domenica, novembre 30, 2008

TREDICESIMA GIORNATA: Sevilla-Barcelona 0-3: Eto’o; Messi; Messi.

È un colpo micidiale quello che il Barça dà al campionato. Il dato dei tre punti pesantissimi non può che essere il primo da sottolineare, per poi esaminare una gara che, equilibrata nel primo tempo e con sufficienti meriti per il pareggio da parte sevillista, ha visto nella ripresa un monologo di significativa autorevolezza da parte blaugrana, che lancia un messaggio discretamente inquietante alle concorrenti attualmente malconce.

È netta la divisione in due fasi di questa partita, divisione perfettamente corrispondente con i due tempi: nel primo il Barça è passato sì in vantaggio, ma non ha certo dimostrato quel dominio che invece ha evidenziato la seconda parte, praticamente perfetta.
Nei primi 45 minuti infatti la squadra di Guardiola non ha mai potuto imprimere il ritmo e la fluidità desiderata al suo possesso palla, e ha inoltre sofferto non poco sui ribaltamenti proposti in contropiede dal Sevilla. Jiménez, non è più un mistero, ha trasformato (secondo il sottoscritto un’involuzione) il Sevilla in una squadra bloccata sulle proprie posizioni difensive e legata in fase offensiva a giocate dirette e poco elaborate, in contropiede o sfruttando con i lanci l’abilità dei due attaccanti, Kanouté e Luis Fabiano, nel proteggere palla e crearsi praticamente da soli le occasioni. Strategia che è già costata qualche punto perso contro squadre altrettanto sulla difensiva, ma che certo nell’occasione ben si modella su quella che è la filosofia di gioco storica del Barça.
Con le linee di centrocampo (aiutato da Kanouté in fase di non possesso) e difesa del Sevilla ravvicinate e agguerrite, con Xavi costretto ad abbassarsi per prendere palla e con Messi seguito quasi a uomo da Fernando Navarro e puntualmente raddoppiato o addirittura triplicato, gli ospiti non riescono a far filtrare molti palloni sulla trequarti: uno dei pochi che ci riesce è quello condotto da Xavi al 20’, che però necessita della fortunosa carambola su Fernando Navarro per trasformarsi in assist per Eto’o: sviluppo dell’azione fortunoso, però nella conclusione del camerunese, un repentino collo-esterno di prima intenzione che si insacca sotto la traversa, c’è tutto l’istinto del killer.
Va in gol il Barça, domina anche il possesso-palla ma non domina in ultima istanza la partita, perde palla e difetta nelle transizioni difensive, rimanendo pericolosamente esposto al contropiede sevillista. La fascia destra, quella nettamente più produttiva nell’aspetto creativo (ma in questa occasione il fatto che Márquez giochi sul centro-sinistra e sul centro-destra giochi Piqué, fa perdere qualche punto di precisione ai lanci verticali sulla corsa di Alves), è al tempo stesso la più problematica in fase difensiva, e il Sevilla lo sa meglio di tutti avendo oltrettutto beneficiato per 5 anni dei servizi di Alves.
Siccome in questo primo tempo il Barça non pressa tanto alto, a palla persa si tratta di ripiegare, e qui casca l’asino: Messi aiuta ma non sempre, Xavi ha limiti dinamici arcinoti quando si tratta di tornare nella propria metacampo, e Alves non può certo materializzarsi in due posti contemporaneamente. Aggiungiamoci poi che le due punte che impiega il Sevilla sono particolarmente scomode per il Barça, perché due punte impegnano i due centrali limitando la possibilità per questi di tempestive chiusure laterali (ma Puyol terzino sinistro mitiga quest’aspetto, perché spesso stringe come stopper aggiunto a disegnare quasi una difesa a tre), e capiamo come gli imbarazzi non trascurabili per il Barça del primo tempo vengano soprattutto da questo versante, pensiamo ad esempio alla deviazione fuori di poco di Kanouté su cross proprio dalla sinistra di Adriano.
Dalla sinistra ma non solo vengono i pericoli: i difensori centrali blaugrana faticano a prendere le misure a Luis Fabiano e Kanouté, non sempre tengono la linea del fuorigioco (e li grazia qualche svista del guardalinee) e soffrono ogni volta che c’è una palla lunga da contendere: già Piqué aveva rischiato il rosso per un contrasto dubbio con Kanouté in area di rigore (uno di quei penalty che si possono dare o non dare quasi indifferentemente), poi ancora una volta un’inspiegabile disattenzione dell’ex-Manchester United in area di rigore su lancio di Maresca smarca Kanouté sottomisura, fermato solo dalla traversa.
I meriti accumulati nel primo tempo dal Sevilla svaniscono però in una ripresa che il Barça letteralmente narcotizza, con la personalità della squadra superiore. Quello che i blaugrana nel secondo tempo fanno nel migliore dei modi è difendersi con il pallone, la maniera più economica ed elegante che esista, come già dicemmo a suo tempo della Spagna. Il Barça mette sotto chiave il vantaggio perché semplicemente non permette più al Sevilla di avvicinarsi alla sua porta, a malapena facendogli superare la metacampo. La superiorità culé nasce da una gestione paziente del possesso-palla e un’occupazione estremamente razionale della metacampo avversaria.
Interessante in tal senso la variante presentata nell’occasione da Guardiola: il modulo che in fase di non possesso è il solito 4-3-3, in fase di possesso diventa una sorta di 3-4-3. Mentre Márquez rimane al centro, Piqué si allarga tantissimo, fino a fare il terzino destro ad inizio azione: in questo slittamento di posizioni, Messi dalla destra si accentra muovendosi fra le linee e liberando tutta la fascia destra per Alves che di fatto gioca da ala. Fernando Navarro come detto segue quasi a uomo Messi, e il rimescolamento di posizioni effettuato da Guardiola obbliga Adriano a retrocedere quasi costantemente come terzino aggiunto su Alves (poi entrerà Diego Capel per De Mul spostando Adriano a destra, ma ciò non modificherà le linee maestre del match): facendo due più due, il Sevilla si trova così a riconquistare palla lontanissimo dalla porta avversaria, con troppi metri da percorrere e con la lucidità che sicuramente fa difetto più a chi imposta la partita per correre dietro all’avversario rispetto a chi preferisce far correre il pallone.
Il Barça accorcia nella metacampo avversaria, e una volta depresso ogni entusiasmo avversario, si tratta solo di infliggere il colpo di grazia. Se ne incarica Messi, che col tempo è passato a giocare stabilmente da falso centravanti (Eto’o si defila sulla destra) e offre respiro ai tre centrocampisti nello sviluppo dell’azione.
Sul primo gol Palop potrebbe almeno abbozzare l’intervento, ma è notevole la determinazione dell’argentino nello scappare a Fernando Navarro (prima volta nel match) e insaccare di controbalzo da fuori. Già nel recupero è poi Hleb (subentrato ad Henry: partecipe ma ancora una volta privo di mordente il francese) a ispirare in profondità Messi, che evidenzia una differenzia di passo imbarazzante con Fazio, scarta Palop e deposita in rete da posizione defilata. Nel mentre Luis Fabiano trova il modo di farsi cacciare per una sbracciata/gomitata su Busquets con annesso accenno di scenata isterica verso il guardalinee… salterà il Real Madrid.

I MIGLIORI: Messi stavolta non ha lo stesso protagonismo all’interno della manovra delle altre partite, il sistema difensivo del Sevilla in qualche modo lo limita, però piazza due guizzi di classe per chiudere la gara. Ancora bene Alves, il solito Eto’o e poi anche un Touré molto prezioso in certi ripiegamenti e chiusure soprattutto nelle fasce sguarnite.
I PEGGIORI: De Mul bocciato: era una grossa chance per il belga l’opportunità di sostituire lo squalificato Navas (il miglior giocatore della stagione sevillista finora e l’assenza più grave immaginabile), ma se oltre all’inadeguatezza ci aggiungiamo la ruggine di tante partite fra panchina e tribuna, il risultato è predeterminato. Molto sottotono il centrocampo, specie Fazio che non tiene neanche da difensore quando entra Renato.

Sevilla FC (4-4-2): Palop 5,5; Mosquera 6, Squillaci 6(Renato s.v., m.74), Escudé 6, Fernando Navarro 6,5; De Mul 5(Diego Capel s.v., m.53), Fazio 5,5, Maresca 5,5(Romaric s.v., m.63), Adriano 6; Kanouté 6,5, Luis Fabiano 5,5.
In panchina: Javi Varas, Konko, Dragutinovic, Duscher.
FC Barcelona (4-3-3): Víctor Valdés 6; Daniel Alves 6,5, Piqué 6, Márquez 6, Puyol 6,5; Xavi 6(Gudjohnsen, m.87), Touré Yaya 6,5, Keita 6(Sergio Busquets s.v., m.75); Messi 7, Eto'o 7, Henry 6(Hleb 6, m.90).
In panchina: Pinto, Cáceres, Sylvinho, Bojan.

Goles: 0-1, M.20: Eto'o. 0-2, M.78: Messi. 0-3, M.92: Messi.
Árbitro: Alberto Undiano Mallenco (Comité Navarro). Expulsó con roja directa al sevillista Luis Fabiano (m.85) tras ser informado el colegiado por uno de sus asistentes que le había dado un codazo a Sergio Busquets. Además, amonestó a los visitantes Eto''o (m.31), Márquez (m.62) y Piquet (m.76).
Incidencias: Partido disputado en el estadio Ramón Sánchez Pizjuán ante unos 45.000 espectadores que casi llenaron las gradas. Terreno de juego en buenas condiciones. Antes del choque representantes del Sevilla FC de Puerto Rico enseñó desde el césped el trofeo de campeón de Liga de este país americano.

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TREDICESIMA GIORNATA: Getafe-Real Madrid 3-1: Albín (G); Saviola (R); Albín (G); Uche (G).

Inerme, modestissimo Real Madrid. I merengues accettano la netta sconfitta senza colpo ferire, non danno mai l’impressione di poter entrare seriamente in partita. Manca pure quella fede che generava le grandi rimonte, e qui solo in parte c’entrano le pesantissime assenze (al chilometrico bollettino di guerra si aggiungono stavolta Sneijder e Torres, usciti già nel primo tempo, e pure Pepe, con una contrattura muscolare alla fine del match): al di là dei discorsi sul gioco, non si percepisce più l’energia giusta in questa squadra. Gran Getafe: dopo il Camp Nou, altra dimostrazione di solidità e risorse tecniche di ottimo livello. Anche il progetto di Víctor Muñoz, dopo quelli di Quique, di Schuster e di Laudrup, potrebbe aver imboccato finalmente la strada giusta.

Parte subito in salita il Madrid: il Getafe inizia senza complessi (perché dovrebbe averne, del resto?), fa girare palla, allarga il campo e porta avanti anche i terzini: dalla sinistra Gavilán trova il fondo, va via a Sergio Ramos e crossa, la difesa del Real Madrid è piazzata male, Marcelo è uno dei peggiori della Liga nelle diagonali su cross dalla fascia opposta, si sa, e Albín si inserisce così dalla trequarti, arrivando in corsa e dando così la dovuta forza al suo “cabezazo”.
Imbambolato il Madrid per tutti i primi 20 minuti, cede facilmente campo nelle transizioni difensive a un Getafe che ha in Albín ha il suo uomo-chiave fra le linee (gioca bene anche Granero stavolta, ma sulla destra come viene impiegato quest’anno resta comunque troppo sacrificato rispetto ai movimenti che poteva effettuare con Laudrup).
Piano piano la partita si riequilibra, perché il Getafe abbassa di molto il baricentro e il Madrid ha un contatto più continuo col pallone: non sa granché cosa farsene, perché la profondità sulla sinistra non è mai abbastanza, mentre la destra, è risaputo, non esiste proprio.
In mezzo a tante situazioni leggibili per l’avversario, un’occasionissima per Raúl che spreca un rigore in movimento propiziato da uno spunto di Drenthe, il quale aveva tagliato il campo da sinistra verso destra approfittando di una situazione in cui era saltata la copertura del centrocampo getafense, e poi un'altra occasione per Gago, un po’casuale ma comunque assai ghiotta, visto che la conclusione al volo dell’argentino, un’ottima esecuzione, scende di pochissimo sopra la traversa di Abbondanzieri. Dall’altra parte invece si reclama per un rigore di Sergio Ramos su Soldado parso nettissimo (dire di Pérez Burrull che è scarso è fargli un complimento: da antologia anche la mancata espulsione di Pepe nel secondo tempo per fallo da chiara occasione da gol su Uche).
Nella ripresa, ancora una volta il Real Madrid paga salatissimo l’avvio, segno che manca la giusta tensione competitiva: un contropiede sul quale i merengues si fanno trovare esageratamente scoperti in difesa, e che ancora Albín conclude e finalizza, sorprendendo sul primo palo un Casillas un po’ impreparato nell’occasione. Proprio mentre si impreca contro l’inadeguatezza dell’attacco che gli infortuni hanno costretto Schuster ad improvvisare, arriva però la risposta, firmata Saviola: fin lì e per tutto il resto della partita il più inadeguato dei 22 in campo, il Conejo sfodera un guizzo da bomber di razza quando conclude con un fulmineo esterno sotto la traversa un’azione ispirata da Guti, il quale aveva rubato palla sulla trequarti a Cata Díaz e imbucato alla sua maniera la palla filtrante.
In altri tempi sarebbe stato l’inizio della riscossa, e invece è solo un fuoco di paglia, perché tarda poco il Getafe, giusto il momento di digerire, a riprendere il controllo della partita: il Madrid perde palloni a metacampo con facilità irrisoria, la mediana di casa li ricicla in maniera altrettanto agevole, e così si comincia a passare più tempo dalle parti di Iker che di Abbondanzieri (però Raúl su un contropiede manca una deviazione sotto porta da mettersi le mani sui capelli). Polanski colpisce il palo interno, poi entra Uche che dà una marcia in più in termini di freschezza e rapidità rispetto al pur onesto Soldado, e proprio il nigeriano mette la pietra tombale sulla partita concludendo un contropiede magistralmente rifinito dal solito Albín, contropiede sul quale ancora una volta il Madrid si fa trovare vistosamente “desnudo” nella propria metacampo.

I MIGLIORI: Juan Albín su tutti: il 22enne uruguaiano sta crescendo a vista d’occhio e, con l’acquisizione della dovuta maturità, concretezza e continuità, sembra in grado di far valere le proprie indubbie doti tecniche. Oltre ai due gol e all’esemplare gestione del contropiede del 3-1, fornisce uno sbocco costante fra le linee ai compagni, posizione dalla quale orienta buona parte del gioco offensivo offrendosi e mantenendo il possesso grazie a un trattamento sempre impeccabile della sfera. Ottimo anche lo spezzone finale di Uche: il nigeriano, fra infortuni e lacune personali, non ha ancora trovato la continuità ideale in questa sua esperienza al Getafe, del quale doveva essere l’acquisto di maggior richiamo due estati fa. Restano comunque notevoli le sue potenzialità e i margini di riuscita: per talento puro è chiaro che lui dovrebbe venire prima sia di Manu che di Soldado nelle gerarchie ideali.
I PEGGIORI: Una bambola generalizzata quella del Madrid. Atteggiamento sbagliato, maglie larghe in difesa, persino Casillas che comincia a perdere colpi, Van der Vaart insignificante come gli succede da un po’di tempo a questa parte (dopo un buon inizio illusorio, stanno venendo fuori i limiti di personalità propri di questo giocatore), Raúl fallimentare sottoporta.

Getafe (4-4-1-1): Abbondanzieri 6,5; Contra 6,5 (Cortés 6, m.58), "Cata" Díaz 6, Mario 6,5, Licht 6; Granero 6,5, Polanski 6,5(Celestini s.v., m.73), Casquero 6,5, Gavilán 6,5; Albín 8; Soldado 6(Uche 6,5, m.60).
In panchina: Jacobo, Rafa, Adrián González, Sousa.
Real Madrid (4-3-3): Iker Casillas 5; Miguel Torres s.v.(Míchel Salgado 5,5, m.35), Sergio Ramos 5,5, Pepe 5,5, Marcelo 5,5 (Bueno, m.75); Guti 6, Gago 5,5, Sneijder s.v.(Van der Vaart 5, m.16); Raúl 5, Saviola 6, Drenthe 6.
In panchina: Dudek, Metzelder, Javi García.

Goles: 1-0, m.2: Albín. 2-0, m.47: Albín. 2-1, m.55: Saviola. 3-1, m.82: Uche.
Árbitro: Pérez Burrull (Comité cántabro). Mostró cartulinas amarillas a Albín (40) y ''Cata'' Díaz (86) por el Getafe y a Pepe (45), Van der Vaart (63), Míchel Salgado (66), Sergio Ramos (70) y Guti (78) por el Real Madrid.
Incidencias: Coliseum Alfonso Pérez. 10.000 espectadores. Realizó el saque de honor Feliciano López, tenista campeón de la tercera Copa Davis de España.

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lunedì, novembre 24, 2008

DODICESIMA GIORNATA: ALTRE PARTITE.

Mallorca-Málaga 2-2: autorete Ramis 12'(Mlg); Josemi 18'(Mll); Baha 23'(Mlg); Webó 67'(Mll).

Numancia-Atlético Madrid 1-1: Forlán 33'(A); Barkero, rig. 94'(N).

Racing-Espanyol 3-0: Marcano 10'; Óscar Serrano 26'; Pereira 56'.

Sporting Gijón-Betis 1-2: Diego Castro 25'(S); Monzón 52'(B); Emana 58'(B).

Osasuna-Almería 3-1: Negredo, rig. 7'(A); Pandiani 13'(O); autorete Pellerano 71'(O); Vadòcz 94'(O).

Villarreal-Valladolid 0-3(giocata sabato): Sesma 24'; Sesma 43'; Pedro León 46'.

Giornata favorevole al Real Madrid e moderatamente favorevole, nonostante il risultato inatteso, anche per il Barça. Infatti le altre inseguitrici non corrono di certo: oltre alla frenata di Valencia e Sevilla, il tonfo rumorosissimo del Villarreal, che perde la prima partita della sua Liga. Quella di Pellegrini è una squadra che ha basato la propria credibilità sul calcio manovrato, sull'ordine e ultimamente anche sulla capacità di vincere pure quando l'avversario impedisce di proporre il miglior calcio. Insomma una squadra dal talento e dall'affidabilità provate per i primi posti della classifica. Tuttavia, ogni tanto sbanda, e lo fa inaspettatamente e clamorosamente: la rimonta da 4-2 a 4-4 in casa contro l'Atlético in 10, poi l'eliminazione dalla Copa del Rey col Poli Ejido (Segunda B) con annesso 5-0 sul groppone all'andata, ora l'umiliazione casalinga con quel Valladolid che guardacaso già aveva banchettato al Madrigal con un 5-0 in un'amichevole agostana.
Strana squadra quella di Mendillibar, che esce dal cosiddetto Tourmalet (la sequenza di partite contro Sevilla, Barça, Real Madrid e Villarreal che secondo il calendario tutte le squadre devono affrontare) con addirittura 9 punti che testimoniano la relativa maggior familiarità del Valladolid nell'affrontare grandi squadre che cercano sempre di giocare e quindi si espongono al suo pressing alto piuttosto che contro colleghe di bassa classifica che lanciano lungo senza complimenti (lo stesso Schuster dopo la partita del Zorrilla aveva dichiarato di aver chiesto ai suoi giocatori qualche lancio in più proprio per evitare questo pressing). Una squadra il Valladolid che se oltre a una batteria di mezzepunte e di esterni invidiabile (ora giocano titolari l'infallibile Jonathan Sesma e gli squisiti Pedro León e Canobbio... e pensate che resta fuori uno come Escudero!) avesse un centravanti degno di tal nome potrebbe trovarsi anche qualche punto ancora più su. Mostratisi come prevedibile inadeguati Goitom e Ogbeche, Mendillibar nelle ultime due partite ha optato per il duo Canobbio-Víctor, praticamente un attacco senza punte, dal peso nullo ma anche con pochi punti di riferimento per gli avversari. La mossa ha funzionato, ma è chiaro che il Valladolid sarà certamente una delle squadre maggiormente vigili alla riapertura del mercato.
Il Villarreal non è mai entrato in partita e, sotto di tre gol alla fine del primo tempo, ha cominciato già a pensare alla sfida di prestigio domani contro lo United.

Più sotto, l'Atlético butta via la vittoria con una condotta definita indegna dai resoconti giornalistici, un secondo tempo non giocato ed esposto alla reazione del Numancia, che ha preso tre legni prima di trovare il meritato pareggio solo al 94', su un fallo di rigore ingenuo commesso da Perea.
Frena lo Sporting, continua la sua crescita il Betis, squadra non solidissima nelle transizioni difensive ma divertente, veloce e tecnicamente dotata nel gioco offensivo, con gente come Sergio García ed Emana che sta pagando tutti i dividendi dell'investimento (e anche Monzón, altro nuovo acquisto finora destinato soprattutto alla panchina, incanta con un golazo su punizione).
Altra squadra in salute è il Racing, che ha dato la svolta alla propria stagione (e si attende con una certa trepidazione la trasferta di giovedì a Parigi col PSG, gara-chiave) da qualche settimana: Muñiz ha trovato la sintonia col pubblico che lo contestava e la squadra ha ripreso a giocare quando ha trovato un undici fisso nel quale ognuno gioca nel posto in cui può rendere meglio: accantonati i tentativi di 4-1-4-1, è tornato indiscutibile il 4-4-2 classico dalle parti del Sardinero, con la coppia Colsa-Lacen che si consolida in mezzo al campo e con Munitis definitivamente sulla destra del centrocampo (risolvendo il buco maggiore nella rosa racinguista), opzione che certamente amplia le opzioni offensive rispetto alla scelta di inizio campionato, ovvero Valera, inutile da esterno alto, certamente più logico come terzino destro (dove ha giocato ieri).
Aiutato da una paperona di Kameni, va in gol Marcano, giovane difensore che si sta segnalando in questa stagione (ieri adattatosi di nuovo a fare il terzino sinistro col ritorno di Garay); e va in gol, e che gol!, anche Jonathan Pereira, che mette a sedere Kameni con una mossa da torero e quasi entra in porta col pallone.
Se per il Racing le note sono positive, l'opposto per l'Espanyol, che comincia a scendere in classifica e a mettere in serissimo pericolo la panchina di Márquez. Non convincevano nemmeno quando facevano punti i biancoblu di Barcellona, le prospettive quindi sono tutt'altro che rosee.
Finalmente trova la vittoria, e questi benedetti gol, l'Osasuna, che comincia il suo campionato da questo momento: il gol di Pandiani parrebbe una splendida notizia, aver trovato il centravanti di garanzia significherebbe metà salvezza, ma a gelare gli entusiasmi arriva l'infortunio che terrà fuori per le prossime tre settimane il bomber uruguaiano.
Chi invece resta in uno stato indefinito, nè euforia nè depressione, è il Mallorca, che proprio non riesce a far decollare questo suo campionato.


CLASSIFICA

1 Barcelona 29
2 R. Madrid 26
3 Villarreal 25
4 Valencia 24
5 Sevilla 24
6 Atlético 18
7 Deportivo 18
8 Betis 17
9 Valladolid 16
10 Racing 15
11 Málaga 15
12 Almería 15
13 Sporting 15
14 Getafe 14
15 Mallorca 13
16 Espanyol 12
17 Numancia 11
18 Athletic 9
19 Osasuna 8
20 Recreativo 7

CLASSIFICA MARCATORI
Eto'o(Barcelona) 13(1 rig.)
Villa(Valencia) 11(2 rig.)
Higuaín(Real Madrid) 9(2 rig.)
Negredo(Almería) 8 (2 rig.)
Messi(Barcelona)7 (2 rig.)

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DODICESIMA GIORNATA: Deportivo-Athletic Bilbao 3-1: Zé Castro (D); Verdú, rig. (D); Javi Martínez (A); Guardado (D).

Due squadre non proprio aduse al calcio-spettacolo confezionano una partita tutto sommato gradevole, equilibrata e con possibilità da una parte e dall’altra fino a quando il Deportivo non la chiude in contropiede negli ultimi minuti, consolidandosi a ridosso della zona-Uefa e al tempo stesso consolidando anche la delicatissima situazione di classifica dell’Athletic.

Caparros ripete la formazione vincente con l’Osasuna, eccettuando il recupero di Amorebieta e l’inversione dei due esterni di centrocampo (Susaeta va a sinistra, David López a destra). L’assenza di Lopo fa proporre a Lotina la coppia di centrali difensivi Zé Castro-Piscu, mentre il turnover in vista dell’Uefa (meno indiscriminato rispetto alle prime partite della stagione, quando non esisteva proprio un undici tipo; ora invece si riconoscono alcune costanti come la linea di trequartisti Lafita-Verdú-Guardado) dà spazio a Bodipo, solitamente ultimissima scelta offensiva, e ad Antonio Tomás in cabina di regia al posto di Sergio.
Le prime fasi vedono il Depor fare la partita, trovando sbocco i galiziani soprattutto nelle combinazioni e negli scambi di posizione fra Verdú e Lafita sul centro-destra della trequarti, che disorientano un po’ il sistema difensivo dell’Athletic. Proprio da un’alzata di genio di Verdú nasce il vantaggio dei padroni di casa: su una punizione dalla fascia destra, il canterano del Barça calcia direttamente in porta, Iraizoz ha il guizzo giusto sul primo palo ma la palla viene rinviata sui piedi di Zé Castro a centro area, il quale fra la colpevole passività di tutta la difesa bilbaina può insaccare liberamente nella porta sguarnita.
La partita è molto vivace, e l’Athletic ha subito l’occasione per rimettersi in pista quando Mejuto González fischia un discutibile rigore per un discutibile fallo su Llorente sugli sviluppi di un calcio d’angolo. Iraola non batte nel migliore dei modi, ma è il guizzo di Aranzubia, l’ex della serata, a meritare in quest’occasione la sottolineatura.
Nei continui ribaltamenti che dominano la logica di questo incontro si può passare immediatamente dal possibile 1-1 al possibile 2-0, ciò che succede quando Aitor Ocio perde un pallone assurdo nella sua metacampo, senza nemmeno essere pressato, avviando Guardado dritto verso Iraizoz: il messicano però fa anche di peggio, sparacchiando in due battute addosso al portiere basco, comunque reattivo.
Dopo il vantaggio il Deportivo lascia che a venire avanti sia l’Athletic, senza soffrire e creandosi i presupposti per il contropiede, come quello che nel finale del primo tempo sembra chiudere la partita: il generoso (soltanto quello) Bodipo fugge in profondità, insegue un pallone che lo porterebbe tutt’al più in posizione defilata, ma qui trova l’amico Amorebieta, al solito finissimo stratega e calcolatore, il quale non trova di meglio che urtarlo vistosamente all’ingresso dell’area di rigore. Bodipo si sacrifica per la patria (uscirà infortunato proprio per i postumi di questa caduta; al suo posto Mista, che si muoverà discretamente), Verdú esegue con una certa classe dagli undici metri.
La ripresa ha un copione chiarissimo: Athletic che si allunga, che deve allungarsi, alla ricerca della rimonta, Depor ben contento di poter agire di rimessa. L’Athletic arriva con relativa facilità alla trequarti avversaria, perché il Depor è una squadra che fatica un po’ a rubare palla e non la ruba praticamente mai nella metacampo avversaria, ma l’azione basca resta come al solito decisamente scolastica: entrano Etxeberria e Ion Vélez, ma non si va oltre lo scarico della palla sugli esterni e susseguente scontato tentativo di cross. Manca sempre la possibilità di variare e arricchire la manovra per linee interne (ancora di più considerando l’assenza di Yeste), quella possibilità che al Depor regalano ad esempio le caratteristiche dei Guardado e dei Lafita.
L’unico riferimento offensivo credibile per i baschi è il solito Llorente, passato nel giro di meno di un anno dalla condizione di talento inesploso e decorativo a quella di vero e proprio dittatore della tremendamente scarna manovra zurigorri: terminale di tutte le azioni, i compagni in mancanza d’altro lo cercano in maniera sbrigativa sperando che possa comunque succedere qualcosa. Fernando ha due occasioni ghiotte nella ripresa, la prima una girata su una punizione dalla destra che termina di poco a lato, la seconda quando mette stupendamente giù un lancio di Javi Martínez ma viene fermato in calcio d’angolo.
A segnare però non è Llorente ma Javi Martínez, che sul calibrato cross di Orbaiz (leggermente cresciuto nel secondo tempo) propone uno di quegli inserimenti che vorremmo vedergli offrire più spesso incornando a rete di potenza. Caparros mette anche Del Olmo, semi-oggetto misterioso finora, l’Athletic preme orgoglioso e in mischia vede negarsi il pareggio soltanto da un salvataggio di… Javi Martínez sul destro a botta sicura di Llorente. La beffa è consumata, e il Depor, su un contropiede brillantemente condotto dal subentrato Sergio e da Filipe e finalizzato da Guardado, può veleggiare così tranquillo verso il 3-1.

I MIGLIORI: Non può che essere la serata di Aranzubia: portiere titolare dell’Under 20 campione del mondo nel 1999 (davanti a un tale Iker Casillas), buon protagonista nei suoi primi anni da titolare all’Athletic, poi crollato in una depressione tecnica che nessuno dei tanti cambi di panchina al San Mames era riuscito ad alterare (fino all’onta di arrivare a cedere la titolarità del ruolo a un ceffo quale Lafuente). A La Coruña è rinato, anche al di là della grande prova di ieri. Bene pure Iraizoz dall’altra parte.
L’altro protagonista è Joan Verdú, che in questa stagione ha finalmente acquisito una dimensione propria: non certo quella di fuoriclasse, che gli è decisamente estranea, ma sì di giocatore importante per il Deportivo. Con Valerón agli sgoccioli e costretto ormai ad assaporare il campo a piccole dosi, la trequarti è sua, unico giocatore della rosa (a parte appunto il genio canario) ad avere nelle corde l’ultimo passaggio.
I PEGGIORI: Un po’di note stonate nell’Athletic. Male i due difensori centrali: Amorebieta prosegue nell’inesorabile dilapidazione del credito guadagnato la scorsa stagione (che gli era valso pure la convocazione di Del Bosque nell’amichevole dell’Agosto scorso in Danimarca) con un’altra ingenuità che conferma come possedere mezzi naturali da privilegiato non serva a niente se a questi non si accompagna l’uso della ragione; pure Aitor Ocio pasticcia.
Male anche gli esterni: fumoso e senza profondità Susaeta, anonimo come suo triste costume David López. Inesistente Garmendia.

Deportivo (4-2-3-1): Aranzubía 7; Manuel Pablo 6,5, Zé Castro 6,5, Piscu 6, Filipe 6,5; A. Tomás 6(64'), Juan Rodríguez 6; Lafita 6,5(86'), Verdú 7, Guardado 6,5; Bodipo 6(45').
In panchina: Fabricio, Colotto, Sergio 6(64'), Cristian s.v.(86'), Valerón, Omar Bravo, Mista 6(45').
Athletic (4-4-1-1): Iraizoz 6,5; Iraola 5,5, Ocio 5, Amorebieta 5, Balenziaga 5,5; David López 5(57') Orbaiz 6, Javi Martínez 6,5, Susaeta 5,5(84'); Garmendia 5(46'); Llorente 6,5.
In panchina: Armando, Etxeita, Gurpegi, Gabilondo, Etxeberria 5,5(46'), Del Olmo s.v.(84') Ion Vélez 5,5(57').

Goles: 1-0 (20'): Zé Castro remacha en el área. 2-0 (44'): Verdú marca de penalti. 2-1 (72'): Javi Martínez, de perfecto cabezazo. 3-1 (95'+): Guardado culmina un contraataque.
Árbitro: Mejuto González, del Colegio Asturiano. Amonestó a David López (32'), Orbaiz (47'), Guardado (86'), Zé Castro (88') y Verdú (94'+).
Incidencias: Riazor. 14.000 espectadores. Partido declarado de 'Alto Riesgo' sin incidentes

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DODICESIMA GIORNATA: Barcelona-Getafe 1-1: Manu Del Moral (G); Keita (B).

Verrebbe da dire frenata salutare per il Barça: se qualcuno aveva pensato che questa fosse la squadra perfetta ora torna sulla terra, e con alcune assenze strategiche anche i blaugrana dimostrano di poter trovare le loro brave difficoltà ad imporre il proprio gioco. Ora gli scontri in fila con Sevilla, Valencia, Real Madrid e Villarreal ci diranno tutta la verità.

I muscoli di Messi hanno dato l’allarme, quindi è Bojan a raccogliere l’eredità dell’argentino sulla fascia destra del tridente. Pesante anche l’assenza di Márquez, che implica il ritorno di Puyol al centro e la presenza di un terzino sinistro di ruolo come Sylvinho, mentre gli inserimenti di Hleb e Keita al posto di Henry e Busquets rimangono nella normale logica del turnover.
Sin dalle prime battute si capisce che si tratta di una partita diversa: anche il Valladolid aveva cercato di giocarsela due settimane fa, finendo maciullato alla prima azione di rimessa blaugrana, ma la proposta del Getafe ha visibilmente maggiore solidità. Il tradizionale 4-4-2 di Víctor Muñoz si propone di non cedere metri gratuitamente al Barça, non esagera nell’abbassare il baricentro, accorcia con la linea difensiva e non rifiuta la circolazione di palla quando possibile, pur restando consapevole del fatto che non è certo obbligo del Getafe il fare la partita.
L’inizio del Barça è segnato invece da un visibile disorientamento. Parlerei quasi di eccessiva umiltà, nel senso che la squadra ribadisce ferocia e determinazione nell’applicare il pressing alto, ma alla fine sembra ridursi per l’appunto solo a questo, a una rincorsa affamata del pallone e dell’avversario.
Manca la sana arroganza di chi impone il ritmo desiderato alla circolazione del pallone e obbliga l’avversario nella zona di campo che preferisce. Il predominio nel possesso-palla è ovvio come in tutte le partite in casa, ma mancano le idee e i riferimenti consueti e le azioni si arenano spesso sulla trequarti per imprecisione o precipitazione. Poi ci si mette anche Piqué, che ad ogni partita un errore lo deve commettere: sbaglia un passaggio sulla sua trequarti e avvia il contropiede del Getafe, squadra con giocatori tecnici e veloci a ribaltare l’azione, come dimostra l’azione da cui nasce il vantaggio ospite, avviata da Albín e conclusa da Manu con un destro da fuori piazzato elegantemente sul palo lungo.
Camp Nou gelato e Barça costretto ad organizzare una reazione. La reazione però a dire il vero più che organizzata è basata sull’orgoglio. La mancanza di continuità e qualità dell’azione blaugrana si spiega in buona parte con il semi-smembramento del settore destro, vero centro vitale a partire dal quale la squadra di Guardiola organizza la parte preponderante della propria manovra (il settore sinistro interviene perlopiù per finalizzare ciò che il destro costruisce o per offrire un riferimento per allargare il campo coi cambi di gioco).
Per settore destro non si intende soltanto la coppia formata da terzino ed ala destra, ma anche i giocatori che, gravitando sul centro-destra, interagiscono di frequente con questi due. È in questa zona che il calcio blaugrana si sta mostrando in questa stagione nettamente più ricco, per la qualità tecnica degli interpreti e per gli sbocchi di manovra che il costante interscambio di posizioni e il fitto fraseggio fra questi offre. Del settore destro abituale (Alves terzino destro-Márquez centrale destro-Xavi mezzala destra-Messi ala destra) in questa occasione sono presenti soltanto Alves e Xavi, e per quanto i due ce la mettano tutta, la produzione “futbolistica” di questo lato ne risente, perdendo continuità e fluidità e contagiando così tutto il corpo blaugrana.
La capacità di Márquez di iniziare l’azione, di portare palla e far guadagnare metri preziosi in avanti a tutta la squadra (consentendo ai centrocampisti di partire subito a rimorchio degli attaccanti, immediatamente pronti all’inserimento o al passaggio filtrante) non viene surrogata dalla coppia Piqué-Puyol, mentre Bojan, in pessima serata, non ha né i movimenti fra le linee né la qualità nel fraseggio di Messi, portando così alla perdita di numerosi brutti palloni in zona offensiva. Inesistente la fascia sinistra, l’unica via è qualche sovrapposizione di Alves, oppure l’improvvisazione: nessun altro sostantivo può definire infatti l’azione da cui nasce la traversa di Eto’o nel finale del primo tempo, propiziata da una zingarata palla al piede tentata da Puyol, sprazzo di felice analfabetismo tattico che libera lo spazio al camerunese per una bella conclusione a giro dal limite dell’area, fermata solo dal legno.
Nel secondo tempo si accentua la pressione nella metacampo ospite, il Getafe dal giocarsela alla pari d’inizio partita passa comprensibilmente alla pura difesa del vantaggio, ma la pressione del Barça, pur intensificatasi, resta a corto di qualità e ispirazione. Guardiola prova a muovere le acque con le sacrosante bocciature di Hleb e Bojan e gli ingressi di Henry e Pedrito: il canario quatto quatto fa sentire ad Alves e Xavi un sostegno tecnico e morale maggiore rispetto a quanto offerto da Bojan e così, pur in mezzo a imprecisioni assortite, proprio dalla spinta sulla prediletta fascia destra giunge l’agognato pareggio: si libera la corsia per Alves, Xavi lo premia e il brasiliano dipinge un cross perfetto per l’accorrente Keita (autore di una partita per il resto tutt’altro che splendente) che sorprende il Cata Diaz e insacca di testa.
Nella discontinuità del gioco, è comunque innegabile l’entusiasmo e il carattere di questo Barça, ben diversi da quello da quelli degli ultimi due anni, e sull’onda del pareggio i padroni di casa accarezzano pure il bottino pieno quando su un calcio d’angolo un miracoloso Abbondanzieri devia sulla traversa il colpo di testa di Piqué (già molto pericoloso su un corner precedente). Gli ultimi minuti sono parecchio movimentati, col Barça tutto all’attacco (con l’ingresso di Gudjohnsen per Sylvinho, subito dopo l’1-1, Keita è passato a fare il terzino sinistro, idea che prossimamente si potrebbe anche provare dal primo minuto, visto l’attuale parco dei terzini sinistri blaugrana) ma anche col Getafe che ha il contropiede e quasi sfiora la deviazione vincente in area piccola allo scadere.

I MIGLIORI: Alves e Xavi sono le risorse che rimangono al Barça in una serata un po’storta sul piano del gioco: il brasiliano disputa un’eccellente partita, impreziosita dal bel traversone per il gol di Keita, nella quale si dimostra l’unico credibile sbocco in profondità per la propria squadra. Xavi è invece l’unico a muovere il pallone con criterio.
Molto bene la coppia d’attacco del Getafe Manu-Albín, abile nel far distendere la propria squadra in contropiede: potente e veloce negli spazi Manu (oltrechè freddo nell’occasione del gol, lui che solitamente si caratterizza per il tanto movimento e la poca lucidità nel finalizzare), tecnico e dotato nella rifinitura e nel dribbling Albín. Ottimo Mario al centro della difesa, solido Polanski in mediana, provvidenziale Abbondanzieri.
I PEGGIORI: Disastrosa partita di Bojan, senza mezzi termini. È purtoppo un andazzo abbastanza consolidato negli ultimi tempi per l’ispano-serbo: non lo si vede tranquillo, sbaglia stop non da lui, commette con frequenza banali imprecisioni e in tutte le partite mostra la tendenza tipica dei giocatori a corto di fiducia in se stessi, ovvero quella di scegliere sempre la giocata più semplice, che in talune occasioni non è la più corretta, specie quando sei un attaccante e hai il dovere di osare. Non punta mai l’uomo, ripiega sul passaggio al compagno più vicino e non di rado la mancanza di decisione fa sfumare contropiedi o occasioni preziose. Momento difficile per lui, che forse non sente la dovuta fiducia dal tecnico (ma non si può dare colpe a Guardiola: le gerarchie più credibili attualmente sono queste, e cioè quelle con Bojan riserva) nella seconda stagione da professionista, solitamente molto delicata per un giovanissimo, perché devi confermarti e non godi più né dell’effetto-sorpresa né dell’effetto-simpatia che di solito beneficia i giocatori alle primissime armi. In più, da un punto di vista puramente tecnico, va detto che la posizione sulla fascia, tanto più a destra, non è proprio quella ideale per le sue caratteristiche. È una punta pura e non può in nessun modo surrogare i movimenti di Messi.
Un altro corpo estraneo è Hleb: l’infortunio alla seconda giornata con il Racing ne ha rallentato fortemente l’inserimento all’interno dei meccanismi blaugrana. Non si muove sulle stesse frequenze dei compagni, non dialoga costantemente con loro ma appare troppo sporadicamente. Forse non aiuta nemmeno l’indefinitezza attuale del ruolo, alternato fra il centrocampo e soprattutto le due fasce in attacco. Io lo vedrei meglio nel cuore del centrocampo, come mezzala sinistra in coppia con Xavi: considerandone le doti e inserendole all’interno del discorso fatto precedentemente sullo squilibrio fra lato destro e sinistro del 4-3-3 blaugrana (squilibrio accentuatosi con l’infortunio di Iniesta), un suo stabile e fruttuoso inserimento a centrocampo potrebbe arricchire il gioco. La sensazione comunque è che per il bielorusso sia solo questione di tempo e di affiatamento.
Non mi è piaciuto Touré, macchinoso e impreciso col pallone fra i piedi, statico senza. Registriamo il consueto errore di Piqué (un peccato perché vedo grandi doti in questo giocatore, ma deve sempre intervenire un errore in impostazione o un rinvio sbilenco a rovinare il bilancio delle sue partite), l’incertezza di Valdés (rischia di regalare un gol ad Albín facendosi scappare il pallone come una saponetta) e anche il fatto che Sylvinho la benzina l’ha finita da tempo.

Barcelona (4-3-3): Valdés 5,5; Alves 7, Piqué 5,5, Puyol 6,5, Sylvinho 5,5(73'); Xavi 6,5, Touré 5,5, Keita 6; Bojan 4,5(56'), Eto’o 6, Hleb 5(56').
In panchina: Pinto, Cáceres, Busquets, Víctor Sánchez, Gudjohnsen s.v.(73), Pedro 6,5(56'), Henry 6(56').
Getafe (4-4-1-1): Pato 7; Contra 6,5, Cata 6, Mario 7, Licht 6(68'), Granero 5,5(63'), Polanski 6,5, Casquero 6(82'), Gavilán 6; Albín 6,5, Manu 7.
In panchina: Jacobo, Guerrón, Uche, Soldado, Rafa s.v.(68'), Celestini s.v.(82'), Cortés s.v.(63').

Goles 0-1 (19'): Manu culmina un contraataque con un disparo de derecha. 1-1 (72'): Keita cabecea un centro de Alves.
Árbitro: González Vázquez (Colegio Gallego). Amonestó a Alves (6'), Gavilán (22'), Licht (41'), Etoo (65'), Rafa (91'+) y Puyol (92'+).
Incidencias: Camp Nou. Menos de tres cuartos de entrada: 65.249 espectadores. Noche fresca en Barcelona. Terreno de juego en buenas condiciones.

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domenica, novembre 23, 2008

DODICESIMA GIORNATA: Sevilla-Valencia 0-0

Il big-match rispetta in pieno le consegne, nel senso che è una noia mortale. Zero gol e zero emozioni se si escludono le occasioni per Maresca e Villa allo scadere e, nel primo tempo, quella fallita di pochissimo da Mata, una bella mezza rovesciata di Kanouté e un pericoloso tiro deviato di Luis Fabiano sventati da Renan. C’era da aspettarselo, perché si tratta di due delle squadre più tattiche e spigolose di tutto il campionato: venti giocatori in pochissimi metri, il centrocampo più affollato della metropolitana di Tokyo, le difese che accorciano con grande aggressività e quei pochi palloni che filtrano sulla trequarti da considerarsi un regalo del cielo.

Una delle formule più trite recita “le difese hanno prevalso sugli attacchi”: sin troppo vero. Volendoci dare un tono con un linguaggio più tecnico, le solide fasi di non possesso di entrambe le squadre hanno ampiamente surclassato fasi di possesso attualmente troppo povere di contenuti per poter rendere Sevilla e Valencia due credibili concorrenti nella lotta per il titolo.

Valencia meglio nel primo che nel secondo tempo: prima parte interpretata dagli uomini di Emery con applicazione meticolosa e uno spirito condivisibile, comprensibilmente prudente ma comunque non passivo. Ingolfata la mediana col 4-1-4-1 già proposto con successo a Getafe (Pipo Baraja affianca Fernandes, Marchena sostituisce lo squalificato Albelda davanti alla difesa), mossa che garantisce una barriera di sicurezza nelle transizioni difensive e punti di riferimento più numerosi e più facili nella circolazione di palla (intervenendo sui due fattori principali di fragilità emersi nell’ultima sconfitta con lo Sporting, e cioè la difficoltà ad iniziare l’azione e l’eccessiva esposizione della linea difensiva una volta persa palla), gli ospiti hanno stretto le maglie e impedito ogni fraseggio avversario all’altezza della metacampo, non mancando peraltro di inquietare con la mobilità dei propri uomini offensivi, vedi l’occasione sciupata da Mata a tu per tu con Palop quando il più (e il meglio: splendido il movimento che manda vuoto Mosquera) era stato fatto.

Dall’altra parte un Sevilla che sta tristemente annacquando quelle che erano le caratteristiche forti (e direi anche uniche) del suo calcio negli ultimi anni. Avevo elogiato la serietà, l’affidabilità difensiva e la concretezza di questa squadra nelle trasferte vittoriose con Atlético Madrid ed Almería, e non mi rimangio queste parole, ma ciò non può nascondere l’altra faccia della medaglia, e cioè la tremenda involuzione della fase offensiva che sta portando con sè la prima vera gestione-Jiménez.

Il Sevilla che conoscevamo era una squadra allegra ed esplosiva, di una profondità rara, nella quale ogni azione si sviluppava in verticale e ad alto ritmo; ora è statica, appesantita, bloccata e orizzontale quando cerca di sviluppare trame palla a terra, approssimativa quando in mancanza di appoggi sparacchia il pallone lungo, in definitiva affidandosi il più delle volte alla capacità di Luis Fabiano e Kanouté di prodursi le palle gol da soli più che a una coralità ad oggi seriamente compromessa. Non si creano linee di passaggio, non c’è continuità di manovra, non si innescano le fasce. Non è tanto una questione di uomini (per quanto fosse ampiamente risaputo che il protagonismo di Alves ad inizio azione sarebbe mancato), ma di un modello di gioco che vive una fase di crisi, vogliamo sperare non premessa di un’estinzione.

Il Sevilla di ieri sera non ha prodotto nulla che andasse al di là dell’improvvisato o del casuale. Il Valencia invece recupera affidabilità e coesione rispetto alla sconfitta con lo Sporting, ma ancora deve dimostrare di saper andare oltre lo spartito rassicurante ma limitato dell’epoca-Quique: fase difensiva e contropiede eseguiti a regola d’arte ma poco di più. Ancora deve acquisire fluidità e brillantezza una manovra che quando si affida al possesso-palla tende a farlo in un’ottica più conservativa e di rallentamento dei ritmi che di preparazione di un affondo.


I MIGLIORI: Gli unici sprazzi di vivacità li offre il solito Mata, giocatore che oltre ad essere brillante sul piano tecnico si muove senza palla con un’intelligenza e un’incisività alla portata di pochi. Peccato per il gol sciupato. Fa un’uscita da brividi nel finale che quasi propizia un gol di Maresca, ma per il resto Renan dà un’impressione di sobrietà rinfrancante, discorso da estendere oltre i confini di questi novanta minuti. Bene i difensori, ovviamente: Squillaci da una parte e la consolidata eccellente coppia Albiol-Alexis dall’altra.

I PEGGIORI: Come per i migliori, è difficile segnalare qualcuno: il fatto che le due squadre si siano annullate a centrocampo impedisce di segnalare individualità di spicco, ma al tempo stesso indica che praticamente tutti i giocatori in campo hanno svolto senza sbavature la propria funzione (il “compitino”).

Volendo fare soltanto due nomi, direi che Fernandes poteva andare oltre il compitino (visto che il centrocampo con tre centrali è il suo habitat ideale) e che Adriano è stato impalpabile (almeno Navas ci ha provato, anche se si è preso un cartellino giallo che gli farà saltare il Barça, come Luis Fabiano, che non si fa mai scappare l’occasione di prendere un’ammonizione tonta).


Sevilla (4-4-2): Palop 6,5; Mosquera 6, Squillaci 6,5, David Prieto 6, Fernando Navarro 6,5; Jesús Navas 6, Duscher 6 (Maresca 6, m.46), Romaric 6 (Renato s.v., m.81) Adriano 5,5 (Capel s.v., m.73); Luis Fabiano 6, Kanouté 6.

In panchina: Javi Varas, Dragutinovic, Fazio, De Mul.

Valencia (4-1-4-1): Renan 6,5; Miguel 6, Albiol 6,5, Alexis 6,5, Moretti 6(Maduro s.v., m.76); Joaquín 6 (Pablo Hernández s.v., m.88), Fernandes 5,5 (Edu s.v. m.75), Marchena 6, Baraja 6, Mata 6,5; Villa 6.

In panchina: Guaita, Hugo Viana, Morientes, Zigic.


Árbitro: Fernando Teixeira Vitienes (c.cántabro). Mostró tarjeta amarilla a Jesús Navas (m.5), Marchena (m.53), Luis Fabiano (m.58), Fernandes (m.65), y Baraja (m.78)

Incidencias: Partido disputado en el estadio Ramón Sánchez Pizjuán ante unos 40.000 espectadores. Terreno de juego en buenas condiciones. Tras el partido Jesús Navas recibió dos trofeos, de la empresa www.sevilladeportes.com, por su cumpleaños y por llevar cinco años como futbolista del Sevilla

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DODICESIMA GIORNATA: Real Madrid-Recreativo Huelva 1-0: Sneijder.

Balbetta e non incanta il Real Madrid, ma perlomeno respira, e di questi tempi è un miracolo per la squadra e per Schuster (ma l’infortunio alla caviglia che costringe Higuaín all’uscita in barella getta l’ennesima ombra sinistra). Bene aver trovato in un momento tanto delicato una squadra tenera e spuntata come il Recreativo: per quanto vivano con indiscutibile dignità la loro umilissima condizione, non è certo un segreto che gli andalusi siano fra i primissimi candidati alla retrocessione.

Per Schuster solita formazione ultra-rimaneggiata di questo periodo gramo: dietro almeno rientra Pepe, ma le assenze di Cannavaro ed Heinze costringono a spostare Ramos al centro con l’inserimento di Torres sulla destra. Nel Recreativo, per una volta il (inspiegabilmente) semi-intoccabile soldatino Aitor parte della panchina, e finalmente Akalé gioca dal primo minuto; il balletto delle punte invece vede stavolta Camuñas come partner di Javi Guerrero, prima scelta offensiva con l’arrivo di Alcaraz.
L’avvio è abbastanza sconcertante ma non del tutto inatteso, perché non è strano che una squadra in crisi, anche se si chiama Real Madrid, mostri una simile difficoltà nell’approccio alla gara. La partita inizia a farla con decisione il Recreativo, squadra finora impostata molto sulla difensiva da Alcaraz ma in questa occasione visibilmente spavalda, forse fiutando l’occasione della preda ferita. Non è una sensazione sbagliata, perché nei primi minuti i padroni di casa non ci sono proprio, e gli spazi per giocare sono tanti: lunghissimo il Real Madrid, senza intensità, senza pressing della prima linea, con una linea di mezzeali friabile e di conseguenza frequentemente esposto alle incursioni sulla propria trequarti. Protagonista Camuñas, che prima impegna da fuori con un sinistro Casillas, e poi sciupa clamorosamente un rigore in movimento provocato da un assai facile affondo di Sisi e Javi Guerrero in una difesa madridista priva di rete di protezione.
Grazie all’atteggiamento propositivo del Recre e al visibile sfilacciamento del Madrid, la partita si mette su un piano abbastanza gradito allo spettatore, con la possibilità sempre viva di azioni da una metacampo all’altra. Il Recre però ha la qualità che ha e perde presto smalto e presenza sulla trequarti avversaria, nonostante l’accentramento di Akalé fra le linee prospetti una parità numerica dell’ivoriano, di Javi Guerrero (pronto a scambiare la posizione con Akalé) e di Camuñas con il triangolo difensivo madridista Gago-Pepe-Sergio Ramos. Situazione del tutto teorica, mai sfruttata per le difficoltà del Recre nel rilanciare dell’azione.
Col Recre a corto di forza propulsiva a venire fuori è così il Real Madrid, fatto necessario e inevitabile per quanto gli uomini di Schuster possano essere malconci. Poche, pochissime idee, ma comunque più continuità nel fraseggio nel cuore del primo tempo per i merengues, che si abituano a stazionare più a lungo sulla trequarti avversaria. Sneijder aveva fallito un ghiottissimo colpo di testa sottomisura (su cross forte e teso di Drenthe) subito dopo la palla-gol divorata da Camuñas, poi ancora l’olandese pennella un cross che Raúl, in posizione assai favorevole, spreca anch’egli infine di testa, infine il terzo tentativo è quello giusto per Sneijder, grazie al fortunoso aiuto della deviazione di Beto che impenna fino a rendere imparabile per Riesgo il suo sinistro violento da fuori.
Quest’episodio, anche se resta quasi un’ora da giocare secondo il cronometro, chiude anticipatamente la partita, che nella ripresa racconta pochissimo di significativo sul piano del gioco: di Higuaín purtroppo abbiamo detto, poi c’è anche da segnalare un nettissimo maldestro fallo di mano in area di Pepe (non l’unico errore: nel primo tempo la palla di Higuaín non ha del tutto oltrepassato la linea di fondo, per cui il gol di Sneijder sarebbe regolare).
Per il resto, il Real Madrid è titubante, non ha nelle corde (lo sappiamo) il possesso-palla per conservare il vantaggio e non dà nemmeno l’impressione di potersi difendere in maniera particolarmente ordinata e sicura (ma Riesgo compie comunque una paratona su un colpo di testa di Guti), però dall’altra parte il Recre non fa nemmeno il solletico, nonostante Alcaraz coi cambi spari quasi tutte le sue cartucce offensive (Ersen Martin e Adrián; l’uscita di Sisi per Aitor invece è tutta da spiegare): troppo evidente la povertà tecnica del Decano, in particolare le carenze di costruzione nel cuore del centrocampo (manca gente che veda il gioco e faccia correre la palla, il difetto più visibile del Recre 2008-2009: Jesús Vázquez e Javi Fuego fanno anche bene la quantità, ma è chiaro che la partenza di Carlos Martins di fatto non è mai stata surrogata), per mettere in dubbio la vittoria del Real Madrid, pur se stentata e salutata con una pañolada (impietosa considerato il momento delicato) da una parte del pubblico.

I MIGLIORI: Sneijder trascinatore di un Madrid incerottato: l’olandese torna ad offrire il proprio vitale contributo di energia e qualità. L’unico a garantire un cambio di ritmo e una proiezione verticale alla manovra, sempre nel vivo del gioco e al centro di tutte le azioni più importanti oltre che match-winner. Bene anche Sergio Ramos al centro della difesa: è voglioso e reattivo, lui che finora aveva mostrato un’attitudine francamente irritante in questa stagione.
I PEGGIORI: Nel mirino del ministro Brunetta lo spezzone di Ersen Martin: alto due metri, entra per dare peso e possibilità nel gioco aereo, ma non becca un lancio, non difende e non tiene su un pallone, una presenza trasparente (sicuramente più vivace l’altro subentrato Colunga).

Real Madrid (4-3-3): Iker Casillas 6; Torres 6, Sergio Ramos 6,5, Pepe 6, Marcelo 6; Guti 6, Gago 6,5, Sneijder 7(Van der Vaart s.v., m.66); Raúl 6 (Bueno s.v., m.85).Higuaín 5,5 (Saviola s.v., m.79), Drenthe 6,5.
In panchina: Dudek, Salgado, Metzelder, Javi García.
Recreativo (4-4-2): Riesgo 6,5; Iago Bouzón 6, Beto 6, Morris 5,5, Casado 6; Sisi 6,5 (Aitor, m.76), Jesús Vázquez 6, Javi Fuego 6, Akalé 6 (Ersen Martin 5, m.53); Camuñas 5,5, Javi Guerrero 5,5 (Adrián Colunga 6, m.67).
In panchina: Roberto, Poli, Barber, Ruben.

Goles: 1-0, m.39: Sneijder.
Árbitro: Muñiz Fernández (colegio asturiano). Mostró cartulinas amarillas a Marcelo (48) por el Real Madrid, y a Casado (31), Jesús Vázquez (44) y a Bouzón (89) por el Recreativo.
Incidencias: Estadio Santiago Bernabéu. 68.000 espectadores.

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sabato, novembre 08, 2008

AVVISO

Per tutta la prossima settimana, causa impegni di studio, non potrò aggiornare il blog.

Grazie
Valentino

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giovedì, novembre 06, 2008

Il punto sulla quarta giornata di Champions.

Ciò che sconcerta non è che il Real Madrid abbia toccato il fondo, ma il fatto che in realtà potrebbe non averlo ancora toccato. In due partite i merengues hanno reso concreto l'impensabile, rimettere bruscamente in discussione la qualificazione agli ottavi di Champions. Non potrebbe bastare vincere in Bielorussia nel prossimo turno se lo Zenit batterà una Juve già qualificata, e a quel punto, se si dovesse arrivare a uno spareggio al Bernabeu all'ultima giornata, inutile dire chi fra Zenit e Madrid arriverebbe a questo spareggio con meno da perdere.
Ma non sono tanto i calcoli a preoccupare, quanto le sensazioni che la squadra di Schuster trasmette in questo periodo, il rischio di aver assunto una dinamica tale da deprimere anche quell'espiritu ganador che la squadra denotava indipendentemente dalla qualità non eccelsa del gioco.
Ora che l'orgoglio è sottozero, son proprio gli stenti del gioco a venire in primo piano: detto che il Real Madrid di ieri sera ha creato le sue poche grandi occasioni (penso al piattone divorato da Sergio Ramos e al colpo di testa sbilenco di Diarra a due passi da Manninger, entrambi nel primo tempo) soltanto in seguito a disattenzioni nelle marcature nell'area juventina su cross dalla trequarti, detto anche che l'arbitraggio è stato decisamente avverso, abbiamo "apprezzato" un Real Madrid ancora una volta incapace di far decollare la propria manovra, di darle ritmo, continuità, fluidità, ampiezza, tutto ciò che serve per aggirare e sfondare una barriera come quella organizzata da Ranieri.
Assai disciplinata la Juve, squadra talmente normale da fare di questa normalità, della consapevolezza di questa normalità, il suo maggior punto di forza: il 4-4-2 si presenta molto corto, ed è molto importante il posizionamento della linea difensiva, schierata alta, ciò che depotenzia parecchio sia Raúl che Van Nistelrooy, che non hanno le caratteristiche per giocare in velocità sul filo del fuorigioco (a posteriori era più una situazione da Higua. Difesa e centrocampo giocano in pochi metri, ed evidenziano tutte le difficoltà della manovra madridista, ridotta a un ruminare continuo e inconcludente di Diarra e dei due difensori centrali che non trova appoggio sulla trequarti e sbocchi sulle fasce.
Quando il Madrid inizia l'azione a difesa avversaria schierata, si nota spesso una separazione fra due blocchi che impedisce alla stessa di progredire: i quattro difensori più Diarra non comunicano a dovere con le due mezzeali e i tre attaccanti, quasi sembrano appartenere a due squadre diverse. Guti e soprattutto un irriconoscibile Sneijder restano troppo schiacciati vicino agli attaccanti, intrappolati fra difesa e centrocampo avversario, non c'è movimento e interscambio sufficiente fra i componenti del centrocampo, quegli appoggi costanti e movimenti su più linee che permettano di far circolare palla in pochi tocchi senza dare punti di riferimento troppo facili all'avversario. Costretto in questa staticità, al Madrid tocca trattenere in eccesso il pallone coi difensori. Solo in qualche raro momento Guti si è staccato, si è abbassato per prendere palla e ha trovato la verticalizzazione. Guti che non ha fatto mancare la sua firma, avviando lo 0-1 di Del Piero con una orribile palla persa sulla sua trequarti (non c'è solo Guti però: anche Cannavaro invece che temporeggiare potrebbe tranquillamente aggredire Alex e chiudergli lo specchio della porta al momento della conclusione).
Confrontando col Barça attuale una differenza sembra proprio questa: la squadra di Guardiola propone una buona fluidità di movimenti e conseguentemente di circolazione di palla fra centrocampo e attacco, e in più ha una capacità molto maggiore di iniziare il gioco dalle retrovie, avendo un regista aggiunto come M
árquez invece di Cannavaro e Heinze (ieri era assente Pepe, che ha la miglior battuta lunga fra i vari centrali oltre alla possibilità di improvvisare la cavalcata palla al piede in mancanza d'altro).
Al Real Madrid manca non solo la capacità di saltare l'uomo di Robinho, ma anche i movimenti fra le linee che offriva Robinho: Robben, che peraltro ieri ha dato forfait nel riscaldamento per un infortunio che lo terrà fuori sei settimane (benedetto ragazzo... te lo offro io il viaggio a Lourdes!), ha deluso finora, offre solo zingarate palla al piede e poche soluzioni per quanto riguarda il gioco di squadra. Un' altra assenza che pesa e che non molti sottolineano è quella di De la Red, che prima del rientro di Guti e della quasi tragedia che lo ha colpito in Copa del Rey aveva dato maggiore razionalità e continuità all'azione del centrocampo.
Da qui deve ripartire il Madrid: recuperare il centrocampo, magari modificandone il disegno: servono più punti d'appoggio, più densità, maggiori e migliori possibilità di associazione palla a terra. Rilancio perciò una proposta fatta già in qualche commento su questo blog: Van der Vaart come falso attaccante, al posto di uno fra Raúl e Higuaín, col compito di offrire maggior ricchezza alla manovra muovendosi fra le linee.
Mancano poi le fasce, cosa risaputa: a sinistra Drenthe ha qualche buon spunto, anche se è sempre piuttosto caotico, a destra tutto è affidato a un Ramos in un momento penoso della propria esistenza calcistica. Anche questo è un problema dell'attuale Madrid, che presenta una serie di giocatori in condizioni impresentabili: perdurasse lo Sneijder di ieri sarebbe la peggiore delle catastrofi perchè l'olandese è l'unico in grado di dare cambio di ritmo alla manovra (fortunatamente per il Madrid, credo che questa sia solo una parentesi per Wesley), poi c'è Heinze che sbaglia quasi sempre gli interventi, e infine persino Casillas comincia a pasticciare: da non credere la sistemazione della barriera nell'occasione del raddoppio di Del Piero.

Beffato l'Atlético: globalmente il pareggio del Liverpool era sacrosanto, certo però che il rigore inventato allo scadere del recupero, quando i colghoneros già pregustavano il passaggio matematico del turno, per un presunto fallo di Pernía su Gerrard si può solo definire "beffa". Mai visti arbitraggi scadenti come quello di Hansson, che aveva già ignorato due rigori nettissimi per l'Atlético e uno per il Liverpool, tutti per falli di mano.
Tolti gli scempi arbitrali, va detto che è stato un Atlético dignitoso, dignitoso come sanno essere gli uomini di Aguirre quando la partita non presenta loro esigenze irraggiungibili. Certo, in alcuni momenti il catenaccione è risultato sin troppo sfacciato, ma l'Atlético ha giocato la partita secondo coerenza e secondo quelle che erano le sue prerogative, i suoi limiti e le possibilità offerte dal contesto.
Come nel primo tempo contro il Villarreal, si è puntato a un ripiegamento massiccio nella propria metacampo, un 4-1-4-1 volto ad infoltire la mediana (e di nuovo Agüero parte in panchina), limitare gli spazi e rallentare i tempi dell'azione avversaria. E bisogna dire che il piano è riuscito: il pallino lo ha avuto sempre il Liverpool, ma non è mai riuscito a prendere il sopravvento sul piano del ritmo, ad esercitare quella pressione capace di surriscaldare Anfield. La quantità di occasioni dei Reds è stata per così dire fisiologica, limitata al minimo indispensabile (soprattutto due per Robbie Keane nel primo tempo), mentre l'Atlético ha messo il naso pochissimo fuori dalla metacampo avversaria, talvolta spopolandola del tutto, ma inquietando col suo contropiede affilatissimo quando Simão ha spedito alto a due passi dalla porta.
A difesa avversaria schierata invece, non è una novità, pochissima cosa: molto interessante vedere Paulo Assunção che ad inizio azione si schierava sulla stessa linea dei difensori, permettendo a Perea ed Heitinga di allargarsi (forse nell' intento di aggirare il pressing potenziale dei due, o 1+1, attaccanti del Liverpool), a Pernía e Antonio López di avanzare la propria posizione permettendo di conseguenza a Maxi e Simão di occupare gli spazi interni della trequarti. Questo in teoria, perchè si è vista una circolazione di palla molto faticosa, che partendo dai difensori non progrediva mai. Unica eccezione l'azione del gol, perfetto esempio di quanto spiegavamo: Heitinga inizia l'azione con un lancio, Antonio López parte già alto e scatta in profondità, aggancio perfetto (va detto che in generale il terzino mancino, ormai da tempo abituato a fare da toppa sulla fascia destra, ha giocato una partita impeccabile) e servizio per Maxi che proprio dalla trequarti infila la difesa inglese con uno dei suoi classici inserimenti.
Con le solite difficoltà ad organizzare la manovra, l'Atlético ha giocato comunque una partita matura e disciplinata in fase di non possesso, con buona attenzione e puntualità nelle coperture fra difesa e centrocampo e ancora una volta, dopo il Villarreal, un gran lavoro di ripiegamento degli esterni. Nella solida prova difensiva colchonera vanno sottolineate le prestazioni di Perea, che non giocava così da tre anni buoni, e Paulo Assunção, che se non viene mandato allo sbaraglio dai compagni resta una sicurezza: impressionante la mole di lavoro del brasiliano, primo centrocampista e stopper aggiunto allo stesso tempo, equilibratore tattico di grande spessore.
Rimane un po' di amaro in bocca all'Atlético per la vittoria sfuggita all'ultimo, ma si può trarre una lettura incoraggiante: si era detto dopo il PSV che paradossalmente la Champions poteva risultare un palcoscenico più agevole della Liga, e ancora più paradossalmente quanto più l'Atlético dovesse andare avanti e incontrare grandi squadre (come il Liverpool in questo girone o come potranno essere un Man United e Arsenal) che lo sollevino dall'onere, insostenibile per la squadra di Aguirre, di dover fare la partita.

Partita trascurabile quella del Barça, un dominio del possesso-palla un po' scolastico, con poche accelerazioni e illuminazioni negli ultimi metri. Lo spunto di Messi per il bel gol dell'1-0 è stata una delle poche cose significative della serata, e il pareggio del Basilea con Derdiyok ha tenuta viva la lotta per il primo posto del girone, che si deciderà nella prossima sfida di Lisbona con lo Sporting.
Più che gli sviluppi della partita o quelli del girone, scontati già al momento del sorteggio di Agosto, preoccupa il Barça l'infortunio di Iniesta per il prossimo mese e mezzo. Praticamente fino al prossimo anno starà fuori uno dei giocatori più in forma nonchè uno dei più affidabili generatori del futbol blaugrana. Aveva trovato un assetto soddisfacente Guardiola per la fascia sinistra, con Iniesta largo nel tridente, e ora gli infortuni glielo mettono sottosopra, visto che anche Abidal starà fuori per le prossime tre settimane, e la rosa blaugrana è risaputamente poco coperta sulle fasce.
Prima opzione per sostituire Iniesta dovrebbe essere Henry, opzione che mi trova in disaccordo: il francese, inutile girarci intorno, è in declino e incide poco sui meccanismi collettivi oltre a brillare poco sul piano individuale. Come attaccante puro (come ala, l'unica ala di ruolo della rosa, è tornato invece disponibile Pedrito) preferirei Bojan, la cui parabola è forzatamente inversa rispetto a quella del francese. Ancora meglio Hleb, l'opzione più vicina a Iniesta per la capacità di migliorare il gioco d'insieme e far giocare meglio i compagni. Il bielorusso ancora non si è consacrato in maglia blaugrana per l'infortunio che lo ha bloccato ad inizio stagione, e ancora non ha trovato una collocazione stabile essendo stato proposto indifferentemente come esterno d'attacco e mezzala.
Meglio nel cuore del gioco, possibilmente da mezzala (il meglio sarebbe riuscire a inserirlo accanto a Xavi e con Iniesta a sinistra nel tridente), ma data la circostanza dell'infortunio di Iniesta lo si può proporre da ala sinistra, con licenza di accentrarsi esattamente come Iniesta: il bielorusso è l'opzione migliore per la sua grande capacità di fare movimento e di proporsi costantemente sulla trequarti, l'opzione che più di tutte permetterebbe a Guardiola di mantenere il filo del gioco visto finora. Questo considerando anche che il terzetto con Touré davanti alla difesa e Xavi e Busquets mezzeali ha convinto abbastanza nelle ultime partite, un terzetto equlibrato e completo.

Al Villarreal manca ancora la certezza della qualificazione dopo il 2-2 in casa dell'Aalborg: forse festeggerà a braccetto con il Manchester United nel prossimo scontro diretto del Madrigal.

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martedì, novembre 04, 2008

Doc-El sueño de la Eurocopa.

Di seguito vi propongo un documentario di mezzora circa sulla vittoria spagnola all'Europeo del Giugno scorso, trasmesso nel corso del programma "Informe Robinson" su Canal+. Spero risulti comprensibile lo spagnolo e che risulti anche a voi interessante come lo è stato per me. Con le voci dei protagonisti e anche immagini e particolari inediti dal campo, il programma segue il cammino della nazionale spagnola verso la vittoria finale. Un po' sullo stile del nostro "Sfide".

PRIMA PARTE



SECONDA PARTE



TERZA E ULTIMA PARTE


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lunedì, novembre 03, 2008

NONA GIORNATA: ALTRE PARTITE/2

Valladolid-Sevilla 3-2: Renato 18'(S); Navas 23'(S); Sesma 43'(V); Canobbio 51'(V); Canobbio 63'(V).

Betis-Deportivo 0-3: Riki 59'; Lafita 79'; Lafita 85'.

Sporting-Numancia 3-1: Goiria 19'(N); Luis Morán 32'(S); Bilic 64'(S); Bilic, rig. 75'(S).

Espanyol-Osasuna 1-0: Tamudo 60'.

Recreativo-Getafe 1-1: Javi Guerrero 48'(R); Albín 82'(G).

Poco da dire, una giornata sfacciatamente favorevole al Barça. Il Sevilla colleziona la seconda sanguinosissima sconfitta consecutiva e rischia così di staccarsi dal treno prematuramente, quando dopo poco più di venti minuti aveva già accumulato un doppio vantaggio sul campo del Valladolid con Navas in grande evidenza. Determinante l'espulsione di Luis Fabiano al 32': il brasiliano prende il secondo giallo per simulazione e apre la strada alla reazione del Valladolid, che finalmente sfrutta appieno i talenti acquisiti con la campagna acquisti estiva, Medunjanin in cabina di regia e il subentrato (al posto di Escudero, perchè Sesma sull' ala sinistra resta un drago, inamovibile) Canobbio, autore della doppietta decisiva (splendida la punizione del 3-2).
Beffato il Betis: gioca un primo tempo piacevole e di grande generosità, fa la partita con convinzione ma poi cede di colpo a un Depor sornione. Non manca la polemica: Capi e Arzu si scontrano, il Depor non butta fuori la palla, e ne nasce il vantaggio ospite. Dopo quest'episodio il Betis perde la calma e le distanze fra i reparti, consentendo all'avversario di chiudere ogni discorso in contropiede (una meraviglia lo 0-2 di Lafita).
Lo Sporting prosegue la sua rinascita, l'Osasuna la sua caduta, terzo pareggio consecutivo per il Recre di Alcaraz, sempre passato in vantaggio ma mai capace di difenderlo fino alla fine.

CLASSIFICA

1 Barcelona 22

2 Villarreal 21

3 R. Madrid 20

4 Valencia 20

5 Sevilla 17

6 Atlético 13

7 Getafe 13

8 Málaga 13

9 Deportivo 12

10 Espanyol 12

11 Almería 12

12 Sporting 12

13 Mallorca 11

14 Valladolid 10

15 Racing 9

16 Betis 8

17 Numancia 7

18 Recreativo 7

19 Athletic 5

20 Osasuna 4


CLASSIFICA MARCATORI

Villa 10 (1 rig., Valencia)

Etoo 9 (1 rig., Barcelona)

Bilic 6 (3 rig., Sporting)

Messi 6 (2 rig., Barcelona)

Raúl 5 (Real Madrid)


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NONA GIORNATA: Almería-Real Madrid 1-1: Raúl(R); Piatti(A).

Erano tre punti fondamentali, e il Real Madrid li butta via in una maniera che richiederebbe una bella cura ricostituente a base di ceffoni. Se già nel primo tempo era stato brutto il gioco, nella ripresa è decisamente inaccettabile l’attitudine, questo pigro e inesorabile consegnarsi al ritorno dell’avversario che francamente non riesce a trovare spiegazioni ragionevoli. Son tre punti persi pesantissimi, il peggior segnale possibile nei confronti del Barça, che di questi tempi non ha bisogno di ulteriori incoraggiamenti.


Arconada può tornare a disporre di Piatti, Schuster invece non recupera in tempo Van Nistelrooy, e sistema la mediana con Gago davanti alla difesa e Diarra e Sneijder interni, la formula del finale della scorsa stagione. Doveroso poi ricordare la delicata situazione di De la Red, che dopo il terribile spavento per la sincope che lo ha colpito giovedì in Copa del Rey, resterà indisponibile per un tempo indeterminato, cioè fino a quando tutti gli esami possibili non scongiureranno ogni eventuale problema cardiaco (l’eventualità che possa anche smettere di giocare a calcio va purtroppo messa in conto).


Il primo tempo, volendolo definire con un aggettivo carino, è osceno: a un brevissimo accenno di aggressività dei padroni di casa nei primi minuti, segue una lunga fase nella quale nessuna delle due squadre ha intenzione di pressare l’altra e di alzare i ritmi. L’Almería si crogiola dietro la linea della palla, ripiega, fa densità senza cercare il pressing ed è estremamente timido nel proporre il contropiede (ammesso che ne proponga uno); il Real Madrid è altrettanto “imborghesito”, mancando di intensità nelle due fasi del gioco, troppo lento nel far girare la palla, con poco movimento senza palla sulla trequarti e scarsa profondità sugli esterni.

Se non altro però il merito, non nuovo, dei merengues, è quello di trovare il gol alla prima azione seria: ancora una volta protagonista Higuaín nella fabbricazione della stessa, ma la prodezza è tutta di Raúl, che si smarca e “aggredisce” il cross del compagno in maniera pregevole, anticipando sul primo palo Chico (che ha buone doti ma non sempre è concentratissimo sull’uomo) con un tuffo di testa.

Archiviato un primo tempo dimenticabile, sin dalle prime fasi della ripresa si capisce che qualche parolina ai suoi Arconada deve averla detta nello spogliatoio: l’Almería abbandona la passività dei primi 45 minuti e ritrova le basi del suo calcio, in termini di intensità e profondità d’azione. Se l’utilità del cambio di Kalu Uche per Corona francamente sfugge (Arconada sta tentando di riciclare da interno di centrocampo il nigeriano, che mostra finora una familiarità inesistente col ruolo), molto intelligente è quello di Crusat per Juanma Ortiz (un peso morto, scusate l’accanimento), con conseguente spostamento di Piatti sulla destra.

L’Almería abbandona ogni timore, alza i ritmi e il baricentro e attacca con convinzione: Crusat attacca lo spazio senza palla come suo solito, Mané e Bruno si sovrappongono con molta più continuità, Julio Álvarez orchestra, e Piatti offre un’opzione in più di finalizzazione, perché lui mancino taglia costantemente senza palla dalla destra verso il centro dell’area, e anche se quando entra in contatto col pallone non ne azzecca una, questi movimenti restano molto interessanti e riceveranno infine un premio adeguato.

Parliamo solo di Almería, di quello che vuole l’Almería e di quello che fa l’Almería perché nel frattempo il Real Madrid è sparito dal campo come se la cosa non lo riguardasse. E dire che il forcing dei padroni di casa offrirebbe ai madridisti anche la possibilità del contropiede che solitamente son tanto bravi a sfruttare, ma può sfruttare le proprie armi soltanto una squadra determinata e convinta, e non è questo il caso del Real Madrid visto ieri sera, in tutta la ripresa privo della pur minima volontà di affondare e finalizzare le proprie azioni, pur avendone gli spazi in più di un momento.

Oltrettutto esce Pepe per far spazio a Metzelder, e la difesa perde solidità (mentre è ininfluente il cambio Van der Vaart-Higuaín): si susseguono tentativi sempre più insistenti dei padroni di casa, su tutti un colpo di testa debole di Soriano smarcato dentro l’area, un sinistro di controbalzo di Crusat e un colpo di tacco ciccato da Piatti su cross rasoterra di Crusat. Prove generali del gol almeriense, perché quei tagli senza palla di Piatti, lo abbiamo detto, sono buoni, e appena trovano l’impatto giusto col pallone la rete si gonfia: ancora Crusat dalla sinistra, ancora Piatti stringe verso il centro, arriva prima di Heinze (non la prima situazione di questo tipo per l’argentino, già anticipato sul secondo palo da Danny contro la Zenit e da Amauri contro la Juve) e al volo gira in rete.

Non c’è nemmeno la famigerata reazione del Real Madrid negli ultimi minuti, anzi Piatti ancora potrebbe andare in gol quando conclude a lato una veloce azione di contropiede, e i tre minuti di recupero, di solito “Zona Real Madrid”, scorrono placidamente.


I MIGLIORI: Raúl per il gol e per l’impegno, Cannavaro per la puntualità là dietro e Diarra per la solita continuità e intelligenza nel farsi trovare dove serve. Nell’Almería, determinante l’ingresso de “La Bala” Crusat, che dota la propria squadra di un verticalità sconosciuta nel primo tempo (quando Piatti si impegnava in uno contro uno di scarso successo): entra in quasi tutte le azioni offensive, compresa quella del gol, tiene sulla corda Sergio Ramos prendendolo alle spalle. Giocatore limitato nell’uno contro uno “da fermo” ma imprendibile se lanciato nello spazio. Eccellente il secondo tempo di Julio Álvarez: se Crusat è il braccio, lui è la mente che organizza gran parte degli attacchi, sempre più nel vivo del gioco col passare dei minuti, lucido nello scegliere l’opzione migliore, chirurgico nel tocco e molto insidioso fra le linee del sistema difensivo madridista.

I PEGGIORI: Un po’deludente Negredo, lotta e lavora anche bene per la squadra ma non riesce a procurarsi un’occasione. Continuo a non capire la titolarità di Juanma Ortiz, esterno sì provvisto di corsa, sacrificio e diligenza tattica, ma davvero eccessivamente lineare per agire dalla trequarti in su. Non è piaciuto Robben, a conti fatti fumoso.


Almería (4-2-3-1): Diego Alves 6; Bruno 6, Chico 6, Pellerano 6, Mané 6,5; Juanito 6(71'), J. Álvarez 6,5; Juanma Ortiz 5,5(46'), Corona 5,5(46'), Piatti 6; Negredo 5,5.

In panchina: Esteban, C. García, Soriano 6(71'), José Ortiz, Solari, K. Uche 5,5(46'), Crusat 7(46').

R. Madrid (4-3-3): Casillas 6; Ramos 6, Pepe 6,5(48'), Cannavaro 6,5, Heinze 5,5; Diarra 6,5, Gago 6, Sneijder 6(77'); Higuaín 6(71'), Raúl 6,5, Robben 5,5.

In panchina: Dudek, Metzelder 5,5(48'), Marcelo, Drenthe, Guti s.v.(77'), V. d. Vaart s.v.(71'), Saviola.


Goles: 0-1 (37'): Higuaín corre a por un balón que parecía perdido, lo recupera y saca un centro muy bueno desde la banda izquierda que Raúl remata de cabeza en plancha. 1-1 (81'): Apertura de Negredo a la banda izquierda del Almería, donde aparece Crusat, cuyo centro desde el lateral del área lo remata Piatti con la zurda adelantándose a Heinze.

Árbitro: González Vázquez, del Colegio Gallego. Amonestó a K. Uche (54'), Juanito (60'), Sneijder (61'), Soriano (90'), Negredo (91') y Casillas (92').

Incidencias: Estadio Juegos del Mediterráneo. 15.000 espectadores. El césped estaba blando y se levantó con frecuencia.

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domenica, novembre 02, 2008

NONA GIORNATA: ALTRE PARTITE/1

Atlético Madrid-Mallorca 2-0: Agüero 14'; Agüero 28'.

Athletic Bilbao-Villarreal 1-4: Rossi 24'(V); Etxeberria 28'(A); Pires 53'(V); Cazorla 60'(V); Altidore 90'(V).

Boccata d'aria per l'Atlético: le panchine delle ultime partite son servite per ricaricare le batterie ad un Agüero tornato nella sua migliore versione, geniale e risolutiva (si veda il golazo dell'1-0). I colchoneros soffrono nel secondo tempo, e Leo Franco mette più di una pezza.
Si rifà una reputazione anche il Villarreal, dopo il vergognoso 5-0 subito durante la settimana sul campo del Poli Ejido in Copa del Rey: anche gli uomini di Pellegrini soffrono di fronte a un Athletic superiore nel primo tempo, ma nella ripresa dilagano (primo gol statunitense nellla storia della Liga, firmato Altidore).

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NONA GIORNATA: Valencia-Racing 2-4: Tchité(R); Villa, rig.(V); Tchité(R); Joaquín(V); Tchité(R); autorete Albelda(R).

Battuta d’arresto per un Valencia volenteroso e che ha avuto le sue buone occasioni ma che in nessun momento ha dato la sensazione di avere il pieno controllo del match. Merito di un Racing concentratissimo, capace di spezzettare il gioco senza per questo rinunciare mai a ricambiare i colpi. Muñiz l’ha studiata e preparata meticolosamente questa partita, una bella rivincita per uno dei tecnici più criticati in quest’inizio di Liga, il quale, non è un mistero, rischiava anche la panchina alla vigilia di questa sfida.


L’eccellente partita del Racing si sviluppa a partire dalle scelte intelligenti del suo tecnico: sospettato nel prepartita di 4-1-4-1 con Moratón (uno stopper di ruolo) davanti alla difesa, Muñiz alla fine ha scelto un 4-4-2 dove a Tchité e Pereira in attacco si aggiungeva persino Munitis esterno destro di centrocampo (il punto più scoperto della rosa questo: la partenza di Jorge López non è mai stata rimpiazzata adeguatamente, e così l’inutile Valera ha avuto il posto praticamente assicurato in queste prime giornate). Spregiudicato? Folle? No, razionale, molto razionale.

Muñiz sa che un difetto di questo Valencia risiede nell’inizio dell’azione dalla difesa. La squadra di Emery fatica a dare ritmo alla circolazione del pallone quando deve cominciare sin dalle retrovie. Al momento esprime il meglio di sé sul piano offensivo dopo palla rubata sulla trequarti avversaria nelle transizioni rapide, interessantissime per velocità d’esecuzione e numero di uomini coinvolti (qui si vede la mano del nuovo tecnico: i contropiedi di Quique coinvolgevano meno uomini e partivano generalmente da zone del campo più arretrate), e anche ieri sera se ne è avuta la conferma, perché nel primo tempo le due palle gol fallite da Villa sullo 0-0 e l’azione del rigore sono nate tutte da ribaltamenti di questo tipo.

Altro discorso però a difesa avversaria schierata: Muñiz ha visto giusto nello schierare sulla stessa linea Tchitè e Pereira, che in fase di non possesso hanno garantito un prezioso lavoro di disturbo sull’inizio dell’azione valenciana, consentendo a tutta la propria squadra di guadagnare metri: seguendo il pressing delle due punte, i restanti giocatori ospiti hanno accorciato con grande concentrazione, permettendo al Racing di mantenere un baricentro sufficientemente lontano dalla porta di Toño e di giocarsi la partita alla pari. In questo modo il Valencia, pur palesando notevole convinzione e generosità nei suoi tentativi offensivi, non ha mai potuto dominare il match. Parlo ovviamente a cose fatte, ma mi viene da pensare che con un solo attaccante e Moratón a protezione della linea difensiva, probabilmente il Racing avrebbe ceduto troppi metri nella trequarti avversaria e sarebbe stato risucchiato in una partita di contenimento nella propria metacampo.

Va riconosciuto comunque che se quest’intelligente proposta è servita agli ospiti per mantenere la gara equilibrata, per i tre punti è stato necessario aggiungere nelle poche sortite offensive un’efficacia realizzativa notevole quanto insolita per le abitudini racinguiste, facendo tesoro di un Tchité mai così spietato: il primo gol nasce da Munitis (molto bravo durante la serata a rientrare da destra per cercare la rifinitura), prosegue con Pereira che frulla le gambe davanti ad Albiol (Miguel rientra con un certo ritardo) e partorisce un tiro-cross sporchissimo ma perfetto per l’accorrente Tchité, preciso sottomisura.

Vantaggio che dura pochissimo per l’ingenuità di Sepsi, che abbocca alla simulazione di Joaquín, il quale non aspettava altro che la scivolata dell’avversario per indurre l’arbitro a fischiare il rigore successivamente trasformato da Villa.

Questo non serve però a mettere in discesa la gara per il Valencia: in apertura di ripresa, un’altra doccia fredda dimostra che è la serata in cui al Racing e a Tchité entra tutto: stupendo il destro da fuori di puro istinto del ruandese (e burundese, e congolese, e belga…), che carambola sul palo e si insacca alle spalle di Renan.

Ci si mette poi il fattore climatico a ostacolare il Valencia: la pioggia, incessante per tutta la giornata, nella ripresa ormai ha reso il campo molto pesante, ostacolando la fluidità del gioco e favorendo un Racing decisamente ostruzionista dopo il secondo vantaggio, dedito a spezzettare il ritmo con continui falli, senza timore dei cartellini gialli.

Emery gioca il cambio spregiudicato, con Baraja per Fernandes ma soprattutto Morientes per Moretti (Vicente passa a fare il terzino sinistro; Mata, un po’ perso da seconda punta, ora che ci sono due punte pure a impegnare i centrali del Racing può teoricamente inserirsi con maggiore libertà negli spazi fra le linee), ma il gol del pareggio non è frutto di queste alchimie, bensì della papera di Toño che, in versione 2006-2007, non trattiene un calcio d’angolo tutto sommato innocuo di Mata consentendo la conclusione a porta vuota di Joaquín.

Ancora però si tratta di mera illusione per il Valencia, per la terza volta beffato da Tchité, che svetta e insacca sul calcio piazzato dalla sinistra di Munitis colpevolmente mancato da Marchena (subentrato all’infortunato Alexis). La punizione per i padroni di casa si fa poi anche troppo severa nel finale: col Valencia che ha tirato i remi in barca e lascia gli spazi, Serrano e Pereira architettano l’azione che Albelda concluderà con una goffa autorete.


I MIGLIORI: La serata di Memé Tchité, il primo vero exploit da quando gioca nella Liga: l’africano generalmente si segnalava per i suoi buoni movimenti senza palla, la velocità, la generosità e la capacità di smarcarsi, ma spesso lasciava a desiderare nella finalizzazione. Ieri tutto bene, a quanto pare.

Altri due nomi nell’ottima partita globale del Racing: Iván Marcano è un prodotto della cantera molto interessante, un ventunenne centrale mancino (impiegato però prevalentemente da terzino sinistro prima della partita di ieri, per la quale era indisponibile Garay) già lanciato lo scorso anno da Marcelino, slanciato, solido e dotato nel gioco aereo, molto concentrato e attento nelle coperture; bene pure Lacen, centrocampista centrale algerino, anch’egli mancino: buon senso della posizione e lucidità quando ha il possesso del pallone.

Nel Valencia il meglio dal punto di vista individuale viene dagli spunti di Joaquín.

I PEGGIORI: Non brillano in tanti nel Valencia, fra tutti segnaliamo la brutta prova di Manuel Fernandes, una delle chiavi in questo positivo inizio di stagione valenciano: troppo disordinato e confusionario il portoghese, uomo di movimento più che d’ordine, paga con la sostituzione.


Valencia (4-4-1-1): Renan 6; Miguel 5,5, Albiol 6, Alexis 6(67'), Moretti 5,5(61'); Joaquín 7, Albelda 6, Fernandes 5,5(61'), Vicente 5,5; Mata 5,5; Villa 6.

In panchina: Guaita, Marchena 5,5(67'), Baraja 6(61'), Morientes s.v.(61'), Pablo, Edu, Angulo

Racing (4-4-2): Toño 5; Pinillos 6, Navas 6,5, Marcano 7, Sepsi 5,5; Munitis 6,5(87'), Colsa 6, Lacen 6,5, Serrano 6,5; Pereira 6,5(85'), Tchité 8(90').

In panchina: Coltorti, Juanjo s.v.(90'), Luccin, Gonçalves s.v.(87'), Moratón s.v.(85'), Christian, Edu Bedia


Goles 0-1 (22'): Tchité, a placer. 1-1 (28'): Villa, de penalti. 1-2 (49'): Tchité, de gran tiro. 2-2 (69'): Joaquín aprovecha un balón suelto en el área. 2-3 (79'): Tchité, de cabeza. 2-4 (84'): Albelda, en p.p.

Árbitro: Turienzo Álvarez. Amonestó a Pinillos (25'), Colsa (27') y Moretti (35'), Albelda (58') y Lacen (60').

Incidencias: Mestalla. Unos 20.000 esp.

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