia destra, caccia un’accelerazione bestiale che lascia sul posto Rafa e spara deciso un cross che per sua sfortuna non trova nessuno. Poco male, allo scadere può comunque pescare il gol decisivo con intatta, spaventosa determinazione. In momenti come questi nella testa del Pipita scatta il seguente ragionamento: “ok, non mi chiamo Messi, non mi chiamo Robben, ma se prendo palla non mi ferma nessuno, non ci sono storie”. È l’erede ideale dei Camacho e Santillana delle rimonte europee degli anni ’80.
Diciotto gol e lo scettro di icona della stagione madridista per un giocatore che peraltro non ha nemmeno trovato una collocazione definitiva nell’undici titolare, sballottato fra l’attacco e le fasce.
Da sottolineare obbligatoriamente la grande qualità di Granero, più che pronto per il ritorno alla base (in realtà, non fosse stato spagnolo, ci sarebbe già… vecchia storia). Stavolta non si fa troppo incatenare dalla posizione di partenza di esterno destro, a tutto campo guida la transizione offensiva del Getafe con enorme personalità e senso del gioco. Tiene su palla, infonde sicurezza ai compagni. Un altro con due calamite al posto dei piedi, l’ennesima mezzala/trequartista di grande spessore prodotta dal calcio spagnolo.
Ai vari Iniesta, Silva & C. lo accomuna il fatto di mettere le proprie doti tecniche da privilegiato prima di tutto al servizio della squadra: son tutti giocatori che si esaltano non tanto nell’azione individuale quanto piuttosto nel dialogo con i compagni, e questa loro capacità di lettura del gioco rende possibile schierarli tutti assieme, senza pregiudizio ma anzi a vantaggio del collettivo (come dimostra la nazionale spagnola), nonostante caratteristiche di partenza tanto simili.
Merita un’altra menzione anche il portierone Stojkovic: forse si fa un po’sorprendere sul suo palo sul 2-2 (ma Gutiérrez la mette proprio lì, eh), ma veramente impressiona la personalità debordante con cui in sole tre partite si è calato nel ruolo. Da cineteca l’uno contro uno vinto nella ripresa con Huntelaar (in mezzo a tanto furore, l’olandese rimane freddino, questo va detto) genialmente smarcato da Guti: il serbo rimane in piedi fino all’ultimo, e si oppone al tentativo di dribbling del Cacciatore con una mano chirurgica. Se non si tratta di un fuoco di paglia (chi lo conosce sottolinea i rischi di un temperamento un po’spaccone), la Liga potrebbe aver guadagnato un asso.
I PEGGIORI: Pepe ovviamente, poi Van der Vaart che rimane un corpo estraneo: ho sempre sospettato della personalità di questo giocatore, ha fallito in pieno da questo punto di vista, ma va detto anche che non trova il minimo sostegno da parte del tecnico: una volta centrale di centrocampo, cinque-sei volte in panchina, ieri esterno che non è nemmeno per sogno il suo ruolo, a sostegno della prima punta (il suo ruolo ideale) non se ne parla nemmeno perché lì c’è Raúl che gioca per decreto… Insomma, è palese che non c’è fiducia in questo giocatore, che sta lì solo per fare numero. Un caso simile a quello di Hleb nel Barça. Non convincono i due difensori centrali del Getafe (la stagione del Cata è parecchio inferiore a quella precedente).

Real Madrid (4-2-3-1): Casillas 6,5; S. Ramos 6, Pepe 4, Cannavaro 6(J. García s.v., m. 59), Marcelo 6,5; Gago 6, Guti 6,5; Higuaín 8,5, Raúl 5,5, Van der Vaart 5(Robben s.v., m. 46; Drenthe s.v., m. 62); Huntelaar 6.
In panchina: Dudek; Torres, Metzelder, Saviola.
Getafe (4-4-2): Stojkovic 7; Cortés 6,5, Cata Díaz 5,5, Mario 5,5(Belenguer 6, m. 46), Rafa 6; Granero 7, Casquero 5, Polanski 6, Gavilán 6; Manu del Moral 6(Albín 6, m. 57), Soldado 6,5 (Uche s.v., m. 78).
In panchina: Ustari; Contra, Licht, Celestini.

Goles: 0-1. M. 9. Soldado, de cabeza. 1-1. M. 45. Higuaín. 1-2. M. 83. Albín. 2-2. M. 85. Guti, de falta directa. 3-2. M. 90. Higuaín.
Árbitro: Delgado Ferreiro. Expulsó a Pepe (m. 87) con roja directa. Amonestó a Gago, Van der Vaart, Granero, Pepe, Drenthe, Rafa, Higuaín, Stojkovic, Cata y Marcelo.
60.000 espectadores en el Bernabéu.

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lunedì, aprile 20, 2009

Il punto sulla trentunesima giornata.

GIOCATE SABATO
Barcelona-Getafe 0-1: Messi 19'.
Recreativo Huelva-Real Madrid 0-1: Marcelo 49'.
Atlético Madrid-Numancia 3-0: Banega 62'; Forlán 79'; Simão 90'.
Athletic Bilbao-Deportivo 0-1: Pablo Álvarez 85'.
Málaga-Mallorca 1-1: Apoño 53'(Mlg); Arango 58'(Mll).

GIOCATE DOMENICA
Valladolid-Villarreal 0-0
Espanyol-Racing 1-0: Iván Alonso 56'.
Almería-Osasuna 2-1: Negredo 70'(A); Pandiani 83'(O); Negredo 88'(A).
Valencia-Sevilla 3-1: Escudé 9'(S); Villa, rig. 45'(V); Mata, rig. 83'(V); Pablo Hernández 90'(V).
Betis-Sporting 2-0: Emana 7'; Emana 70'.


Il Barça spende, il Madrid accumula.

Fermandosi alla qualità della prestazione, si direbbe l’ennesima giornata favorevole al Barça, ma guardando un po’ più in là la prospettiva cambia, e le certezze di tutta una stagione potrebbero non essere più così tanto salde.

La partita del Coliseum di Getafe sfiora il paradosso: per un tempo, il primo, uno dei migliori Barça della stagione meriterebbe la goleada se non fosse per qualche spreco di troppo e per le parate del nazionale serbo Stojkovic (innesto invernale, grande innesto: titolare da sole due partite e già padrone per personalità, prestanza e riflessi), nella ripresa invece, pur non venendo impegnato seriamente Valdés, in qualche momento si ha quasi la sensazione che la beffa possa arrivare per gli uomini di Guardiola, che hanno finito i 90 minuti un po’sulle gambe.

Barça veramente dominante nel primo tempo, si installa prepotentemente nella metacampo avversaria e da lì non si schioda. Piqué e Márquez tracciano una linea insormontabile all’altezza del cerchio di centrocampo, il pressing altissimo porta a raddoppiare e a volte triplicare sui giocatori del Getafe che non vedono possibilità di scampo; la manovra scorre più fluida che mai (già dopo la partita contro l’Athletic avevamo notato come la presenza di Busquets davanti alla difesa apporti un movimento senza palla e una gestione degli spazi più favorevole all’azione di Xavi e Iniesta di quanto non succeda invece con Yaya Touré), e l’accentramento di Messi dopo pochi minuti genera una situazione di superiorità fra le linee nei confronti del 4-4-1-1 del Getafe (mentre Alves rimane largo a destra l’argentino si muove alle spalle di Polanski e Casquero, con davanti Eto’o e anche Henry che tagliando dalla sinistra impegna i due difensori centrali del Getafe, si libera alla conclusione e si mangia pure dei gol belli grossi).
Col Getafe tutto schiacciato e il Barça che ha grande continuità di manovra fra centrocampo e attacco, il gol di Messi è un evento inevitabile. Esposti i meriti del Barça, vanno però sottolineate le gravi colpe di Víctor Muñoz, tecnico ancora una volta non all’altezza purtroppo: come se non bastasse il Barça, le sue scelte auto-incarcerano nella propria metacampo il Getafe, regalando un 50% di dominio al Barça.
Scelte di bassissimo profilo: Víctor si fascia la testa ancor prima di rompersela mandando in panchina Granero e Albín, i due elementi di maggior qualità; al loro posto Contra e Manu del Moral. Ti privi dei due giocatori capaci di trattenere palla, combinare nello stretto e far salire la squadra, riduci la tua strategia a un “rincorrere, rincorrere, rincorrere” che contro il Barça alla lunga equivale al suicidio.
Nessuno dice che tu debba fare la partita, ma i blaugrana son sicuramente più vulnerabili se almeno un minimo li costringi a guardarsi anche alle spalle e se di quando in quando li porti a difendere ripiegando nella loro metacampo, situazione tattica alla quale la squadra di Guardiola non è particolarmente predisposta. Invece, niente di tutto questo (che, tra l’altro, è ciò che il Geta aveva fatto pari pari all’andata al Camp Nou), e le dichiarazioni a fine partita di Víctor Muñoz, che giustifica la scelta di Contra al posto di Granero (che peraltro mancherà domani al Bernabeu per la solita deprecabile clausola contrattuale) sostenendo che il rumeno gli serviva per avere più precisione nei passaggi (!?!?), sono una presa in giro della quale non si sentiva un gran bisogno.
Nella ripresa comunque il Getafe ha improvvisamente bisogno di passaggi meno precisi, e così entra Granero (e, più avanti, anche Albín e Uche, cioè quelli bravi): guadagnano qualche metro i padroni di casa, in coincidenza con un calo fisiologico del Barça.
Il secondo tempo catalano è di qualità nettamente minore, ma alla fine efficace: fa la differenza il sacrificio di giocatori come Henry, sempre pronto a ripiegare in aiuto al terzino. Non riesce più ad attaccare in blocco il Barça, si accontenta di stringere i denti e le maglie, affidandosi in fase offensiva perlopiù alle azioni individuali: anche così il Getafe non crea nulla, e anzi gli ospiti avrebbero più di una palla per chiudere anticipatamente il match, ma prima il guardalinee (segnalazione dubbia) e poi il palo fermano rispettivamente Messi ed Eto’o (più errore che sfortuna per il camerunese, che sceglie l’angolo sbagliato nell’uno contro uno con Stojkovic).

Ciò che potrebbe far cambiare la prospettiva da qui a fine stagione è la fatica. Il finale di stagione blaugrana sarà massacrante, andranno via energie preziose, fisiche e mentali. Mercoledì il Sevilla, sabato il Valencia, poi il Chelsea due volte e quindi il Real Madrid. Senza respiro.
Il successo della squadra di Guardiola ha sì una componente collettiva, ma non può fare a meno della brillantezza di tre giocatori: Messi, Alves e Iniesta. Ognuno di questi tre, per motivi diversi, non è sostituibile. Finora Pep aveva potuto preservare questi giocatori col turnover, ma ora, con tutti questi impegni delicatissimi e ravvicinati, col Madrid che presumibilmente continuerà a braccare, andranno tutti spremuti fino all’ultima goccia. Nulla di male, se non fosse che Messi comincia a mostrare qualche segno di appannamento (l’abilità palla al piede li nasconde, ma lo spunto sul breve non è quello dei periodi di forma migliori) e che lui come gli altri potrebbe non arrivare al meglio agli appuntamenti finali.

Solito Madrid: domina nelle due aree, e questo basta e avanza contro la maggior parte degli avversari. Tre punti come al solito meno vistosi di quelli del Barça ma relativamente più facili. Quattro difensori più i due mediani (tornano Gago e Lass in coppia, mentre Sneijder entra nella ripresa, si infortuna e ne avrà per cinque settimane) blindano tutto dietro, davanti si aspetta invece le cavalcata di Robben e Higuaín e lo spunto di qualcun altro a turno.
Stavolta lo spunto è di un Gago che per un momento, il primo in due anni e mezzo di calcio europeo, ricorda quello del Boca Juniors: strepitosa verticalizzazione nello spazio, a fare le veci del Rodrigo Palacio di un tempo c’è Marcelo, che sorprende Iago Bouzón e fredda Riesgo sul primo palo. Continua la sua ascesa il brasiliano, tornato nell’occasione terzino, il ruolo nel quale continuando a dargli fiducia potrà diventare per il Madrid qualcosa di molto importante, magari non al livello di Alves per il Barça, ma al livello di miglior terzino sinistro della Liga sì, e pure di slancio.
Fatto il gol, il Madrid potrebbe chiudere tranquillamente in contropiede in più di un’occasione, ma decide di lasciare vivo un Recre di una tenerezza commovente. Il trio Camuñas-Sisi-Colunga (coadiuvati da Aitor, mancino che stavolta parte a destra nel 4-2-3-1 con cui Álcaraz rinnega il 4-1-4-1 del girone di ritorno) ha anche una vivacità interessante, poi dalla panchina si aggiungono pure il gigante Ersen Martin e Akalé (il cui scarso utilizzo continuo a non capire), ma insomma, un 80% buono delle squadre della Liga (ancora di più il Recre, che è notoriamente una delle più povere) è incapace di rimontare un Real Madrid con la barriera Gago-Lass e un centrale come Pepe: nell’élite della Champions il portoghese non ha mostrato uguale prepotenza (anzi…), ma nel panorama della Liga un corpo a corpo con Pepe rapprsenta la più frustrante delle esperienze per l’attaccante spagnolo medio. Superiorità fisica imbarazzante, che pesa ancora di più quando Gago e soprattutto Lass impediscono agli avversari di arrivare indisturbati fino al limite dell’area di Casillas.


Bernardino fa un gran casino.


Esco sconvolto, sconvolto e al tempo stesso deliziato, dallo “spettacolo” del Mestalla. Il motivo di sensazioni così ambivalenti è lo stesso: il signor Bernardino González Vázquez, l’arbitro. Mi dichiaro stregato dalla fantasia di quest’uomo, degna di un Dalí: una fantasia capace di trasformare un’entrata dura ma al massimo da ammonizione di Adriano in un rosso diretto e al contrario di vedere in una mossa di kung-fu di Luis Fabiano un semplice cartellino giallo; una fantasia capace di premiare col rigore un tuffo carpiato di Mata e, di passaggio, trasformare una squadra senza capo né coda come il Valencia in un candidato credibile per il quarto posto.
Non parliamo poi della gestione magistrale di tutta la partita: un espulso e quindici ammoniti (QUINDICI), e la ferrea volontà di trasformare una gara inizialmente placida in una rissa da bar. Ci sarebbe riuscito, non fosse stato per il sostanziale autocontrollo dei protagonisti, compreso quello di Jiménez che si fa cacciare solo a pochi minuti dal novantesimo.
In questo contesto, le due squadre si sono impegnate per farci vedere meno calcio possibile: più compatto il Sevilla, meritatamente in vantaggio e propostosi con molta più personalità nella metacampo avversaria (la compresenza di Romaric, Duscher e Renato, stavolta in un 4-5-1 con Perotti largo a sinistra, preferito dall’inizio a Luis Fabiano, garantisce qualche momento di manovra un po’ più elaborata, ma parlare di buon calcio sarebbe uno sproposito); totalmente allo sbando il Valencia, che fino alla superiorità numerica regalata da Bernardino era incapace di mettere due passaggi in fila dalle retrovie.
Nel secondo tempo i padroni di casa approfittano dell’uomo in più quando trovano qualche spazio per il contropiede, l’unica maniera in cui i loro assi offensivi son riusciti a entrare in azione ieri sera. A decidere però è una follia di “Mister Sobrietà” Fernando Navarro, che di punto in bianco schiaffeggia dentro l’area un cross di Vicente (subentrato per fare il terzino, giusta mossa d’emergenza di Emery: in quella situazione Alexis terzino sinistro, pure se forzato dalle assenze, rappresentava solo un intralcio), regalando a Mata il rigore del 2-1. Chiude tutto il contropiede finale di Pablo Hernández (continuano a salire le azioni del canterano, ancora di più quando Joaquín al momento del cambio non guarda nemmeno in faccia Emery).


Le altre

Nella corsa fra zoppi al quarto posto l’Atlético fa un altro passettino avanti (giocando in maniera orribile, of course), mentre prosegue il brutto momento del Villarreal: primo tempo sofferto a Valladolid, poi nella ripresa gli uomini di Pellegrini non approfittano nemmeno della superiorità numerica (espulsione di Iñaki Bea) e sprecano un rigore con Giuseppe Rossi. Delle tre concorrenti per il quarto posto il Villarreal sarebbe l’unica ad avere un progetto solido, ma in questi sprint finali contano altre cose, le motivazioni, la forma e anche le individualità offensive, e da questo punto di vista Valencia e Atlético sono avvantaggiate.
Frena il Málaga in casa (due grandi gol alla Rosaleda, dell’uomo-mercato Apoño e di Arango, quest’ultimo con un piccolo aiuto di Goitia), il Deportivo inguaia (relativamente: la distanza dalla terzultima resta la stessa) l’Athletic con un gol di Pablo Álvarez, buon rincalzo sull’ala destra.

Sbanca tutto Nogués: due partite, due vittorie e un cuscinetto di sette punti sul Recreativo terzultimo che mette quasi al sicuro il Betis (ed è giusto così, non si può ripetere uno scempio come quello del Zaragoza la scorsa stagione…).
Quello del Ruiz de Lopera è il classico scontro-salvezza: squadre nervose, contratte, zero gioco e tanta paura di sbagliare. Nessuno ha il controllo del gioco, e così a decidere è la potenza degli attacchi: qui non c’è gara, Edu-Emana-Mark González dietro Ricardo Oliveira. Soprattutto Emana, è lui il trascinatore, come in tutta la stagione del resto: un’altra doppietta decisiva dopo quella al Racing. Strepitoso il primo gol al volo, facile ma ugualmente importante il secondo, a porta vuota dopo un pasticcio fra Cuéllar (al rientro dopo tre mesi di infortunio) e José Ángel. Il camerunese è un giocatore dall’energia fuori dal comune, una mina vagante sulla trequarti che associa una forza muscolare incredibile a ottimo tocco di palla e buona predisposizione al dialogo coi compagni. Una delle sensazioni di questa Liga.
Dall’altra parte gira a vuoto tutta la serata lo Sporting, che accusa l’assenza di Diego Castro (imbarazzante il sostituto, Kike Mateo adattato a sinistra) ed è insolitamente privo di mordente in attacco.

Battuta d’arresto per l’Osasuna (con assenze importanti: i due iraniani Nekounam e Masoud e Plasil), che paga dazio all’Unión Deportiva Negredo. Non si arrende l’Espanyol, che da tempo ha invertito la dinamica di gioco ma che fatica sempre a tradurla in gol (a leggere “Tamudo-3 gol” si strabuzzano gli occhi).


CLASSIFICA
1 Barcelona 78
2 R. Madrid 72
3 Sevilla 57
4 Valencia 52
5 Atlético 49
6 Villarreal 49
7 Málaga 47
8 Deportivo 46
9 Valladolid 40
10 Betis 37
11 Almería 37
12 Mallorca 36
13 Racing 36
14 Osasuna 35
15 Getafe 34
16 Athletic 34
17 Sporting 33
18 Recreativo 30
19 Espanyol 29
20 Numancia 28

CLASSIFICA MARCATORI
Etoo 26 (Barcelona, 2 rig.)
Villa 23 (Valencia, 8 rig.)
Forlán 21 (Atlético Madrid, 3 rig.)
Messi 20 (Barcelona, 3 rig.)
Negredo 19 (Almería, 4 rig.)

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giovedì, aprile 16, 2009

Leo Messi versus Elisabetta II, ne rimarrà uno solo.

Storia di sempre ormai: tre inglesi e un’”intrusa”. Stavolta è il Barça: la composizione del tabellone, coi blaugrana da una parte e il Man United dall’altra, sembrerebbe un chiaro invito alla finale più “stellare”, forse la più attesa dagli appassionati neutrali, ma al tempo stesso suona decisamente ridicolo snobbare Arsenal e soprattutto Chelsea (elenco i seguenti nomi: Cech, Terry, Essien, Lampard, Drogba, poi in panchina Hiddink… classici nomi da vittime sacrificali…).

Che il Villarreal dovesse uscire era un fatto annunciato; che esca ridicolizzato in questa maniera però brucia, e pure molto. Un ulteriore colpo alla credibilità del calcio spagnolo di club, inferto peraltro a una delle società globalmente meno meritevoli, perché quello del Villarreal a lungo termine rimane comunque un progetto di tutto rispetto.
A compromettere anticipatamente le chances del Submarino era principalmente il centrocampo disastrato: se l’assenza di Cazorla privava già dall’andata dell’unico esterno/trequartista capace di accelerare e incidere nell’uno contro uno, la defezione di Senna ha reso definitivamente poco competitiva per certi livelli la mediana di Pellegrini.
C’è poco da fare, il brasiliano ad oggi è un pezzo unico nella rosa, insostituibile per completezza e leadership. Bruno ha buone doti di palleggio, ma non ha assolutamente la personalità né lo in senso lato lo spessore tecnico per prendere in mano la squadra; Eguren, si sa, è esclusivamente una diga, e il maggior protagonismo nella costruzione della manovra che l’assenza di Senna gli ha inevitabilmente concesso ha avuto effetti catastrofici.
Non è una semplice questione di ritmo come qualcuno erroneamente afferma: è sempre e soltanto la qualità a decidere. Il calcio inglese ha sempre avuto il ritmo, se ora domina è perché ha più qualità degli altri. Il Villarreal non è stato ridicolizzato perché gioca su ritmi inferiori rispetto all’Arsenal, ma perché la sua manovra non aveva una continuità e un filo logico. L’Arsenal ha vinto la battaglia prima di tutto su questo piano, e solo dopo, dalla trequarti in su, ha fatto pesare la propria velocità nettamente superiore (che certamente fa la sua parte). Anche all’andata l’Arsenal rimaneva più veloce, ma la connessione fra Song-Denilson e Cesc-Nasri non funzionava, mentre il Villarreal giocando ai suoi ritmi più bassi, ma coi tempi e le misure giuste, riusciva a condurre la gara sul terreno che preferiva.
Il Villarreal dell’Emirates è invece privo di direzione, incapace di distendersi in fase di possesso. Non ha convinto, parlando comodamente a posteriori, nemmeno l’undici scelto da Pellegrini: ha sorpreso la panchina di Ibagaza, quello che dei trequartisti attualmente a disposizione offre più garanzie, e la rinuncia alle due punte a conti fatti ha tolto slancio alla manovra, già compromessa nel suo avvio come detto sopra.
Le tre mezzepunte Cani-Pirés-Mati Fernández non hanno proprio inciso (ci ha provato un po’ il cileno nel secondo tempo, con qualche movimento intelligente tra le linee, ma il ricordo di quello che era il giocatore del Colo Colo continua a far piangere il cuore), la profondità di una prima punta chiara come Llorente era esclusa e Rossi, isolato dalla cattiva manovra, ci ha aggiunto una prestazione individuale davvero deludente.
A fare la differenza fra la sconfitta annunciata della vigilia e la disfatta infine consumatasi è stata però la serata da brividi della difesa: con un reparto arretrato all’altezza ci si sarebbe potuti accontentare di una partita stile Old Trafford, cioè sofferta e senza controllo del centrocampo ma sicura dietro, ma quella di ieri evidentemente era una serata da regali.
Solitamente vestiti di tutto punto per la ribalta della Champions, Gonzalo e Godín hanno stavolta offerto in mondovisione quelle battute a vuoto che di tanto accusano in partite di Liga meno reclamizzate. Terrificante il buco di Godín che apre la strada all’1-0 di Walcott, inconcepibile la “marcatura a vista” di Gonzalo su Adebayor, dilettantesco il rigore del 3-0 regalato ancora da Godín. Una serata di interventi fuori tempo, letture difensive errate, calcioni a vuoto o dritti sulle caviglie avversarie (Gonzalo è stato pure abbondantemente graziato), dormite sui calci piazzati, e in generale una disposizione errata di tutta la linea difensiva.
Spesso è la stessa pessima qualità della manovra a originare i disastri nella transizione difensiva: nascendo “malata” la manovra, con Bruno ed Eguren incapaci di dare i tempi e con numerose palle perse a centrocampo quando i terzini cominciano a salire, la difesa si è trovata inevitabilmente disordinata ed esposta alle azioni di rimessa dell’Arsenal. Inoltre i centrali hanno mantenuto una distanza sempre eccessiva dal centrocampo, non salendo sufficientemente quando il centrocampo provava a impostare e non accorciando verso la mediana in fase di non possesso (cosa che invece aveva fatto egregiamente all’andata). Così l’Arsenal ha trovato spesso gli spazi tra le linee e l’opportunità di prendere in controtempo la difesa del Villarreal.

Insomma, una serataccia. Ora tocca rimboccarsi le maniche, cosa che al Madrigal sanno fare benone peraltro. Gradino dopo gradino, senza fretta, rendere anno dopo anno più competitiva la rosa, pensando anzitutto ad assicurarsi il quarto posto quest’anno.
Le mie richieste: almeno un terzino (a destra o a sinistra) capace di arrivare sul fondo; un difensore centrale bravo ad impostare il gioco; un centrocampista centrale di qualità capace di affiancare e preparare la successione di Senna; un trequartista col cambio di ritmo (Llaneza prova a trattare Douglas Costa col Grêmio, ma sarà difficilissimo); un centravanti di spessore internazionale (Llorente passerebbe a fare il Solskjaer, mentre è previsto il ritorno dal prestito al Racing di Pereira come vice-Rossi).
Per fare spazio a questi giocatori la rosa andrà sfrondata: considererei al capolinea l’avventura di Fuentes, Cygan, Cani, Pirés, Nihat e Guille Franco. L’investimento su Mati Fernández è stato troppo pesante per non dargli un’altra chance, ma le scuse per il talento cileno sono finite da un pezzo.

Il Barça ha fatto il suo dovere con stile e personalità, di fronte a un buonissimo Bayern. Nettamente meglio i tedeschi rispetto all’andata come aggressività e anche come equilibrio, hanno pressato alto, non hanno mai lasciato girare Messi & c., hanno costruito pericolose ripartenze sull’asse Toni-Ribery (l’italiano, pessimo in fase conclusiva, è stata la boa attorno alla quale Ribery lanciava le proprie accelerazioni), e sarebbero stati pronti a incendiarsi ove ne avessero avuto la minima opportunità.
Giornalisticamente la qualificazione era già chiusa, ma il secondo tempo sarebbe diventato eterno per il Barça nel caso gli uomini di Guardiola avessero reagito diversamente al meritato vantaggio del grande Ribery. C’è l’episodio dubbio dell’intervento in area su Toni, ma ciò non toglie che appena incassato il gol il Barça abbia congelato al meglio il gioco fino a spegnere gli entusiasmi residui dei padroni di casa.
Poche conclusioni verso Butt, ma gran possesso-palla che ha portato i blaugrana in blocco nella metacampo avversaria, moltiplicando il dispendio di energie dei bavaresi all’inseguimento del pallone, e rendendo incredibilmente lungo il campo da percorrere per i giocatori di Klinsmann una volta recuperato il pallone. Pura La Masia: quando poi i padroni di casa hanno la lingua di fuori per l’enorme sforzo compiuto, la combinazione da manuale finalizzata da Keita sigilla la qualificazione.

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lunedì, aprile 13, 2009

TRENTESIMA GIORNATA: ALTRE PARTITE.

Sporting Gijón-Valencia 2-3: Silva 18'(V); Barral, rig. 35'(S); Villa, rig. 55' (V); Bilic 71'(S); Mata 88'(V).

Mallorca-Almería 2-0: Cléber Santana 60'; Castro 90'.

Osasuna-Athletic Bilbao 2-1: Masoud 19'(O); Aitor Ocio 23'(A); Sergio 80’(O).

Racing-Betis 2-3: Luccin 4'(R); Edu 19'(B); Emana 29'(B); Zigic 32' (R); autorete Oriol 53'(B).

Numancia-Espanyol 0-0

Deportivo-Atlético Madrid 1-2: Agüero 44' (A); Simao 70' (A); Bodipo 87'(D).

Sevilla-Getafe 0-1: Gavilán 82’.

Solo tre-quattro partite fa pensare al Valencia di nuovo quarto era da ricovero psichiatrico, e invece la dinamica si è invertita. Non ancora quanto a gioco (nell'occasione si parla di un Valencia in sofferenza e trascinato esclusivamente dai suoi tre fenomeni offensivi), ma il dato psicologico, che nel calcio può arrivare a sbaragliare tutti gli altri quanto a importanza (vedi il Real Madrid campione nel 2007), è chiaramente cambiato. Allo Sporting pareva brutto cogliere il primo pareggio della stagione, Preciado gioca il tutto per tutto rimanendo con un solo interdittore a centrocampo, e Mata punisce in contropiede.
Non muore nemmeno l'Atlético, che per 75 minuti disputa una delle migliori partite della propria stagione. Una delle migliori perchè una delle poche serie.
Dopo il vergognoso 2-4 casalingo con l'Osasuna, Abel aveva chiesto prima di tutto disciplina difensiva. Accontentato: niente praterie, niente dormite, un Atlético per una volta corto e compatto ha inaridito la manovra del Depor, annullato il quartetto Lafita-Valerón-Guardado-Lassad (Lassad comincia a diventare un problema: grandi mezzi tecnici, ma in area non ci mette mai piede... come unica punta non è del tutto sostenibile), e di rimessa ha colpito con le sue straordinarie individualità: Agüero lascia a bocca aperta col suo gol, Simão affonda il coltello nella difesa galiziana.
L'ultimo quarto d'ora invece è di sofferenza: allo stesso tempo in cui l'Atlético lo perde guadagna campo Valerón, che comincia ad entrare in contatto col pallone con continuità, il resto lo fanno gli ingressi positivi di Pablo Álvarez e Bodipo, che forniscono un po' più di mordente e un minimo di presenza in area avversaria. Leo Franco interviene in più di un occasione, Bodipo sfrutta l'ennesima incertezza su palla inattiva della difesa dell'Atlético, Juan Rodríguez infine coglie un palo esterno negli ultimi minuti. Tre punti però meritati per i colchoneros.

Battuta d'arresto, abbastanza indolore comunque, per il Sevilla, ossigeno per il Getafe. Continuano a volare, splendido girone di ritorno, Osasuna e Mallorca. Al Reyno de Navarra gli episodi sono favorevoli ai rojillos: l'Athletic sbaglia parecchi gol, poi nel secondo tempo l'espulsione di Aitor Ocio per fallo su Masoud (divertimento perverso di chi scrive) mette in mano ai padroni di casa le carte migliori per l'assedio finale.
Athletic e Almería restano tra color che stan sospesi in quel gruppetto a quota 34 del quale entra a far parte pure il Betis dopo la preziosissima vittoria al Sardinero. Appena reduci dal cambio d'allenatore, col tecnico della filiale Nogués, i verdiblancos raccolgono i tre punti facendo a meno di due pezzi da novanta come Ricardo Oliveira e Sergio García (però c'è la garanzia Edu... bentornato al gol!) ma venendo trascinati dal mostruoso Emana (pura potenza e caparbietà il suo gol; il terzo gol bético invece, attribuito da tutti i giornali al camerunese, mi sembra a tutti gli effetti un'autorete di Oriol).
Tristissimo zero a zero fra Numancia ed Espanyol, carne da Segunda ormai.

CLASSIFICA
1 Barcelona 75
2 R. Madrid 69
3 Sevilla 57
4 Valencia 49
5 Villarreal 48
6 Atlético 46
7 Málaga 46
8 Deportivo 43
9 Valladolid 39
10 Racing 36
11 Osasuna 35
12 Mallorca 35
13 Betis 34
14 Getafe 34
15 Athletic 34
16 Almería 34
17 Sporting 33
18 Recreativo 30
19 Numancia 28
20 Espanyol 26

CLASSIFICA MARCATORI
Etoo 26 (Barcelona, 2 rig.)
Villa 22 (Valencia, 7 rig.)
Forlán 20 (Atlético Madrid, 3 rig.)
Messi 19(Barcelona, 3 rig.)
Negredo 17 (Almería, 4 rig.)

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TRENTESIMA GIORNATA: Real Madrid-Valladolid 2-0: Raúl; Robben.

Se sulle partite del Barça spesso c’è poco da dire perché la partita non c’è proprio, anche le gare del Real Madrid pongono un problema simile, ma per un motivo ben differente. Il fatto è che qui oltre a riepilogare il tabellino non si può andare. Cercare un gioco, tracce anche minime di qualcosa di stimolante, è davvero un impresa. Ma tant’è, questo basta con la maggior parte delle squadre della Liga, e le probabilità che il Real Madrid arrivi allo scontro diretto col Barça con un distacco dalla vetta non superiore a quello attuale sono elevatissime.
Juande Ramos poi sa bene che le sue chances di rimanere sulla panchina merengue, comunque vada, sono scarse (per una causa di forza maggiore rappresentata dal ritorno di Florentino Pérez, le cui velleità di Rinascimento Galáctico richiederanno probabilmente un nome nuovo e ancora più altisonante di quello dell’attuale tecnico), perciò è il caso di vivere alla giornata e accontentarsi di quello che passa il convento. Nessuno lo ha chiamato per progettare qualcosa, ma per raddrizzare la barca.

Questa partita ha ricordato parecchio la vittoria di due turni fa contro l’Almería. Real Madrid con la sua formazione-tipo delle ultime partite, quella con un solo centrocampista difensivo, tendenzialmente spezzato in due tronconi, fra una metà coi quattro uomini offensivi (Robben e Higuaín sulle fasce, Huntelaar e Raúl di punta)+Sneijder ed un’altra coi quattro difensori+Lass. Pochissima comunicazione fra i reparti, azioni offensive affidate alla casualità o all’abilità dei solisti, campo per gli avversari. Il Valladolid esattamente come quell’Almería (privo di Negredo) accompagna però al gioco corale e alle distanze più sensate una totale impotenza offensiva. Combinano gli ospiti ma girano quasi sempre a largo da Casillas (si conta solo un tap-in clamorosamente fallito da Luis Prieto su una punizione non irresistibile di Pedro León respinta in maniera orripilante da Iker), ancora di più se Goitom svaria e praticamente nessuno va ad attaccare nell’area madridista (annoso problema di Mendillibar).
Così a chi ne ha già visto tante di partite come queste, basta soltanto aspettare il contropiede o lo spunto giusto che porti in vantaggio il Madrid. Higuaín è il protagonista, prima con una percussione neutralizzata da Asenjo, poi con l’eccellente sfondamento sulla destra che propizia il gol di Raúl, lesto sottomisura.
Un po’ più di pressione convinta per il Real Madrid nel secondo tempo, ma stessi squilibri tattici, quindi possibilità di azioni da una porta all’altra, invero con pochi rischi vista la leggerezza offensiva degli avversari. Il Valladolid va veramente vicino al gol soltanto sul colpo di testa del subentrato Víctor (che cross di Pedro López!), poi reclama un rigore per un intervento di Pepe su Goitom, ma sul contropiede seguente Guti, l’amicone di Juande Ramos entrato al posto di Huntelaar, sguinzaglia Robben in campo aperto con uno straordinario lancio, ed è il definitivo 2-0.

I MIGLIORI: Higuaín crea le situazioni di superiorità numerica, bene come sempre Lass (che con l’uscita di Cannavaro e l’ingresso di Gago passa a fare il terzino destro).
I PEGGIORI: Delude Escudero, che aveva una grande chance con l’assenza di Sesma. Reputo l’argentino un grande talento, ma tende ad incaponirsi in azioni individuali non sempre produttive. Goitom non fa neanche il solletico: lotta, svaria, ma non vince mai un duello coi centrali avversari. Concludere in porta poi, nemmeno a parlarne.

Real Madrid (4-1-3-1-1): Casillas 5,5; Torres 6, Pepe 6, Cannavaro 6(Gago 5,5, m. 61), Heinze 6; Lass 6,5; Higuaín 7, Sneijder 5,5(Van der Vaart s.v., m. 73), Robben 6,5; Raúl 6; Huntelaar 5,5(Guti 6,5, m. 61).
In panchina: Dudek; Salgado, Metzelder y Drenthe.
Valladolid (4-2-3-1): Asenjo 6; Pedro López 6,5, Luis Prieto 5,5, Iñaki Bea 6, Marcos 5,5; Borja 6(Aguirre, m. 83), Á. Rubio 6; Pedro León 6(Víctor, m. 75), Canobbio 5,5(Ogbeche, m. 86), Escudero 5,5; Goitom 5,5.
In panchina: Justo Villar; Baraja, Ó. Sánchez y V. Dorado.

Goles: 1-0. M. 43. Higuaín elude a dos defensas y centra raso al área chica para que Raúl remache. 2-0. M. 81. Robben recibe un gran pase en profundidad de Guti, se marcha de Bea y bate a Asenjo.
Árbitro: Ramírez Domínguez. Amonestó a Prieto, Cannavaro, Gago y Guti.
70.000 espectadores en el Bernabéu.

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domenica, aprile 12, 2009

TRENTESIMA GIORNATA: Villarreal-Málaga 0-2: Duda; Eliseu.

Solo brutte notizie per il Submarino: seconda sconfitta consecutiva, quarto posto a rischio, e ancora più a rischio la Champions per mercoledì, visto l’infortunio muscolare a Senna (dopo Cazorla, salta un altro giocatore-chiave per l’Arsenal). Poi ci si mette anche il pubblico del Madrigal, pessimo: già sin troppo abituati al caviale della Champions, accorrono in pochi e quei pochi preferiscono fischiare al minimo errore piuttosto che sostenere la propria squadra.
Il Málaga, che già non era stato malaccio contro il Real Madrid, conferma che la prestazione patetica del Camp Nou era stata solo una sbandata. Squadra equilibrata, completa, armoniosa e sfrontata quella di Tapia: complimenti davvero.

Gli ospiti confermano la formazione del Real Madrid, quindi ancora Jesús Gámez centrale al posto dell’indisponibile Helder Rosario (soluzione curiosa se si pensa che Gámez è uno dei migliori terzini destri del campionato e che in panchina sarebbe comunque disponibile un centrale di ruolo come Cuadrado).
Pellegrini ha gli uomini contati a centrocampo: mancano Matias, Cazorla e Pires, c’è solo una mezzapunta di ruolo, Ibagaza, e perciò il tecnico cileno sposta Ibagaza a destra e schiera Bruno come esterno sinistro, anche se i movimenti del canterano logicamente tendono a disegnare in mediana più un trivote (Eguren vertice basso, Senna centro-destra, Bruno centro-sinistra) che il solito 4-2-2-2.
Proprio a partire da questa modifica tattica i padroni di casa costruiscono un illusorio predominio iniziale: Bruno è molto attivo nei primi minuti, si offre e crea superiorità nel mezzo assieme a Senna ed Eguren, per poi stabilire la connessione coi movimenti di Ibagaza e Rossi tra le linee. Nihat fallisce un’occasione ghiotta, ma da qui in poi la partita cambia.
Il Málaga prende le misure, stringe le maglie in mezzo al campo e comincia ad affacciarsi con sempre maggior frequenza nella metacampo avversaria. Gli andalusi hanno una manovra semplice, lineare e al tempo stesso gradevole. Cercano sempre di proporre, non buttano mai via la palla e puntano soprattutto a creare situazioni di superiorità numerica sugli esterni per poi arrivare al cross, impostando la manovra su geometrie elementari ma efficaci e su frequenti cambi di gioco. Avanzano a pieno organico e, grazie a migliori distanze fra i reparti, finiscono con l’intrappolare in una ragnatela il Villarreal.
Giuseppe Rossi avrebbe pure l’occasione per il vantaggio, su una sbavatura di Jesús Gámez (unica pecca, anche se piuttosto grave, di una prestazione per il resto convincente), ma il Villarreal ha da tempo perso continuità nella propria azione, e perde sempre più palloni. Uno di questi origina il gol del vantaggio ospite: Apoño ha la vista periferica, e con un lancio di sinistro taglia in pieno la difesa amarilla: Ángel è colpevolmente in ritardo nella chiusura, e così Duda ha tutto il tempo per controllare, mettere a sedere Gonzalo e freddare Diego López. Tutto col sinistro, naturalmente.
Nella ripresa Pellegrini prova ad aumentare il peso offensivo: Eguren non serve più, dentro Guille Franco che va a fare l’esterno/mezzapunta, e dentro anche Llorente al posto di Nihat. Un po’ più di presenza offensiva c’è, Rossi ci prova in più di un’occasione (in una la metterebbe certamente dentro se avesse anche un minimo di gioco aereo nel proprio repertorio), entra anche il canterano Jordi Pablo (va a destra e Ibagaza va nel doble pivote) che qualche numero interessante lo mostra, ma il Málaga regge tutto come sistema difensivo, e mette pure la ciliegina in contropiede: il subentrato Luque scappa nella prateria, alza la testa e serve il raddoppio facile facile ad Eliseu.

I MIGLIORI: Duda è il boss a Málaga, c’è poco da fare. Conosciamo le sue caratteristiche: zero velocità, zero accelerazioni, ma splendido trattamento del pallone. Fa praticamente il regista dalla fascia in questa squadra. Gol d’autore e grande stagione in generale.
L’altro regista, quello ufficiale, è invece Apoño, giocatore che sa stare in campo come pochi. Facilita il gioco dei compagni, sa sempre trovarsi lo spazio per offrire l’appoggio al portatore di palla e da lì reimpostare l’azione. Molto intelligente, utilizza sempre il minor numero di tocchi possibili, ha notevole visione di gioco e ottimo calcio con entrambi i piedi (è destro naturale, ma non ha problemi a sfoderare lanci profondi e millimetrici anche con l’altro piede, vedi l’assist a Duda per l’1-0). Venticinque anni, venuto fuori tardi nel calcio dei grandi, un giocatore che dà molta continuità alla manovra, un’occasione da non lasciarsi sfuggire per chi vorrebbe rinnovare il proprio organico con elementi di qualità ma non troppo costosi (penso al Valencia prima di tutto, ma anche al Villarreal come vice o come partner di Senna non starebbe affatto male).
Fa intravedere cose molto interessanti Adrián López: fa molto movimento su tutto il fronte d’attacco, impressiona con un paio di accelerazioni palla al piede dalle fasce. A ventuno anni non è ancora esploso, nemmeno in questa stagione ha lasciato troppo il segno, ma la sensazione è che dalla prossima stagione, quando allo scadere del prestito tornerà quasi certamente al Deportivo, potrà cominciare a farlo.
I PEGGIORI: Un po’ grigio Baha, Nihat continua a non vedere la porta in una stagione per lui disgraziata: poche presenze, molti contrattempi fisici, e la forte sensazione che il meglio di sé lo abbia già dato ampiamente. Naufraga il centrocampo del Villarreal, è lì che si decide la partita.

Villarreal (4-4-2): Diego López 6; Ángel 5,5, Gonzalo 6,5, Godín 6, Capdevila 6; Ibagaza 5,5, Senna 5,5, Eguren 5,5(Llorente 5,5, m. 53), Bruno 5,5(Jordi Pablo 6, m. 76); Rossi 6, Nihat 5,5(Guille Franco 6, m. 53).
In panchina: Viera; Cygan, Fuentes y Cristóbal.
Málaga (4-2-3-1): Goitia 6,5; Gaspar 6,5, Jesús Gámez 5,5, Weligton 6,5, Calleja 6; Lolo 6,5, Apoño 7; Eliseu 6,5, Baha 5,5(Salva s.v., m. 86), Duda 7(Nacho s.v., m. 84); Adrián 6,5(Luque 6, m. 72).
In panchina: Arnau; Cuadrado, Miguel Ángel y Fernando.

Goles: 0-1. M. 37. Duda. 0-2. M. 85. Eliseu.
Árbitro: Rubinos Pérez. Amonestó a Jesús Gámez, Godín, Apoño y Guille Franco.
Unos 10.000 espectadores en El Madrigal.

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TRENTESIMA GIORNATA: Barcelona-Recreativo 2-0: Iniesta; autorete Morris.

Rilevata almeno per il momento dal Manchester United l’inutile e sommamente scomoda etichetta di “squadra di moda”, il Barça torna alla routine del campionato senza passi falsi. Oddio, dopo aver trovato il vantaggio alla prima azione (al quarantacinquesimo secondo: Henry scappa a Nef sull’out sinistro, Casado non chiude in diagonale e sul traversone Iniesta sbuca indisturbato a centro area per l’appoggio a porta vuota) in alcuni frangenti il rischio dell’autocompiacimento affiora: qualche disimpegno troppo leggero, qualche momento di svagatezza nella propria area (che frutta quasi il pareggio del Recre nel primo tempo, se non fosse per l’erroe sottomisura di Nayar, dimenticato nell’area piccola sugli sviluppi di un calcio d’angolo; anche nella ripresa, ancora sull’1-0, Sisi mette i brividi a Valdés, nella stessa azione in cui poteva esserci un rigore dello stesso Valdés su Ruben) stanno lì a ricordare come si faccia molto in fretta a scendere dalle nuvole.
Non era però questa la partita per sorprese sgradite al Camp Nou: l’arsenale del Recre, colpito da assenze numerose e pesantissime (due nomi su tutti: il capitano Jesús Vázquez in mediana e la freccia Colunga, una delle rivelazioni di questa Liga, in attacco), era insufficiente.
Peraltro molto più dignitosi degli Almería e Málaga visti di recente, gli uomini di Álcaraz sono ordinati in fase di non possesso, non regalano gli spazi tra le linee del Bayern e limitano per quanto possibile (sono escluse quindi dal computo le giocate in mezzo metro di Messi e Iniesta) le combinazioni interne blaugrana, ma mancano di qualità nel rilanciare l’azione e, a parte qualche sprazzo di vivacità di Sisi e Camuñas, sono anche spuntati là davanti, a conferma della rilevanza dell’assenza di Colunga.
Il Barça (lieve turnover per Guardiola) trovato immediatamente il gol si limita a gestire con pazienza il possesso-palla, cercando gli spazi utili soprattutto sugli esterni, a destra con Alves e a sinistra con Henry (che si trova spesso la fascia libera per l’uno contro uno grazie al movimento ora di Gudjohnsen ora di Iniesta che gli porta via terzino e centrale destro), spesso imbeccato dai cambi di gioco millimetrici di Márquez.
Una sfortunata autorete di Morris propiziata dall’ennesima iniziativa di Iniesta mette al sicuro la partita, nella quale trovano spazio anche un gol annullato forse ingiustamente ad Henry, un rigore sbagliato da Messi (un orrore in questo caso la segnalazione dell’arbitro, il braccio di Casado sul cross di Alves è un esempio da manuale di involontarietà) e anche dall’altra parte un gol annullato, pare giustamente, al subentrato Ersen Martin.

I MIGLIORI: Iniesta protagonista assoluto. Spettacolare ma concreto, disciplinato ma creativo, umile ma ambizioso, leggero ma tremendamente consistente: difficile trovare giocatori di questa completezza e continuità nel panorama attuale. Non è un caso che la ripresa del Barça dopo il blackout sia coincisa col suo ritorno dall’infortunio e con il definitivo insediamento nel ruolo di mezzala sinistra, fatto che ha attenuato la dipendenza dal triangolo di destra Alves-Messi-Xavi e ampliato le possibilità di manovra del Barça.
I PEGGIORI: Bojan non sfrutta la chance: in attesa della sua completa maturazione il dato prevalente rimane il gap fisico che lo separa dai difensori centrali avversari. Si muove, produce anche qualche buona giocata, ma è inesistente nella finalizzazione.

Barcelona (4-3-3): Valdés 6,5; Alves 6,5, Márquez 6,5, Cáceres 6, Sylvinho 6; Iniesta 7(Hleb s.v., min.75), Sergio Busquets 6, Gudjohnsen 6(Xavi 6, min.62); Messi 6, Bojan 5,5(Keita s.v., min.64), Henry 6,5.
Recreativo (4-1-4-1): Asier Riesgo 6; Alain Nef 6, Nasief Morris 6, Andrés Lamas 6,5, Casado 5,5; Rafa Barber 6,5; Sisí 6,5, Javi Fuego 5,5, Nayar 6(Ersen Martin s.v., min.75), Camuñas 6; Ruben 5,5 (Akale 6, min.75).

Goles: 1-0, min.1: Iniesta. 2-0, min.68: Morris (pp).
Árbitro: Iturralde González, del comité vasco. Mostró amarilla a Casado (min.67).
Incidencias: Partido correspondiente a la trigésima jornada de la Liga disputado en el Camp Nou ante 56.831 aficionados, según datos facilitados por el club catalán. Se guardó un minuto de silencio en memoria de un barcelonista ilustre como fue Jaume ''Rudy'' Ventura, fallecido recientemente.

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giovedì, aprile 09, 2009

Valanga blaugrana.

Sempre più gli articoli sulle partite del Barça rischiano di ridursi a poche sillabe. L’imbarazzo è quello di dover aggiungere qualcosa di nuovo a ciò che già dice il risultato. Rischio già affrontato più volte in questa Liga non troppo esigente, ma di certo meno preventivabile in una competizione come la Champions, e in un quarto di finale per giunta.
Nelle pochissime volte che, devo riconoscerlo, ho potuto vedere il Bayern Monaco in questa stagione, mi erano saltati all’occhio principalmente due aspetti: la pericolosità delle sue individualità offensive e gli equilibri tattici precari, in particolare la tendenza a lasciare grandi spazi fra le linee di difesa e centrocampo. Col Barça come avversario il primo aspetto lo si sarebbe potuto sfruttare soltanto a partire da una ferrea disciplina difensiva, necessariamente.
Indisponibile Klose (così come Lahm, brutta assenza dell’ultima ora, mentre Butt viene preferito all’incerto Rensing tra i pali), Klinsmann ne approfitta così per infoltire il centrocampo, passando a un 4-5-1 nel quale incerta è la posizione di Schweinsteiger (un po’ trequartista un po’ a destra: Schweini non farà nulla per chiarire il mistero…), mentre Ribery teoricamente può giocare con minori preoccupazioni difensive.
Il tecnico dei bavaresi cerca maggior densità in mezzo al campo per ostruire la manovra catalana. Macchè. Incredibile vedere come, pur ripiegando quasi interamente nella propria metacampo, il Bayern riesca comunque a lasciare tutti gli spazi di questo mondo all’avversario.
Una volta apertasi la voragine fra difesa e centrocampo, la partita è finita, lo si capisce già dalle primissime azioni. Messi, Xavi e Iniesta prendono palla fronte alla porta, Eto’o ed Henry hanno tutti i palloni che desiderano e la difesa tedesca, già a corto di riflessi di suo (e priva pure di Lucio, non dimentichiamolo), è priva di ogni protezione.
Il risultato, 4 gol tutti nel primo tempo (un gol in più avrebbe chiuso del tutto il discorso-qualificazione, così invece rimangono dei precedenti storici ai quali il Bayern potrà appellarsi, vedi il Deportivo col Milan nel 2004 o il Getafe con lo stesso Barça nella Copa del Rey 2007), è prodotto degli scompensi tattici paurosi del Bayern e della straordinaria cattiveria con la quale il Barça verticalizza ogni volta che ne ha l’opportunità. La rivoluzione di Guardiola, che in realtà rivoluzione non è, sta prima di tutto nell’aver restituito fame a una squadra che gioca senza complessi, che attacca sempre per prima, che sa che mantenendo l’intensità giusta per tutti i 90 minuti e costruendo sul sacrificio i presupposti dello spettacolo, è in grado di battere chiunque.

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mercoledì, aprile 08, 2009

Un buon Villarreal prepara l’addio.

Contro un Arsenal che il massimo non lo poteva dare (per una questione di forma dei propri migliori giocatori), il Villarreal ha tirato fuori per lunghi tratti il meglio del suo repertorio. Non è bastato: la flessione del secondo tempo costa cara con la prodezza di Adebayor. All’Emirates l’Arsenal imporrà quasi certamente un altro ritmo e un’altra convinzione: uscirne vivi, con un 1-1 casalingo a carico, sarà assai difficile.

Ciò non toglie però che il Villarreal si sia dimostrato assolutamente all’altezza dell’impegno; anzi, volendola dire tutta, gli uomini di Pellegrini nel primo tempo hanno mostrato un grande calcio, ciò che rende ottimisti su cosa potrebbe diventare questa squadra nei prossimi anni, mantenendo una linea di crescita costante a partire da un progetto e una filosofia di gioco ben definite. Il progetto in prospettiva più incoraggiante per un calcio spagnolo di club un po’decadente, anche se il ventilato passaggio di Pellegrini al Real Madrid la prossima estate (via Florentino-Valdano) potrebbe rappresentare un contrattempo nell’ascesa del Submarino.
Comunque, attenendoci al presente, anzi al recentissimo passato, il primo tempo del Villarreal è stato da manuale per quanto riguarda l’occupazione e lo sfruttamento degli spazi e la gestione del pallone. Nelle serate migliori i gialli sembrano quasi allestire un balletto, tanto armoniosi, eleganti e coordinati sono i loro movimenti sulla trequarti.
Llorente e Rossi si dividono bene le mansioni, uno scatta in profondità o taglia verso l’esterno, l’altro viene incontro sulla trequarti. Tutti si offrono e si muovono in maniera sincronizzata, gli spazi e le linee di passaggio utili si moltiplicano, il pallone scorre fluido a uno-due tocchi.
I terzini allargano il campo, Rossi si muove fra le linee disorientando difesa e centrocampo dell’Arsenal e offrendo un appoggio a Cani e Ibagaza per le combinazioni nello stretto ma anche per le incursioni di Senna: l’ispano-brasiliano non è mai rapidissimo nell’esecuzione, ma quando ha lo spazio per caricare il tiro le sue traiettorie sono pericolosissime per come si abbassano prima della traversa. Le linee di difesa e centrocampo dell’Arsenal faticano ad accorciare, rimangono troppo schiacciate e così Senna ha lo spazio (aperto da Rossi) per portare in vantaggio i suoi con un golazo.
Straordinaria, semplicemente straordinaria la partita di Senna: quando è maggiormente richiesto, questo giocatore impone sempre il carisma e la saggezza del leader. Un’ enciclopedia del ruolo, dal punto di vista tecnico e tattico: sempre al posto giusto, fa la cosa giusta e coi tempi giusti.
A parte la fascia compresa fra il 10’ e il 20’, in cui l’Arsenal sembra scuotersi e accumula calci d’angolo su calci d’angolo (sfruttando soprattutto la differenza di passo sulla destra fra Walcott e Capdevila, il quale prenderà meglio le misure col passare dei minuti), è sempre il Villarreal a gestire il match, avvicinandosi pure a un raddoppio negato soltanto dal magnifico riflesso di Fabianski (subentrato all’infortunato Almunia) sulla ribattuta ravvicinata di Capdevila dopo un destro da fuori ancora di Senna.
È un Villarreal eccellente nella sua globalità, quindi anche nella fase di non possesso: un aspetto mai troppo sottolineato, e talvolta occultato dai cali di tensione e dalle sbandate che periodicamente affiorano (l’ultimo “exploit” il 3-0 incassato ad Almería), ma il fatto è che quella di Pellegrini non è solo una squadra col gusto per la “pelota”, ma anche un undici serio e ottimamente organizzato.
Coperture puntuali, perfetto lavoro di Eguren e Senna che accorciano e recuperano il pallone prontamente, sempre in anticipo sugli avversari (già in difficoltà per la forma ancora precaria di Fabregas e anche per l’incapacità ad accompagnare l’azione offensiva dimostrata da Song e Denilson); inappuntabile la linea difensiva, guidata dagli attentissimi Gonzalo e Godín, nell’uscire in blocco con tempismo e applicare il fuorigioco.

Il panorama però cambia nel secondo tempo: l’Arsenal, mentalmente e tatticamente, entra in partita. Più ritmo, più aggressività, e un Villarreal che perde compattezza. I padroni di casa al tempo stesso non riescono più a distendersi in attacco e a togliere spazio all’Arsenal quando ha la palla.
Llorente, i cui movimenti nel primo tempo erano stati utili e complementari rispetto a quelli di Rossi, non offre più la profondità, rimane sulla stessa linea del compagno di reparto e non allunga la difesa dell’Arsenal. Poi c’è Matias Fernández, subentrato a inizio ripresa a Cani (problemi muscolari, rischia di non esserci col Málaga): male male male il cileno, e aiutatemi a dire male.
Non trova mai la posizione giusta per offrire l’appoggio al centrocampo quando rilancia l’azione, si isola come un corpo estraneo e commette pure errori banali nelle azioni individuali. Cani ha sempre deluso, non ha mai fatto il salto di qualità e non si è mai dimostrato un giocatore veramente determinante, ma almeno i suoi movimenti nel primo tempo erano stati perfettamente funzionali alla manovra. Matias no, il suo innesto contribuisce a mandare all’aria la transizione offensiva e ad esporre il Villarreal a una situazione delicata.
Non potendo più distendersi in blocco nella metacampo avversaria come nel primo tempo, la squadra di Pellegrini comincia a perdere i palloni prematuramente, separando eccessivamente i quattro uomini offensivi dal doble pivote. La difesa dell’Arsenal è più aggressiva nell’alzarsi ed anticipare, e con il Villarreal più lungo sul campo, Cesc ha più tempo e spazio per pensare. E Cesc fa sempre male, anche al 50%.
È il catalano ad iniziare il capolavoro di Adebayor con un lancio perfetto: il resto lo fa il togolese che, spalle alla porta, stoppa e insacca con una mezza rovesciata. Non perfetti nell’occasione Gonzalo e Godín (l’argentino si fa scavalcare dal lancio di Cesc, l’uruguaiano interviene su Adebayor in seconda battuta, ma troppo molle e troppo in ritardo), unica ma pesante sbavatura nella partita dei due centrali di casa.
La reazione di Pellegrini si concretizza nel cambio Llorente-Pires: poteva starci anche Nihat per sollecitare un po’ più di profondità, ma l’ingresso dell’ex gunner rientra perfettamente nella logica di un Villarreal che nel secondo tempo ha faticato a distendersi e che desidera quindi recuperare un po’ di controllo del possesso-palla. Funziona abbastanza, assieme all’ingresso di Guille Franco per Ibagaza (ritorno al 4-4-2), perché il Villarreal recupera qualche metro nella metacampo avversaria nell’ultimo quarto di partita, sfiorando pure la doppietta di Senna, ma l’Arsenal continua a ribattere in velocità fino alla fine, e il pareggio, complicatissimo pareggio, è il risultato giusto per una partita di ottimo spessore.

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domenica, aprile 05, 2009

AVVISO.

Non potrò pubblicare nulla, nè i resoconti delle singole partite nè un punto generale, su questa ventinovesima giornata di Liga.

Grazie
Valentino

giovedì, aprile 02, 2009

Colpaccio!

Un pallone spazzato alla meglio dal pessimo Marchena, Güiza caparbio lo insegue e ruba il tempo alla debolissima (e improvvisata: Hakan Balta di ruolo sarebbe terzino sinistro, ma gioca al centro per le assenze) coppia centrale turca, dal fondo alza la testa e vede Riera che solissimo accorre sul secondo palo; il mancino del Liverpool arriva all’appuntamento coi nervi saldissimi e il pallone, passato fra le gambe di Volkan, rotola in fondo al sacco.
Siamo in pieno recupero, l’Ali Sami Yen ammutolisce: per la Turchia, rimasta a 8 punti, è quasi la fine (la Bosnia seconda è ora a 12 punti), per la Spagna a 18 è praticamente il biglietto per il Sudafrica, con largo anticipo. Trentuno risultati utili consecutivi (eguagliato il record dell’era Clemente), undicesima vittoria consecutiva: da far girare la testa, e conoscendo quella spacconeria da sempre un po’insita nell’animo del calcio spagnolo, verrebbe quasi da preoccuparsi, visto che arrivati in vetta si può solo cominciare a scendere.
Intanto però la nota dominante è la personalità di questa nazionale: fa quasi sorridere pensare ora alle preoccupazioni che prima dell’Europeo circondavano una squadra che ancora non riusciva a trovare una propria identità. Ora abbiamo una nazionale che difende a gran voce un’idea di gioco precisa, ma che è completa, sa adattarsi alle situazioni e ha la sicurezza per venirne a capo, anche quando il gioco certo non esalta come in queste ultime due partite (apprezzabili solo iprimi 25 minuti di ieri).

Il copione della gara dell’Ali Sami Yen è per forza di cose diverso da quello del Bernabeu: qui il pubblico chiama a gran voce la Turchia ad una partita audace, a fare maggior leva sulla foga e sull’entusiasmo. Non che al Bernabeu non si sia vista una Turchia audace, tutt’altro, ma mentre lì la preoccupazione principale era comunque quella di mantenere l’ordine e ostruire le linee di passaggio spagnole, giocare in casa richiede altre priorità, da un punto di vista mentale prima ancora che tattico.
In questo quadro paradossalmente la Spagna può anche finire con l’avere più respiro e più spazi per proporre il suo calcio. Quello che si vede nei primi 25 minuti è in effetti una Spagna nettamente più autorevole e lucida dei padroni di casa. Stavolta è la Turchia che si vede pressata ad inizio azione, grazie all’ottimo lavoro di Torres e Xavi (schierato praticamente da trequartista) che accorciano sui difensori centrali avversari quando impostano.
Spagna ben messa in campo e che, dopo i primi cinque minuti di assestamento, passa a controllare il gioco. Rispetto a sabato scorso Del Bosque toglie Villa e aggiunge un centrocampista, Silva, schierato sulla destra a ripristinare un disegno più simmetrico. Mentre Riera (preferito sulla sinistra a Cazorla) ha una buona serata nell’uno contro uno col suo avversario Gokhan Gönul, Silva accentrandosi aiuta Senna-Xabi Alonso-Xavi a costruire quella famosa ragnatela nella quale tutti gli avversari dagli Europei son rimasti intrappolati (quello che poteva essere un punto debole, il possibile intasamento degli spazi al centro, alla fine è diventato uno straordinario punto di forza; gli esterni di ruolo che Del Bosque aveva proposto al momento della propria investitura valgono come possibile alternativa, come arma in più, certamente non devono stravolgere un modello di gioco così ricco). Il pallone è della Spagna, si gioca nelle zone di campo che vuole la Spagna, e i presupposti per il gol sembrano esserci tutti, tanto che vi si avvicinano prima Riera (sinistro al volo da fuori deviato in angolo da Volkan) e Torres poi (destro biascicato fra le braccia di Volkan, da posizione più che mai favorevole dentro l’area).
Ma il calcio non è un’equazione matematica: quindi al 25’ un cross dell’eccellente Arda Turan dalla sinistra, un taglio senza palla di Tuncay dalla destra (che spesso propone questo movimento, problematico per i difensori spagnoli), una lettura deficitaria della linea difensiva spagnola, un erroraccio di Marchena (non l’unico dell’incertissima serata del valenciano, sostituto dello squalificato Albiol), il controllo di Tuncay e la palla che scivola verso Sentürk che insacca a porta vuota, costruiscono l’imprevedibile.
Ci mette un po’a ricomporsi una Spagna che manca un po’ di accelerazione sulla trequarti (un sostituto di Iniesta non si inventa dall’oggi al domani) e che, a ripresa inoltrata, trascina pure un po’ stancamente il proprio gioco. Scema il movimento far centrocampo e trequarti, e le posizioni più rigide costringono anche a qualche lancio forzato e prevedibile. In più, le pochissime volte che si riesce a trovare la profondità, ci pensa la serata nera di Torres a rovinare tutto: il Niño è come al solito un drago nel gioco senza palla, imprendibile in velocità, ma manda tutto a monte non appena entra in contatto col pallone. È bizzarro pensare che con la per altri versi giustificatissima fama di fenomeno possano convivere simili carenze tecniche, ma tant’è, vedere per credere l’orripilante controllo lungo che vanifica l’invito in profondità con l’esterno liftato di Xavi, uno di quei palloni che sembrano avere gli occhi per fermarsi giusti giusti sui piedi dell’attaccante e la bocca per dire: “son tutto tuo, fa’ un po’ quello che ti pare, compañero”.
È una Spagna che giochicchia senza molto costrutto, ma ha ormai una fama che la precede, e che impone all’avversario, ancora di più se si trova in vantaggio, di difendere il vantaggio nella propria metacampo. Così può arrivare l’episodio, come era arrivato quello del gol di Piqué sabato scorso: sugli sviluppi di un calcio d’angolo, un fallo di mano di Ibrahim Uzulmez su colpo di testa di Torres diretto in rete dopo l’uscita a vuoto di Volkan, offre a Xabi Alonso l’opportunità di trasformare con la propria glaciale eleganza dagli undici metri.
Senna esce per un acciacco, entra Cazorla e si passa al 4-2-3-1, poi entra anche il debuttante Busquets per Silva riportando Xavi (spento) sulla trequarti. Torres lascia il campo, troppo tardi per i miei gusti, al “turco” Güiza: il primo movimento del jerezano, su un lancio lungo di Capdevila, è quello giusto (il suo tipico movimento fra i due centrali), ma l’azione decisiva è quella già citata costruita nel recupero, a smuovere una partita altrimenti tranquillamente e giustamente destinata al pareggio.
Merita una menzione Güiza: quando si parla di lui in nazionale, si usano generalmente toni a metà fra l’intruso e la mascotte, ma sono descrizioni ingenerose. Dani quando chiamato in causa ha sempre fatto il suo (compresi due gol all’Europeo, non dimentichiamolo… un gol come quello alla Russia poi uno scarpone non lo fa), ha un tipo di gioco leggermente diverso da quello degli altri attaccanti e che può far sempre comodo a partita in corso, quando gli spazi aumentano.
Menzione per Güiza e menzione anche per Piqué, la cui crescita negli ultimi tempi è finalmente sensibile. Parlando del blaugrana si è sempre pensato più a quello che potrebbe essere che a quello che effettivamente è, ma ora realtà e aspirazioni cominciano ad avvicinarsi: il giocatore impreciso e poco deciso, dalla media di un errore grave a partita, della prima parte della stagione, sta lasciando il posto a un centrale autorevole e di spessore. La lentezza e la macchinosità non potranno mai andare via, Madre Natura ha deciso così, ma la stazza, il gioco aereo, il senso della posizione, la capacità di impostare e cambiare gioco con lanci verso le fasce, possono farne il leader difensivo della nazionale del futuro.

Turchia (4-4-2): Demirel; Gonul, Asik, Balta, Uzülmez; Tuncay, Mehmet Aurelio, Emre Belozoglu, Arda (Sahin, m. 87); Nihat (Karadeniz, m. 77) y Sentürk (Sabri, m. 80).
In panchina: Rüstü; Kas, Güngör y Gokhan Unal.
Spagna (4-2-3-1): Casillas; Sergio Ramos, Marchena, Piqué, Capdevila; Senna (Cazorla, m. 67), Xabi Alonso; Silva (Busquets, m. 73), Xavi, Riera; F. Torres (Güiza, m. 85).
In panchina: Reina; Arbeloa, Juanito y Llorente.

Goles: 1-0. M. 26. Senturk. 1-1. M. 62. Xabi Alonso, de penalti. 1-2. M. 90. Riera.
Árbitro: Michael Riley (Reino Unido). Amonestó a Uzulmez, Emre Asik, Xavi, Senturk, Sergio Ramos y Emre.
Ali Sami Yen: 23.000 espectadores. Se guardó un minuto de silencio por las víctimas de la avalancha en Costa de Marfil.

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