lunedì, giugno 27, 2011

Il futuro, e qualcosa di più.

La generazione che ha regalato Europeo e Mondiale dovrebbe avere ancora lunga vita, ma per ogni evenienza, il ricambio è già pronto. Questo il dato saliente di un Europeo Under 21 in cui la Spagna non ha impressionato tanto per il gioco esibito (anzi, le fasi di relax son state parecchie, e non è mancato nemmeno un brivido di quelli grandi, contro la Bielorussia), quanto per il controllo che in quasi tutti i momenti ha avuto sulle partite e sul torneo. In parole povere, si sapeva che, Bielorussia a parte, avrebbero vinto loro.

Allo sterile e irritante autocompiacimento del pareggio all’esordio con l’Inghilterra, ha fatto seguito la vittoria sicura (2-0) contro una spigolosa Repubblica Ceca, in un crescendo che ha portato all’affermazione brillante sull’Ucraina, ultima gara del girone, la prestazione più convincente di tutto il torneo.

Un incubo invece la semifinale contro la Bielorussia: forse presa sottogamba, forse no, fatto sta che l’avversario, pur incapace di superare la metacampo difensiva con due passaggi (il gol arriva su una rimessa-corner e una mezza dormita di Domínguez sul centravanti bielorusso), oppone una perfetta organizzazione difensiva. Blocco bassissimo, con almeno tre giocatori nella zona della palla, è sembrato il modo migliore per impensierire questa Spagna, più di un pressing alto che magari può sorprendere inizialmente ma poi finisce col cedere metri pericolosi a giocatori come quelli iberici, tecnici ma anche verticali se del caso (nessuno degli avversari della Spagna ha comunque proposto un pressing particolarmente alto).

Un’impenetrabilità che ha finito con l’accrescere minuto dopo minuto l’ansia della Spagna, pure snaturata da cambi di Milla che a posteriori saranno pure risultati decisivi per quanto riguarda gli episodi (Diego Capel crossa per il secondo gol, Jeffren firma il terzo), ma che in realtà hanno fatto giocare pure peggio, togliendo dal campo Ander Herrera e Muniain per inserire due ali attaccate alla linea del fallo laterale che oltre a giocare male di loro, non hanno fatto che aumentare i punti di riferimento per la difesa avversaria.

Riacciuffata per i capelli la semifinale che ha sancito la qualificazione alle Olimpiadi, la finale è stata relativamente agevole: bruttina ma intensa, una marmellatona a centrocampo (ben organizzata anche la Svizzera, ma con più capacità di possesso-palla rispetto alla Bielorussia: cosa che per la prima volta ha fatto scendere il possesso spagnolo sotto il 60%, e spostato il baricentro della partita all’altezza del cerchio di centrocampo invece che al limite dell’area dell’avversario della Spagna, come avviene di solito) prima del gol di Ander Herrera che ha sbloccato tutto. Il golazo da 30-35 metri di Thiago Alcantara (punizione-pallonetto all’incrocio che sorprende il portiere svizzero fuori dai pali) a un quarto d'ora dalla fine è la ciliegina sulla torta.

Il segreto del successo è, tanto per cambiare, il centrocampo, o meglio, i movimenti fra centrocampo e trequarti, che son quelli che modificano il disegno di base del 4-3-3 e consentono la superiorità. Thiago Alcantara è considerato il giocatore più geniale, con più potenziale, di questa Under 21, ed è vero: certi tocchi e certe visioni restano fuori dalla portata anche dei suoi dottissimi compagni. Però non è stato il giocatore decisivo per il funzionamento del centrocampo: anzi, diciamo che mentre Thiago si prendeva le sue belle pause fra un momento di ispirazione e l’altro, altri gli alleggerivano la pressione e creavano un contesto favorevole con e senza palla.

Due in particolare: Ander Herrera e Mata. Ander ha disputato senza alcun dubbio un Europeo più completo e più continuo di quello di Thiago. Alla leggerezza e all’eleganza palla al piede (ma sempre essenziale nei tocchi, mai lezioso) ha aggiunto una “pesantezza” di argomenti a livello tattico degna di nota: giocatore intelligentissimo, sempre in movimento verso lo spazio giusto, sempre offrendo una soluzione, e con una (almeno per me) sorprendente incisività negli inserimenti in area di rigore. Un aspetto determinante per compensare efficacemente le caratteristiche di un tridente offensivo che invece, per le caratteristiche degli interpreti (Muniain a sinistra, Adrián al centro e Mata a destra: queste le molto teoriche posizioni di partenza) tendeva parecchio a svariare e a “svuotare” l’area. Il tempismo magnifico del gol decisivo in questa finale è emblematico: se ci crede davvero in questa sua qualità e se la sua nuova squadra, l’Athletic, riuscirà ad offrirgli il contesto giusto, Ander potrebbe anche arrivare a 10 gol la prossima stagione.

L’altro giocatore-chiave, Mata, ha come al solito esibito un fenomenale gioco senza palla (in mancanza dell’uno contro uno o delle rifiniture dei suoi compagni), davvero importantissimo. Parte a destra ma praticamente non ci sta mai: taglia tra le linee e in questo modo favorisce la superiorità sul centrocampo avversario, o addirittura si sposta sulla fascia opposta a favorire due contro uno col terzino. Proprio a partire dalle caratteristiche di Mata e Ander si è consolidata una caratteristica evidente di questa Under 21, la tendenza a caricare gran parte della propria manovra sul lato sinistro: contando sulla contemporanea presenza di Muniain (subentrato a Jeffren alla seconda partita, dopo la semi-scandalosa panchina dell’esordio), un esterno cui piace parecchio accentrarsi o comunque tenere palla, la Spagna da quel lato, in cui agiva più spesso Ander ma nel quale oltre ai tagli di Mata pure Thiago poteva aggiungersi, ha mostrato una densità di palleggio tale non solo da squilibrare il sistema difensivo avversario, ma da condizionare positivamente la stessa transizione difensiva.

Negli spazi creati da tutti questi palleggiatori Didac (non la miglior scelta possibile nel ruolo di terzino vista la panchina di José Ángel, ma comunque più che corretto nell’interpretazione, “Capdevilesco” direi) non aveva che da scegliere il tempo per trovarsi subito sul fondo, e la presenza di tutti questi giocatori nella zona della palla rappresentava anche un vantaggio in caso di perdita, con 3-4 Furie Rosse vicine e subito pronte a ingabbiare l’avversario col pressing, annullando il teorico svantaggio della fascia destra monca lasciata dai movimenti di Mata (sulla carta rimaneva il solo terzino destro Montoya a coprire la fascia in ripiegamento, ma prima l’avversario doveva riconquistare palla, riorganizzarsi, cambiare lato senza farsi prima aggredire dal pressing… una parola...).

Insomma, in questo 4-3-3 asimmetrico, un lato, il sinistro, creava, e l’altro, il destro, approfittava degli sbilanciamenti della difesa avversaria attaccando gli spazi. A destra oltre a Montoya (che ha confermato le sue doti di soldatino: molto veloce e molto puntuale nell’inserirsi a sorpresa, più prevedibile portando palla), un Adrián che più spesso si spostava verso quella zona di quanto non lo facesse il suo teorico titolare, ovvero Mata.

Adrián era il giocatore più a rischio-critiche di una nazionale inizialmente etichettata come tecnicamente squisita ma carente sottoporta. Adrián non sarà un fuoriclasse, ma fino a prova contraria è risultato il capocannoniere del torneo (5 gol), e resta comunque un buon attaccante. Senza strafare, ma sempre piuttosto coinvolto nel gioco di squadra: ottima intesa e coordinazione nei movimenti con Mata, quando uno veniva incontro l’altro attaccava la profondità, buone scelte sia nel giocare sul filo del fuorigioco che nello svariare verso le fasce. L'asturiano non cancella comunque quell’impressione di scarsa freddezza e scarsa decisione che talvolta evidenzia al momento di finalizzare: quello più che qualità tecniche sicuramente buone fa storcere il naso, e rimane il dubbio che forse inserito in una squadra dal gioco meno generoso Adrián potrebbe faticare a crearsi da solo le proprie chances (e dopo la retrocessione del Deportivo, l’Atlético non sembra proprio il miglior ambiente nel quale dare una svolta alla propria carriera).

Sottolineato l’aspetto creativo del centrocampo, bisogna però sottolineare come il miglior giocatore di questa Spagna (e immagino, non avendo visto le altre partite, anche del torneo) sia stato un Javi Martínez che davanti alla difesa è parso semplicemente inavvicinabile dagli avversari. Forse in futuro potrebbe evitare anche di muoversi, di sudare, e giocare soltanto sul terrore che trasmette: chi gli gioca contro sa che se pure Javi non anticipa col suo piazzamento, gli basta solo mettersi in marcia e con due falcate raggiungere qualsiasi zona del campo desidera, e lì sradicare il pallone come se nulla fosse. Grande centrocampista e grande conoscitore del gioco molto prima che energumeno che intimidisce, comunque.

In difesa anche per i centrali vale lo stesso discorso di Didac: Botía-Domínguez forse non era la scelta migliore in assoluto (San José-Víctor Ruiz ha più talento), ma comunque ha amministrato senza sbavature (nonostante la risaputa asineria nell’impostare di Domínguez, che fra tutti ha più le caratteristiche dello stopper puro) il contesto di “difesa col pallone” che ha immancabilmente caratterizzato anche questa nazionale.

FOTO: elpais.com

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giovedì, giugno 16, 2011

SEGUNDA/PLAYOFF PROMOZIONE/FINALE (andata): Granada-Elche 0-0.

Per favore, togliete i rigori al Granada. D’accordo, è proprio così che ha superato il Celta, però se ai due rigori sbagliati quella sera da Dani Benítez nei tempi regolamentari aggiungiamo i due falliti allo scadere da Abel ieri, la cosa assume i contorni della maledizione. Cambia il rigorista ma non il risultato: fallito il primo tentativo, l’arbitro fa ripetere, e dopo un'attesa eterna fra un rigore e l’altro, esplode la frustrazione: al fischio finale l’allenatore di casa, Fabri, è tarantolato e la cosa peggiore è che non ha nessuno con cui prendersela. Dopo un primo tempo stentatissimo, il Granada aveva accumulato nella ripresa meriti più che sufficienti per portarsi in vantaggio. Non deve comunque disperare: sembra superiore al suo avversario, e sabato potrà contare sul valore doppio dei gol in trasferta.

Rispetto alla vittoria col Valladolid, Pepe Bordalás opta per uno schieramento più difensivo: Generelo, solitamente al lato di Mantecón, avanza dietro l’unica punta, mentre sia Kike Mateo che David Sánchez, i due trequartisti di ruolo (seppure dalle caratteristiche molto diverse), restano in panchina. Fabri invece conferma l’undici del ritorno col Celta.

Il Granada non parte forte come l’ultima volta, perché trova un avversario difensivamente molto più reattivo rispetto al Celta. Da quel poco che ho visto, l’Elche sembra rispondere allo stereotipo storico della squadra di Segunda: una categoria nella quale il minor tasso tecnico impone necessariamente un gioco più spezzettato, meno fraseggi e più tatticismo duro e puro. Uno stereotipo messo in crisi nelle ultime stagioni da squadre portate anche nella serie inferiore a proporre un gioco più rispondente ai canoni consolidati della scuola spagnola (possesso-palla e niente punti di riferimento dalla trequarti in su), vedi il Betis dominatore di quest’anno, ma che l’Elche ripropone con argomenti molto solidi. Delle quattro qualificate ai playoff è sicuramente la più debole qualitativamente, eppure al termine della “regular season” è arrivata davanti alle altre. Qualche merito lo avrà.

Elche che in fase di non possesso disegna un 4-4-2: Generelo rimane sulla stessa linea di Ángel per chiudere le linee di passaggio dei difensori del Granada, mentre il resto della squadra pratica una marcatura molto aggressiva, quasi giocando a uomo nelle zone di competenza, al fine di neutralizzare la linea di mezze punte del Granada. Orellana, Collantes e Dani Benítez ricevono sempre spalle alla porta, braccati rispettivamente da Acciari (che rimane più bloccato davanti alla difesa rispetto a Mantecón), Albacar e Carpio. Al tempo stesso, i due centrali (specialmente Pelegrín) escono coi tempi giusti dalla linea difensiva per ostacolare a turno Ighalo in quel lavoro di boa che tanto bene aveva svolto nel ritorno col Celta.

Quando poi entra in possesso del pallone, l’Elche non si fa problemi a spazzare subito verso l’attacco, per non correre rischi e mantenere un buon numero di uomini dietro la linea della palla in transizione difensiva, cioè nel momento in cui la perde. Quando invece opta per l’attacco manovrato, non manda avanti molti uomini (fa leva più che altro sui movimenti in appoggio di Mantecón e Generelo, i due centrocampisti più geometrici, e di Ángel, il piccoletto dell’attacco che spesso e volentieri cerca spazio di manovra tagliando verso le fasce) e si preoccupa di finalizzare sempre l’azione, anche con un tiro dalla distanza, per evitare di concedere contropiedi agli avversari.

In questo gioco spezzettato per il Granada diventa difficilissimo concatenare più attacchi: tiene più palla, ma non entra mai veramente in partita. Difficoltà a iniziare l’azione (l’appoggio di Abel e Mikel Rico ai difensori lascia a desiderare), ricerca insistita del lancio in diagonale verso Dani Benítez in mancanza di altre idee (un cambio di gioco per essere efficace deve avvenire col sistema difensivo avversario sbilanciato verso un solo lato, ma non è questo il caso), qualche calcio d’angolo, qualche spunto delle individualità (anche in un contesto tattico non ideale, Dani Benítez non fa mancare la sua solita percussione, stavolta conclusa con un tiro da fuori che finisce a lato).

Nella ripresa cambia il quadro, perché già nei minuti iniziali il Granada si avvicina più volte di quanto non abbia fatto in tutto il primo tempo. Più che cambiare qualcosa nel Granada, che mantiene gli stessi giocatori e gli stessi movimenti, è l’Elche che affaticato perde intensità nella sua strategia. Generelo pian piano abbandona Ángel per situarsi all’altezza degli altri centrocampisti, non c’è più una prima linea efficace di pressione, e a catena questa minore intensità nello sforzo difensivo dà più respiro ai giocatori del Granada, che hanno tempo e opportunità di giocare fronte alla porta: magari un difensore porta palla indisturbato, allora un centrocampista dell’Elche accenna la pressione, ma non è accompagnato e perciò lascia libero un centrocampista avversario. Orellana comincia a farla da padrone col suo movimento sulla trequarti, e poi si aggiunge anche l’ingresso di Geijo (finalmente tornato disponibile) a dare più incisività all’attacco andaluso: proprio Geijo, smarcato da un gran passaggio filtrante d’esterno di Abel, colpisce il palo, e poi qualche minuto dopo ancora un altro legno, traversa di Abel, sulla quale Collantes ribatte in rete ma si vede annullare il gol per un controllo di mano (il replay non chiarisce). E questo non è ancora niente a ciò che succederà nel recupero...

I MIGLIORI: Se Dani Benítez è il giocatore più vistoso del Granada, il più “giocatore” è Orellana, che più che procedere per spunti fa giocare meglio chi gli sta attorno. Uno scoiattolo, tecnicamente molto abile e rapido sul breve (penalizzato però dal fisico nei contrasti),con un gran senso del gioco, sia per la capacità di smarcarsi senza palla che per i tempi di gioco quando ne entra in possesso: tagli, uno-due rapidi, controlli un po’ più prolungati per aspettare che i compagni si smarchino...sa sempre cosa fare. Positivo l’ingresso di Geijo: riesce a fare quello che non riusciva a Ighalo spalle alla porta, e poi offre ben altra consistenza quando deve dettare la profondità o muoversi in area di rigore. Fa soffrire Pelegrín, che su Ighalo era stato perfetto.

I PEGGIORI: Ighalo torna a offrire una prestazione deboluccia, sottotono gli esterni dell’Elche: corsa e poco altro da Xumetra, mentre Cristóbal, uno dei più tecnici dell’Elche (centrocampista offensivo in prestito dal Villarreal B), è troppo intermittente: dovrebbe farsi sentire di più sia nell’uno contro uno che nell’appoggio alla manovra.



Granada (4-2-3-1): Roberto; Nyom, Iñigo López, Diego Mainz, Siqueira; Abel, Mikel Rico; Collantes, Orellana, Dani Benítez; Ighalo (65’ Geijo).
In panchina: José Juan, Jonathan Mensah, Parraga, Lucena, Óscar Pérez, Calvo, Geijo.

Elche (4-4-1-1): Jaime; Carpio, Samuel, Pelegrín, Edu Albacar (82’ Vasco Fernandes); Xumetra (84’ Kike Mateo), Mantecón, Acciari; Generelo, Cristóbal (60’ Santos); Ángel.

In panchina: Leandro, Vasco Fernandes, Héctor Verdés, Kike Mateo, David Sánchez, Bodipo.


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lunedì, giugno 13, 2011

Tiqui-taca e onanismo.

Se non altro ora Thiago Alcantara conosce un giocatore inglese in più, Danny Welbeck. Non si finisce mai di imparare. Alla vigilia lo sbruffoncello dalle caviglie di gomma aveva dichiarato di conoscere e stimare solo Wilshere e Richards dell’Under 21: assenti questi due all’Europeo di categoria, gli altri inglesi per lui erano dei signori nessuno. Anche senza conoscerli però si dichiarava certo che lui e i suoi compagni, grazie al loro stile di gioco fichissimo e all’ultima moda, l’avrebbero quasi sicuramente spuntata.

Il tabellone però recita 1-1, ed è una lezione salutare per chi è sembrato considerare il tiro in porta, o peggio ancora il gol, come una cosa immorale, una cosa sporca. Tacco, punta, esterno, suola, uno-due, torello, olé del pubblico, ma il gol di vantaggio è solo uno. Anche se Welbeck è in fuorigioco al momento di segnare (ma pure l’1-0 di Ander Herrera sembra viziato da un colpo di mano), te la sei cercata. Tre punti buttati via in una partita controllata dall’inizio alla fine: potrebbe risultare grave in un girone sulla carta molto difficile (con Repubblica Ceca ed Ucraina).

Dopo l’Under 19 qualificatasi per l’Europeo di categoria, anche questa Under 21 riprende il 4-3-3 di scuola Barça. Il fulcro è un centrocampo fortissimo: Thiago Alcantara e Ander Herrera come mezzeali creative, Javi Martínez davanti alla difesa. In attacco Adrián al centro (Bojan parte in panchina), Mata a destra e Jeffren a sinistra (e pare che nelle gerarchie di Milla Muniain stia dietro non solo al blaugrana, ma pure a Diego Capel…).

Di fronte, l’Inghilterra gioca d’attesa, 4-4-2 con Welbeck qualche metro dietro Sturridge, il neo-acquisto del Liverpool Henderson in regia e una certa capacità di ribaltare il gioco sugli esterni col cambio di passo di Rose a sinistra e Cleverley ma ancora di più il terzino Walker a destra.

L’Inghilterra però fatica a rubare e a ripartire: la Spagna si muove bene senza palla e spunta sempre l’uomo in più ad appoggiare e fare avanzare l’azione. Javi Martínez che si abbassa fra i due difensori centrali, poi il trio di centrocampisti in mezzo contro i due dell’Inghilterra, infine Mata, specialista nei tagli senza palla che lo portano dalla fascia destra alle spalle dei mediani avversari o addirittura fino alla fascia opposta, ad aiutare Jeffren e il terzino sinistro Didac Vilà (perché non José Ángel titolare?) a creare la superiorità.

Una certa fluidità di manovra (favorita anche dalla tranquillità per il pronto gol del vantaggio) nella quale spiccano oltre a Mata il calcio in punta di piedi di Ander Herrera (un piacere per gli occhi: più continuo e anche razionale rispetto a un Thiago invece un po’ estemporaneo) e un Javi Martínez che si conferma il più maturo, il giocatore più “fatto” dei 22 in campo, senza discussione alcuna. Del basco precedentemente sottolineai una probabile incongruenza con lo stile di gioco della nazionale, trattandosi di un centrocampista più tendente a portare palla che a giocarla in pochi tocchi. Errore madornale il mio: Javi si nota poco quando tocca palla, ma ogni scelta e ogni movimento sono perfetti, così come la risposta che dà in transizione difensiva, contando sul senso della posizione e l’arcinota fisicità. L’unica cosa che manca sono necessariamente le sue incursioni, perché qui rispetto al contesto dell’Athletic gli tocca tenere la posizione, ma tutto non si può avere, e qualche metro più avanti ci sono già Thiago e Ander.

Spagna che comincia a cincischiare nella ripresa: Milla toglie Adrián (che procede troppo per spunti ed è poco lucido nel finalizzare, storia vecchia) e aggiunge un altro palleggiatore, Parejo, spostando Herrera sulla sinistra, come falso esterno (Jeffren finisce centravanti, ma poi lo rileverà Bojan). Praticamente l’Inghilterra non vede più palla, ma questo porta a un autocompiacimento davvero stucchevole fra i giocatori spagnoli. L’episodio è sempre in agguato, e Welbeck alla fine fa un po’abbassare la cresta a tutti.

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domenica, giugno 12, 2011

SEGUNDA/PLAYOFF PROMOZIONE (ritorno semifinale): Granada-Celta 6-4 dopo i calci di rigore (1-0 tempi regolamentari).

Granada (4-2-3-1): Roberto; Nyom, Íñigo López, Mainz, Siqueira (Rubén, m. 71); Abel, Rico, ; Collantes (Carlos Calvo, m. 67), Orellana, Dani Benítez; e Ighalo (O. Pérez, m. 113).
Celta (5-4-1): Yoel; Hugo Mallo, J. Vila, Ortega (Álex López, m. 46), Catalá, R. Lago; Dani Abalo (De Lucas, m. 58) López Garai (Trashorras, m. 58), Bustos, Michu; Iago Aspas.

Gol: 1-0. M. 20. Orellana.

Árbitro: Lesma López. Expulsó por doble amarilla a Roberto Lago (m. 112). Amonestó a Abel, Íñigo López, Carlos Calvo, Ighalo, Dani Benítez, Nyom, Ó. Pérez, Bustos, Iago Aspas, Michu y Hugo Mallo.

Los Cármenes: 16.200 espectadores. Resultado global: 1-1. En los penaltis, Granada, 5 (falló Carlos Calvo); Celta, 4 (fallaron Michu y Catalá).


Vabbe’, si fa prima a dire cosa non è successo in questa partita: 25 tiri per il Granada, 17 per il Celta, 10 occasioni per i primi, 8 per i secondi, due pali a testa, due rigori sbagliati nei tempi regolamentari dalla stella di casa Benítez, Trashorras che dopo aver colpito la traversa con una punizione da museo si inventa un pallonetto da più 30 metri, defilato praticamente sulla linea del fallo laterale, e becca l’incrocio dei pali…ma poi ci sono anche due espulsi nel Celta, l’ultimo dei quali durante la serie di rigori (Iago Aspas, addirittura per aver zittito il pubblico), un gol dubbio annullato sempre al Celta e altri innumerevoli episodi che tentare di riassumere è fatica improba.

Alla fine resta un’amarezza indicibile per il Celta, che con Michu aveva pure avuto il match-ball durante la serie di rigori. Difficile pesare i meriti rispettivi in una serata del genere: vince chi vince, e ora il Granada aspetta la superstite di Elche-Valladolid. Allora sì che avremo la ventesima squadra della Primera 2011-2012.

L’intenzione necessariamente più offensiva del Granada rispetto all’andata la denuncia già la formazione: Fabri deve ancora fare a meno di Geijo, ma cerca comunque più sostegno offensivo ad Ighalo passando al 4-2-3-1, con il sacrificio di Lucena, stopper davanti alla difesa, in favore di una mezzapunta in più, Collantes che rileva la fascia destra da un Orellana spostato al centro della trequarti. Paco Herrera invece conferma la difesa a 5, ma al posto di Túñez c’è Catalá, mentre parte titolare quel “tridente B” (Dani Abalo e Michu esterni e Iago Aspas unica punta) che all’andata tanto aveva funzionato a partita in corso.

Per un’abbondante mezzora c’è solo il Granada, come dimostrano la traversa e il gol di Orellana ma anche il fatto che il Celta non riesce ad uscire dalla propria metacampo. I padroni di casa impongono un ritmo altissimo e forzano la difesa galiziana a partire dalle sovrapposizioni degli esterni. Nyom-Collantes a destra e soprattutto Siqueira-Dani Benítez a sinistra, uno spettacolo di tecnica in velocità. Poi Ighalo fa benissimo da boa, anticipa quasi sempre i movimenti dei tre centrali avversari, e apre spazi per gli inserimenti dei compagni dalla trequarti. Così nasce il gol del vantaggio di Orellana.

Il Celta è intrappolato. Baricentro troppo basso e incapacità a distendersi nei primi passaggi. Troppo piatto il doble pivote López Garai-Bustos, manca quel momento di pausa, di respiro che dia i tempi giusti per salire a tutta la squadra, soprattutto ai terzini che nel sistema di Paco Herrera dovrebbero essere due terzini-ala e invece in questa fase rimangono troppo bassi, inchiodati. Michu, un incursore, e Dani Abalo, un’ala, non hanno poi le capacità per aiutare il centrocampo e dettare i tempi, e Iago Aspas, per quanto sempre molto attivo nel fornire l’appoggio (ottime doti di palleggio e utili movimenti senza palla, sia a venire incontro che a defilarsi leggermente verso la fascia destra), rimane così isolato.

Col Celta bassissimo nella sua area e costretto a continue respinte affannose sulla grandinata di cross di Benítez & C., per il Granada è facilissimo recuperare la palla subito sulla trequarti. Questo finchè c’è la benzina, perché la strategia degli andalusi è comunque molto dispendiosa (non si tratta di un possesso-palla insistito, con la possibilità quindi di abbassare un po’ i ritmi, ma di un continuo attaccare gli spazi), e verso la mezzora costringe a rifiatare. La partita si equilibra perché il Granada cede necessariamente qualche metro e il Celta può giocare i primi passaggi senza pressione, abbozzando pure una superiorità numerica in mezzo, con la presenza costante di Michu alle spalle del doble pivote Abel-Mikel Rico, che mostra qualche lacuna in questa fase difensiva nella propria metacampo (soprattutto Abel, che di ruolo sarebbe più trequartista). Abalo segna anche un gol, ma se lo vede annullare per un non meglio precisato fallo su un difensore.

Paco Herrera coglie la necessità di guadagnare peso, e soprattutto idee, a centrocampo, inserendo al centro della trequarti Álex López, protagonista nel gran Celta del girone d’andata ma poi progressivamente ai margini della formazione titolare. Esce Sergio Ortega, così il Celta passa al 4-2-3-1. Non trova però ordine nei suoi attacchi, perde palla dove non deve e così dà il via alla fase “pazza” della partita, col Granada che ha gli spazi per colpire in contropiede. Dani Benítez si sbizzarrisce, e con una delle sue follie palla al piede fa fuori mezza difesa originando l’azione che poi porterà al rigore su Ighalo. Peccato però che lo stesso Benítez fallisca dal dischetto, fintando alla perfezione per spiazzare Yoel ma facendo terminare sul palo il suo lento rasoterra.

Il Celta rientra in gara, con la testa ma anche con una buona mossa dalla panchina (pesante invece l’uscita per infortunio di Siqueira nel Granada). Buona anche se scontata, perché si sa che quei due, De Lucas e Trashorras, prima o poi dovranno entrare. La bontà della mossa di Paco Herrera (escono Dani Abalo e López Garai) risiede più che nei due giocatori subentrati nell’arretramento di Álex López accanto a Bustos. Così il Celta rompe l’orizzontalità del suo doble pivote titolare, prevalentemente difensivo, e guadagna linee di passaggio in avanti, grazie anche ai movimenti fra le linee di De Lucas e Trashorras, continuamente portati a scambiare le posizioni con Michu. Iago Aspas poi si mangia un gol a tu per tu con Roberto, smarcato da De Lucas.

Si apre una fase tipica di queste partite, nella quale la stanchezza e il peso della posta in palio allungano le squadre, lasciando che a decidere siano la saldezza mentale e le individualità. Pure Trashorras, che nei primi minuti dal suo ingresso sembrava molto prossimo alla soglia dell’addormentamento, comincia a prendere le misure, alzare la testa e fare quello che sa, anche se prima bisogna passare per un altro legno colpito da Orellana, allo scadere dei tempi regolamentari, e per un altro rigore (invero un po’ severo) clamorosamente sbagliato da Benítez, che stavolta, si vede, non è sfortunato e lo calcia proprio male, preso dall’ansia.

Via libera al Trashorras-show, con la traversa su punizione e l’inverosimile incrocio dei pali da posizione defilata. Solo queste genialità individuali però possono avvicinarsi a sbloccare una partita destinata ai rigori (tanto che nei supplementari Fabri ormai preferisce non rischiare e sacrifica Ighalo (stavolta ottimo) per aggiungere Óscar Pérez davanti alla difesa).

Carlos Calvo spara sopra la traversa, ma Michu lo imita proprio al rigore decisivo per il Celta. Sull’onda emotiva, lo stesso portiere Roberto del Granada trasforma il rigore successivo, il primo ad oltranza, mentre la stessa onda emotiva travolge Catalá: a mezza altezza, non troppo forte, parato. Un altro annetto all’Inferno per il Celta.

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giovedì, giugno 09, 2011

SEGUNDA/PLAYOFF PROMOZIONE: Celta-Granada 1-0 (Michu, 77')

Forse così semplice non era. La vigilia era stata animata dalle dichiarazioni disinvolte dei giocatori del Granada, che esprimevano contentezza per un abbinamento a loro dire favorevole: il Celta era considerata la squadra meno problematica del lotto (Elche-Valladolid l’altra semifinale) destinato a contendersi la terza piazza alle spalle di Betis e Rayo, già promosse.

E invece ora il manico del coltello lo impugna il Celta, che si avvantaggia in quest’andata e ha nel rendimento esterno un suo punto di forza. Anche il Granada però in casa è un rullo compressore, quindi sarà ancora tutto da decidere. Un’incertezza e un timore reciproco, al di là delle spacconate della vigilia, evidente già ieri sera: la partita è stata brutta perché entrambe le squadre, vuoi per la tensione vuoi per la paura, non hanno valorizzato le loro prerogative fino in fondo, limitandosi a non rischiare. Intanto però il gol di Michu, per quanto non molto giustificato dagli sviluppi della partita, è un bel colpo.

Assenza pesante per il Granada quella del bomber Geijo (24 gol), sostituito dall’acerbo Ighalo, uno dei tanti prestiti di questa sorta di “Udinese B”. Manca anche Juande, l’ex Betis: davanti alla retroguardia il piano B prevede l’avanzamento del difensore centrale di ruolo Lucena. Tutti disponibili invece nel Celta, dove il vero dilemma è la formazione: difesa a 4 o a 5? Paco Herrera sceglie la seconda opzione, confermando la svolta tattica che ha caratterizzato il finale di stagione della squadra galiziana. Svolta che aveva portato in alcune gare ad accantonare addirittura il cosiddetto “tridente” (anche se la punta di fatto è solo una) composto da Trashorras e De Lucas alle spalle di David Rodríguez, che invece era stato il punto di forza del gran girone d’andata del Celta. Stavolta nessuna sorpresa, ci sono tutti e tre.

Trovandosi di fronte le due squadre col miglior contropiede della categoria, la domanda della vigilia era: chi assumerà il peso della partita? Chi vorrà il possesso-palla? Sin dai primissimi minuti, si capisce chiaramente che il Celta volente o nolente deve fare la partita, e che il Granada aspetta e riparte.

CELTA (5-4-1)

------------------Yoel-------------------

-------J.Vila---S. Ortega---Túñez---

-H.Mallo-----------------------R. Lago

--------López Garai---Bustos--------

---De Lucas------------Trashorras---

--------------D. Rodríguez-------------

GRANADA (4-5-1)

------------------Roberto-----------------------

Nyom-- Iñigo López—-D.Mainz—Siqueira

-------------------Lucena--------------------------

Orellana---Abel-----Mikel Rico--Dani Benítez

--------------------Ighalo---------------------------

Semplificando coi due giocatori più rappresentativi, la chiave della partita del Granada consiste nel liberare in contropiede Dani Benítez, micidiale in campo aperto; per il Celta invece il giocatore da liberare è il geniale Trashorras, cui tocca poi innescare movimenti in profondità di David Rodríguez e i tagli a ridosso dell’area di rigore di De Lucas.

Il contesto tattico potrebbe offrire un vantaggio al Celta schierato con tre difensori centrali. Tre contro un solo attaccante andaluso: c’è quindi un bel latifondo a disposizione dei difensori di casa quando iniziano l’azione. Solo con un loro ruolo attivo nell’impostazione si può poi creare superiorità anche a centrocampo: il difensore che porta palla dovrebbe chiamare fuori i mediani del Granada, e così allentare le marcature su Trashorras e De Lucas sulla trequarti.

In più questa difesa a cinque vede i due terzini (Hugo Mallo e Roberto Lago) in posizione molto avanzata ad inizio azione: altra potenziale incertezza per il sistema difensivo del Granada, perché se Orellana esce a pressare alto sul centrale che imposta (Túñez ) libera Roberto Lago alle sue spalle, ma Roberto Lago non se lo prende nessuno, perché il terzino destro del Granada ha già Trashorras nella sua zona. Se invece Orellana non pressa alto ma segue Roberto Lago, allora il rischio è che il cileno ripieghi troppo, e che allontanandosi tanto dall’attacco il Granada veda compromessa la propria transizione offensiva quando recupera palla. Discorso speculare per l’altra fascia.

Questo stratagemma della difesa a 5 utilizzata in chiave offensiva sta diventando negli ultimi tempi una moda fra alcuni allenatori spagnoli, si pensi a Lotina nel Deportivo 2008-2009, o ad alcune versioni del Valencia di Emery quest’anno. Il problema però è che per il Celta questo resta un discorso sulla carta. Jonathan Vila, Sergio Ortega e Túñez rimasticano palloni orizzontali nella loro metacampo, nessuno si prende la responsabilità di avanzare e cercare il passaggio smarcante, e quindi mentre i due mediani Bustos e López Garai son costretti ad abbassarsi troppo, Trashorras non riesce ad entrare in partita. Questo nel migliore dei casi, perché nel peggiore la palla viene lanciata a casaccio senza alcuna speranza, anche perché David Rodríguez non ha le caratteristiche per battagliare spalle alla porta con i centrali del Granada. In tale contesto, tre difensori contro un solo attaccante rappresentano uno spreco per il Celta.

In tutto questo, la prima occasione (a voler essere generosi) arriva al 20’: la confusione del Celta ad inizio azione genera una palla persa a centrocampo, Benítez ha spazio per una delle sue cavalcate alla Gareth Bale (comincia a fare caldo, quindi questa passatemela per favore) e defilato scarica un gran sinistro non troppo lontano dall’incrocio. Anche il Granada però sinceramente delude: va bene che non soffre, ma è troppo conservatore, punta tutto sulle partenze isolate di Benítez senza coinvolgere minimamente ottimi giocatori di manovra come Abel, Mikel Rico e soprattutto Orellana.

Qualcosina, non troppo, si muove nell’ultimo quarto d’ora del primo tempo, perché il Granada accenna ad aprirsi e perché il Celta è leggermente più efficace nel trasmettere palla dai centrali ai terzini e da qui liberare Trashorras e De Lucas tra le linee. Specialmente De Lucas, protagonista delle due uniche occasioni dei padroni di casa: al 34’ un inserimento dentro l’area e destro incrociato a lato su sponda aerea di David Rodríguez; al 42’, liberato fuori dall’area proprio dal movimento di cui si parlava sopra, con un destro che rimbalza davanti costringe Roberto a respingere sui piedi di Trashorras, che però da due passi non concretizza.

Nella ripresa il Granada sembra cambiare atteggiamento: comincia ad alzare i suoi di terzini, il brasiliano Siqueira a sinistra (tecnico e manovriero, alla Maxwell/Filipe per intenderci) e il francese Nyom a destra (di origini africane, enorme facilità di corsa) e prova ad alzare il baricentro difendendosi col pallone.

Nonostante due tentativi (al 51’ De Lucas da fuori area e al 55’ Trashorras a girare verso il secondo palo) il Celta sembra perdere terreno. Si intravede un punto debole nel suo schieramento: con una manovra più corale nella metacampo avversaria, il Granada può mettere in inferiorità numerica il Celta sulle fasce. I triangoli Siqueira-Benítez-Mikel Rico a sinistra e Nyom-Orellana-Abel a destra costringono i due mediani di casa, Bustos e López Garai a spostamenti laterali sin troppo accentuati, perché De Lucas e soprattutto Trashorras faticano a ripiegare in aiuto ai terzini. C’è quindi più spazio sulla trequarti per uno come Orellana, più a suo agio tagliando verso il centro in questo gioco di scambi corti. Comunque anche questo ,come quello del Celta nel primo tempo, rimane un vantaggio tattico soltanto sulla carta, perché Ighalo fa il solletico e non arrivano nemmeno incursioni dai centrocampisti.

Paco Herrera legge in ogni caso bene la partita, e progressivamente sostituisce il tridente titolare con il “tridente B” visto prima dei playoff. Prima esce David Rodríguez per Iago Aspas (più seconda punta, più portato a venire incontro al pallone), poi De Lucas per Dani Abalo (più ala), infine lascia il campo Trashorras per Michu.

I due nuovi esterni, freschi, consentono maggior compattezza nei ripiegamenti, ed è proprio Michu a decidere l’incontro: su una palla persa al limite dell’area la difesa granadina si trova scoperta, cross basso di Hugo Mallo che attraversa tutta l’area piccola, Nyom si dimentica di chiudere in diagonale e Michu indisturbato realizza sottoporta. Fabri reagisce buttando dentro tutte le sue opzioni offensive, a dire il vero tutte mezze punte più che attaccanti (Collantes, Calvo e Óscar Pérez), ma l’occasionissima capita sui piedi di Lucena, che in mezzo alla mischia raccoglie una punizione dalla trequarti di Abel ma si fa chiudere lo specchio da Yoel. Nulla è perso, sabato sera a “Los Cármenes” si vedrà.

I MIGLIORI: Naturalmente il match-winner Michu. Ventisei anni, centrocampista mancino abbastanza atipico, non è né un regista né un mediano bloccato davanti alla difesa né un trequartista: piuttosto un incursore che può partire da mezzala in un centrocampo a tre o anche da falso esterno come fa ultimamente. Sempre pronto a partire a ridosso degli attaccanti per inserirsi, il gol ne riassume bene le caratteristiche. L’altezza poi lo rende prezioso anche come torre sui rinvii dei difensori.

Positivo anche l’ingresso di Iago Aspas, che partecipa molto alla manovra e la vivacizza con qualche spunto. Bene Roberto Lago, terzino che si adatta bene alla difesa a 5 perché ha una buona propensione offensiva che gli permette di coprire tutta la fascia senza problemi e qualche volta persino puntare nell’uno contro uno come un’ala.

I PEGGIORI: La colpa non è solo sua perché tutto il Granada non lo agevola, ma da un giocatore fuori categoria (nel senso che dovrebbe stare in Primera) come il nazionale cileno Orellana ci si aspetterebbe qualcosa in più. Troppo inconsistente Ighalo. Nel Celta, sottotono Trashorras.

Celta (5-2-2-1): Yoel; Hugo Mallo, J. Vila, Sergio Ortega, Túñez, R. Lago; Bustos, López Garai; De Lucas (Dani Abalo, m. 66), Trashorras (Michu, m. 71); David Rodríguez (Iago Aspas, m. 56).

No utilizados: Sergio, Murillo, Álex López, Joan Tomás

Granada (4-1-4-1): Roberto; Nyom, Íñigo López, Mainz, Siqueira; Lucena; Orellana (Collantes, m. 78), Abel (Óscar Pérez, m. 90), Mikel Rico, Dani Benítez; Ighalo (Carlos Calvo, m. 89).

No utilizados: José Juan, Rubén, Granada, Álex Cruz.

Árbitro: Del Cerro Grande. Amonestó a De Lucas, Iago Aspas, Dani Benítez y Nyom.

Goles: 1-0, m. 77, Michu

Incidencias: Balaídos. Unos 20.000 espectadores.

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