La storia è oggi.

La differenza nell’indirizzare la gara l’hanno fatta la qualità e i colpi delle individualità piazzati al momento giusto: il guizzo di Eto’o al 10’ ha scosso un Barça contrattissimo ad inizio partita, ed ha rappresentato la svolta tattica e psicologica. Da lì in poi i blaugrana l’hanno avuta tutta in discesa mentre i Red Devils son stati obbligati sempre a rincorrere, hanno perso aggressività, fiducia e concentrazione e si son trovati invischiati in una gara necessariamente a viso aperto, da una metacampo all’altra, nella quale il Barça non ha rivali: con lo spazio per giocare la palla, con gli appoggi giusti tra le linee, gli uomini di Guardiola non li fermi neanche se ti chiami Manchester United Football Club.
Una volta in vantaggio, il Barça ha sempre avuto il coltello dalla parte del manico, ha gestito con pazenza e tranquillità il ritmo della partita, ha deciso quando temporeggiare col possesso-palla e quando affondare, ha mantenuto un’impeccabile disciplina in fase di non possesso (problemi soltanto sui soliti calci d’angolo, dove però i saltatori inglesi hanno mancato della scelta di tempo e della forza giusta nell’impatto col pallone) e ha persino avuto l’opportunità di infierire su un avversario sempre più sbilanciato alla ricerca dell’impresa disperata. Negli sviluppi e nella padronanza dimostrata dal vincitore, questa finale è idealmente la gemella di Spagna-Germania, l’atto conclusivo dell’ultimo Europeo. È il marchio di fabbrica di un calcio spagnolo che non si può certo dire dominatore assoluto in Europa (tre anni consecutivi con tre semifinaliste di Champions inglesi parlano chiaro), ma che nelle sue espressioni d’élite incanta il Vecchio Continente.
Ferguson conferma la sua preferenza per Anderson rispetto a Scholes, avanza Giggs sulla trequarti a sostegno di Cristiano Ronaldo, unica punta con Rooney largo a sinistra e Park a destra. Guardiola alla fine non rischia Keita terzino e rispolvera Sylvinho.
L’avvio è imbarazzante per tutti coloro che tengono alle sorti blaugrana. Lo United esercita un dominio sfacciato sui primi dieci minuti del match; la squadra dei palleggiatori, quella che ha l’attacco come idea fissa invece quasi non mette il naso fuori dalla propria metacampo. Con il Barça in apnea, i Red Devils vogliono far pesare tutta la loro sicurezza di campioni in carica, di chi sa fino alla noia come si giocano certe partite. Al tempo stesso, vogliono forzare la possibile insicurezza di un’avversario con la difesa inedita, affondando subito i colpi senza dare a Yaya Touré e Sylvinho il tempo di acclimatarsi.
Valdés gioca il rinvio corto su Piqué e Touré, larghissimi vicino al calcio d’angolo per iniziare l’azione palla a terra, ma lo United pressa pure lì. Il Barça non riesce ad alzare il baricentro e a collegare centrocampo e attacco, lo United è più corto e anticipa con una linea difensiva molto vicina al cerchio di centrocampo. Cristiano Ronaldo ha una partenza decisa, subito ha una chance su punizione, sfruttando un Touré un po’ingenuo nel fallo su Anderson: velenosissimo il destro dalla lunga distanza, al solito si abbassa e rimbalza davanti al portiere, un Valdés titubante nella respinta che deve ringraziare il riflesso di Piqué che evita in extremis il tap-in sottomisura di Park. Ancora Ronaldo tenta una conclusione da più di 30 metri (egoista nell’occasione) e poi spaventa con un sinistro incrociato appena dentro l’area di rigore.
Eccola però la qualità dei singoli che sbilancia il match: una frase celebre proprio di Guardiola recita “En el fútbol, cuando 'muñeco' supera a 'muñeco', el equipo que defiende está perdido”. A portare il Barça in partita di botto non è altro che una percussione di Iniesta, il “pupazzo ” che, al primo pallone recuperato lontano dall’area di rigore e al primo serio-possesso palla blaugrana, da solo buca il centrocampo inglese e crea la superiorità decisiva sulla trequarti. Il resto lo fa l’istinto di Eto’o, che da destra finta di cercare il fondo, rientra verso il centro (malissimo Vidic, il manuale chiederebbe di accompagnare verso l’esterno l’attaccante avversario) e in maniera fulminea anticipa la conclusione sul primo palo, trovando un Van der Sar un po’impreparato.
Partita segnata, ribaltata, stravolta: il dato psicologico ricade su quello tattico. Lo United si scopre vulnerabile, il Barça scopre invece che da lì in poi nessun suo possesso palla potrà essere sterile. La perdita di tranquillità degli inglesi si traduce in perdita delle distanze sul campo, mentre in maniera esattamente uguale e opposta il Barça trae dal vantaggio la spinta per trovare i punti di riferimento desiderati.
Questi sono tutti al centro: assente Alves, il triangolo classico di destra con Xavi e Messi, il motore della manovra per tutta una stagione, non ha più motivo di esistere. Ecco quindi Messi al centro dell’attacco: una mossa che ha sorpreso qualcuno ma che Guardiola aveva già proposto in più di un’occasione con successo, su tutte il 2-6 del Bernabéu. Il fulcro del gioco si sposta così dal lato destro al rombo che in pratica Messi va a formare col trio Busquets-Xavi-Iniesta.
Non sempre il Barça allarga il gioco quando dovrebbe, però il fatto di poter contare su un dialogo costante e ravvicinato fra la Pulce e Xavi ed Iniesta spinge avanti tutto il baricentro della squadra e dà un’altra dimensione alla partita, di controllo blaugrana (in più Eto’o a destra può assicurare più corsa e sacrificio nei ripiegamenti su Evra rispetto a un Messi giustamente preservato per la fase creativa). Inoltre lo United si allunga col passare dei minuti, diluisce il pressing e così Carrick e Anderson, unici centrocampisti centrali puri (Anderson nemmeno così puro…), esposti a una potenziale inferiorità numerica, vengono facilmente presi nel mezzo. Lo stesso trucco del Bernabéu: con Henry ed Eto’o pronti a tagliare dalle fasce verso il centro, nessuno dei difensori dello United esce a prendere Messi, e così il Barça può assicurarsi il miglior possesso-palla.
Quello che cerca Guardiola non è la verticalizzazione precipitosa, rischiare di avviare il contropiede dello United sarebbe uno sproposito, perciò raggruppando in pochi metri i migliori palleggiatori si cerca di far guadagnare metri a tutta la squadra nella metacampo avversaria. Una volta avanzato il baricentro ed evitata la perdita di palloni pericolosi, allo United si lascia così l’unica opzione di ricominciare la manovra dalle retrovie, con tutto l’undici blaugrana compatto e pronto a disturbare, partendo dal pressing di Eto’o sui rinvii di Van der Sar fino a una linea difensiva improvvisata ma insospettabilmente puntuale e sicura nel giocare alta, ora uscendo per accorciare ora temporeggiando per dar modo a tutta la squadra di ripiegare. I blaugrana in questo modo non stradominano (si conta solo un tiro di Messi da fuori sopra la traversa al 18’) ma comunque limitano al massimo le sofferenze, non si registrano infatti altri brividi nel primo tempo al di fuori del giallo a Piqué per fallo su Cristiano Ronaldo lanciato al 16’, unica testimonianza della pericolosità dei ribaltamenti mancuniani.
Nella ripresa Ferguson mostra i denti, inserisce subito Tévez per Anderson, ma a posteriori si dimostra un indebito eccesso di aggressività. Non per l’ingresso in sé del magnifico Carlitos (la cui presenza in campo dal punto di vista di chi scrive è sempre cosa buona e giusta), quanto piuttosto per come il cambio incide sul disegno globale della squadra. Giggs e Carrick restano ancora più soli, Rooney e Park si scambiano di fascia ma rimangono altissimi e larghissimi: praticamente lo United passa a giocare con quattro punte schiacciate sui quattro difensori avversari.
Il Barça così si trova ancora più comodo: Xavi, Iniesta e Messi hanno ancora più spazio per far fruttare il piano blaugrana: gestione del possesso-palla accorta, niente rischi, ritmi contenuti e nessuna possibilità per i ribaltamenti veloci dello United, verticalizzare soltanto quando si presenta la possibilità chiara del contropiede, come al 48’ quando Xavi lancia Henry nello spazio lasciato sguarnito da O’Shea in un’avanzata, il francese ridicolizza Ferdinand nell’uno contro uno ma conclude un po’molle su Van der Sar. Insiste il Barça: Iniesta parte ancora in in percussione e al 52’ procura una punizione dal limite che Xavi stampa sul palo non coperto benissimo da Van der Sar.
Lo United mantiene l’orgoglio e al 55’ costruisce un buon attacco manovrato, sul quale però Park (ingannato forse dal liscio di Touré sul cross di Rooney dalla destra) manca la deviazione decisiva, al 62’ ancora un cross di Rooney sventato provvidenzialmente da una scivolata di Piqué, però la partita è sempre blaugrana: per gli inglesi, sempre più sfilacciati, recuperare il pallone è un’impresa titanica quando fra Busquets, Xavi, Iniesta e Messi il Barça ha sempre superiorità numerica e opzioni di passaggio agevoli. Non aiuta di certo l’ennesimo attaccante inserito da Ferguson, Berbatov per Park Ji-Sung di fronte a un Barça che mantiene ordinatamente le proprie posizioni difensive, abbassando leggermente il baricentro rispetto al primo tempo.
Con l’avversario lunghissimo arriva il colpo di grazia quando al 70’ Xavi alza la testa, taglia un cross magnifico verso il secondo palo e offre il gol del Pallone d’Oro a Messi: Ferdinand e O’Shea si addormentano, l’argentino salta indisturbato ma si inventa una torsione e un pallonetto di testa che scavalca Van der Sar andandosi ad infilare sul secondo palo, un pezzo inedito quanto straordinario del repertorio della Pulce.
Lo United prova subito a rientrare in partita un minuto dopo con una conclusione sottomisura di Cristiano Ronaldo nata da un’azione palla al piede di Giggs (unica nota positiva della partita del gallese), ma Valdés è molto attento.
È l’ultimo scatto d’orgoglio di una squadra che ha nello spirito le rimonte impossibili, e in questo non può che esserci il merito del Barça, impeccabile nell’ultimo quarto d’ora a congelare il possesso-palla nella metacampo avversaria, la strategia difensiva più raffinata possibile, che quasi frutta un altro gol, in entrambe le occasioni con Puyol (la prima un colpo di testa un po’troppo centrale su punizione dalla destra di Xavi, la seconda un inserimento in area con tentativo di pallonetto neutralizzato da Van der Sar in uscita).
BARCELONA (4-3-3)
Valdés: Rischia la papera sul calcio di punizione di Ronaldo nei primi minuti, poi interpreta bene il ruolo di portiere “da Barça”, pronto cioè ad agire da libero aggiunto alle spalle della difesa alta e anche ad iniziare la manovra coi piedi, cercando di creare la superiorità nel possesso-palla già dalle retrovie insieme ai difensori. Ottimo sottomisura su Ronaldo nella ripresa. Voto: 6.
Puyol: Ha cominciato la parabola discendente della propria carriera ma, si poteva starne certi, questa partita l’avrebbe giocata a mille. Come Eto’o, vive per sfide simili. Non fa rimpiangere Alves e anzi blinda la fascia forse meglio di quanto avrebbe potuto fare il brasiliano (per decenza, mi fermo qui coi se e coi ma). Pronto nelle chiusure, nelle diagonali, in aiuto a Touré, reattivo e mai superato nell’uno contro uno: 100% Puyol. Si offre intelligentemente anche in sovrapposizione, e sfiora due gol. L’azione del 2-0 di Messi la avvia lui rubando un pallone in anticipo sul rinvio di Van der Sar. Voto: 7.
Yaya Touré: Qualche svarione, qualche sofferenza nei primi metri negli uno contro uno, qualche uscita dalla propria zona in cerca di margheritine, ma una prova complessivamente molto più affidabile rispetto al ritorno col Chelsea. L’esperimento partito da Stamford Bridge e passato per la finale di Copa con l’Athletic, ha avuto un rodaggio sufficiente per non dinamitare la difesa blaugrana nella gara più importante di tutta la stagione. La linea difensiva ha tenuto, Touré ha migliorato l’intesa con Piqué e il reparto si è mosso con sincronismi soddisfacenti. I minuti più difficili per l’ivoriano sono i primi, quando Cristiano Ronaldo trova una posizione insidiosa dalla quale prendere palla e puntare. Col passare dei minuti però Yaya accorcia sul portoghese e spesso riesce ad intervenire e ad anticipare con successo. Molto sicuro col pallone tra i piedi, a volte pure troppo, ma l’azione riparte sempre pulita dai suoi piedi. Voto: 6,5.
Piqué: L’ultimo mese ha chiarito che può essere un grande leader difensivo, anche in assenza di Márquez. Vince il confronto a distanza coi suoi due ex “superiori” Ferdinand e Vidic, ed entra ufficialmente nel club dei grandi difensori europei. Semplicemente perfetto, sempre al posto giusto, coi tempi giusti, pulito ed efficace in tutti gli interventi, decisivo in un paio di occasioni, quando evita il gol sicuro in ribattuta di Park ad inizio partita sulla punizione di Ronaldo e quando nella ripresa intercetta un cross di Rooney dalla destra destinato alla deviazione sicura sul secondo palo. Va in difficoltà soltanto in quell’unica occasione nel primo tempo in cui il Barça lascia il contropiede allo United e lo costringe a pagare col cartellino giallo l’enorme differenza di passo con Cristiano Ronaldo. Voto: 7,5.
Sylvinho: Mai seriamente considerato nel corso della stagione, ha finito col giocare la partita-clou. Diffidavo del suo inserimento per via della sua scarsa capacità atletica, soprattutto di fronte ad avversari dallo spunto incendiario come Ronaldo, il che rendeva plausibile persino l’utilizzo di un giocatore fuori ruolo ma più tonico come Keita, comunque autoesclusosi dalla corsa al posto di terzino nelle dichiarazioni della vigilia. La fortuna di Sylvinho è che dalle proprie parti giri, e giri a vuoto, Park, e che Cristiano Ronaldo non vada mai a puntarlo in quella zona. Inaspettatamente alleggerito di lavoro difensivo, il brasiliano ha potuto dedicarsi a una partita sobria, con un buon piazzamento e un contributo sempre prezioso in fase di palleggio, senza mai cercare il fondo ma garantendo sempre un appoggio sicuro alle trame dei centrocampisti. Voto: 6,5.
Xavi: Vienna 2008, Roma 2009. Dai e dai, quello che qualche pensatore particolarmente diabolico aveva definito una delle cause della penultima Coppa dei Campioni blaugrana (per essersi infortunato, non per altro), è diventato un vincente. Un vincente di razza, anche col suo fisico da pensionato e la sua velocità da lumaca. Scavando sotto la superficie poi vai a scoprire che in questa finale si sobbarca chilometri come nessun altro, e ruba persino una serie di palloni preziosi. Impreziosisce con lo spirito di sacrificio e l’agonismo la solita prova di meravigliosa lucidità in regia: impossibile togliergli il pallone blablablabla fa sempre la cosa giusta blablablabla non sbaglia un tocco blablablabla… a tutto l’armamentario tradizionale aggiunge il cross al bacio per Messi. Voto: 7,5.
Busquets: Tocca relativamente pochi palloni, ma il contributo tattico è assolutamente rilevante. Si temeva la sua inesperienza, soffre un po’nei primi minuti Ronaldo che lo prende alle spalle, ma poi copre al meglio gli spazi davanti alla difesa, in qualche caso correggendo anche gli sporadici errori di posizione di Touré, non tirando mai indietro la gamba, spezzando e rilanciando il gioco con continuità. Pur toccando i citati pochi palloni, è importante in fase di possesso per come libera gli spazi a Xavi e Iniesta col movimento senza palla, in quelle costanti rotazioni del triangolo di centrocampo che agevolano la fluidità di manovra. Voto: 6,5.
Iniesta: Va bene, il Pallone d’Oro andrà a Messi, e non c’è niente di male perché si tratta comunque del miglior giocatore del mondo e del capocannoniere della Champions, ma ad Iniesta riservate almeno un Pallone d’Argento. Sbalorditiva facilità di gioco per uno che a questa gara non è arrivato nelle migliori condizioni (e mi è capitato pure di leggere che Andrés potesse soltanto portare palla, evitando il più possibile di tirare per non rischiare la ricaduta dell’infortunio), prende palla e decide “La partita sono io”. È lui che la indirizza creando dal nulla l’azione del vantaggio, è lui che trascina avanti tutta la sua squadra ogni volta che prende palla, è lui che gestisce ogni situazione con una personalità e una brillantezza disarmanti. Ha le geometrie e la visione di gioco, la pausa e l’accelerazione, pressa e ruba palla come un mediano, imposta come un regista, dribbla come un trequartista, ti punta come un’ala. Se sei in difficoltà poi ti salta da solo il centrocampo avversario. È l’anello di congiunzione ideale tra il tipo-Messi e il tipo-Xavi. Voto: 8 (dal 91’ Pedro: Dopo quelli nella finale di Copa del Rey, Guardiola lo omaggia di altri spiccioli simbolici. Non sarà dispiaciuto il canario. S.V.)
Eto’o: Gran partita di sacrificio, personalità e disciplina tattica. Parte largo a destra con l’intento di pareggiare Evra e di minacciare i centrali mancuniani con le diagonali negli spazi lasciati dall’arretramento di Messi. In questa partita di sacrificio trova il modo di lasciare il segno con lo spunto del grande attaccante: grande intuizione su Vidic e soprattutto nel rubare il tempo a Van der Sar con la conclusione immediata d’esterno. Voto: 7.
Messi: Chi da lui si aspetta immancabilmente l’azione epocale non sarà rimasto soddisfatto, ma il suo primo tempo poco appariscente è in realtà un grande primo tempo. Da falso centravanti fornisce un appoggio decisivo al centrocampo per controllare la partita. Nella ripresa lascia un po’a desiderare perché ci sarebbero più spazi per il contropiede e quindi per partire palla al piede. Stranamente da questo punto di vista si mostra meno brillante che da centrocampista aggiunto, in più di un’occasione si fa infatti recuperare in velocità dagli avversari. Sembra essersi un po’defilato dalla partita quando finalmente appaga anche gli appetiti mediatici col suo gol, un gol che oltre all’importanza ha il pregio dell’originalità. Voto: 7.
Henry: Recuperato in extremis come Iniesta, dà il suo contributo. Partita tatticamente intelligente, offre il riferimento per allargare il gioco e va anche a tagliare centralmente per tenere “in ostaggio” i centrali avversari e assicurare libertà a Messi fra le linee. Risponde tutto sommato bene dal punto di vista atletico, ha la grande occasione ad inizio ripresa quando va in fuga, dribbla Ferdinand ma sciupa tirando su Van der Sar, confermando una freddezza non proprio da killer in queste occasioni. Voto: 6,5 (dal 70’ Keita: entra perché Henry non ha i 90 minuti e perché occorre rinvigorire un po’il centrocampo per proteggere il 2-0. S.V.).
In panchina: Pinto, M. Cáceres, Gudjohnsen, Bojan, Muniesa.
MANCHESTER UNITED (4-2-3-1)
Van der Sar: Non risponde al meglio. Un po’ lento di riflessi e ingenuo sul gol di Eto’o, rischia di prendere un altro gol sul suo palo sulla punizione di Xavi. Bene coi piedi, anche se con qualche brivido per i suoi tifosi. Voto: 5,5.
O’Shea: L’anello debole dell’undici titolare, tutto sommato regge quando Henry calca la sua zona, non si scompone nell’uno contro uno. Tatticamente attento, supporta l’azione offensiva senza strafare ma senza sbavature; tuttavia si fa una brutta dormita sul cabezazo di Messi. Voto: 5,5.
Ferdinand: Serataccia per lui e Vidic. La posizione di Messi gli crea seri problemi, anche per la presenza di Henry che lo costringe a rimanere basso. Quando il Barça ha sempre più spazi poi soffre gli uno contro uno in campo aperto, su tutti quello che propizia l’occasione di Henry ad inizio ripresa. Grave corresponsabilità con O’Shea sul gol di Messi, dove purtroppo accusa una di quelle carenze di concentrazione che hanno sempre costituito il suo vero punto debole. Voto: 5.
Vidic: Dalla versione calcistica di Ivan Drago ci si aspetterebbe un po’ più di decisione nell’occasione in cui Eto’o indisturbato si insinua in area di rigore e fulmina Van der Sar per l’1-0. Non solo decisione e forza bruta, ma anche e soprattutto mestiere: inconcepibile per un difensore del suo livello concedere quello spazio. Assieme a Ferdinand, ha difficoltà ad accorciare verso il centrocampo. Non riesce mai ad anticipare, gli avversari arrivano sempre fronte alla porta con la possibilità di puntare o cercare il passaggio filtrante. Così diventa impossibile. Voto: 5.
Evra: Protagonista effimero d’inizio gara, quando lo United riesce ad occupare con costanza la metacampo avversaria e lui può sovrapporsi, perde del tutto importanza quando il centrocampo del Barça prende il sopravvento e viene bloccato dalla presenza di Eto’o, lui che era pronto per una sfida con Messi. Voto: 5,5.
Carrick: Prova a darsi da fare, ma è penalizzato dal contesto. Dei centrocampisti è il più lucido, quello che si offre al portatore di palla e cerca spesso di velocizzare la manovra e cambiare gioco. È la sua partita finchè è la partita dello United, ma poi con gli spazi che si moltiplicano per gli onnipresenti centrocampisti del Barça, diventa difficile capirci qualcosa. Voto: 6.
Anderson: Molto propositivo ad inizio partita, offre un gran dinamismo, triangola e si sovrappone, poi si spegne e naufraga quando la parola passa a Xavi, che nella sua zona comincia a prendere il sopravvento. Continua in assoluto a non convincermi questa sua conversione da trequartista a mediano: ha corsa, ha piede, ma non ha tempi e visione di gioco e non ha senso tattico. Oltrettutto con un solo altro centrocampista centrale ad accompagnarlo rischia di lasciare i suoi bei buchi. Voto: 5,5 (dal 45’ Tévez: Prova a offrirsi in appoggio al centrocampo e a fare movimento fra le linee, ma dura dieci minuti. Poi viene risucchiato dalla difesa avversaria e dalla mancanza di idee dello United. Voto: 5,5.).
Park Ji-Sung: Inesistente. Stavolta la sua corsa non è utile, non ha un ruolo di rilievo né nella manovra, né nell’uno contro uno, né negli inserimenti e nemmeno nei ripiegamenti. Forse resta troppo largo, non ha le caratteristiche dell’ala, magari stringendo maggiormente verso il centro sarebbe potuto entrare di più nel vivo del gioco e anche aiutare Carrick ed Anderson a non andare in inferiorità. Nella ripresa si scambia con Rooney e passa a sinistra, avrebbe l’occasione su un cross di Rooney lisciato da Touré, ma cicca anche lui. Voto: 5 (dal 65’ Berbatov: Ingresso non necessario, prestazione spettrale, tanto per cambiare. Voto: 5,5.)
Giggs: In assoluto una leggenda, ieri, 27 Maggio 2009, un uomo in meno. Non si riesce a capire il suo ruolo: un po’ seconda punta, un po’ trequartista, alla fine né carne né pesce. Non interviene nella manovra, non inventa sulla trequarti, non aiuta gli esterni a creare la superiorità numerica e non aiuta nemmeno il centrocampo in fase di non possesso. Nel secondo tempo arretra a sostituire Anderson in mediana: saltato regolarmente, ha solo un’azione individuale degna di nota. Voto: 5. (dal 74’ Scholes: Chi come il sottoscritto non segue costantemente lo United, è rimasto sorpreso dalla sua esclusione in favore di Anderson. Probabilmente il saldo fra l’intelligenza tattica, la classe e tutti gli altri fattori in questo momento si presenta negativo per Ginger Prince. Entra a frittata fatta e a centrocampo defunto, si fa notare solo per un’entrata assassina su Busquets, uno dei suoi classici raptus. S.V.)
Rooney: Altra grande delusione. Non ha un Alves che lo costringa a sacrificarsi da terzino aggiunto, ma gioca una partita terribilmente lineare ed anonima. Fa la fascia sinistra senza mai trovare il fondo, senza mai andare via all’avversario (quasi senza nemmeno provarci) e senza convergere verso il centro per provare il tiro. Nella ripresa passa a destra, con un avversario più facile di Puyol, trova un paio di cross e nient’altro degno di nota. Voto: 5.
Cristiano Ronaldo: Le analisi preconfezionate dovrebbero individuare in lui il grande sconfitto, ma al contrario è stato assolutamente all’altezza. Oltre i limiti di una serata storta per lo United non può andare neppure lui che affronta la gara con la personalità del grande giocatore. Lui e Messi simboleggiano l’affascinante confronto di stili fra Barça e Manchester United: l’argentino si fa attirare dal centrocampo per costruire una ragnatela di passaggi, Ronaldo è invece l’anima delle transizioni offensive (almeno nelle intenzioni) supersoniche dei Red Devils.
Ispiratissimo nei primi minuti, crea le sue brave difficoltà al Barça venendo a prendere palla nello spazio fra la difesa e Busquets, un movimento che inizialmente i blaugrana faticano a registrare. Oltre a questo allunga la sua squadra dettando il passaggio in profondità per lanciare il contropiede, come quando forza il cartellino giallo di Piqué. Un movimento ricorrente che dimostra la sua importanza anche nel gioco senza palla. Succede però che il possesso-palla del Barça spinge troppo dietro lo United, e separandosi dal resto della squadra anche Ronaldo viene inevitabilmente limitato. Nel secondo tempo con l’ingresso di Berbatov va largo a sinistra, ma ormai la partita è sfuggita e lui si lascia andare anche a qualche manifestazione di nervosismo. Voto: 6,5.
In panchina: Kuszczak; Rafael, Evans, Nani.
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