A partire da questo modello di base (Barça primo nella Liga per numero di passaggi totali, Athletic terzo), le differenze fra le due finaliste di Copa del Rey sono però notevoli. Se il Barça di passaggio in passaggio si struttura e si ordina lungo l’asse orizzontale, l’Athletic Bilbao ha l’ossessione della verticalità. Significativo il modo in cui le due squadre concepiscono il gioco sulle fasce (chiarissima la differenza statistica: il Barça è la terzultima che crossa meno nella Liga con 12,5 cross di media a partita, l’Athletic settimo ma con una media, 17,1 molto vicina al Valencia primo classificato con 20, oltre ad essere la squadra con più gol segnati di testa di tutta la Liga, 19, grazie a un certo Llorente primatista con 10 “cabezazos”): il Barça come detto mantiene sempre il riferimento largo come necessità vitale, però nel corso dell’azione solo un giocatore si trova ad attaccare gli spazi laterali. Questo può essere l’ala quando ha la possibilità di conquistare il fondo (soprattutto quando il Barça gioca con la difesa a 3 ed è l’unico esterno di ruolo), oppure il terzino in sovrapposizione. Due giocatori di fascia nel 4-3-3, però generalmente solo uno alla volta resta largo.
L’Athletic all’opposto sovraccarica le fasce. In particolare sulla destra abbiamo visto una delle soluzioni tattiche più originali, interessanti e spettacolari della stagione. Curioso come sebbene nessuno dei migliori giocatori della squadra (Llorente, Javi Martínez, Muniain) vi agisca, sia stata proprio questa zona a definire più di tutte l’identità della squadra. Gran parte del gioco passa per questo lato, per il trio Iraola-De Marcos-Susaeta, un rullo compressore, una miniera di grande calcio.
Iraola non ha fatto che confermare ed esaltare come non mai, con l’allenatore giusto, le proprie qualità offensive, non solo accompagnando l’azione, ma anche portando palla, superando la pressione avversaria e combinando come un centrocampista aggiunto; la stagione di Susaeta invece è stata straordinaria: forse il meno appariscente dei tre, ma forse anche il più completo e continuo.
Partito riserva nelle primissime uscite, reduce da un certo accantonamento nell’ultima gestione Caparrós e alle prese con una crisi di autostima (Rinfacciatagli da Bielsa:
“Oiga, Markel, usted tiene un problema. Yo creo en usted, pero usted no cree en usted. No se tiene fe. Y es una pena porque reúne aptitudes”), “Susa” si è rigenerato al punto da risultare insostituibile, spremuto come un limone in tutte e tre le competizioni. Senza numeri palla al piede sbalorditivi e senza accelerazioni devastanti ma con una quantità di contributi utili al gioco della propria squadra che è arduo far stare in una sola pagina. Preziosissima la sua capacità di alternare sempre con criterio “rottura” in profondità e appoggio incontro al portatore di palla, fintando un movimento per poi eseguire l’altro e ricevere palla smarcato: un modo per dare sempre continuità all’azione, sia che si trattasse di offrire lo sbocco per il primo passaggio a difensori e centrocampisti sia per arrivare sul fondo o all’inserimento in area di rigore, dove in più di un’occasione ha fatto valere un tempismo e una freddezza superiori, pur nell’abissale differenza di talento tra i due, a quelli posseduti dall’altro attaccante esterno Muniain.
De Marcos è più limitato, gioca su meno registri, ma nella sua monotonia è l’immagine dell’Athletic di Bielsa. Della sua aggressività, del suo dinamismo inesauribile e della sua ricerca maniacale della profondità. Inizialmente inquadrato come terzino di spinta, un’intuizione già anticipata da Caparrós e perfettamente adeguata alle sue caratteristiche, De Marcos è in realtà esploso come mezzala destra, direi come falsa mezzala perché in realtà il suo comportamento è quasi quello di un atipico “terzo esterno”. Il movimento ricorrente è infatti un taglio senza palla dalla fascia verso il centro, nello spazio fra terzino e centrale avversario; incrociando questi tagli con le proiezioni di Iraola e i movimenti di Susaeta, il risultato è che quando non conquista il fondo con irrisoria facilità l’Athletic comunque schiaccia e sbilancia comunque l’avversario verso quel lato.
La profondità raggiunta da questo trio è evidenziata anche dal dato statistico che vede Susaeta (con 127) al terzo posto e De Marcos al sesto (99) della classifica per tocchi realizzati in area avversaria (Iniesta del Barça invece è quinto, con 109). Segno che da quella parte l’Athletic arriva che è una bellezza.
A questa girandola sulla destra l’Athletic unisce una aggressività in fase di finalizzazione raramente riscontrabile: personalmente non mi era mai capitato di vedere una squadra che in più di una occasione porta i suoi terzini contemporaneamente al cross da un lato e alla conclusione dall’altro. Non si tratta di vedere Aurtenetxe attaccare una respinta appena entrato in area…no, il pazzo va ad attaccare direttamente il secondo palo!!!
Sembra quasi che l’Athletic cerchi nell’area avversaria non una semplice superioriità “di posizione” (ad esempio Llorente in inferiorità contro tre difensori ma che comunque riesce a smarcarsi), ma una vera e propria parità se non superiorità numerica rispetto all’avversario. Sommando a Llorente una delle due mezzeali che si inserisce, Muniain, uno dei tre della catena di destra che va ad aggiungersi in area e magari anche Aurtenetxe, l’Athletic attacca con non meno di 3-4 opzioni l’area di rigore. Se aggiungiamo che il movimento sulla fascia destra per la sua logica è portato a “svuotare” la zona centrale, si capiscono le implicazioni in transizione difensiva dove l’Athletic volutamente accetta un rischio notevole.
Se l’Athletic perde palla sulla trequarti, Iturraspe rimane letteralmente solo a centrocampo, e con una prateria da coprire. Questo spiega anche rispetto alla gestione Caparrós l’accantonamento di San José in difesa da parte di Bielsa: centrale talentuoso ma più compassato e senza la tendenza a uscire molto dalla zona che invece hanno l’ultra-aggressivo Amorebieta e il riconvertito (alla fine con notevole successo) Javi Martínez, che letteralmente si mangia il campo con le sue falcate e che si trova a suo agio nel gestire questi grandi spazi in transizione difensiva e ad accorciare in avanti (e sia lui, nono con 163, che Amorebieta, diciannovesimo con 163, sono fra i primi 20 per palloni intercettati…mentre il possesso-palla tirannico fa sì che nemmeno uno del Barça figuri in questa graduatoria!). Spazi che forse potrebbero essere leggermente ridotti con una piccola modifica in fase di finalizzazione, scaglionando Muniain e Aurtenetxe alle spalle della prima linea di finalizzatori, invece che buttarli tutti sulla stessa linea in area avversaria: si potrebbe guadagnare in entrambe le fasi, perché con giocatori su più linee avresti più possibilità sia di arrivare alla respinta su una ribattuta della difesa avversaria, sia quella di bloccare il contropiede nascente una volta persa palla.
Una semplice differenza nel ritmo e nella tipologia di passaggi ha comunque ricadute profonde in tutti gli equilibri delle due squadre: l’Athletic costretto a cercare più frequentemente di finalizzare l’azione per non avviare i ribaltamenti avversari, il Barça portato invece al passaggio in più se questo serve per popolare maggiormente la fascia centrale e farsi trovare subito pronto quando l’avversario cerca di rilanciare l’azione (tendenza confermata dalle statistiche: dei primi 20 giocatori per passaggi nella metacampo avversaria, addirittura 12 sono culè, mentre dell’Athletic, molto più diretto, c’è solo Ander Herrera, tra l’altro ventesimo con una media di passaggi-31, 9, che è la metà di quella di Xavi-68,5, prevedibilissimo primo classificato; altra conferma, ancora più diretta, dei differenti rischi corsi dalle due squadre, è il numero di parate totali, che vede Gorka Iraizoz al secondo posto della Liga e Valdés invece all’ultimo).
Ad inizio azione l’Athletic sgombra la propria metacampo: i terzini partono alti, i due difensori centrali ben aperti+Iturraspe, vertice basso del centrocampo, avviano la manovra, con tre opzioni principali:
1) passaggio verso Iraola, e da lì innescare il triangolo con Susaeta e De Marcos;
2) passaggio verso un compagno che dalla trequarti viene incontro: può essere Susaeta, come detto, oppure Muniain retrocedendo e tagliando centralmente dalla fascia sinistra, oppure ancora Ander Herrera. Giocatori che per liberarsi si muovono in senso inverso e in maniera sincronica rispetto al compagno più vicino nella loro zona: per esempio, Susaeta riceve nello spazio lasciato libero da De Marcos che ha accennato la profondità, portandosi via il terzino; Muniain incrocia centralmente nel mentre che Ander si allarga; oppure ancora uno di questi riceve tra le linee sfruttando il blocco di Llorente sui due centrali. L’Athletic prepara bene questi movimenti ed è piuttosto spettacolare vedere come se il difensore non trova da principio il passaggio buono in verticale subito gli si presenta una terza opzione grazie alle rotazioni continue di mezzeali e attaccanti.
3) Terza e ultima soluzione, risorsa d’emergenza anche se non impossibile da vedere, il lancio lungo dalla difesa verso la testa di Llorente, ovvero il mono-schema della gestione Caparrós.
Va detto che questo dell’inizio dell’azione è un aspetto che l’Athletic può ancora migliorare. A volte l’ansia di dettare subito il passaggio in verticale porta ad allontanare eccessivamente il resto della squadra dai tre che iniziano l’azione, che senza opzioni di passaggio sicure rischiano di perdere palla con la squadra spezzata in due in transizione difensiva.
A De Marcos non si chiede questo lavoro, trattandosi di un giocatore praticamente allergico alla zona davanti alla difesa: difficile pensarlo come centrocampista in un contesto diverso da questo Athletic, in una squadra magari che facesse un possesso-palla su ritmi più bassi e che quindi invece di attaccare lo spazio e finalizzare subito gli chiedesse di ricominciare l’azione e venire incontro agli altri centrocampisti (impensabile quindi come centrocampista nella nazionale del tiqui-taca, dove da terzino potrebbero risultare invece preziose la facilità di corsa e la propensione offensiva); Ander Herrera invece, il giocatore che per caratteristiche sarebbe più portato a controllare i tempi di gioco e aiutare ad inizio azione, ha finito col giocare (benone) molto più davanti che dietro la linea della palla.
Quando poi manca l’insostituibile Llorente i problemi in tal senso si aggravano: le comprensibili ristrettezze della rosa hanno costretto a proporre come sostituto un Toquero totalmente inadeguato da centravanti. Gaizka non sa cosa significhi appoggiare i compagni e propone sempre lo stesso movimento, una diagonale dal centro verso la fascia che alla fine risulta prevedibile e toglie alla squadra un riferimento offensivo su cui poggiare il gioco. Questo ancora prima di sottolineare la mancanza in area che il suo impiego al posto di Llorente comporta, oltre all’impossibilità di semplificare il gioco col lancio lungo verso la torre.
Ha sofferto l’Athletic (un po’ lo Sporting in semifinale, molto l’Atlético nella finale di Uefa) squadre che trovassero il modo di scollegare Javi Martínez-Amorebieta-Iturraspe dal resto della squadra, non pressando direttamente i difensori dell’Athletic ma sporcandogli le linee di passaggio verso Muniain, Ander & C., sui quali sì scatta il pressing.
L’arretramento di Javi Martínez ha portato più capacità nel primo passaggio, ma Amorebieta nonostante un buon sinistro (più potente che preciso comunque) spesso non sa distinguere i momenti in cui portare palla e attirare l’avversario da quelli in cui passare, e così capita ancora di vederlo sparacchiare il pallone, anche se meno delle stagioni passate. Iturraspe dal canto suo è un giocatore dalle buone qualità tecniche e tattiche, ma un po’sopravvalutato se l’intenzione è considerarlo un organizzatore: separato da Ander & C., denuncia qualche difficoltà nel far guadagnare metri alla squadra.
Un problema (ovviamente relativo, perché non dedicheremmo un articolo tanto esteso a una squadra che avesse giocato male) sul quale forse la società potrebbe intervenire contrattando uno o due giocatori più portati a ricevere palla dai difensori e dare i tempi ai compagni, come possono essere Beñat del Betis (scuola Lezama) o Mikel Rico del Granada.
Altro aspetto migliorabile è la partecipazione al gioco del settore sinistro della squadra, dove paradossalmente si concentra la maggior qualità. Strana stagione quella di Muniain, con la conferma di un talento raro e picchi straordinari però più dipendenti dalla qualità individuale (settimo nella media di dribbling riusciti a partita, subito dietro di lui Iniesta, primo naturalmente Messi)che da un inserimento perfettamente riuscito nei meccanismi collettivi. Strano vederlo pesare meno nella manovra di quanto non facciano i cursori della destra. A volte sembra soffrire la posizione di partenza sulla fascia e fare fatica a entrare nel vivo: per quanto Bielsa chieda alle ali dell’Athletic una posizione molto meno rigida rispetto a quelle di altre squadre da lui allenate (tipo l’Alexis Sánchez dell’ultimo mondiale), Iker in più di un’occasione è sembrato attendere il momento in cui una correzione alla formazione di base lo liberasse centralmente (secondo tempo di Siviglia, o la tipica mossa d’emergenza di spostarlo nei tre di centrocampo quando la squadra si trova in svantaggio). In generale possono ancora migliorare i meccanismi fra lui e Ander Herrera, e crescere la loro presenza ad inizio manovra. Non è strano peraltro che nel primo anno di un nuovo progetto una squadra risulti più sviluppata in un settore che in un altro: lo stesso mitizzatissimo Barça del Triplete elaborava praticamente tutto la sua manovra sul lato destro di Messi-Xavi-Alves.
Altra caratteristica particolarissima dell’Athletic, è la marcatura praticamente a uomo. Non si assegna un avversario fisso da marcare, ma una volta che capita nella tua zona lo segui fino agli spogliatoi. Si inizia col pressing altissimo, con gli attaccanti che formano coppie coi difensori avversarii, per proseguire negli altri reparti dove capita di vedere Aurtenetxe recuperare palla più avanti di Muniain, o Iraola ripartire da una posizione centrale mentre Javi Martínez ne ha rilevato la posizione correndo dietro al taglio di un attaccante.
Una soluzione sicuramente dispendiosa: proseguendo nel confronto con lo stile di gioco del Barcellona, il tipo di sforzo richiesto ai giocatori dovrebbe essere sicuramente più pesante. L’ispirazione di fondo è la stessa, ma in un caso deve correre il pallone e nell’altro i giocatori. Lo sforzo è non solo quantitativamente ma anche qualitativamente diverso perché nel caso dell’Athletic implica una componente più fisica della fatica, mentre per il Barça predomina la fatica “mentale”, perché i giocatori pur non correndo necessariamente meno percorrono distanze più corte, ma oltre all’avversario devono sempre tenere presente lo spazio e le distanze dai compagni.
Per quanto non ortodossa, è una soluzione che si è dimostrata abbastanza efficace, e anzi i possibili squilibri difensivi dell’Athletic nascono più, come spiegato sopra, dalle transizioni, dal modo in cui la squadra attacca e si trova schierata non appena perde palla, che dalla vera e propria fase difensiva, che pur lontana dalla perfezione tattica beneficia della grande dedizione di tutti i giocatori.
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