Pro e contro del Barça di Iniesta.
C’è stato un momento, intorno alla prima metà di gennaio, in cui il
Barça sembrava aver trovato la pietra filosofale: non solo infallibile nei
risultati, ma anche incontenibile per qualsiasi strategia difensiva. Le
difficoltà emerse la scorsa stagione contro quelle difese “finte-passive”,
schierate bassissime, senza pressare per non perdere le posizioni e tutte
ammucchiate al centro (lasciando le fasce perché tanto il Barça non aveva i
giocatori per raggiungere il fondo) sono
state in qualche modo aggirate facendo affidamento sul nuovo meccanismo con cui
il Barça scardina le difese: il trio composto da Iniesta, falsa ala sinistra,
Cesc Fàbregas, mezzala sinistra ormai completamente trasformatasi da regista in
incursore di lusso, e Jordi Alba, il terzino-proiettile. Uno completa l’altro e
insieme garantiscono una enorme varietà di soluzioni.
Iniesta è il giocatore strategico perché dalla sinistra è diventato il
vero regista della squadra: non punta l’avversario (anche se continua a
concedersi e a concederci qualche succulenta croqueta, il classico dribbling, ispirato dall’idolo d’infanzia
Michael Laudrup, eseguito passandosi la palla rapidamente dal destro al sinistro, con
effetti paranormali in prossimità della linea di fondo), ma gestisce il
possesso, “addensa” la propria squadra nella zona della palla e ne facilita
così anche il successivo recupero, dando il tempo a tutti i compagni e in
particolare sguinzagliando Jordi Alba. Se Iniesta è strategico, l’ex Valencia è
decisivo per far correre all’indietro e schiacciare gli avversari; in tutto
questo, Cesc compensa i movimenti dei compagni con grande intelligenza,
allargandosi nelle frequenti occasioni in cui Iniesta viene in mezzo, offrendo
uno sfogo in profondità con i suoi continui scatti, movimenti imprescindibili
(come quelli di Pedro) in un Barça che aggiungendo nel tridente Iniesta a Messi
aumenta ancora il numero di giocatori che tendono a venire incontro al pallone.
Le ultime partite, in particolare gli ultimi due big-match contro Real
Madrid (Copa del Rey) e Valencia (Liga) hanno evidenziato qualche scricchiolio.
Il dato significativo è che il Valencia ha ripetuto quasi esattamente, e con
identico successo, la strategia del Real Madrid, il che sembra avvalorare la
tesi che una ricetta “anti-Barça”, spendibile dagli avversari nelle
competizioni in cui i blaugrana ne hanno ancora, esista.
Se il Barça non è più tanto difendibile col blocco bassissimo, al
contrario pare che lo si possa limitare pressandolo molto alto, impedendo alle
mezzeali di girarsi una volta ricevuto il pallone dalla difesa. Intendiamoci,
questa non è la formula magica, perché rimane comunque una strategia molto
impegnativa (più per il dispendio mentale che atletico: il pressing alto se
fatto bene risparmia metri ai giocatori, però al primo errore di concentrazione
l’avversario ti buca la difesa alta e va in porta…e 90 minuti sono troppo lunghi
per non concedere qualcosa), però è quella che si adatta meglio agli attuali limiti
del centrocampo blaugrana, posto che parlare di limiti per un centrocampo del
genere resta uno schiaffo alla miseria.
Il Barcelona perfettissimo è il 2010-2011, e quel Barça oltre a Messi
esaltava il ruolo del cosiddetto interior
de posesión, cioè la mezzala che fra le due prevista dal 4-3-3 tende di più
ad abbassarsi per ricevere palla dalla difesa e dare i tempi alla squadra. Ora,
Xavi è storicamente il paradigma dell’interior
de posesión: nel citato Barça 2010-2011 non era comune la sua capacità di
congelare il pallone di fronte a qualsiasi tipo di pressione e far avanzare
ordinatamente pallone e posizioni dei compagni di squadra nella metacampo
avversaria. L’inconveniente è che ora Xavi soffre sempre di più questo
trattamento da parte degli avversari, e se continua a incidere sulle partite
non lo fa più all’inizio della manovra, ma solo una volta che altri hanno permesso
al Barça di superare questa pressione e installarsi sulla trequarti, dove la
visione di gioco di Xavi può ancora dire la sua nell’ultimo-penultimo
passaggio.
Il problema del Barça è che questi “altri” nel Barça delle ultime due
gare si riducono a un solo giocatore: Andrés Iniesta. Sempre più circondato da
un’aura di “zidanità”, forse anche per l’incipiente calvizie, che lo porta a
dominare le partite passeggiando: lui
mette ordine, lui chiarifica, lui equilibra. Solo lui. Di Xavi abbiamo già
detto, Cesc a inizio azione è ormai irrilevante, mentre Thiago Alcantara, l’erede designato, ad oggi non rappresenta ancora
un’alternativa completamente affidabile: detto che una coppia di mezzeali
composta da lui e Xavi ha finora dimostrato una scarsa compatibilità (entrambi
tendono ad abbassarsi per iniziare l’azione, e questo facilita il pressing
degli avversari che non devono difendere su più linee), il gol regalato proprio
da Thiago al Málaga nell’andata di Copa del Rey (con l’aiuto di uno scellerato
passaggio del secondo portiere Pinto, palla persa al limite della propria area
sul pressing dell’ipercinetico Iturra) simbolizza l’attuale impreparazione dell’ispano-brasiliano.
Anche Messi non sembra l’uomo più adatto a rispondere questa carenza.
Restiamo sbalorditi dall’evoluzione del giocatore, che da solista sulla fascia
destra ha via via cominciato a influire su una fetta sempre più estesa del
campo, ma lui, senza tirare in ballo alcun tipo di limite, resta un altro tipo
di giocatore. Uno che accelera e crea più che organizzare.
Contro un pressing alto quando gli capita di prendere palla è più che
facile che, anche da posizioni molto arretrate, mandi i propri compagni direttamente
in porta (incredibile un passaggio filtrante per Fàbregas domenica) piuttosto
che farli accomodare nella trequarti avversaria. Quindi diventa una partita di
transizioni in cui il Barça sì continua a disporre di maggiori probabilità di
vittoria, ma che presenta anche qualche inconveniente se è vero che allungandosi
le squadre viene allo scoperto un tremendo difetto di Sergi Busquets, ovvero la
mancanza di ubiquità. Quando il Barça non ha la possibilità di difendere stabilmente
vicino all’area avversaria, Busquets fallisce nel compito di moltiplicarsi per
tappare i buchi lasciati da Fàbregas e soprattutto Xavi e Iniesta, pressoché inesistenti
quando si tratta di difendere nella propria metacampo.
La risposta a questo problema è stata nelle ultime due partite il
cambio di posizione fra Cesc e Iniesta, con Andrés stabilmente in mezzo per controllare
meglio il gioco. Il problema però è che ove le cose restassero in questi
termini anche nei prossimi mesi, diventerebbe un rischio eccessivo per un Barça
che volesse continuare a giocare il suo calcio dipendere da un solo giocatore.
Un Iniesta che peraltro per caratteristiche non ha mai avuto la stessa presenza
costante nel gioco di Xavi.
Ma il problema può essere anche di percezione nostra: il Barça
2010-2011 ci ha abituati male, perché nel calcio la cosa normale è che una
squadra di fronte a un pressing il pallone tenda a perderlo. Il “juego de posición” di quel Barça nella
sua natura a prima vista paradossale (avanzo con tutta la squadra per difendere
meglio) è un equilibrio delicatissimo, raggiungibile solo da dosi massicce di
talento che un’attenta programmazione, una congiunzione astrale o una più
prosaica botta di culo ha voluto che si concentrasse nel giro di pochi anni
tutto al Camp Nou.