Proprio nella partita giocata meglio, il quarto contro il Brasile, l’Under 20 esce ai rigori. Verdetto forse ingiusto (la Spagna è parsa superiore), ma che non nasconde la delusione che, tutto sommato, lascia il rendimento offerto dalla selezione di Lopetegui. Ci si aspettava di più, molto di più, da una Under 20 che aveva come modelli l’Under 19 dello scorso europeo (arrivata seconda, ma con la nazionale giovanile spagnola più forte che abbia mai visto, e di gran lunga) e anche quella della fase élite dell’Europeo Under 19 di quest’anno (cioè il girone eliminatorio precedente la fase finale vera e propria, vinta un paio di settimane fa da Sarabia, Morata e Deulofeu), che ha fornito a questa Under 20 i suoi migliori elementi, Isco, Koke e Sergi Roberto.
È stata una Spagna che rispetto a quei modelli non ha offerto la stessa continuità di gioco. Brutta nell’esordio contro la Costa Rica (nonostante il 4-1 finale), così così con l’Ecuador (vittoria 2-0), ha concluso il girone a punteggio pieno (allenamento contro l’Australia per le seconde linee: 5-1) ma senza mai convincere, avvisaglia del soffertissimo ottavo contro una Corea del Sud meglio organizzata oltre che tremendamente dinamica, battuta solo ai rigori.
I rigori segnano il capolinea invece contro un Brasile che pur essendo stato dominato passa in vantaggio nel primo tempo, sfruttando l’abilità dei suoi giocatori offensivi che in azioni isolate creano non pochi imbarazzi ai difensori spagnoli (soprattutto il fianco sinistro: il centrale Amat e ancora di più il terzino Planas, parso inadeguato). Gara più equilibrata a partire dalla ripresa (con cambio tattico del Brasile: difesa a tre dopo l’arretramento di Casemiro), un botta e risposta con le squadre sempre più lunghe e spazi per i solisti (Isco da una parte e il subentrato Dudu dall’altra), fino all’epilogo.
FORMAZIONE-TIPO (4-2-3-1, o 4-3-3)
------------Fernando Pacheco--------
H. Mallo---Bartra----Amat-----Luna
(Pulido)-(Planas)
-----------Oriol Romeu---Koke---------
Tello------------Canales------------Isco
------------------Rodrigo------------------
(A.Vázquez)
Se la Spagna Under 20 non ha offerto il gioco atteso è perché in parte è stata snaturata. Continuando col paragone con le Under 19, sia quella dell’anno scorso che quella dell’ultima fase élite erano accomunate da un aspetto, pure nella diversità dei moduli: la grande quantità di opzioni di passaggio nella fascia centrale del campo. Chi portava palla aveva sempre due-tre alternative, centrocampisti che giocavano ravvicinati ma senza mai pestarsi i piedi, anzi scambiandosi continuamente le posizioni senza muoversi sulla stessa linea, causando una certa difficoltà di lettura al sistema difensivo avversario. Il resto, anzi la parte più importante, lo facevano giocatori che parlavano la stessa lingua, coi tempi, la visione di gioco e i movimenti che si completavano.
Nell’Under 19 del 2010, allenata da Milla, c’era un teorico doble pivote con Oriol Romeu e Thiago Alcantara, con Romeu più ancorato davanti alla difesa e Thiago più libero. Poi c’era Canales al centro della trequarti nel 4-2-3-1, e infine Dani Pacheco che da sinistra tagliava tra le linee ed era come un rifinitore in più. Questo quartetto prendeva nel mezzo il centrocampo avversario, attirandolo e liberando anche spazi per i cambi di gioco e gli inserimenti a sorpresa degli esterni.
L’Under 19 della fase élite di questo giugno invece, già sotto la guida di Lopetegui, giocava di norma con un 4-3-3 (e giocava molto meglio di quella che poi ha vinto l’Europeo): Koke davanti alla difesa, Rubén Pardo e Sergi Roberto mezzeali, e poi Isco a fare il falso attaccante o il trequartista vero e proprio (in questo caso si passava a un 4-2-3-1 vero e proprio). Rotazioni continue fra i centrocampisti, fluidità di manovra, ripartizione corretta degli spazi, equilibrio, spettacolo.
Con questo mondiale Under 20 tutto ciò è venuto meno: Lopetegui è partito con un 4-3-3 con Oriol Romeu davanti alla difesa, Koke e Sergi Roberto mezzeali, e attacco da destra a sinistra con Pacheco, Rodrigo e Isco, ma poi è passato al 4-2-3-1. Un errore di base la composizione del doble pivote: sia Oriol Romeu che Koke, pur con caratteristiche diverse (più “stopper” Romeu, più “playmaker” Koke) sono giocatori che amano partire davanti alla difesa, dietro la linea della palla. Koke, nonostante la versatilità e l’intelligenza tattica che sta dimostrando rimane un regista basso. Qui invece doveva muoversi oltre la linea della palla, davanti a Romeu, anche spalle alla porta: cosa poco comprensibile quando nella stessa rosa Lopetegui disponeva di Sergi Roberto, prima titolare e poi accantonato, il più bravo a interpretare proprio questi movimenti.
A questa prima frattura all’interno del modello di gioco si è aggiunta la cattiva salute della trequarti: prima per colpa di Pacheco, delizioso l’anno scorso irritante questa volta, che da sinistra non ha mai rappresentato una soluzione utile alla manovra, anzi ha finito col risultare un corpo estraneo. Qui la colpa non è di Lopetegui, ma qualche responsabilità il CT l’ha avuta nell’insistere su Tello, addirittura fino a relegare in panchina Isco nella partita con la Corea del Sud.
Tello, canterano del Barça, è un giocatore che a fronte di alcune buone qualità individuali (accelerazione e progressione potente, gioco praticamente ambidestro come Pedro) offre una profondità tattica pressoché inesistente. Lui ti fa la fascia, ti offre un riferimento sicuro per allargare il gioco, arriva anche sul fondo, ma di contribuire alla manovra in altro modo non se ne parla.
Alla fine sono tre opzioni di passaggio in meno: due (Koke “snaturato” e Tello) per scelta del tecnico, una (Pacheco) per “autoesclusione”. Il peggio si è visto nell’ottavo con la Corea del Sud, dove a centrocampo le maglie rosse erano sempre in superiorità: situazione pure aggravata quando nel secondo tempo Oriol Romeu è retrocesso fra i due difensori centrali per iniziare l’azione. Non si sa bene perché, visto che il problema non era l’inizio ma il proseguimento dell’azione, ed è capitato di vedere distanze abissali fra i difensori spagnoli e il centrocampista più vicino.
Lopetegui ha rettificato con successo nel quarto col Brasile: fuori Pacheco, Tello sempre in campo, ma almeno Isco e Canales insieme. Il primo centrale, il secondo falso esterno destro, ma comunque sempre molto vicini, un quadrilatero chiuso da Oriol Romeu e Koke che regalava una costante superiorità rispetto al centrocampo e al sistema difensivo brasiliano, sempre sbilanciato verso un lato ed esposto al cambio di gioco che liberava ora Tello/Planas a sinistra ora Rodrigo (incline a svariare)/Hugo Mallo sulla destra.
Nella ripresa, un cambio non necessario: Sergi Roberto per Tello. Non che Tello non stesse giocando male, ma l’ingresso di Sergi Roberto, in una posizione sin troppo avanzata (trequartista) ha finito col diminuire gli sfoghi esterni e appiattire il centrocampo: Koke, già abbastanza a mal partito nel ruolo ritagliatogli da Lopetegui, si è visto “tappare” lo spazio davanti, finendo a giocare schiacciato sulla stessa linea di Oriol Romeu. Cosa che ha appesantito l’azione di un centrocampo alla fine un po’ingolfato dalla presenza di tanti giocatori accentrati portati a venire incontro e chiedere palla sul piede. Meno sorpresa sugli esterni, anche se i due gol paradossalmente sono arrivati proprio dai cross dei due terzini, Hugo Mallo sul primo e Planas sul secondo.
Va certamente detto che le considerazioni tattiche pesano relativamente su una gara che a secondo tempo inoltrato ha visto prevalere la stanchezza e le individualità, ma resta il fatto in tutto il mondiale la Spagna non è mai riuscita a proporre un undici e una linea coerente che esaltasse le capacità di palleggio (il “fútbol asociativo”, secondo un’efficacissima espressione del gergo spagnolo: passarsi il pallone non tanto per passarselo, ma per “creare società”, tanti piccoli triangoli che facciano avanzare la squadra) di cui abbondava l’organico. Un vero peccato.
Passando ai singoli, un calo rispetto alle citate Under 19 lo si è riscontrato nei terzini: l’anno scorso c’era Montoya a destra, nella fase élite invece uno sfavillante Muniesa “alla Marcelo” sulla sinistra (ma poi il blaugrana si è infortunato e ha dovuto rinunciare al mondiale). In questo caso invece due adepti del “compitino”: a destra Hugo Mallo, per quanto positivo contro il Brasile, non spicca per qualità tecniche ed ha come massimo pregio la regolarità di rendimento e una discreta completezza; a sinistra invece Antonio Luna del Sevilla ha qualche lacuna in più nel piazzamento difensivo ma pure più propensione offensiva, facilità di corsa e discreto cross, anche se non va oltre l’azione standard del “sovrapposizione+traversone”. Nella partita col Brasile al posto di Luna ha giocato Planas: tecnicamente modesto non solo in fase offensiva, viene da pensare che se non fosse del Barça probabilmente non verrebbe convocato.
A tutti e tre i terzini manca la capacità di sostenere da soli il gioco offensivo sulle fasce, e magari anche per questo Lopetegui ha optato per un’ala come Tello limitando il gioco per linee interne dei suoi migliori palleggiatori. Chissà, una soluzione poteva essere quel Kiko Femenía che, ala d’origine, già nell’Hércules (ora è stato acquistato dal Barça Atlètic) era stato adattato a terzino: un Kiko terzino, in una posizione di partenza molto avanzata (come fa qualche volta Guardiola con Alves) avrebbe potuto tenere la fascia e lasciare più spazio al centro per i palleggiatori.
Al centro della difesa detta legge Marc Bartra: la mia percezione del giocatore catalano ha seguito man mano che l’ho visto giocare questa scala: da “interessante” a “promettente”, poi “forte”, “fortissimo” e infine “supertalento”. Credo sia questa l’etichetta giusta. È evidente che studia da Piqué: personalità impressionante e grande intuizione negli anticipi, tempismo nelle coperture, regale autorevolezza nelle uscite palla al piede, “provocando” i centrocampisti avversari per liberare spazi ai propri compagni. Rispetto al modello Piqué minore è la prestanza fisica, ma superiore l’agilità e la rapidità sul breve. Insomma, fategli largo che arriva.
Catalano anche l’altro centrale, l’espanyolista Jordi Amat, puntuale, con un buon senso della posizione e anche un discreto primo passaggio, ma certo senza la preveggenza e la leadership di Bartra. Poi cede qualche metro sul gioco aereo. Amat che ha scalzato il titolare dell’Europeo Under 19 dell’anno scorso, ovvero Pulido. Gerarchie ribaltate anche fra i pali, dove il teorico terzo portiere, il madridista Fernando Pacheco, è finito titolare dopo l’infortunio occorso al titolare Aitor, dell’Athletic Bilbao.
A centrocampo la scelta era tale che ha finito per imbarazzare Lopetegui. Intoccabile Oriol Romeu davanti alla difesa, e si capisce il perché. L’ormai ex blaugrana (passato al Chelsea, ma il Barça ha un’opzione di riacquisto) è una diga intelligente davanti alla difesa, non uno messo lì perché è grosso e “ruba palloni” (che non vuol dire niente), ma per dare equilibrio in tutte le fasi. Prestante senza essere macchinoso, con una buona lettura del gioco in transizione difensiva, semplice ma funzionale nella fase di possesso.
Koke come detto è una sorta di doppione di Romeu per quanto riguarda la zona di campo prediletta, ma il suo gioco è diverso, è più un organizzatore della manovra, non particolarmente creativo ma molto geometrico, con un bel destro sia nei cambi di gioco che nella conclusioni dalla distanza. Posto che non ci si dimentichi qual è il suo ruolo principale, questi spostamenti stanno comunque arricchendo la sua cultura tattica: Lopetegui lo ha fatto giocare in pratica da mezzala, Quique all’Atlético addirittura da falso esterno, tagliando dentro per ricevere tra le linee o per inserirsi in area avversaria, peraltro con un certo tempismo. Però è certo che quest’anno deve essere lui il regista basso dell’Atlético Madrid, nel doble pivote con Tiago: niente Gabi e niente Assunção, per favore.
Sergi Roberto è stato poco valorizzato da Lopetegui, che disponeva della mezzala potenzialmente più completa. È uno strano animale questo, somiglia un po’ a tutti e un po’ a nessuno. Ha la capacità di saltare il centrocampo avversario palla al piede, ma non c’entra niente con Iniesta; il fisico e la potenza in progressione semmai ricordano più Javi Martínez, ma è un giocatore completamente diverso; è decisamente più geometrico del bilbaino, ma c’entra con Xavi e Fabregas ancora meno di quanto c’entri con gli altri. Muovendosi senza palla ha una grande capacità di influire sul gioco, in una fetta di campo enorme, partendo dall’appoggio alla fase iniziale della manovra sino agli inserimenti in area avversaria.
Bravissimo nell’effettuare il “movimento Keita”, ovvero attaccare lo spazio fra centrale e terzino avversario, portando via quest’ultimo per liberare all’uno contro uno, sul cambio di gioco dal lato opposto, il compagno che gioca sulla sua stessa fascia. È un giocatore perfettamente funzionale alla filosofia di gioco del Barça, ma al tempo stesso atipico, non la classica mezzala o “numero 4” che detta i tempi e ama stare in frequente contatto con il pallone. È un giocatore di movimento perfetto per dare continuità all’azione più che guidarla. Può partire anche davanti alla difesa, comunque meglio in un centrocampo a tre centrali, con ampia libertà di movimento, con un po’ di copertura alle spalle.
Altra mezzala “di continuità” è Recio, spesso inserito a partita in corso da Lopetegui, lanciato da Pellegrini al Málaga in quest’ultima stagione (ora però con l’arrivo del magnifico Toulalan lo spazio per lui sarà pochissimo); continuità ma sicuramente con una minor completezza di Sergi Roberto, in una fascia di campo più ridotta e più limitato al palleggio. Comunque anche lui come Sergi sicuramente più adatto a muoversi davanti a Oriol Romeu rispetto a Koke.
Sulla trequarti, si sarebbe potuto vedere un Isco migliore (molto sottotono il girone), ma lo spezzone contro la Corea e il quarto col Brasile sono stati comunque all’altezza dell’emergente e meritata fama del nuovo acquisto del Málaga. Gli si può perdonare una certa mancanza di esplosività (non dribbla mai in velocità, ma sempre rallentando, cambiando direzione e prendendo in controtempo l’avversario, approfittando delle gambe corte corte, quasi le zampe di un bassotto) e un fisico resistibile nei contrasti, perché questo ha tutta l’aria di un genio, uno che vede calcio prima e meglio degli altri. Se Sergi Roberto influenza la manovra a tuttocampo col movimento senza palla, Isco fa lo stesso CON il pallone. È una mezza punta portata ad abbassare anche molto la propria posizione, per essere sempre nel vivo dell’azione del centrocampo più che limitarsi a smarcarsi tra le linee e rifinire e dare l’ultimo passaggio. Rispetto al compagno Canales, ha meno corsa, meno gol, meno versatilità tattica ma più magia, più capacità di inventare la giocata dal nulla e anche un certo gusto per l’ornamento (dribbling nello stretto controllando con la suola, piroette etc…) che lo rende un po’più “sudamericano” rispetto ai suoi omologhi spagnoli. Resta però spagnolissimo nel preferire al dribbling la triangolazione, che in fondo è il modo migliore di saltare l’uomo.
Il neo-valenciano Canales cerca di riprendere il discorso interrotto prima di passare al Real Madrid e perdere praticamente un anno. Rimane un giocatore di grande classe, capace di fare tantissime cose, dal regista davanti alla difesa (spesso contro l’Australia a iniziare l’azione era lui e non Recio, il teorico “pivote”) fino al trequartista-incursore (con un fiuto del gol e un tempismo che ha spinto qualcuno a paragonarlo a Julen Guerrero), anche se incasellarlo in una posizione troppo avanzata può anche limitarne l’apporto al gioco. Se di Isco ti stregano l’eleganza e la magia, di Canales ti conquista l’essenzialità. Un numero 10 che quasi non dribbla, ma dal gioco eccezionalmente profondo. Speriamo trovi fiducia e una collocazione stabile: se al Madrid era chiusissimo, al Valencia potrebbe trovare comunque le sue brave difficoltà.
Di Tello abbiamo già detto: giocatore dalle buone qualità atletiche e tecniche, ma troppo lineare. Eccessivo lo spazio riservatogli, così come forse troppo pochi son stati i minuti dati a Ezequiel Calvente, l’estroso piccoletto del Betis, che perde qualche punto rispetto a Tello sul piano fisico, ma che oltre ad avere più imprevedibilità palla al piede ha anche un po’ più di gioco interno, pur rimanendo un’ala.
Più gioco interno di tutti gli uomini di fascia lo ha Dani Pacheco, forse la delusione maggiore di tutto la spedizione. Nell’Europeo dello scorso anno aveva incantato: un attaccante di manovra tecnicissimo, dal senso del gioco notevole, fiuto e rapidità d’esecuzione, ideale probabilmente come seconda punta ancora più che come esterno. Il Pacheco visto in Colombia invece somigliava a un fantasma: estraneo alla manovra, e incapace anche di incidere individualmente, perché pur essendo tecnicamente molto dotato gli manca il cambio di ritmo per lasciare sul posto l’avversario nell’uno contro uno, e soffre i contrasti.
L’attacco ha vissuto sul dualismo fra il brasiliano naturalizzato Rodrigo Moreno e l’espanyolista Álvaro Vázquez per l’unica maglia disponibile (solo nei supplementari con la Corea del Sud i due hanno giocato insieme). I due hanno fatto il loro, pur senza essere fenomeni. Nonostante i 5 gol di Vázquez (3 comunque nell’allenamento con l’Australia) contro i 3 di Rodrigo, la titolarità del secondo non è stata un’usurpazione. Non è il tipo di giocatore che mi esalti personalmente, trovo un pugno in un occhio le sue finalizzazioni davanti al portiere (totale mancanza di freddezza e conclusioni esclusivamente di potenza col suo sinistro), però si è rivelato di una certa utilità e anzi la sua prestazione col Brasile non si può che definire formidabile, senza mezzi termini.
Ha retto l’attacco da solo dando immancabilmente uno sfogo ai centrocampisti, che fosse facendo da boa, allungando la difesa avversaria con uno scatto in profondità o anche allargandosi a destra per offrire un riferimento prezioso in ampiezza. È indubbiamente uno che lavora tanto sulle difese avversarie, e insomma, scuotendo così tanto l’albero qualche frutto può sempre cadere per i compagni. Non è casuale che, al di là di errori anche grossolani che le hanno favorite, un gol contro la Costa Rica e altre occasioni avute durante il torneo siano nate da palle rubate ai difensori avversari, frutto della caparbietà e dell’esuberanza tipiche del suo calcio.
Come finalizzatore, Álvaro Vázquez fa dieci a zero a Rodrigo: a tu per tu col portiere aspetta fino all’ultimo, se può finta e lo mette a sedere, o magari dà il colpo sotto, di certo non gliela tira addosso. In area piccola poi si fa sempre trovare, in qualche modo. Tecnicamente più pulito, svelto sul filo del fuorigioco, non garantisce però la stessa mole di lavoro di Rodrigo, e per questo ho condiviso la scelta di Lopetegui: utilizzare Rodrigo per sfiancare le difese, e Vázquez come killer a partita in corso.
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